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Autore: LilienMoon    05/12/2013    0 recensioni
"Orlando era convinto che se ci fosse stato di mezzo il destino, la sua vita sarebbe diventata come il suono della natura trasportato dal vento, sarebbe balzato da un orecchio all’ altro, ma solo rare persone avrebbero potuto capirne la consistenza. E William era uno di queste."
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Dal sospiro del vento nacque un girasole.



Il frusciare forte del vento stordiva tutte le persone presenti nel parco, le portava via, le lasciava libere in quel grande mare blu chiamato “cielo”, le donava al sole, come ringraziamento alla voluta sofferenza che doveva sopportare ogni giorno bruciando per darci conforto e calore. A chi non sarebbe scappato un sorriso vedendo il sole brillare ogni giorno lì per noi? E chi, ascoltando la dolce voce di un vento primaverile, non si sarebbe fatto trascinare? Erano queste le cose che rendevano inconsciamente felici le persone, che davano loro la voglia di andare avanti e di lottare con se stessi ogni giorno per non cadere nel baratro della monotonia. Orlando di questo era fermamente convinto. Lui amava andare in pianura nel tardo pomeriggio quando l’aria si faceva un po’ più fresca, e lì stendersi sulla morbida erba a osservare ogni minimo dettaglio della natura. A guardarle dall’esterno le sue giornate potevano sembrare monotone per una persona normale, ma non si stancava mai perché ogni giorno, a ogni ora c’era un piccolo cambiamento, anche minimo, nel paesaggio intorno a lui. Osservava i cespugli e i soffici fili d’erba, che ogni tanto erano mossi da qualche animaletto, la miriade d’insetti che volavano inconsci del mondo intorno a loro, completamente diversi da noi; e infine gli alberi di cui anche da una notevole distanza intravedeva la resina che fuoriusciva dal tronco, la vedeva scorrere lungo la corteccia e seguire un percorso ben delineato il quale risultato finale era un’opera d’arte al naturale. Orlando immaginava di essere vicino a un albero e conversare con esso, chiedendogli i segreti della natura, dell’arte, di tutte le bellezze intorno a lui, e ricevendo la risposta portatagli dal vento alle sue orecchie. Sapeva che se lo avesse raccontato a qualcuno lo avrebbero preso per un pazzo e la sua famiglia non avrebbe esitato a mandarlo da uno psicologo nonostante la sua veneranda età, di conseguenza questo rimaneva un ben custodito segreto fra lui e quel ragazzo.  Chi precisamente fosse neanche Orlando sapeva spiegarlo, non l’aveva mai visto a scuola o in città, lo vedeva solo in campagna. La prima volta che gli parlò era una calda giornata di Luglio, per essere precisi era il dieci, il giorno del suo compleanno.
Orlando osservava il cielo disteso come sempre nel prato, vicino alla parte incolta della valle che allora era chiamata “la foresta” dai bambini che, spaventati a morte dalle favole che gli raccontavano le mamme sul suo conto, non osavano avvicinarsi nemmeno se costretti. Aveva chiuso gli occhi solo per un secondo, per assaporare i vari aromi dei fiori che si mischiavano tra loro formando un unico dolce profumo che avrebbe inebriato anche chi li avesse odiati... quando improvvisamente sentì dei passi avvicinarsi sempre di più a lui, sempre più vicini, fino a quando il sole fu oscurato completamente da una persona in piedi davanti a lui. Era quel ragazzo! L’indefinito ragazzo che vedeva sempre nei meandri della “foresta”, il cui sguardo si era incontrato molto spesso con il suo ma Orlando non aveva mai avuto il coraggio di andare da lui, non conoscendolo neanche. Secondo la sua immaginazione poteva anche trattarsi di un fervido assassino che attirava i ragazzi nella propria trappola per poi ucciderli e mangiarseli. Ma quando lo guardò negli occhi, tutte le strane situazioni createsi nella sua mente scomparirono lasciando un immenso vuoto che veniva pian piano colmato dal verde vivido del suo sguardo. Le meraviglie della natura erano racchiuse dentro quelle iridi verdi, un po’ lucide forse per l’emozione. La pelle era chiarissima, e faceva un contrasto esagerato con i suoi capelli, che al sole diventavano ancora più neri, erano incolti, il suo taglio sarebbe dovuto essere un caschetto con una frangetta lineare, ma ormai i capelli gli arrivavano sulle spalle e la frangetta gli ricadeva leggermente sugli occhi. Orlando era rimasto affascinato dalla sua aria selvaggia come chi in un ambiente di lusso e basato su concetti di civiltà, non aveva mai vissuto.

"Mi chiamo William. Tu." 

la sua espressività vocale era poco accennata, ma bene o male si capiva cosa volesse dire.

"Io sono Orlando." 

e dopo essersi scambiati i loro nomi, William si sedette con nonchalance sull’erba, facendo un’espressione con il viso come se stesse odorando tutto intorno a se. Sembrava un segugio, era un po’ inquietante da vedere, ma Orlando sapeva, anzi lo sentiva, che poteva e doveva fidarsi di lui. Non sapeva spiegare il motivo, ma lo vedeva identico alla parte di se stesso che non aveva mai avuto il coraggio di cacciare fuori per paura che gli altri lo giudicassero. Voleva chiedere a William dove vivesse, ma più lo guardava e più una vocina nella testa gli diceva “ma cosa importa? È qui ed è l’unica cosa di cui a te debba fregare qualcosa” e allora decise di dirgli quello che seriamente pensava, visto che l’altro sembrava non essere lì con la mente in quel momento.

“Non è la prima volta che ti vedo, vorrei …”

 e fu bloccato da William che pareva essersi improvvisamente ripreso dal suo stato di trance. Chissà cosa stava pensando? Avrebbe dato di tutto pur di poter leggere in quel viso inespressivo e capirci qualcosa.

“Anch’io ti ho visto, ti osservo. Tu sei parte della natura. Non sono venuto a mani vuote. Ti ho portato qualcosa. “

prese la mano di Orlando e gli porse tre semi, che a guardarli sembravano quelli dei girasoli.

“Tu guardi sempre quei girasoli lì Orlando.”

e indicò la vasta distesa di quei bellissimi fiori che pareva infinita.

“Ho pensato di prenderti dei semi. Nel mio paese quando conosci una persona le si fa un piccolo regalo.”

“William perché proprio tre?”
 
“Uno sei tu. Uno sono io. L’altro è la natura, il nostro legame.”
 
e nessuno dei due parlò più. Il segreto che condividevano era il legame che li avrebbe tenuti uniti, che non si era mai espresso a parole, ma era cresciuto in silenzio nei loro occhi. Orlando strinse la mano di William così rovinata e sporca, nella sua, delicata e accogliente per sigillare il patto stipulato tra loro, tra due ragazzi di appena quindici anni, diversi e incompresi dalla gioventù dell’epoca, che amavano la natura e i suoi concerti nello stesso modo in cui amavano se stessi. Di solito le persone, con dei semplici sguardi, non possono capire tutto l’uno dell’altro, ci vorrebbe molto più tempo per conoscere a fondo una persona, ma se la gente si fermasse a scrutare attentamente negli occhi di chi ama, potrebbe capire molte cose che con delle futili parole non possono essere spiegate, altrimenti verrebbero sminuite e private di significato. Orlando era convinto che se ci fosse stato di mezzo il destino, la sua vita sarebbe diventata come il suono della natura trasportato dal vento, sarebbe balzato da un orecchio all’altro ma solo rare persone avrebbero potuto capirne la consistenza. E William era uno di queste.

 
***

Ritornare alla vita di tutti i giorni però non fu facile per Orlando dopo che lo ebbe incontrato, ormai gli era entrato nella mente come accade quando ascolti una canzone, che magari neanche ti piace, e hai sempre voglia di cantarla senza poterne fare a meno. Andava ogni giorno in campagna, speranzoso che quel ragazzo venisse di nuovo da lui a parlargli, ma non si avvicinava neanche di un passo, rimaneva sempre fermo immobile in quell’angolino all’ombra a guardarsi intorno, come se stesse cercando qualcosa. Orlando sapeva che guardava gli alberi, le foglie che danzavano via con il vento, le formiche che andavano a rintanarsi nelle proprie “case” perché l’autunno era ormai alle porte, e le altre cose che rendevano meravigliosa quella che noi chiamiamo vita. Lui invece la natura non la osservava più, tutto quello che prima gli dava piacere, stava svanendo lentamente, la passione che provava nei confronti della natura era inversamente proporzionale alla curiosità morbosa che provava verso quel ragazzo: più quest’ossessione per William cresceva, più la natura diventava soffocante e diversa da come l’aveva sempre considerata. Non riusciva a capire perché fosse nato questo sentimento che considerava negativo, ma imparare a conviverci era l’unica soluzione e pian piano l’ossessione prevalse sulla sua quotidianità e cambiò totalmente il suo carattere. Orlando diventò apatico, freddo, chiuso, non parlava più con nessuno, la solarità concessagli dalla natura che contemplava sparì completamente e il mondo intorno a lui diventò buio. Un pomeriggio d’inizio ottobre decise di raccogliere tutto il coraggio depositato in lui e andare a parlare con William per mettere fine all’inferno che stava vivendo in quel periodo. Ogni passo pesava sempre più del precedente, la voglia di tornare indietro e darsela a gambe era tanta, come la voglia di ritornare a essere felice. Non gli costava niente dire due parole a quel dannato ragazzo che aveva sconvolto la sua esistenza al punto tale da fargli perdere tutti i legami che aveva con le persone. William era lì, che lo fissava con sguardo cupo, infelice, diverso da quello che aveva la prima volta che Orlando gli aveva parlato. I suoi occhi verdi lucidi ormai si erano spenti, non emanavano più la vitalità di quel meraviglioso e mancato giorno, non sembrava la stessa persona. A Orlando gli sembrò di guardarsi in uno specchio, i sensi di colpa frantumarono la sua piccola parte di felicità sopravvissuta, era colpa sua se William era in quello stato perché con quei tre semi di girasole ormai erano legati, e inspiegabilmente le sofferenze di uno erano quelle dell’altro. Le gambe gli tremavano, non reggevano più tutto il peso del corpo, non reggevano più il peso dell’anima. Guardò per terra e con quei tre semi stretti nella mano destra, lentamente cadde come un fiore che piano appassisce, e gli sembrò di sprofondare nei meandri più oscuri dell’inferno dove ormai la voglia di salvezza era inesistente: sentì un tonfo e poi fu tutto buio.
 
***

Una forte luce puntata sul volto di Orlando non riusciva a fargli riaprire gli occhi, che gli dolevano al punto tanto da farlo lacrimare. Nelle sue orecchie vibrava un ronzio continuo e fastidioso, il cui suono cresceva sempre di più, e da semplice vibrazione si trasformava in parole e da esse in frasi. Sentì la voce della madre e ne fu quasi estasiato, gli sembrava di non sentire quel dolce suono da lungo tempo, come se fosse stato addormentato per anni. Gli venne un dubbio: dove si trovava? Ricordava di essere in campagna con William perché doveva parlare con lui, doveva chiedere spiegazioni e capire, ma poi il suo cervello non riusciva ad andare oltre quel momento, come se avesse un vuoto di memoria e più si sforzava, più non ricordava niente oltre quegli occhi vitrei e spenti di William. Aprì gli occhi lentamente cercando di abituarsi a quella luce che si trasformò in una lampada al neon che si trovava proprio sopra di lui, era supino sul letto, le articolazioni e i muscoli gli facevano un male cane, non riusciva neanche a muoversi. Girò il capo e vide il volto della madre così felice e ricoperto di lacrime amare che non smettevano di cadere. I suoi occhi erano un rubinetto in continua erogazione di acqua, e Orlando si sentiva l’idraulico che avrebbe aggiustato quella perdita. Non riusciva a pensare a niente se non alla felicità che la madre gli stava trasmettendo, con quelle labbra quasi inesistenti che sorridevano gioiose, i capelli castani resi più chiari dalla luce, legati in una coda di cavallo che ondeggiava a destra e a sinistra e i suoi occhi, anche se lucidi, sorridenti. Era invecchiata, le rughe gli solcavano la fronte, non la ricordava così.  La madre gli annunciò che era stato in coma per due anni in cui dei macchinari lo avevano mantenuto in vita, e ormai la speranza che sarebbe tornato in sé era vana, anche i dottori avevano detto che non c’era più niente da fare, e invece lui, stupendo tutti, era ritornato in se. I dottori gli raccontarono che a portarlo in ospedale era stato un ragazzo dai capelli neri, con gli occhi verdi, lucidi che lacrimavano, pieno di graffi e sporco di terriccio con i vestiti tutti strappati e rovinati; i dottori dissero inoltre che appena si era assicurato che Orlando non era più in pericolo di vita, era scappato via da solo senza dire nemmeno una parola. Lasciò solo un messaggio per lui “Guarda nella tua mano destra”. Orlando lo fece, trovò i tre semi, e tutto il dolore che aveva dentro lo cacciò dagli occhi, pianse fino a svuotarsi del tutto, fino a dimenticarsi perfino della morte. Era svenuto e nel cadere aveva sbattuto forte la testa contro una pietra e William lo aveva salvato e doveva ringraziarlo, appena si fosse ripreso sarebbe andato nuovamente in campagna, perché era sicuro di trovarlo lì. La madre lo abbracciò e lo strinse forte e un turbine di sentimenti ed emozioni scoppiarono in lui come una bomba a mano: gli sembrò che la vita fosse eterna, che anche dopo la morte sarebbe continuata, in un altro mondo o in un altro universo in cui l’anima avrebbe vagato in eterno. In quel momento Orlando capì che la sua esistenza era ormai legata a quella di William ed era felice di questo perché anche se non l’avrebbe mai più rivisto, lui sapeva che era ancora vivo, che guardavano lo stesso cielo, che camminavano sulle stesse strade. Avrebbe sentito la sua presenza ovunque, e di conseguenza era contento perché così la solitudine non si sarebbe mai venuta a creare nella sua triste vita, e la nostalgia non l’avrebbe mai assalito perché c’era sempre William lì a fargli compagnia ovunque andasse. Districandosi dall’abbraccio della madre, nella sua mente incolpò il destino, lo accusò con tutto il rancore e l’odio rimastogli, gli affibbiò tutte le responsabilità dei fatti accaduti perché Orlando quell’ultimo giorno poteva anche fare dietro-front senza così vedere il cambiamento nel volto di William, rimanendo con l’infelicità che lo stringeva in una morsa facendo del male a se stesso e a quel ragazzo. I pensieri continuavano a sovrapporsi nella sua mente ma Orlando non li sentiva quasi più perché fu colto da un torpore che lo avvisò che aveva bisogno di dormire, di lasciarsi andare nelle calde e dolci braccia di Morfeo. Guardò la madre e le sorrise, girò il volto dall’altra parte e si addormentò ricordando la vitalità e la luce che emanavano gli occhi di William. Nei mesi seguenti Orlando rimase in clinica per la riabilitazione e rimase stupito non riuscendo a far fare al proprio corpo quello che voleva, come se il cervello si fosse dimenticato come s’impartivano gli ordini ai muscoli per farli muovere. Gli dolevano le gambe, il collo, la schiena, era tutto un continuo dolore ma pian piano il corpo iniziò a rispondere agli stimoli e riuscì a muoversi quasi normalmente come prima. La madre lo veniva a trovare quasi tutti i giorni, e alcuni fine settimana anche i suoi amici venivano e gli portavano sempre qualche pensierino, a volte erano libri, altre volte vestiti, insomma variavano secondo la persona che glieli regalava. La clinica ormai era diventata la sua seconda casa, aveva conosciuto un sacco di persone grazie alla solarità che in quei mesi precedenti al coma era completamente svanita in un soffio di vento e che adesso era tornata più contagiosa di prima. Aveva conosciuto una ragazza, che aveva il nome del fiore più profumato presente nelle vie di campagna, Viola, e forse era solo suggestione ma volte a Orlando gli pareva davvero che odorasse come esso. Aveva i capelli color del sangue, di un rosso acceso che ipnotizzava, e i suoi occhi al sole diventavano gialli, erano miele, ispiravano dolcezza solo a guardarli. Era di un paese in provincia di Napoli ed era lì perché aveva avuto un incidente con la macchina in cui l’articolazione del ginocchio si era quasi spezzata ed era costretta a fare riabilitazione ancora per altri mesi perché la gamba non accennava a migliorare. In cuor suo Orlando era contento di questo perché sarebbero stati insieme ancora per molto tempo e lui era felice quando era in sua compagnia, anche se si vergognava ad ammetterlo perché dava dimostrazione di un gran sentimento d’egoismo mai manifestatosi in lui. Viola gli raccontava della sua famiglia, dei suoi amici, della sua vita, si confrontavano sui gusti musicali e letterali, e anche Orlando gli parlava di sé, ma evitava di raccontargli di William. Era un suo segreto, non l’avrebbe raccontato mai a nessuno, perché avrebbe svelato parte della sua anima. Lei però aveva capito che nascondeva qualcosa, ma sapeva che se ne avesse voluto parlare già l’avrebbe fatto da tempo quindi non faceva domande, e questa sua caratteristica a Orlando piaceva, ah quanto gli piaceva! Alla fine però cosa non gli affascinava di lei? Aveva tante piccole imperfezioni che la rendevano perfetta in ogni gesto, e di questo Viola non se ne rendeva conto, era molto ingenua. Era una di quelle persone che ascoltavano il vento, e dentro di esso aveva sentito il richiamo d’aiuto di Orlando e aveva deciso di seguirlo e di prendersi carico di tutte le responsabilità che conseguivano questo gesto. Si stavano innamorando l’uno dell’altra lentamente ma non lo capivano. Poi Viola se ne andò dalla clinica, invece lui rimase lì per molte settimane e lei lo veniva a trovare quasi ogni weekend, ma sentiva molto la sua mancanza e questo lo rendeva insoddisfatto. Dopo quegli estenuanti mesi trascorsi costantemente all’ospedale, arrivò il tanto desiderato momento di ritornare a casa. Il tempo trascorso nella clinica aveva cambiato drasticamente il suo modo di vedere la vita, facendolo rinascere in una nuova persona da lui mai conosciuta. Non era più ossessionato da William, grazie a Viola il suo constante punto fisso era quasi completamente sparito lasciandolo libero di respirare e di godersi i preziosissimi minuti della sua esistenza. Quando varcò la soglia di casa, notò i notevoli cambiamenti avvenuti: le pareti erano state ridipinte, la cucina era diventata enorme e il salone era stato ridimensionato vista la sua inutilità. La sua casa era diventata arieggiata e luminosa, cosa che prima non era, e fuori il terrazzo era stato messo un piccolo orticello che sua madre curava con amorevole pazienza. Corse dalla madre e la abbracciò affettuosamente, ridendo entrambi per il felice ritorno a casa di Orlando. Era tanto che lo aspettava, non sapeva come avrebbe fatto senza di lui e ringraziava Dio ogni giorno per averlo fatto rinsavire. Senza dire niente al figlio aveva piantato i suoi semi di girasole nell’appezzamento di terra che avevano in campagna, cosicché Orlando sarebbe potuto andare lì a osservarli ogni volta che voleva, visto quanto vi ci era affezionato. Quando però la madre glielo disse, Orlando ebbe una reazione inaspettata: nel suo corpo si scatenò un tornado vorace che gli bucò lo stomaco. I suoi sogni erano stati rovinati! I semi dovevano rimanere tali, non dovevano essere piantati altrimenti il legame sarebbe stato sciolto per sempre! Urlò, urlò e urlò ancora, con tale rabbia nella voce da far spaventare la madre e da farle sgorgare le lacrime dagli occhi, ma in quel momento niente era importante se non quei semi, quei tre maledetti semi che gli stavano procurando tutto quell’immenso dolore. Non riusciva a calmarsi, a prendersi una pausa dalle lacrime, ormai il mondo gli era crollato addosso. I girasoli erano cresciuti e forse stavano a indicare che anche il loro legame era cresciuto, ma non era assolutamente così, anzi era diminuito fino  a non esistere quasi più, e Orlando la detestava questa cosa. Si rintanò nella sua stanza, prese il telefono e decise di chiamare Viola, però il suo numero non era raggiungibile ma lui provò e riprovò finché lei non rispose con un tono irritato. Lui non le badò nemmeno e le raccontò tutto, ogni minima cosa, ogni attimo e ogni dolore passato per colpa di William, e lei ascoltò paziente, cercando un modo per aiutarlo. Decise di correre a casa sua giacché Orlando aveva appena avuto una crisi di nervi, e durante il tragitto pensò a vari modi per consolarlo ma non ne trovò alcuno. Quando la madre di lui la fece entrare e la accompagnò nella sua stanza, lei entrò e appena lo vide capì subito cosa doveva fare, quegli occhioni lucidi pieni di risentimento le fecero capire ogni minima cosa. Gli si fiondò addosso e lo baciò avidamente come non aveva mai fatto con nessuno, lui all’inizio rimase di sasso ma poi contraccambiò e lei si accorse che i suoi muscoli si erano distesi, segno che la rabbia era andata via. Ormai la passione li consumava, si erano desiderati inconsciamente per tantissimo tempo e in quel momento era saltato tutto fuori. Orlando era impacciato, quello era il suo primo bacio, tremava dall’emozione, l’odore di Viola lo inebriava, si era dimenticato di tutto, esistevano solo le sue soffici e dolci labbra. Si distaccarono e si guardarono intensamente negli occhi, come fanno due amanti, e risero fino allo sfinimento perché erano stati così stupidi a non averlo fatto prima. Come può essere curativo a volte il suono di una risata spontanea, ti colpisce all’improvviso e non puoi non sorridere a tua volta! Non parlarono fino alla sera, continuarono a baciarsi e a guardarsi negli occhi come a volersi consumare, le parole non sarebbero servite a nulla, si capivano attraverso il vento, era il loro linguaggio segreto. Quando Viola se ne andò, Orlando decise di prendere lo scooter e andare in campagna, fonte di tanti guai ma anche d’incaute bellezze. Gli mancava da morire quel luogo, ma gli mancava soprattutto la persona con cui lo condivideva, William, che molto probabilmente non avrebbe mai più rivisto. Ripercorse la via che stava facendo l’ultima volta che era stato lì e questo gli riportò tutti i ricordi dolorosi a galla. Scacciò quei pensieri che si erano rivelati deleteri, e si concentrò su Viola, sua unica salvezza in quel grande oceano di tristezza. Si sedette nel posto in cui di solito passava i pomeriggi William e lo desiderò lì vicino a lui. “William, vorrei tanto parlarti” sospirò ad alta voce, con una piccola speranza, perché era sicuro che lui lo avrebbe sentito, dovunque fosse stato.

“Orlando sono qui”

le sue orecchie forse avevano udito male? Era la sua voce! Le mani gli iniziarono a tremare, non poteva credere alle sue orecchie! Da un punto vicino a lui iniziò ad apparire una sagoma, che si faceva sempre più vicina finché lo scintillio di quei grandi occhi verdi era distante da lui di pochi centimetri. I suoi capelli erano cresciuti, era più sciupato in viso, ma la luce emanata dal suo sguardo era sempre la stessa, tranquillizzava più della camomilla. Orlando doveva dirgli tante cose, ma non sapeva da dove cominciare, decise di raccontargli tutto anche le cose più insignificanti. William ascoltò silenzioso, come uno psicologo ascolta il proprio paziente, e l’interrupe solo poche volte col suo tono inespressivo per fare qualche commento. Sapevano entrambi che questa sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero parlati, si stavano godendo ogni prezioso secondo, ormai non volevano più lasciarsi.

“William mia madre ha piantato i semi lo sai, il legame è stato spezzato, appassiranno”
 
ma lui non rispose subito, lo guardò negli occhi intensamente e poi con voce sommessa disse

“Non appassiranno mai, quei girasoli vivono di noi. Io non ti dimenticherò mai.”
 
e si abbracciarono sigillando dentro di loro quell’amore logorante che provavano, quell’affetto snaturato e ingiustificato che gli aveva portato tanti guai.

“William io non verrò mai più qui, questo è un addio”

e lui, sorridendo per la prima volta disse:

“Allora addio”.

Orlando se ne andò, lasciandosi dietro un pezzo di vita che non avrebbe mai dimenticato. L’avrebbe voluto bene fino alla fine dei suoi giorni, finché ogni atomo del suo corpo non si sarebbe decomposto lentamente, in una danza mortale ma necessaria. Si sentiva come una rondine, legata eternamente alla primavera, che non poteva fare a meno di essa, altrimenti sarebbe morta dal freddo. E la sua primavera era, ed è sempre rimasta, William.



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Ok non chiedetemi cosa sia, il perchè l'ho scritta e se ha un senso perchè non so rispondere, l'ho scritta di getto. So che dovrei aggiornare l'altra ff, ma credo che sono nella fase del "blocco dello scrittore" , mi sembra che faccia schifo ogni cosa che scrivo .-. Insomma sto avendo non pochi problemi, mi sono letteralmente impantanata D: comunque sia, godetevi questo delirio mentale.
Alla prossima storia <3
  
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