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Autore: AlexisLestrange    04/12/2013    1 recensioni
Era stato così naturale, così spontaneo, così istintivo, John non ricordava neppure come fosse accaduto. Era stata la distanza, si ritrovò a pensare lasciava andare la presa stringendo tra le dita il bordo del lenzuolo, quella dannata distanza che li aveva tenuti lontani per anni. Ma ora era tornato, era vivo, ed ora era suo, tutto suo.
Genere: Angst, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il taxi attraversava le vie di Londra, sotto la guida irregolare e frettolosa dell'autista, e John si
sentiva sballottare fastidiosamente man mano che avanzavano. Si voltò a guardare Sherlock, ma
quello se ne stava immobile, lo sguardo fisso oltre il finestrino. Inghiottì un groppo di saliva
cercando di far meno rumore possibile. Non voleva che l'altro sentisse le migliaia di domande che
gli ribollivano in testa e che non voleva fare per nessun motivo. Che, come la prima volta, sul primo
taxi -Dio, come faceva ancora a ricordarselo?- percepisse il suo bisogno di parlare sotto quel
silenzio, perché non voleva parlarne, non voleva discuterne. O forse sì? Voltò testardamente la testa
al finestrino, cercando di pensare ad altro, ma la voce di lui lo riportò bruscamente indietro.

«Tutto bene, John?»

Sherlock non si era neppure mosso, si era limitato a gettargli un'occhiata di sfuggita, senza fare una
piega, le pupille azzurre ancora concentrate a seguire e catturare il traffico attorno.
John si raddrizzò appena sul sedile, aprì la bocca per parlare, la richiuse, esitando, poi decise che
cambiare argomento con qualcosa di indolore poteva essere una soluzione funzionante.

«È la prima volta, non è vero?» domandò, schiarendosi appena la voce.

Sherlock si accigliò immediatamente, voltando la testa verso di lui, la bocca semiaperta. «Che
cosa...?»

«Non intendevo... Scotland Yard!» si affrettò a correggere John. «È la prima volta che torni, vero?
Da quando...» Tossì di nuovo, sentendo la voce venirgli meno. «Da quando sei ricomparso».

«Oh». Sherlock ricompose la sua espressione perfettamente impassibile, congiungendo le mani
davanti al viso e tornando ad osservare il finestrino. «Sì». Fece una piccola pausa, poi tornò a
guardarlo, la fronte appena aggrottata. «Dovrebbe essere un problema?»

John si fermò per un istante, per osservare quel volto ingenuo di bambino che ancora non aveva
capito molto bene come funzionavano le cose nel mondo reale. Che se fingi la tua morte per tre anni
la gente non si aspetta vederti ritornare in affari così presto. Ma che nel suo caso non importava a
nessuno, purché fosse tutto come prima, purché continuassero come se nulla fosse successo.

«No, affatto» rispose alla fine, scuotendo appena la testa, e Sherlock rilassò la fronte, le dita posate
sulle labbra pallide, come di nuovo immerso nei suoi pensieri.

Il taxi li lasciò davanti all'entrata della centrale. John aspettò un attimo prima di entrare, ma
Sherlock camminava a grandi falcate verso la porta, le mani infilate nelle tasche del cappotto
aperto, senza alcuna esitazione, e non poté far altro che seguirlo.

Al loro ingresso, ci furono un paio di sguardi curiosi, e qualcuno bisbigliò concitatamente, ma
Sherlock camminava rapido tra tutte quelle persone che si voltavano ad indicarlo senza curarsene, e
John accelerò il passo per raggiungerlo. Era ormai al suo fianco, quando un paio di figure appostate
davanti alla porta li fece rallentare il passo.

Sherlock piegò appena il capo in un cenno di saluto. «Sergente Donovan, Anderson...» salutò con
freddezza, lo sguardo rivolto alla porta, oltre alla quale doveva esserci Lestrade.

La donna lo osservò al di sopra delle braccia incrociate davanti al petto, inarcando un sopracciglio.
«Il nostro Dead Man Walking di nuovo in carreggiata» commentò poi alla fine, osservandolo con le
labbra strette. Nonostante il tono evidentemente sarcastico, non c'era traccia di sorrisi o ghigni
divertiti sul suo viso.

«È un film» bisbigliò John, alzando appena gli occhi su di lui.

«Lo sapevo» borbottò Sherlock di rimando, prima di tornare a guardare l'altra. «Devo vedere
Lestrade» aggiunse, con un tono che voleva indicare la chiusura definitiva della conversazione.

Donovan lo guardò per un attimo, prima di allungare la mano verso la porta per tenergliela aperta.

«È qui» commentò, seccamente, lasciandolo passare. John fece per seguirlo, ma lei lo trattenne con
una mano. Aggrottò la fronte, osservando la donna.

«Non la capisco, dottor Watson» disse lei, con un tono che presagiva una polemica in arrivo, e non
una che John avesse particolarmente voglia di discutere.

«Non capisce? Cosa, non capisce?» ripeté, voltandosi verso il sergente, le mani strette dietro la
schiena. Anderson, appoggiato al muro di fronte, sbuffò.

«Non dovrebbe essere arrabbiato a morte con lui?» replicò Donovan, stringendo ancora di più le
sopracciglia scure. «Tutti quegli anni lei ha pensato che fosse morto, ora ricompare e lei lo segue
come se non fosse successo niente?»

John deglutì un groppo di saliva che pareva essergli incastrato in gola, ma si costrinse a restare
impassibile. «È proprio questo il punto» commentò, gelido. «È quello che è successo. Niente».

Sorrise freddamente, poi la oltrepassò per attraversare la porta ed entrare nell'ufficio, seguito
immediatamente dai due; prima ancora di vederlo, sentì la voce di Lestrade accoglierlo.

«...Credevo ti fosse successo qualcosa, un'altra volta» si stava lamentando, rivolto a Sherlock, già
seduto su una sedia davanti alla sua scrivania. Alzò lo sguardo appena lo sentì arrivare. «Oh,
buongiorno, John».

«Salve» rispose brevemente lui, sedendosi accanto a Sherlock, lievemente in imbarazzo.

Quell'ufficio portava addosso troppi sgradevoli ricordi, e sentì gli occhi di Lestrade su di sé, quegli
occhi che in quegli anni avevano preso l'abitudine di osservarlo in una maniera fin troppo
compassionevole. Ma era finita, ora. Stava bene. Perché dovevano essere tutti così lenti a capirlo?

Lestrade si schiarì la voce, e tornò a fissare Sherlock. «...Avresti potuto rispondere al cellulare,
comunque, ieri» concluse. C'era una maniera paternalistica, quasi forzata, nella maniera in cui gli
parlava ora, ed John era certo che all'investigatore non sarebbe sfuggito.

«Era piena notte, ispettore. Avevo di meglio da fare». Sherlock incurvò appena le labbra e John
tossicchiò, costringendosi a concentrare tutta la sua attenzione sull'angolo destro della scrivania.

«Ho riprovato stamattina» protestò Lestrade.

«E io sono subito accorso qui» Sherlock alzò gli occhi al cielo, esasperato. «Ora, posso sapere chi si
è lamentato del mio ritorno?»

L'ispettore aprì appena la bocca. «Come...?» iniziò, frastornato, poi parve ricomporsi. «Tre anni e
mi ero quasi dimenticato quanto fosse irritante sentirsi prevedere i propri discorsi».

John notò l'angolo destro della bocca di Sherlock arricciarsi con compiacimento. Quelle labbra.
Dannazione.

«Rufus Bruhl» continuò Lestrade, allungando un fascicolo verso di loro. Sherlock lo prese tra le
dita bianche, aprendolo con rapidità. «Ti ricorda niente?»

Gli bastò un istante. Sherlock richiuse lentamente il fascicolo, per poi drizzarsi sulla sedia. «Il padre
dei nostri Hansel e Gretel» rispose lentamente, alzando un sopracciglio scuro. «Immagino abbiate
archiviato il caso dopo la mia scomparsa. Scopre che il presunto rapitore e intenzionalmente
assassino dei suoi figli è ancora in vita, non può fargli piacere, ma perché...» rallentò appena,
aggrottando la fronte. «Accanirsi ancora tanto?»

«È il suo figlio minore, Max» rispose Lestrade, con un mezzo sospiro. «È morto poche settimane
fa».

Sherlock fece un piccolo sbuffo di esasperazione. «Mi si accusa anche di questo, ispettore

«Non credo, visto che si è trattato di suicidio» rispose Lestrade. «A quanto pare, si è gettato dal tetto
della loro casa a Washington».

Le palpebre di Sherlock, notò John, ebbero una sorta di fremito involontario. Deglutì. C'era
qualcosa di incredibilmente sbagliato, in quella faccenda, e qualsiasi cosa fosse, non gli piaceva
affatto.

La voce aspra di Anderson interruppe il filo dei suoi pensieri. «Cosa sta diventando, una moda?»
sbottò, acido.

«Forse, stai pensando di unirti a noi?» ribatté Sherlock alzando appena le iridi azzurre, con un
minuscolo sorriso dipinto nell'angolo della bocca.

Anderson aprì la bocca ma non rispose; John gettò un'occhiata a Sherlock, percependo una sorta di
nervosismo in lui. O era solo la sua immaginazione? Preferì non indagare oltre, e si rivolse a
Lestrade.

«E cosa c'entra questo... con Sherlock, come... potrebbe?» fece, accigliato. «Max è morto in
America, anni dopo tutta questa storia, perché?»

Lestrade parve prendere un respiro prima di rispondere. «A quanto pare, Max e la sorella non si
sono mai effettivamente ripresi dal rapimento» iniziò. «L'analista che li segue ritiene che lo shock
sia stato troppo forte, e il mercurio che hanno assunto...»

«L'analista?» ripeté John, frastornato.

«Hanno avuto parecchi problemi, al rientro in America, a quanto pare» fece Lestrade. «Estrema
suggestionabilità, allucinazioni, attacchi isterici. Hanno dovuto farli seguire da specialisti».

«È una linea un po' sottile per l'accusa di un uomo» osservò Sherlock, inarcando le sopracciglia, le
dita incrociate davanti al viso.

«Non ti ho detto ancora tutto, infatti» replicò Lestrade, e John poté vedere -o se la immaginò solo?-
una traccia di trionfo nello sguardo dell'ispettore, nell'avere questa piccola punta di mistero nella
sua storia. «Rufus Bruhl non è venuto dall'America per accusarti».

Le iridi azzurre di Sherlock si spalancarono per la sorpresa, ma lui non mosse un muscolo.

«No?» si limitò a sussurrare, piano.

Lestrade scosse la testa. «No» ripeté. «Non chiedermi come si sia convinto a fare una cosa del
genere, ma lui vuole che tu indaghi per lui».

Sherlock emise uno sbuffo divertito. «Sul suicidio del figlio?» fece, la voce impregnata di ironia.

«Sul rapitore!» replicò Lestrade, alzandosi in piedi. «Su quello che ha fatto ai suoi figli, sulla
malattia della bambina, e soprattutto sul perché fossimo tutti convinti che fossi stato tu!»

John si schiarì la voce. Qualcosa di estremamente sgradevole pareva starsi facendo strada lungo il
suo stomaco.

«Non c'è nulla su cui indagare, ispettore!» Sherlock si alzò a sua volta, le mani sulla scrivania.
«Moriarty ha organizzato il rapimento, li ha riempiti di mercurio e tutto quello che il signor Bruhl
dovrebbe fare ora è assumere un'analista migliore e chiudere le finestre dell'attico prima di mettere
sua figlia a dormire. Ora, se volete scusarmi...»

Fece per andarsene, ma John scattò in piedi, fermandolo.

«Sherlock, fermati, pensaci, per favore» disse, a bassa voce. «Sarebbe l'occasione di far sapere la
verità, quel che è successo...»

«Non indagherò sulla mia innocenza, John!» replicò quello, bruscamente.

«Non devi indagare sulla tua innocenza, ma su chi è il colpevole» ribatté Lestrade, e Sherlock si
girò verso di lui, di scatto. «Dietro c'era Moriarty, va bene, lo sappiamo, ma aveva uomini, uomini
che seguivano i suoi ordini, che hanno fisicamente preso questi bambini e li hanno portati in quel
posto, se riusciamo a capire chi sono, a catturarli...»

«Questo non farà certo guarire la figlia di Rufus» sbottò Sherlock, come esasperato.

«Allora scopri cosa lo farà» fece Lestrade, abbassando appena la voce, il tono appena più grave,
serio.

Sherlock lo osservò per un istante, in silenzio. «Non è il mio campo» ribatté.

«Forse è quello del rapitore» rispose quello. «Trovalo, Sherlock».

«Perché dovrei?» replicò lui, alzando le sopracciglia.

«Perché se riuscissi, avremmo finalmente modo di scagionarti...» fece Lestrade con forza, ma
Sherlock sbuffò, seccato. «Ascolta, noi lo sappiamo, d'accordo? Sappiamo che non sei colpevole,
ma legalmente, sei ancora uno degli indiziati».

Sherlock si morse l'interno della guancia, e spostando lo sguardo sulla stanza, fino a incrociare
quello di John. «Va bene» disse alla fine, a bassa voce, e l'altro poté tirare un sospiro di sollievo,
chiudendo gli occhi per un momento.

«Grazie al cielo, inizi a ragionare» fece Lestrade, alzando lo sguardo al cielo.

Sherlock lo interruppe prima che aggiungesse altro. «Avrò bisogno di parlare con Rufus, e con la
bambina» cominciò, prendendo il cappotto dal bordo della sedia ed infilandoselo al volo.

«Non sono in America?» fece John, confuso, passando lo sguardo da uno all'altro.

Lestrade aprì la bocca per replicare, ma Sherlock lo precedette. «È venuto in Inghilterra
personalmente per sistemare la questione, non sono affari che si possono discutere per telefono, la
figlia psicologicamente labile di un ambasciatore è una questione top secret, le telefonate vengono
intercettate» fece, annodandosi la sciarpa intorno al collo. «E con il suicidio del figlio così recente,
tu lasceresti la bambina da sola in America con la governante? Non sarebbe una mossa furba, e
quell'uomo si è dimostrato già abbastanza un pessimo padre... No, sono entrambi qui, mi mandi
l'indirizzo della loro residenza, Lestrade, andrò a visitarli. Buona giornata».

Uscì dalla stanza con uno svolazzo, e a John, rimasto in piedi al centro della stanza, non restò altro
che seguirlo, sentendo un misto di ammirazione e amarezza annodarglisi in gola, impedendogli di
parlare.
   
 
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