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Autore: Fragolina84    04/12/2013    1 recensioni
"Non c'era possibilità di vivere senza di lei, tanto che il primo impulso fu quello di staccare il reattore dalla piastra nel suo petto e lasciare che le schegge ancora nel suo corpo trovassero la strada verso il suo cuore. O quello che restava del suo cuore, perché Victoria l'aveva appena fatto a pezzi. Sarebbe bastata una settimana, poi tutto sarebbe finito"
Per il titolo di questo lavoro mi sono inchinata all’inglese. Trovo che I belong to you sia più musicale della sua traduzione in italiano: io appartengo a te.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Tony Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Jarvis, le luci, per favore».
Victoria si chiese perché le luci non si accendevano; poi rammentò con sgomento che non era più a villa Stark e improvvisamente ricordò tutto.
Aveva cambiato tre volte auto per arrivare alla residenza di Roberts, di sicuro manovre evasive per fare in modo che Tony non la trovasse.
L’auto aveva rallentato una volta giunta nei pressi della sede della Ascam Limited. La residenza di Roberts occupava l’ultimo immenso piano del grattacielo.
La macchina si era infilata nel cavernoso garage e si era fermata accanto alle porte dell’ascensore. Victoria era scesa e l’autista l’aveva accompagnata all’interno dell’elevatore. La corsa era stata lunghissima e quando le porte dell’ascensore si erano aperte, l’autista l’aveva preceduta fuori.
Christopher era al telefono, ma aveva precipitosamente chiuso la comunicazione e le si era fatto incontro.
«Ben arrivata, mia cara» disse sorridendo, e aveva cercato di baciarla sulla guancia. Ma Victoria si era scostata con violenza, facendo un passo indietro. Christopher aveva fatto finta di niente e le aveva fatto un cenno verso l’interno, invitandola a farsi avanti.
«Vieni avanti, ti prego».
La casa rifletteva lo stesso stile che Victoria aveva notato nella sede Ascam al piano terra. I mobili erano bianchi, in stile moderno, con maniglie in acciaio e inserti cromati. L’impressione che si ricavava era di freddezza. Quell’arredamento era così diverso da quello pur moderno ma caldo e accogliente di villa Stark. Con un sussulto, si era imposta di non pensarci: non voleva piangere davanti a Christopher e ripensare a Tony e a quello che avevano vissuto non era una buona idea.
Una donna con una divisa bianca attendeva accanto al divano. Aveva la pelle scura e una massa di capelli acconciati in treccioline. Era giovane, forse più di lei.
«Lei è Joanna, la tua cameriera personale. Rivolgiti a lei per qualsiasi cosa».
La donna aveva sorriso. «Benvenuta, signora» aveva mormorato, e Victoria aveva avuto immediatamente l’impressione che stesse dalla sua parte, che simpatizzasse con lei.
Christopher le aveva fatto fare il giro dell’enorme casa, ma Victoria non lo ascoltava nemmeno. Si era limitata a seguirlo in modo apatico finché lui aveva aperto una porta e l’aveva fatta entrare in una camera da letto.
«L’ho fatta preparare per te» aveva detto e Victoria aveva osservato con indifferenza il grande letto a baldacchino e l’enorme vetrata che dava sul terrazzo e, più oltre, sulla città.
«Ti lascio sola, magari vuoi rinfrescarti».
Non appena lui era uscito, Victoria aveva chiuso a chiave la porta e ci si era appoggiata contro, scivolando lentamente a terra e nascondendosi il viso fra le mani. Era rimasta lì per ore, finché fuori si era fatto buio e qualcuno aveva bussato alla porta.
«Signora, la cena è servita» aveva detto Joanna.
«Non ho fame» aveva risposto.
Qualche minuto dopo, aveva sentito bussare di nuovo.
«Cara, la cena è in tavola». Era Christopher stavolta.
«Non ho fame» aveva ripetuto.
Christopher era rimasto in silenzio a lungo. «Non potrai restare lì per sempre» aveva sibilato, ma lei era stata lasciata finalmente in pace.
Victoria si era raggomitolata sul pavimento e lo sfinimento dovuto ai terribili eventi di quella giornata aveva vinto, sicché si era addormentata.
«Jarvis, le luci, per favore».
Ma Jarvis non c’era. Victoria si alzò lentamente e trovò a tentoni l’interruttore, rendendosi conto di avere la vescica pronta a scoppiare. Fortunatamente aveva il bagno in camera, pertanto non era costretta ad uscire.
Quando uscì dal bagno, sedette sul letto e il pensiero volò ad un’altra camera, ad altri momenti. All’uomo che amava che ormai doveva aver capito che qualcosa non andava. E il fiume di lacrime ruppe di nuovo gli argini e la lasciò svuotata, quasi annientata.
Si svegliò quando il primo sole entrò nella stanza, inondandola di luce. Fece la doccia e si vestì. Ma non riusciva a trovare il coraggio per uscire dalla stanza.
Qualcuno bussò sommessamente.
«Signora?» era Joanna. «Signora, sta bene?»
C’era sincera preoccupazione nella voce della donna e Victoria decise di aprire. Joanna sorrise.
«Buongiorno, signora» disse, prendendo un vassoio dal mobile su cui l’aveva posato. «Ho pensato che preferisse fare colazione in camera».
Victoria la fece entrare e la donna posò il vassoio sul tavolo accanto alla vetrata.
«Il signor Roberts non c’è comunque» disse.
«Grazie» mormorò Victoria e la cameriera uscì.
Victoria non aveva mangiato nulla il giorno prima, né a pranzo né a cena. Il profumo di vaniglia dei pancakes le fece venire l’acquolina in bocca e mangiò la colazione che le aveva portato Joanna. Poi decise che non poteva restare tutto il tempo in quella stanza e, confortata dalle parole della cameriera, che le aveva riferito che Roberts non c’era, uscì.
«La colazione era di suo gradimento, signora?» chiese Joanna non appena entrò in salotto e Victoria annuì.
Joanna la informò che non poteva uscire, ma che la casa era dotata di tutti i comfort. C’era una libreria con migliaia di volumi, una palestra, la piscina, una sala cinema… ma Victoria non aveva voglia di fare nulla. Sedette su una poltrona affacciata sul terrazzo e rimase a contemplare la città, sonnecchiando a tratti.
Ad un certo punto accese la televisione e per un po’ si distrasse. Ma poi capitò su un programma di intrattenimento e vide passare sullo schermo una foto di lei e Tony. Era stata scattata ad una festa a cui avevano partecipato prima che lui partisse per Parigi. Distolse lo sguardo e spense.
Vedere Tony le provocò un altro attacco di malinconia e si raggomitolò sulla poltrona, rifiutando il pranzo.
A sera, Joanna era davvero preoccupata per lei. Intuiva che qualcosa che non andava: prima che arrivasse, Roberts le aveva detto di preparare la stanza degli ospiti per una donna che sarebbe venuta a stare da loro e che si sarebbe fermata a tempo indeterminato.
Quando l’aveva vista entrare, aveva subito riconosciuto la fidanzata del miliardario Tony Stark, il rivale di Roberts.
Joanna lavorava da anni per Christopher Roberts e lo conosceva bene. Non gli piaceva, ma da quando suo marito l’aveva abbandonata, lei doveva provvedere a suo figlio e non poteva permettersi di fare la schizzinosa. Tuttavia, Roberts era cattivo, lei lo sapeva.
E il comportamento di Victoria faceva supporre che la donna fosse trattenuta alla Ascam contro la sua volontà. Joanna era dispiaciuta, ma non poteva fare nulla. Aveva paura di Roberts e non gli si sarebbe mai messa contro per timore delle ritorsioni che avrebbe potuto subire.
Però poteva tentare di entrare in contatto con Victoria, almeno per fare in modo che la sua prigionia fosse un po’ meno pesante. Anche se non si illudeva che fosse un compito facile: aveva visto l’espressione di pura sofferenza dipingersi sul suo volto quando alla televisione avevano passato una foto di lei e Tony.
Quando Christopher rientrò, Victoria dormiva sulla poltrona. L’uomo chiese a Joanna come avesse trascorso la giornata e la donna raccontò che non aveva pranzato ed era rimasta apatica per tutto il giorno, senza dire una parola.
Christopher si avvicinò e sedette con cautela sul bracciolo della poltrona. Le accarezzò il viso e lei sorrise. Ma poi aprì gli occhi, lo vide e schizzò via come se fosse stata al cospetto di un insetto velenoso.
«Ti ho spaventata?» chiese e lei non rispose. «Avevo voglia di vederti» disse, sorridendo dolcemente.
«Io no» replicò lei.
«Oh, ma come siamo di cattivo umore» borbottò Christopher.
Victoria si stupì di tanta sfacciataggine: cosa credeva? Che gli sarebbe corsa incontro non appena l’avesse sentito entrare? Quell’uomo era totalmente pazzo, assolutamente fuori di testa.
«Capisco che è presto per te» proseguì l’uomo. «Ma imparerai a fidarti di me».
«Fidarmi di te? Hai rapito mia sorella, mi tieni qui contro la mia volontà. Come potrò fidarmi di te?»
Lui fece spallucce. «Il tempo, mia cara. In fondo, non sono così diverso da Tony Stark».
«Non puoi nemmeno avvicinarti a lui» sibilò Victoria con un sorriso amaro. «E potrai anche tenermi qui con il ricatto, ma non potrai togliermi i miei sentimenti. Io apparterrò a Tony, qualsiasi cosa accada».
Christopher strinse i pugni. Aveva pensato che fosse più facile, ma non era ancora detta l’ultima. Forse se avesse ricordato a Victoria la situazione in cui versava sua sorella…
«Sai qual è stata la mia prima impressione su di te?» domandò Victoria. «Che fossi un idiota».
Christopher rimase ad ascoltarla mentre la rabbia si impadroniva di lui: la sentiva montare dentro come un’onda anomala, pronta a travolgere gli argini della ragione.
«Ebbene, sei anche meschino e senza cuore. E non dovresti nemmeno nominare Tony. Lui è un uomo, anzi di più; è un eroe. Tu cosa sei? Un povero scemo che non è neanche in grado di trovarsi una donna, tanto che hai pensato di poterla soffiare al tuo rivale con la coercizione».
Per Christopher quello fu troppo. La raggiunse in due lunghi passi e la afferrò per i capelli, spingendola indietro e mandandola a sbattere contro la parete con tanta violenza che l’aria le uscì dai polmoni. Le strattonò la testa, facendole lacrimare gli occhi per il dolore.
«Non permetterò che mi parli in questo modo» ringhiò. «Ti avevo avvisata che il tuo comportamento avrebbe avuto delle conseguenze. Ora le vedrai».
La trascinò davanti alla televisione.
«Colin» abbaiò e una delle sue guardie del corpo entrò nella stanza. Christopher la lasciò andare. «Tienila ferma, voglio che veda» disse e Colin l’afferrò per le braccia.
«Attento» raccomandò Christopher. «Non lasciarle segni».
«Sì, signore».
Per quanto si dibattesse, Victoria era saldamente immobilizzata. Gridò e strepitò, ma nessuno sarebbe venuto a soccorrerla.
Christopher armeggiò con il cellulare finché un’immagine si materializzò sul televisore. Era la stessa stanza semibuia che le aveva mostrato il giorno prima, ma Violet non era seduta sulla sedia. La stanza era vuota, ma non lo rimase per molto.
Roberts chiamò i carcerieri di Violet ordinando di portarla nella stanza. Quando la vide entrare, Victoria gridò ancora più forte, ma la ragazza sembrava stare bene e si dibatteva nella stretta dell’uomo che la sospingeva avanti e che la costrinse ad alzare le braccia, assicurandogliele ad un gancio che pendeva dal soffitto.
«Cinque frustate» ordinò Christopher, sogghignando nel vedere l’espressione di orrore dipingersi sul viso di Victoria. «Ma non facciamo scorrere il sangue, per stavolta».
Quando la frusta sibilò rabbiosa, il grido di Violet le trafisse i timpani. Anche Victoria gridò, implorandolo di fermarsi, ma Christopher la guardò senza muovere un muscolo.
Violet gridava più forte ad ogni colpo e dopo il quinto rimase a gemere a testa china, tenuta in piedi solo in virtù del gancio a cui era appesa, come un pezzo di carne dal macellaio. Anche Victoria chinò la testa, seguitando a singhiozzare nella stretta di Colin.
Christopher spense la tv e le si fece incontro. La prese per il mento e la obbligò ad alzare il capo.
«Ti è tutto chiaro adesso, mia cara?» domandò. «Domani sera, quando tornerò dal lavoro, mi accoglierai come se fossi la mia fidanzata, o la farò frustare ancora. Ma domani saranno dieci colpi, ognuno sopra quelli inferti oggi».
Fece per baciarla, ma lei scostò il capo nonostante lui la trattenesse e Colin non le permettesse di muoversi più di tanto.
«Vuoi che lo facciamo subito?» chiese e lei si rese conto che l’avrebbe fatto. Smise di dibattersi e rimase immobile nella stretta di Colin.
«Così va bene» mormorò e la baciò. Victoria si irrigidì ma non tentò di fuggire. Non poteva farlo, doveva pensare al bene di Violet.
Finalmente la lasciò andare e ordinò a Colin di liberarla. Victoria si accasciò sulle ginocchia.
«Sei libera di cenare in camera tua, mia cara. Sono un uomo magnanimo, come vedi» disse, lisciandosi il bavero della giacca. Poi girò sui tacchi e se ne andò.
Joanna accorse immediatamente. Aiutò Victoria ad alzarsi e l’accompagnò in camera, facendola sedere sul letto.
«Non dovrebbe sfidarlo in quel modo, signora» disse preoccupata. Le porse un fazzoletto e Victoria si soffiò il naso e si asciugò le lacrime. Poi alzò gli occhi e Joanna le sorrise. «Le porto la cena, ok?» disse, ma Victoria scosse la testa.
«Oh, no. Non accetterò un rifiuto. Ha bisogno di mangiare e sostenersi».
Joanna la lasciò e tornò dopo una ventina di minuti con un vassoio che posò sul tavolo.
«Coraggio, venga qui» disse e Victoria obbedì. Joanna uscì.
Terminata la cena, Victoria si mise a letto, ma si rese conto che non era per nulla stanca. Non era strano, dato che non aveva fatto nulla tutto il giorno. La nottata fu un inferno: la mente inquieta era libera di vagare.
Victoria era molto preoccupata per sua sorella. Violet aveva dieci anni meno di lei ed era sempre stata la sua sorellina. Erano cresciute a New York e avevano abitato insieme mentre Victoria frequentava l’Accademia. Si assomigliavano come fossero gemelle, ma i capelli di Violet, pur dello stesso tono ramato, erano ricci.
Erano legate a doppio filo. Quando Victoria si era trasferita dall’altra parte del continente per andare ad abitare da Tony, Violet era rimasta nell’appartamento di New York. Gestiva un negozio di animali nella Grande Mela, la passione della sua vita.
Ma, nonostante la distanza, erano sempre riuscite a tenersi in contatto. Villa Stark era fornita dei più sofisticati mezzi di comunicazione e con il jet privato di Tony, Victoria poteva andare e venire praticamente a suo piacere. Senza contare i weekend che Violet aveva passato a Malibu.
E ora Violet era nelle mani di quel pazzo che l’aveva appena fatta frustare. Ancora non riusciva a crederci. Aveva capito che Roberts era uno squilibrato, ma non pensava che arrivasse a tanto. Doveva stare attenta. Avrebbe fatto di tutto per proteggerla, anche se questo avesse voluto dire umiliare se stessa. Anche se avesse voluto dire ferire Tony.
Il sonno vinse infine la sua battaglia e, malgrado tutto si assopì, quando già l’alba iniziava a tingere di tinte pastello il cielo nero.
Il mattino seguente capì che non poteva continuare a ciondolare per la casa. Se voleva dormire di notte doveva stancarsi. Non poteva uscire ma la sua era comunque una prigione dorata. Nuotò in piscina, usò la palestra ma, mentre le ore passavano, si rese conto di essere sempre più nervosa. Era impaurita perché di lì a poco, Roberts sarebbe tornato. E il suo comportamento era assolutamente imprevedibile.
Quando lui tornò, Victoria stava leggendo un libro sul terrazzo.
«Ciao Victoria» disse e lei represse un brivido e alzò il capo. «Ti stai godendo l’ultimo sole?» domandò, abbassandosi per baciarla sulla bocca. Victoria tenne le labbra chiuse, ma cercò di non scostarsi.
Anche se si rendeva conto che non era colpa sua, le sembrava di tradire Tony.
«Ti va di cenare con me?» chiese poi. Victoria si chiedeva come facesse. Il giorno prima l’aveva costretta a guardare mentre faceva fustigare sua sorella e ora le chiedeva di cenare con lui. Ma, terrorizzata all’idea di scatenare un’altra rappresaglia, Victoria accettò con un cenno del capo.
La cena era ottima, ma Victoria fece fatica a mandarla giù. Roberts faceva di tutto per far colpo su di lei con l’unico risultato di renderla nervosa. Era difficile non fare confronti con Tony, che era un conversatore eccezionale con uno spiccato sense of humor.
«Dovresti sorridere di più» le disse ad un certo punto, quando si accorse che lei rispondeva a monosillabi e teneva lo sguardo basso. «Sei bellissima quando sorridi».
Credeva davvero che i suoi complimenti le facessero un qualche tipo di effetto?
La fine della serata fu un sollievo e Victoria, prima che lui si facesse strane idee, si chiuse in camera sua.
Quella routine proseguì per un paio di giorni. Poi, una mattina a colazione, Roberts le porse una scatola con un enorme fiocco rosa sopra.
«Per te» disse. Victoria sollevò il coperchio.
La scatola conteneva un bellissimo vestito rosa chiaro, molto semplice con un decoro di perline sull’arricciatura del decolleté.
«Molto bello. Grazie» replicò senza alcuna emozione.
«Lo indosserai stasera. Sono stato invitato ad uno spettacolo di beneficienza e tu verrai con me».
Victoria lo guardò ad occhi sbarrati. Farsi vedere insieme a lui significava dire al mondo che aveva lasciato Tony.
Era sicura che lui avesse fatto di tutto per cercarla, ma era evidente che non l’aveva trovata. Altrimenti, poco ma sicuro, avrebbe indossato i panni di Ironman e sarebbe piombato nell’attico di Roberts per portarla via.
Pensava spesso a Tony e a come se la stesse cavando senza di lei. Ma un conto era non sapere dove fosse finita; ben altra cosa era rendersi conto che stava con Roberts.
«Non puoi farmi questo, ti prego» sussurrò Victoria.
«Sarà una bella serata, non preoccuparti. E tu potrai parlare con i giornalisti e far loro capire che ora stai con me».
«Ti supplico» disse lei. «Non sono ancora pronta per questo».
«Mia cara» mormorò avvicinandosi a lei, «da quel che vedo non sarai mai pronta per questo. Direi via il dente, via il dolore, non credi?»
Victoria era incapace di pronunciare parola ma scosse la testa. Tremava come una cerbiatta davanti al cacciatore. Vedendo che esitava, Christopher le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sorrise amabilmente.
«Credo si renda necessario un altro collegamento con tua sorella Violet» sussurrò, e prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
«NO!» gridò la donna. Non poteva permetterlo: era dilaniata dal conflitto, ma tra le due, decise di ferire i sentimenti di Tony, piuttosto che rischiare la vita di Violet. Chinò il capo, rassegnata: «Verrò con te».
«Ci intendiamo a meraviglia ormai, vero tesoro?»
Quella sera, mentre faceva i preparativi per la serata, le pareva di essere sonnambula. Si truccò e si pettinò, indossò quello splendido vestito e prese con lui l’ascensore, ma non riusciva a concentrarsi su quello che stava facendo.
Christopher, d’altro canto, sembrava al settimo cielo. Le fece mille complimenti e le aprì la portiera per farla accomodare sulla limousine bianca. Quando arrivarono alla festa, Victoria vide con orrore l’interminabile fila di giornalisti e fotografi ammassati in attesa dei VIP. Sarebbe stato un massacro.
«Pronta?» disse lui, con finta cortesia.
Lei annuì e sorrise. Era un’attrice: quello era il momento di dimostrarlo.
Non appena scesero dall’auto, i fotografi li notarono e sembrò di essere nel bel mezzo di un furioso temporale, tanti furono i flash che scattarono.
«Signorina Johnson!»
Il suo nome era sulla bocca di tutti. Ufficialmente era la fidanzata di Tony Stark e vederla in compagnia di Roberts scatenava le più incontrollate illazioni.
Christopher la cinse con un braccio e la sospinse verso il cordone rosso dietro cui i giornalisti attendevano impazienti.
«Signori!» disse con affabilità. «State calmi, ce n’è per tutti».
«Signorina Johnson!»
Victoria riconobbe la voce e si voltò verso Emma Chase, la giornalista di US Weekly che l’aveva intervistata… quando? Un secolo prima?
«Emma Chase, US Weekly» si presentò. «È strano vederla senza Tony Stark».
«Io e Tony non stiamo più insieme». Sparò la bordata: che senso aveva aspettare? Tutti si girarono verso di lei e, dopo un momento di incredulo silenzio nel quale si resero conto che avevano per le mani il gossip più succulento degli ultimi mesi, spararono domande a raffica.
Victoria alzò una mano a parare qualsiasi richiesta e tutti si zittirono.
«Avevamo, come dire, diversità di vedute su molte cose. Il nostro rapporto non poteva proseguire».
Si stupì che la sua voce non tremasse e che si sentisse così calma. Cercò di non pensare alla reazione di Tony nel momento in cui avesse visto quelle immagini perché rischiava di cedere.
Un’altra ridda di domande le fu lanciata addosso, ma stavolta fu Roberts ad intervenire.
«Per il momento non rilasceremo altre dichiarazioni. Non vogliamo certo infierire sul caro Tony» disse e, attirandola a sé, la condusse via.
«Sei stata bravissima» le sussurrò all’orecchio.
Victoria si sentiva svuotata di ogni emozione, persa in un incubo come quando era bambina e suo padre veniva a svegliarla. Ma stavolta nessuno sarebbe venuto a scuoterla e a riportarla nel mondo vero. Perché quello era il mondo vero.
Più volte, quella sera, dovette aggrapparsi a Christopher per sostenersi. Tutti la guardavano, tutti la giudicavano. Ma recitò la sua parte a dovere.
Tuttavia, fu un sollievo rifugiarsi nella limousine alla fine della serata. Si rintanò nell’angolo più lontano da Christopher, fissando fuori dal finestrino oscurato, finalmente al sicuro dagli sguardi indagatori.
Roberts era stranamente taciturno. Solo quando furono in ascensore, si girò verso di lei: «Visto? Non è stato poi così difficile, no?»
Victoria cercò di caricare il suo sguardo di tutto il disprezzo che provava per lui. Davvero non si rendeva conto della sua pazzia? Non valeva la pena parlare con lui, sicché tacque, distogliendo lo sguardo.
Quando arrivarono all’attico, Victoria si infilò nella sua stanza senza dire nulla. Si tolse il vestito gettandolo con noncuranza sul pavimento e indossò la vestaglia di seta. Qualcuno bussò alla sua porta e aprì senza pensare, convinta che si trattasse di Joanna. E invece era Christopher.
Indossava solo un paio di pantaloni neri ed era a torso nudo. L’aveva sempre considerato un rammollito ma i muscoli del torace e i bicipiti erano sodi e scolpiti dalla palestra.
«Cosa vuoi?» sbottò.
«Solo darti la buonanotte» disse lui.
«Non era necessaria» replicò la donna e fece per chiudere la porta. Non aveva nessuna voglia di starlo ad ascoltare, non quella sera. Non dopo che aveva rinnegato il suo amore per Tony davanti ai media.
Ma Christopher infilò il piede tra la porta e lo stipite e le impedì di chiudere. Con una spallata spinse la porta ed entrò, chiudendola poi di schianto.
«Ti ho lasciata tranquilla anche troppo a lungo» sbraitò. «È ora che tu capisca che non puoi trattarmi in questo modo. Adesso voglio tutto». E le fu addosso.
Victoria non se lo aspettava, ma se anche fosse stata pronta non avrebbe potuto opporsi: erano muscoli forti ed elastici quelli con cui la costrinse contro la parete. Si strusciava su di lei, cercando la sua bocca per baciarla. Ma Victoria si dibatteva frenetica, urlando come una furia.
«Urla quanto vuoi. Non verrà certo Ironman a salvarti» grugnì, strappandole la cintura della vestaglia.
Sotto portava soltanto l’intimo e lui infilò una mano nelle mutandine. Victoria non poteva permetterlo. Non quello. La frenesia dei suoi movimenti raddoppiò.
«Mi sono sempre piaciute calde e focose» rise lui, e la baciò sul collo, lasciandole un’umida scia sulla pelle vellutata.
Ma la donna non voleva arrendersi. Quell’oltraggio non poteva sopportarlo. Così, mentre lui continuava a sfregarsi contro di lei, abbassò la testa e gli affondò i denti nella spalla sinistra.
Christopher ruggì di dolore, ma lei non mollava la presa, finché sentì il sapore del sangue in bocca. Ora era l’uomo a dibattersi e, quando finalmente lei lo lasciò andare, la colpì allo stomaco con un pugno.
Non lo vide nemmeno arrivare e la prese in pieno, sicché l’aria le uscì di colpo dai polmoni. Christopher la lasciò, ansioso di allontanarsi da lei e Victoria scivolò a terra, piegata in due, ancora incapace di prendere fiato.
«Puttana!». Tenendosi la spalla offesa, Christopher uscì, lasciandola sola. Victoria attese per essere certa che non tornasse poi si alzò con cautela, chiuse la porta a chiave e andò in bagno. Si sciacquò la bocca dal sangue, meravigliandosi per ciò che aveva fatto. Aveva combattuto, l’aveva sfidato. E aveva vinto.
Era quasi certa che stavolta la rappresaglia non ci sarebbe stata. Christopher non poteva rischiare che i suoi uomini capissero che non era stato in grado di piegarla e quindi avrebbe taciuto. E, di sicuro, la prossima volta ci avrebbe pensato su prima di metterle le mani addosso.
Quando si fu sistemata, Victoria si trascinò fino al letto e si raggomitolò in posizione fetale, cercando di trovare una posizione in cui lo stomaco lesionato non le facesse così male.
 
Quella era stata la prima notte in cui Tony Stark era riuscito a dormire qualche ora. Da quando aveva preso precipitosamente l’aereo per tornare da Parigi, aveva collezionato pochissime ore di sonno.
L’inquietudine lo divorava. Com’era possibile che Victoria fosse sparita in quel modo? Gli aveva lasciato quel messaggio e se n’era andata. Tony non poteva accettarlo: doveva esserci qualcosa che poteva fare per farla tornare ed era intenzionato a ritrovarla, a parlare con lei, a chiarire quello che doveva essere soltanto un malinteso.
Quando Jarvis gli aveva mostrato il videomessaggio, la prima tentazione era stata quella di fuggire. Per quello aveva indossato l’armatura ed era volato via.
Aveva volato per chilometri, ignorando le chiamate di Pepper e di Happy, finché Jarvis l’aveva avvisato che erano al punto di non ritorno: l’energia dell’armatura si esauriva in fretta in condizioni di volo prolungato e, se volevano averne a sufficienza per tornare indietro, dovevano fermarsi.
Tony era quindi sceso a terra senza farsi notare ed era rimasto a lungo a pensare. La conclusione a cui era arrivato era che non le aveva detto abbastanza spesso quanto l’amava. Victoria era parte di lui e ne aveva un disperato bisogno. Era più che disposto ad ammettere che era emotivamente instabile senza di lei e quel volo incontrollato nei cieli americani lo dimostrava.
A quel punto, la determinazione aveva scacciato tutto il resto e lui si era alzato in piedi. Non c’era porta che il nome Stark non potesse aprire, perciò l’avrebbe rincorsa e ritrovata. Doveva dimostrarle quanto teneva a lei e riconquistarla.
Così era tornato a casa e aveva scatenato tutte le sue risorse. Attraverso le Stark Industries aveva percorso tutti i canali leciti e meno leciti, intrufolandosi nei sistemi satellitari, cercando di capire dove fosse andata a fermarsi quella maledetta Chevrolet nera che era diventata il suo incubo. Ma di Victoria non c’era traccia.
Aveva pensato di rivolgersi alla Polizia, ma Jim gliel’aveva sconsigliato.
«Abbiamo un messaggio di Victoria in cui lei stessa ti dice che se ne va» aveva detto. «Se interpelli la Polizia non farai altro che fare pubblicità a questa storia e non credo che sia una buona idea. Se c’è una cosa di cui hai bisogno ora è di stare tranquillo, senza influenze esterne».
E così aveva continuato a cercarla da solo, tenendo Jarvis sempre all’erta. Ma ormai cominciava a dubitare perfino di se stesso.
Quella notte aveva dormito qualche ora sul divano: nella sua camera da letto non entrava da giorni. Si svegliò e si stiracchiò i muscoli indolenziti della schiena. Poi si diresse in cucina per la colazione. Stava togliendo la tazza dal microonde, quando la voce di Jarvis lo chiamò.
«Signore, ho un riscontro per la signorina Johnson» disse il computer e Tony sussultò.
«Mostra» disse Tony, girandosi verso il megaschermo appeso al muro.
Era lei. Era ancora più bella di come se la ricordava. Indossava uno splendido abito svolazzante di colore rosa che si intonava alla perfezione con il tono del suo incarnato. Provò un’acuta fitta di desiderio: non era qualcosa di fisico, bensì di spirituale. La desiderava come cieco ha il desiderio della luce, come un uomo nel deserto agogna un sorso d’acqua.
Poi l’inquadratura si allargò e la tazza gli cadde di mano, infrangendosi sul pavimento. Happy, che era in salotto, accorse. Vide Victoria sullo schermo e si bloccò, incapace di spiccicare parola.
Dal canto suo, Tony non vedeva altro che il braccio di Christopher Roberts che cingeva la sua donna. Sembravano ad un qualche tipo di festa e lei sorrideva davanti ai giornalisti, accanto a Roberts. Poi le sue parole lo colpirono, più temibili di qualsiasi arma, più aguzze di qualsiasi spada: gli penetrarono nell’anima e ridussero a brandelli ciò che ne restava.
Io e Tony non stiamo più insieme. Avevamo, come dire, diversità di vedute su molte cose. Il nostro rapporto non poteva proseguire.
Era calma e controllata, la voce tesa e secca. Poi Roberts gli diede il colpo di grazia.
Per il momento non rilasceremo altre dichiarazioni. Non vogliamo certo infierire sul caro Tony.
A Tony non sfuggì che aveva usato il plurale. Le mani gli tremavano in modo incontrollabile e le strinse a pugno per cercare di placarne il tremore.
Non avrebbe mai dimenticato le parole della giornalista: «E così, anche quella che sembrava la storia d’amore del secolo, quella tra il miliardario Tony Stark e l’affascinante Victoria Johnson, è finita».
Non sentì altro. La mano destra si mosse di sua volontà, afferrò il tostapane sul banco della cucina, lo strappò dalla presa di corrente cui era collegato e lo lanciò. Colpì il televisore al centro esatto dello schermo. Le immagini scomparvero.
Senza dire una parola, Tony uscì dalla cucina e scese nel garage sotterraneo. Happy non osò seguirlo.
Tony pescò una bottiglia di scotch nuova dal mobile bar, ne strappò il sigillo e versò una generosa quantità di liquore in un bicchiere quadrato. Poi sprofondò nella poltrona e cominciò a bere. A sera, quando Pepper si fece coraggio e scese nel seminterrato, la bottiglia vuota giaceva ai suoi piedi e Tony si stava servendo da un’altra, che era vuota per tre quarti.
Pepper rimase a fissarlo per alcuni secondi, finché lui alzò il bicchiere verso di lei.
«Si faccia un goccetto con me, Pepper» biascicò con voce impastata.
«No, grazie» replicò Pepper. «È rimasto qui tutto il giorno?» chiese poi. Lui annuì. «E non ne ha abbastanza di piangersi addosso?» chiese la donna in tono pungente.
Tony bevve un sorso di liquore. «Devo aver perso il mio appeal con le donne. Mi trattate tutte male».
«È lei che si tratta male da solo. Non dia la colpa a me».
Tony si abbandonò sulla poltrona, girando la testa verso di lei. La scrutò per qualche momento, finché lei si sentì a disagio.
«Sicura che non vuole un goccio?» ridacchiò infine.
Pepper girò sui tacchi. «Me ne vado, non sono di alcuna utilità. E lei è soltanto un ubriacone».
Tony fissava torvamente il liquido nel bicchiere. «Ma sì! Se ne vada anche lei! Come quell’altra. L’ha vista?»
Pepper si bloccò ma non si voltò. «Sì, ho visto».
«Ha sentito Christopher? Non faranno altre dichiarazioni, per non infierire su di me. È stato un pensiero carino, non trova anche lei?»
«Mi dispiace molto, Tony. E capisco la sua frustrazione, ma…»
«Frustrazione?» Tony non la lasciò proseguire. «Pepper, la mia non è frustrazione. È rabbia».
Si alzò in piedi e Pepper si chiese come facesse a restarci senza neanche vacillare, considerata la quantità di alcol che aveva in corpo.
«Ma di che mi lamento? In fondo, è solo colpa mia. Le ho permesso di entrare, per la prima volta nella mia vita ho permesso ad una donna di sedurmi. E lei l’ha fatto, oh se l’ha fatto. Mi ha istupidito, togliendomi ogni capacità di giudizio. E poi si è comportata come tutte le altre».
Tony non le aveva mai parlato così. Lavoravano fianco a fianco da anni e avevano un rapporto tutto particolare, ma non sfioravano mai l’ambito personale. Poteva scorgere solo la punta dell’iceberg del dolore di Tony.
«E adesso» proseguì Tony «è andata a fare la puttana di Roberts. Da un miliardario all’altro, chapeau signorina Johnson… anche se il primo che si è portata a letto aveva decisamente più stile».
Sghignazzò e scagliò con violenza il bicchiere, mandandolo a frantumarsi contro il muro. La scia di whisky scorse fino al pavimento.
«Tony, ora deve calmarsi» mormorò Pepper.
«Calmarmi? Sì, forse ha ragione. Ma, in realtà ho voglia di fare qualcosa di inusuale. Che ne dice, invitiamo qualche amico per una festa?»
«Dubito che sia una buona idea».
«Perché no? Facciamo vedere al mondo che Tony Stark se la cava alla grande. Facciamo vedere alla signorina Johnson che stiamo benissimo anche senza di lei».
Pepper si rese conto di non potercela fare da sola. Rhodey era l’unico che poteva far rinsavire Tony. Doveva chiamarlo e farlo venire alla villa al più presto.
«D’accordo» esclamò. «Vado di sopra a chiamare Rhodes, così ci darà una mano con la festa, ok?»
«Splendida idea!» esclamò.
«Mi aspetti qui, ok?» raccomandò.
«E dove vuole che vada? Sono completamente sbronzo» ridacchiò.
Ma non appena Pepper uscì, Tony si fece serio.
«Jarvis» chiamò.
«Sì, signore?»
«Prepara l’armatura, ho voglia di fare un giro».
«Non credo sia prudente nelle sue condizioni».
«E io credo di sì, invece» replicò Tony.
Si rendeva conto che la sua armatura stava diventando un bozzolo, un modo per sfuggire alla realtà ma, a ben pensarci, non gli importava. Mentre la stava indossando, vide Pepper scendere le scale.
«Jay, negale l’accesso» ordinò.
«Accesso negato» informò Jarvis quando Pepper digitò il proprio codice sul tastierino.
La donna alzò gli occhi e lo vide. «Tony, non lo faccia!» gridò, ma lui fece una smorfia e si indicò l’orecchio.
«Mi dispiace, non la sento» mentì.
Calò la maschera sul volto, azionò i razzi e schizzò via.
Come sempre, volare con la sua armatura ebbe un effetto calmante e rasserenante. Era come se i problemi e le preoccupazioni restassero a terra; la concentrazione necessaria a mantenersi in aria e a volare a velocità supersonica faceva sì che la mente dovesse restare sgombra da ogni pensiero.
Senza accorgersene, Tony si trovò a sorvolare la sede Ascam. L’aveva già oltrepassata quando si fermò a mezz’aria, usando i razzi per mantenersi in volo stazionario.
«Potremmo lasciare un ricordino, che ne dici, Jarvis?»
«Signore, devo sconsigliarle di intraprendere qualsiasi azione offensiva».
Tony roteò gli occhi nelle orbite. «Nessuna azione offensiva. Diamo solo una spuntatina agli alberi del giardino».
«Signore, le faccio notare che l’edificio è videosorvegliato».
«Non credo sia un problema. Entra nel sistema a circuito chiuso e disattiva tutte le telecamere. E attiva la nuova modalità silenziosa, vediamo se funziona».
Quando Jarvis confermò che aveva fatto quanto richiesto, Tony sorvolò l’edificio e si calò nel giardino. L’azienda era chiusa perché l’orario di lavoro era finito. C’era un unico ufficio ancora illuminato e, attraverso la grande vetrata, Tony vide che era quello di Roberts che era solo e gli voltava le spalle.
Grazie alla modalità silenziosa, Roberts non si accorse del suo arrivo. Tony era arrabbiato e nello stomaco aveva soltanto whisky, che aveva bevuto sin dalla mattina. Non si rendeva conto di cosa stava facendo mentre piazzava tre cariche esplosive a basso potenziale in altrettanti punti del giardino. Sapeva soltanto che Roberts gli aveva portato via la ragazza e quello che stava attuando gli sembrava il miglior modo per vendicarsi.
In realtà era niente di più di una bravata, un gesto sconsiderato dovuto alla rabbia, alla delusione e al fatto che non aveva assunto altro che superalcolici sin dal mattino.
Una volta che ebbe terminato, risalì in volo e si fermò davanti alla finestra di Roberts. Picchiettò leggermente sul vetro e lo vide alzare la testa. Si girò lentamente e la Montblanc gli cadde di mano quando vide Ironman.
Tony agitò allegramente la mano. «Mandami pure il conto dei danni» esclamò e in quel momento Jarvis fece esplodere gli ordigni. Fecero più caos di quanto si fosse aspettato, sollevando alte colonne di terra e producendo una discreta deflagrazione.
Mentre si allontanava non vide Victoria che, richiamata dall’allarme antincendio che già suonava, si era affacciata dal balcone della sua stanza. Ma lei lo vide, o meglio vide la scia luminosa dei suoi razzi mentre volava via. E sapere di averlo avuto così vicino le diede una sferzata di energia.
Colin entrò nella stanza.
«Signora, dobbiamo evacuare l’edificio».
La condusse fuori, sostenendola. Il pugno con cui Christopher l’aveva colpita le aveva procurato un brutto livido e faticava a stare completamente eretta.
I mezzi dei vigili del fuoco stavano già arrivando e, dopo un lungo sopralluogo, decretarono che gli edifici non erano stati danneggiati dalle esplosioni. Victoria poté tornare nel suo attico, reprimendo un sorriso quando sentì Christopher strepitare perché le telecamere di sorveglianza erano state tutte disattivate e non c’erano prove che fosse stato Ironman a causare quella devastazione.
  
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