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Autore: Megan Alomon    05/12/2013    0 recensioni
Il caldo sta uccidendo le rose. Quelle gialle del rosaio intendo, non quelle rosse, tutte perfette, dentro al vaso in soggiorno. Forse perché quelle nel vaso sono finte. Già, dev’essere per quello.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Profumo di polvere
 
Il caldo sta uccidendo le rose. Quelle gialle del rosaio intendo, non quelle rosse, tutte perfette, dentro al vaso in soggiorno. Forse perché quelle nel vaso sono finte. Già, dev’essere per quello.
Le rose mi fanno pensare a… lei. Quanti mesi sono passati dall’ultima volta che l’ho vista? Cinque? Sei? Ho perso il conto.
 
“Mi piacciono le rose, Darren. A te no?”
 
Le rose? Le rose?? Che cazzo me ne fregava a me delle rose, sono un uomo, non so distinguere una margherita da una peonia o come diavolo si chiamano! E poi sono pure allergico ai pollini, figuriamoci se mi interessava parlare di fiori, rose e puttanate varie.
Eppure, un poco mi spiace che quelle piccole stelle gialle nel rosaio stiano morendo, anche se non me ne sono mai curato.
E un poco mi dispiace anche che le rose finte stiano prendendo la polvere.
 
“Allora? Ti ho fatto una domanda. Ti piacciono le rose?”
 
A quella domanda non ho mai veramente risposto. Le ho lasciato riempire la casa di rose senza mai dire veramente quello che pensavo in proposito. Al tempo mi piaceva vederla felice. E se lei era felice ero felice anche io.
O almeno, così credevo.
Lei ha riempito la mia casa e le mia testa di domande senza risposta. Domande a cui non volevo rispondere o a cui non rispondevo semplicemente perché non le trovavo essenziali.
 
“E i ‘Funeral Suits’ ti piacciono?”
 
Credo stesse parlando di un gruppo musicale quella sera ma io non risposi nemmeno a quella domanda. Stavo fissando il suo corpo, le sue curve, il suo fisico asciutto. Stavo osservando una ventiseienne che mi portavo a letto i fine settimana. Osservavo la ventiseienne che uno come me non meritava, che nessuno aveva mai meritato. Lei era… lei.
Ma io l’ho capito troppo tardi.
 
“Mi vuoi rispondere? Odio quando fai così.”
 
Nemmeno a quella domanda ho mai realmente risposto. Lasciavo che mettesse i cd che le piacevano e basta. Non mi importava che stessimo ascoltando i Funeral Suits, i Guns and Roses o i Rolling Stones. Pensavo solo a me, ho sempre pensato solo a me.
Anche di questo mi sono accorto troppo tardi.
Avevo addirittura pensato di amarla, ad un certo punto.
 
“Ti amo.”
“No. Sssh, non dire niente. Non dire nemmeno che mi ami. Non dire nulla, Darren.”
 
Quando mi disse così mi fece accapponare la pelle. Non per il fatto che fosse stato come se avesse messo in dubbio il mio amore, ma per il fatto che mentre dicevo “Ti amo.” i suoi occhi erano diventati lucidi e sapevo che non erano lacrime di felicità quelle che cercava di trattenere: erano lacrime di dolore.
Mi chiesi cosa avevo sbagliato.
 
“Tu non ami me. Ami quello che senti quando sei con me, quando mi trascini nel letto. Tu non ami me, non ami me, non ami me.”
 
 
Mi arrabbiai. Al tempo ho creduto davvero di amarla. Pensavo che, forse, a trentaquattro anni avevo capito cosa voleva dire amare.
E per questo non avevo mai voluto vedere veramente cosa era lei, l’ombra che le passava negli occhi quando fissava un punto imprecisato fuori dalla finestra.
 
“Ehi! Ma mi stai ascoltando?”
“Eh? Cos’hai detto Darren?”
 
Avevo cominciato ad odiare il modo in cui tendeva ad isolarsi ma non mi chiesi mai il perché.
Ero e sono un fottuto egoista. Anche questa cosa l’ho capita troppo tardi. Io non avevo mai meritato lei, mai.
Io che avevo creduto di amarla mi ritrovai a non essere nemmeno in grado di piangere quando avrei dovuto.
 
“Darren, non mi chiedi se tornerò?”
 
Non le chiesi se sarebbe tornata, davo per scontato che l’avrebbe fatto. Invece non lo fece. Non tornò il giorno dopo, ne quello successivo, ne quello dopo ancora.
Non mi preoccupai per nulla. Aveva preso l’abitudine di sparire per un poco e tornare all’improvviso. Diceva che aveva bisogno di “staccare la spina”.
La lasciavo fare, non dicevo nulla. Mi bastava tornasse nel mio letto al più presto. E a quel punto avevo capito che non l’amavo, che non l’avevo mai amata e che aveva ragione lei.
 
“Pronto?”
Darren!Sono la madre di Patricia.”
“Sì, signora Farrel. Mi dica.”
“Sai dove possa essere mia figlia? Sono due giorni che non torna a casa.”
“Da me non è…”
“Io chiamo la polizia.”
 
La polizia la cercò ma non furono gli agenti a trovarla. Si fece trovare da sola, dopo quattro giorni.
Il mare l’aveva risputata a riva, il mare non la voleva, non voleva una ragazza morta con sé.
Dopo tutto quel tempo nell’acqua salata, con i pesci e tutto il resto non fu possibile identificarla a prima vista. Ci volle l’analisi dell’impronta dentale. I suoi genitori speravano non fosse lei, speravano fosse il cadavere di qualcun altro. Io invece, nel profondo, sapevo che era lei.
 
“Non è stato un incidente, né un omicidio.”
“Che cosa significa?!”
“La ragazza…si è gettata dalla scogliera, ha urtato le rocce e poi è finita in mare.”
 
Andai al suo funerale con gli occhiali scuri. No, non per mascherare il fatto che avessi pianto come un bambino, no, era per nascondere che non avevo pianto affatto.
Lei aveva sempre avuto ragione: io non l’amavo. Ecco perché, quella sera, al mio “Ti amo” lei aveva reagito in quel modo: sapeva che era una bugia.
 
“Sei una persona fantastica Darren, lo sai?”
 
No, non sono mai stato una persona fantastica. MAI. Lei si sbagliava.
Ricordo che il giorno prima che sparisse per sempre era particolarmente  felice. Sembrava aver dimenticato gli sguardi vuoti che rivolgeva alla finestra, il suo continuo isolarsi, il suo frenetico scappare e riapparire.
Era tornata quella di prima. Sarei dovuto essere felice. Invece la cosa mi dava ai nervi. Non mi piacciono i cambiamenti.
 
“Sì, lo sai che sei una persona meravigliosa. Devo andare… Darren, non mi chiedi se tornerò?”
 
Ricordo molto poco del funerale. Ero distratto, pensavo ad altro. Ma una cosa, una cosa mi è rimasta impressa nella mente: i fiori. C’erano fiori dappertutto: sulla bara, sull’altare, sui banchi della chiesa, nell’auto delle pompe funebri… Erano rose.
Non ricordo le parole di nessuno, mentre la seppellivano… ma ricordo che c’era il sole e un po’ di vento. E il vento portava con sé uno strano odore: polvere.
 
“Darren io… ti amo.”
“Oh, Patricia! Anche…”
“Ssh. No, non dire niente. Non dire niente.”
 
I giorni seguenti al funerale li passai in uno stato di semi-incoscienza. Ero come inchiodato alla sedia della cucina, la stessa sulla quale siedo ora, e non riuscivo a fare nulla. Pensavo a Patricia, alla scogliera, al mare, alle onde, alla sabbia che le aveva incrostato i capelli, al sangue.
Non sentivo dolore.
Non sentivo ansia.
Non sentivo niente di niente.
Sono un fottuto egoista. L’ho detto.
 
“Darren, grazie per essere stato vicino a nostra figlia finchè hai potuto…”
“Si figuri signor Farrel.”
 
 
Mi alzo dalla sedia, mi avvicino alla finestra, la apro.
La brezza che arriva dal mare mi sputa in faccia un odore di salsedine e alghe marce che mi fa venire i conati.
Scavalco il balcone, atterro nell’aiuola vuota.
Guardo le rose gialle da lontano, fanno pena, poverette. Forse dovrei veramente fare qualcosa per quei fiori. Mi avvicino e comincio a strappare via i fiori più brutti. Mi pungo e mi graffio con le spine più di un paio di volte, ho le mani che sanguinano ma non sento neanche il dolore.
Un alito di vento più forte mi schiaffeggia, arriva dal mare, porta con se un odore che conosco: è il profumo che portava sempre Patricia.
Mi volto in direzione della scogliera, e vedo il mare cattivo arrabbiato che tortura la costa rocciosa.
 
“Che diavolo succede?” sussurro.
 
“Dimmelo tu, cosa succede.”
 
Patricia mi risponde dai miei ricordi e la sua voce è insistente.
 
“Dimmelo tu. Dimmelo tu cosa succede.”
 
“Non lo so. Non lo so.” Sussurro ancora.
 
“Buono questo profumo. Cos’è?”
“Rose e cannella, è un’essenza nuova, ti piace?”
“Sì, ti si addice.”
 
Guardo le mie mani, stringono petali di rosa mezzi appassiti, ma ancora odorano di buono.
Ecco da dove arriva il profumo.
Sorrido.
Credo abbia cominciato a piovere perché nelle mie mani,  oltre al sangue, si stanno mescolando ai petali anche delle gocce d’acqua.
Ci metto almeno due minuti a rendermi conto che sto piangendo e che quelle sono le mie lacrime.
Ci ho messo più di sei mesi a piangere per lei.
 
“Ti ho voluto bene.” Dico guardando le rose.
“Ti ho voluto molto bene.” Dico guardandomi le mani insanguinate.
“Un bene dell’anima.” Dico guardando il mare.
 
E il mare lo sa, lo sa, che questa non è una bugia.
  
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