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Autore: DumbledoreFan    05/12/2013    4 recensioni
Ambientata dopo la 3x13 "Last of the Time Lords".
Lucy non ha mai sparato al Maestro, perciò il Dottore lo porta con sé nel Tardis per prendersi cura di lui, come aveva promesso. La vita nel Tardis però comincia a farsi opprimente, sentimenti e passioni vecchie di secoli rischiano di tornare a galla, e il Dottore decide di inventare un dispositivo di protezione per il Maestro e portarlo finalmente a vedere l'universo. Destino vuole che sul primo pianeta in cui atterrano, i nostri due eroi incontrano niente di meno che Eleven, mandato in missione per ritrovare una reliquia di Gallifrey su quel pianeta. E se già è problematico quando due rigenerazioni diverse del Dottore si incontrano, aggiungendoci il Maestro diventa un mix esplosivo. Mix che degenererà quando i tre, soddisfatti del successo della missione, si ritroveranno a bere tutti insieme.
{Ten/Master/Eleven}
Genere: Commedia, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Doctor - 10, Doctor - 11, Master - Simm
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Threesome
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Buona sera a tutti ^^
E' la prima fanfiction su Doctor Who e sono molto emozionata, anche se è una fanfiction con poche pretese, nate da uno sclero post 50esimo ** Doveva essere una one shot, ma visto quanto mi stavo dilungando si è trasformata in una mini long di tre, massimo quattro capitoli. E' una fanfiction commedia con qualche pillola di angst e una ampia dose di vergognoso smut, perciò...divertitevi!

Precisazione: è ambientata poco dopo di "The Last of the Time Lords", quindi abbiamo Ten che prende in "custodia" il Master nel Tardis e deve prendersene cura. Più in là nella storia apparirà anche Eleven.

Avvertenze: nell'ultima parte la storia diventerà raiting rosso per una descrizione MOLTO ESPLICITA di una scena di sesso a tre tra Ten, il Maestro e Eleven. 

Enjoy!








 
We're not broken just bent








“Mi annoio.”

Il lamento del Maestro arrivò ovattato alle orecchie del Dottore, tutto indaffarato ad armeggiare con uno strano dispositivo dal dubbio utilizzo, mezzo sdraiato sul pavimento del Tardis. Quando non ottenne alcuna risposta o reazione, il Maestro sbuffò forte e batté i piedi per terra.

“Mi sto annoiando!” disse alzando la voce, ma ancora una volta il Dottore non lo degnò della minima attenzione, così lui si alzò in piedi scocciato e si sedette accanto a lui, cominciando a strattonarlo per la spalla.

“Mi annoio, mi annoio, mi annoio!”

Il Dottore socchiuse appena gli occhi e tirò un sospiro, cercando di recuperare tutta la sua pazienza che piano piano stava scemando. Già la vita sedentaria era qualcosa che lo faceva letteralmente impazzire, ma essere bloccato e per di più costretto a vivere con il Maestro ventiquattr’ore su ventiquattro era un’esperienza che stava seriamente provando i suoi nervi.

All’inizio non era così faticoso, il Maestro era tendenzialmente silenzioso e quando parlava di solito cercava di convincerlo o a lasciarlo andare o ad ucciderlo. Poi una sera cambiò tutto. Dopo aver bevuto un po’, i due signori del tempo si erano ritrovati e rivangare con nostalgia dal retrogusto dolceamaro tutti i loro ricordi di gioventù; beh, non proprio tutti, c’era un grande tabù che nessuno dei due aveva avuto il coraggio di riportare a galla, ma comunque quella chiacchierata con i freni inibitori abbassati, dove entrambi ricordarono tutte le cose che avevano vissuto insieme, sembrò riportare alla luce non solo tutto quello che avevano passato, ma anche ciò che in effetti, anche se molto tempo fa, li aveva uniti in modo tanto forte. E visto che avevano un’eternità da passare insieme, tanto valeva ricominciare da lì, quasi fossero tornati ai tempi dell’Accademia. Quello sviluppo arrivò naturalmente, come se avessero fatto un accordo senza pronunciarne una sola parola, in cui decidevano di ricominciare da capo, di tornare a quando erano sì solo loro due, ma per scelta. In poco tempo il Tardis prese il posto della loro vecchia stanza di dormitorio, in cui studiavano, facevano strani esperimenti, giocavano insieme, e in pratica condividevano tutto.

Perché c’era stato un tempo, anche se lontanissimo, in cui il Dottore e il Maestro erano inseparabili, in cui erano disposti a fare qualunque cosa l’uno per l’altro, e in cui effettivamente facevano tutto insieme. I due non impiegarono troppo tempo per ricostruire una routine così familiare basata soltanto su di loro, solo che a quanto pareva, il Dottore un po’ era effettivamente cresciuto dai tempi dell’Accademia, mentre il Maestro era tornato ad essere esattamente proprio come quando andavano a scuola, alternando momenti in cui si comportava da bambino capriccioso, a momenti in cui sembrava un adolescente in piena crisi di pubertà. Aggiungendoci la sua parte oscura e psicopatica che aveva sviluppato da grande, era un mix abbastanza micidiale per la pazienza del Dottore.

Non che avesse il coraggio di lamentarsene, ovviamente, e nemmeno il primario impulso. Poteva sospirare o roteare gli occhi, sbuffare e ogni tanto tapparsi pure le orecchie, ma non riusciva fisicamente a lamentarsene, perché gli piaceva essere infastidito dalla compagnia del Maestro, e gli era sempre piaciuto. Non era solo il fatto che essendo stato solo per così tanto tempo, la compagnia di qualsiasi Signore del Tempo, per quanto fastidiosa e assillante, gli sarebbe sembrata un vero e proprio miracolo, era proprio lui, i suoi modi di fare scostanti ed esuberanti, la sua vitalità, quella geniale follia che gli era sempre appartenuta, quel modo in cui riusciva sempre a capirlo e per questo lo sfidava in continuazione, il suo atteggiamento perennemente provocatorio, ogni difetto o comportamento del Maestro gli era sempre piaciuto. E questa era una cosa veramente pericolosa, il Dottore lo sapeva bene.

“Sei in un Tardis, c’è una libreria con dentro una piscina, è impossibile annoiarsi. Scommetto che non hai visto la metà delle stanze che ci sono, perché non vai in avanscoperta?” rispose il Dottore mentre si sporgeva per afferrare il cacciavite sonico, ma il Maestro scosse il capo e si sdraiò sulla schiena accanto all’altro.

“C’è troppo silenzio, se sono da solo il tamburellio mi massacra.” confessò sospirando leggermente, e spostando lo sguardo dal soffitto del Tardis al viso del Dottore, concentrato e un po’ accigliato. Appena finita la frase, però, quest’ultimo si fermò un istante ed incrociò gli occhi con quelli del Maestro.

“Ti fa tanto male ora?”

Il Dottore non poteva fare a meno di preoccuparsi o di sentirsi responsabile per lui, per tutto quello che avevano passato e per quello che avevano fatto, insieme o l’uno per l’altro, specialmente all’Accademia.

Il Maestro fece spallucce, senza però distogliere lo sguardo dal Dottore.

“Un po’…sennò non ti tormenterei ripetendoti che mi annoio” rispose lanciandogli un’occhiata eloquente, ma quando in tutta risposta ricevette dal Dottore uno sguardo scettico, il Maestro ridacchiò e alzò le mani.

“Ok, ok, hai ragione, ti tormenterei lo stesso perché comunque è uno dei miei passatempi preferiti da secoli, ma magari farei qualcos’altro per darti fastidio.” acconsentì il Maestro punzecchiandolo un paio di volte sul fianco, per poi tirarsi su di colpo e girarsi per guardare cosa stava costruendo il Dottore.

“A cosa stai lavorando?” gli chiese curioso osservando quello che sembrava un bracciale diviso a metà.

“Ad una cosa che ci aiuterà entrambi con la noia.” rispose il Dottore tornando a concentrarsi sul suo lavoro.

“Uh giocattoli erotici?” domandò entusiasta il Maestro raddrizzando la schiena e sogghignando malizioso, ma il Dottore fece finta di non vederlo, né di averlo sentito.

Da quando avevano recuperato il loro rapporto e le vecchie abitudini, il Maestro aveva ripreso a comportarsi esattamente come quando erano giovani, in tutto e per tutto, compresa la parte in cui non faceva che provocare il Dottore, ricoprirlo di battute a doppio senso e atteggiarsi in modo malizioso. Ma al contrario del Maestro, il Dottore non era tornato ad essere il ragazzino che a scuola prima arrossiva e poi gli dava corda, rispondendo con battute anche peggiori o fingendosi troppo altezzoso per accettare le sue avances, anche se non mancava l’occasione di fargli l’occhiolino. Il Dottore aveva imparato a sua spese che a giocare con il fuoco ci si scottava, aveva ritrovato il suo migliore amico e aveva capito che c’erano dei confini che non era più disposto a superare. Così, il Dottore ignorò completamente la battuta e continuò ad armeggiare con il suo congegno e la sua espressione crucciata, tipica di quando era particolarmente concentrato.

Il Maestro sospirò con una nota di rassegnazione e si alzò in piedi.

“Ok, visto che oggi non sei un chiacchierone, posso mettere un po’ di musica almeno?”

Il Dottore sollevò lo sguardo su di lui e annuì con il capo, alzandosi subito a sua volta. Non molto tempo prima, il Maestro gli aveva parlato meglio del tamburellio, di come all’inizio era qualcosa di nascosto nei meandri della sua testa, che sentiva di sfuggita, come una canzone rimasta impressa che ogni tanto tornava a galla, ma che con il passare del tempo si era fatta sempre più insistente. Già quando andavano a scuola insieme era diventata fissa nella sua testa, la sentiva sempre, anche se non era forte come adesso. Quando era giovane non ne parlava praticamente mai, solo al Dottore aveva confessato un paio di volte di avere questo specie di mal di testa che sembravano i colpi di un tamburo, ma aveva troppa paura che lo prendessero per pazzo, e soprattutto troppa paura che dandogli importanza l’avrebbe reso ancora più reale.

Durante gli anni aveva cercato e provato ogni cosa potesse aiutarlo, e in effetti la musica si era rivelata un ottimo palliativo, perché poteva mischiare quel ritmo a quello delle canzoni, mascherarlo fino a nasconderlo. Così il Dottore si affrettò ad andare ai pannelli di comando del Tardis per accendere la musica, cercando le canzoni che il Maestro gli aveva chiesto di trovare per lui, le sue preferite. In pochi istanti, l’aria si riempì con le prime note di una delle sue preferite in assoluto, “I Can’t Decide” degli Scissor Sisters. Non che il Dottore avesse bellissimi ricordi di quella canzone, ma alla fine “tutto è bene quel che finisce bene”, tanto che ormai non ci faceva nemmeno più caso. Il Maestro sorrise all’istante ed iniziò ad ondeggiare seguendo il ritmo della musica, cantando ad alta voce.

It’s not easy having yourself a good tiiime.

Il Dottore tornò a posare la sua attenzione sul congegno che stava costruendo, scansionandolo attentamente con il cacciavite sonico e armeggiando con dei fili, senza fare più caso al Maestro che volteggiava allegro canticchiando la canzone. Ma ad un certo punto, colto un po’ di sorpresa, sentì l’amico cingergli da dietro la vita con la braccia, tirandolo con forza a sé per far aderire perfettamente il proprio petto alla sua schiena, e sporgendosi quanto bastava per soffiargli nell’orecchio uno dei versi della canzone.

“Fuck and kiss you both at the same time.”

Il Dottore si irrigidì di colpo, e per quanto si fosse sempre sforzato di dimenticare, o di non far avventurare la mente in quei ricordi scomodi e pungenti, in quell’istante non poté farne a meno. La sua testa venne invasa da flashback lontani ma sempre paurosamente nitidi: l’Accademia, la loro stanza buia, riempita dai loro sospiri e il rumore dei loro corpi che si muovevano insieme, la pelle nuda calda su quella dell’altro, i baci umidi e disordinati, i gemiti sommessi che si perdevano fra le loro labbra. Erano stupidi, erano annoiati, erano giovani ed erano soli. Si erano spinti l’uno contro l’altro senza pietà, tirando quella corda fatta di tensione che non avrebbe retto a lungo, e infatti non ci mise molto a spezzarsi. In poco tempo, con naturalezza disarmante, come se fosse stato l’unico sviluppo possibile, e forse lo era, il loro rapporto era mutato in qualcosa di più intimo, più devoto, più morboso, qualcosa di strano ma che non sapeva di sbagliato, perché il Dottore e il Maestro avevano tutto in comune, e dovevano condividere tutto. Era bastato che una sera, tornati ubriachi nella loro stanza, fossero entrambi traballati per finire attaccati al muro, uno sull’altro, vicini, troppo vicini, e la curiosità di rompere quella tensione aveva vinto. Un bacio, un bacio temerario, spavaldo, quasi aggressivo, e poi subito un altro, e un altro ancora, e da lì in picchiata fino al punto di non ritorno. Erano stupidi, erano annoiati ed erano giovani, incoscienti di cosa quell’attaccamento potesse causare. Se spazzi via ogni confine che ti divide da una persona, se rompi ogni barriera, se ti mostri all’altro nel tuo stato più vulnerabile, se gli concedi il tuo corpo e la tua mente, se arrivi a pensare di essere quello che sei grazie all’altro, non si può più essere solo amici.

Erano entrati in un circolo pericoloso senza neanche accorgersene, perché che male poteva fare? Erano migliori amici che andavano a letto insieme, niente di più. Ma in realtà era impossibile esserlo, perché se vai a letto con il tuo migliore amico, si chiama inevitabilmente amore. E l’amore è una cosa pericolosa, specie se il tuo migliore amico è qualcuno come il Maestro.

Il Dottore rimase immobile dinnanzi a quel contatto così esplicito, ma l’altro non si dette per vinto e, continuando a cantare, si staccò e afferrò la sua mano per trascinarlo a ballare; il Dottore fece appena in tempo ad appoggiare quello che aveva in mano sui pannelli di controllo prima che il Maestro lo afferrasse per farlo unire al suo ballo. Lo guidò per un po’, una mano sul suo fianco e l’altra intrecciata con la sua, gli fece fare qualche giravolta e volteggiare per tutta la stanza, senza smettere di cantare e sogghignare, stringendolo a sé ogni volta che poteva, e il Dottore ben presto dovette arrendersi e accettare di divertirsi con lui, lasciarsi andare e rilassarsi. Gli piaceva giocare con il Maestro, gli piaceva perdersi un po’ nella spensieratezza del momento, aveva soltanto paura di perdere di nuovo il controllo della situazione.
Il Maestro gli aveva sempre fatto uno strano effetto, lo inebriava, e non importava cosa faceva, chi uccideva, o quanto pazzo poteva diventare, il Dottore non riusciva semplicemente ad arrendersi, a rinunciare a lui.

Quando la musica finì, e il Maestro fallì nel suo tentativo di far fare un casquet al Dottore, nell’intrecciarsi si sbilanciarono un po’, così il Dottore finì appoggiato ai comandi del Tardis, con il Maestro spalmato completamente contro e il dubbio molto fondato che l’avesse spinto di proposito.

“Ciao.” disse semplicemente il Maestro a neanche una spanna dal viso dell’altro, sogghignando appena, e il Dottore si irrigidì di nuovo, cercando però di non darlo a vedere.

“Grazie del ballo, ma devo tornare a lavorare.” disse cercando di divincolarsi dalle grinfie del Maestro senza essere troppo brusco, ma lui poggiò saldamente le mani sui suoi fianchi e fece più forza sul bacino per tenerlo fermo.

“Che cosa stai architettando?” gli chiese curioso, ma abbassando di un tono la voce e spostando insistentemente lo sguardo dai suoi occhi alla sua bocca. Il Dottore trattenne il respiro, oppresso da uno strano senso di claustrofobia, ma cercò di rimanere impassibile più che poteva. Voleva fingere che quel contatto, quelle provocazioni, non lo toccassero affatto, non lo sfiorassero nemmeno, perché era passato tanto tempo ed era tutto sepolto, lontano.

“Te l’ho già detto, qualcosa che ci aiuterà con la noia.” rispose con tranquillità, guardandolo dritto negli occhi. Il Maestro a quel punto si aprì in un sorrisino malizioso, troppo malizioso, e si avvicinò con fare felino all’orecchio del Dottore.

“Ma ci sarebbe qualcos’altro che possiamo fare per sconfiggere la noia.” sussurrò il Maestro mentre una delle sue mani si insinuava sotto la giacca del Dottore, risalendo tutto il fianco e scendendo di nuovo, e le sue labbra si avvicinavano pericolosamente al collo dell’altro.

Il Dottore, a quel contatto, schizzò via dalla sua stretta tanto velocemente e bruscamente che il Maestro cadde sui pannelli di controllo e si lasciò scappare un lamento.

“Ehi!” borbottò tirandosi su, ma il Dottore aveva già messo diversi metri di distanza tra di loro. Il piano di mostrarsi impassibile aveva miseramente fallito, il suo istinto di sopravvivenza aveva prevalso.

“Ok, dobbiamo parlare.” esclamò il Dottore gesticolando violentemente, mentre il Maestro lo guardava perplesso e cercava di avvicinarsi di nuovo.

“No, non dobbiamo, parlare è sopravvalutato.” rispose questi cercando di chiudere la distanza che c’era tra loro, ma il Dottore indietreggiò ancora, così che i due finirono per rincorrersi intorno al pannello dei comandi.

“Invece dobbiamo, questa…cosa non va bene, non va bene per niente, e devi smetterla!” ribatté alterato il Dottore mettendo una mano avanti come per tenerlo lontano, mentre l’altro continuava a guardarlo interdetto.

“Oh santo cielo, che c’è, sei tornato il verginello di quasi un millennio fa? Mi pareva che te la spassassi alla grande ultimamente.” rispose il Maestro incrociando le braccia al petto.

“Senti mettila come vuoi, ma non possiamo assolutamente. Non ti deve neanche venire in mente, ci sono dei confini che non si possono superare, né ora né mai, ok? Io e te abbiamo appena ricreato, per quanto possibile, un nostro equilibrio che, non so per quale scherzo del destino, funziona e visto che dobbiamo passare il resto delle nostre vite insieme, non voglio rovinarlo.”

“Hai detto bene, siamo confinati qui dentro, per il resto delle nostre vite, insieme, solo io e te…proprio come all’Accademia, te lo ricordi Dottore? Solo io e te…non è quello che avevi sempre voluto?” domandò il Maestro tentando invano di avvicinarsi, senza smettere di fissare l’altro negli occhi.

“Certo, quando ero giovane e incosciente. Adesso sono cresciuto e dovresti farlo anche tu, dovresti imparare che ci sono dei limiti” rispose il Dottore, sperando che il Maestro non si accorgesse che un po’ stava mentendo. Non si considerava uno stupido incosciente per aver desiderato di passare tutta la sua vita con lui, solo che con il senno di poi aveva capito che non avrebbe mai funzionato.

“Non essere ridicolo, non ci sono mai stati limiti tra me e te, era il bello del nostro rapporto…qui, adesso, è come se fosse tornato tutto ai tempi dell’Accademia.” rispose il Maestro sbuffando appena, infastidito dal comportamento così distante da parte dell’altro. Nemmeno quando lottavano o si scontravano erano mai stati distanti, c’era sempre stato qualcosa di profondamente intimo nel modo in cui si ferivano a vicenda.

“Sì, esatto, è come se il destino ci avesse dato una seconda occasione e non la sprecherò di nuovo, non farò di nuovo lo stesso errore!” sbottò il Dottore, e subito dopo se ne pentì, perché si era esposto troppo, di nuovo. Ed esporsi così tanto al Maestro era sempre una mossa azzardata; anche nel momento della sua vita in cui si fidava di lui più di chiunque altro, non era stata una buona idea.

“Sei serio? Pensi che il problema tra me e te sia stato che andavamo a letto insieme?!” sbottò a sua volta il Maestro, con una certa indignazione nella voce.
Il Dottore abbassò lo sguardo colpevole, incapace di sostenere oltre quello dell’altro. Non voleva dirlo ad alta voce, non voleva ammetterlo, non voleva mostrarsi di nuovo nella sua debolezza, non di fronte a lui.

Il Maestro si avvicinò di qualche passo, e questa volta il Dottore non si ritrasse.

“Pensi sul serio che sia stato questo?” insistette, ma sempre senza ricevere risposta. Così si avvicinò ancora, senza smettere di fissarlo.

“Non costringermi a farlo Dottore. Dimmelo” andò avanti, con tono quasi minaccioso, e istintivamente il Dottore fece un passo indietro, alzando però il capo con fare combattivo.

“Il problema è stato che io ti ho chiesto di fuggire con me e tu hai detto di no! Il problema è stato che ti ho chiesto di passare con me il resto della vita e tu hai detto no! Il problema è stato che…” sbottò all’inizio il Dottore, facendo poi sfumare la frase. Non poteva dirlo di nuovo. Non ce la poteva fare.

Ma il Maestro capì ovviamente. Era quasi snervante, il modo in cui era sempre riuscito a leggergli nel pensiero senza bisogno di un vero contatto telepatico, e questa era una delle cose che più lo mandava in bestia: il Dottore per il Maestro era sempre stato un libro aperto, mentre lui aveva dovuto faticare le pene dell’inferno per entrare nella mente dell’altro.

“Tu mi hai detto che mi amavi.” sussurrò il Maestro, senza nessun tono particolare, solo un sussurro lontano.

“E tu non l’hai fatto” continuò il Dottore con una nota di sconfitta nella voce. Aveva sempre pensato di essere quello speciale, quello in grado di salvare il Maestro, di tirarlo fuori dall’oscurità, dopo che era stato praticamente lui a spingercelo, si era sempre illuso di essere l’unico che potesse fare la differenza e lo credeva ancora, ma aveva imparato a sue spese che anche se tentava di salvare il Maestro, non poteva salvare se stesso da lui.

“Dottore, per essere la persona più intelligente che conosca, e la persona che meglio al mondo conosce me, a volte sei davvero stupido.” disse il Maestro avvicinandosi ancora a lui, e facendo sollevare lo sguardo del Dottore con una certa incredulità. Nessuno lo chiamava mai stupido, anche se ormai avrebbe dovuto essere abituato al fatto che il Maestro era la grande eccezione della sua vita.

“Io non ho idea di cosa sia l’amore. Non so che cosa voglia dire essere innamorato, non so cosa voglia dire che qualcuno lo sia di me, né tanto meno so capire se io lo sono di qualcuno. Non c’è spazio per l’amore per chi vive nell’oscurità.” confessò il Maestro con tono quasi dispiaciuto, e il Dottore sospirò, sentendo gli occhi farsi un po’ lucidi, sedendosi per terra.

“Avrei potuto salvarti” mormorò scuotendo appena il capo, mentre il Maestro si sedeva al suo fianco, senza smettere di guardarlo.

“E allora perché ti sei arreso?” gli domandò con una certe delusione nella voce, e a quel punto il Dottore sollevò finalmente lo sguardo per fissare l’altro negli occhi.

“Mi hai spezzato il cuore, Koschei.”

Quel nome gli uscì dalle labbra senza neanche rendersene conto, spontaneamente, e nonostante fossero secoli che non lo pronunciasse, gli sembrò l’unico nome giusto da dire. Il Maestro sospirò, stirando le labbra in un sorrisino amaro, quasi dolorante.

“Beh tu hai spezzato me Theta, quindi direi che siamo pari.”

Il Dottore abbassò gli occhi con colpevolezza e rimase in silenzio per qualche istante, con la testa chinata ammettendo la sua colpa, mentre il Maestro lo guardava con così tanta forza che aveva paura riuscisse ad entrargli nella testa senza nemmeno toccarlo.

“Ho detto che ti avrei salvato, che mi sarei preso cura di te, ed è questo che farò. Non mi arrenderò di nuovo e non rovinerò di nuovo tutto. Ho imparato dai miei errori, sono cresciuto e adesso so cosa fare. Non rendermi le cose più difficili di quanto non siano già.” rispose finalmente il Dottore, e dopo qualche secondo il Maestro annuì con il capo.

Non credeva che, dopo tutto questo tempo, dopo tutto quello che aveva fatto, il Dottore fosse ancora innamorato di lui e, anche se non lo aveva detto, lui l’aveva capito. Per un attimo, aveva anche pensato di usare questo a suo vantaggio, per tentare di scappare, ma poi aveva guardato il Dottore e in pochi secondi non solo aveva rivisto tutto quello che avevano fatto insieme, ma tutto quello che avrebbero potuto fare. Tutto lo spazio e il tempo a loro disposizione, proprio come avevano sognato quando erano giovani, senza responsabilità, senza guerra. Gli avevano dato un’altra possibilità e si era reso conto di non volerla sprecare, perché era stanco di combattere, di soffrire, di essere torturato. Per una volta, poteva pensare solo a sé stesso. No, meglio… per una volta, c’era qualcuno che pensava a lui. Con quel tamburellio nella testa, non si era mai azzardato a pensare di poter essere… felice. Ma adesso, valeva la pena dargli una possibilità, no?

Non aveva mentito al Dottore, lui non sapeva che cosa volesse dire amare, ma sapeva di provare qualcosa per lui; come se ci fosse stato uno strano filo rosso che li univa, come due pianeti che si gravitavano intorno ed erano destinati a ritrovarsi. Non poteva negare che c’era stato un periodo della sua vita, anche se lontano secoli, in cui il Dottore era tutto per lui. E nonostante fosse sempre stato un’anima tormentata, maledetta, nonostante non fosse sicuro di sapere come ci sentisse ad essere felice, la cosa che più gli sembrava somigliare alla felicità era stata quella.

“Vado… vado a farmi quel giro nel Tardis che dicevi” disse semplicemente il Maestro dopo un po’, ma il Dottore a quelle parole sollevò lo sguardo di colpo e scosse il capo, tirandosi in piedi di scatto.

“Perché non balliamo un altro po’, invece?” ripose, tendendogli la mano e sorridendogli sinceramente, sorriso a cui il Maestro ricambiò subito con altrettanta naturalezza.

“Credevo non me l’avresti mai chiesto”







 
Spazio dell'Autrice.



Bene bene ** Come ho già detto questa storia doveva essere una one shot, ma quando ho finito questa parte, che doveva essere l'introduzione, e mi sono accorta di essere quasi a 4000 parole, mi sono detta che sarebbe stato meglio dividere un po' ^^

Quindi sì, abbiamo il Dottore (Ten) e il Maestro segregati nel Tardis, che ricordano e recuperano il loro vecchio rapporto andato. Si scopre dai flashback di Ten che all'Accademia erano molto più che amici, e che Ten era effettivamente innamorato di lui (sì qui è partito dell'angst che non avevo previsto ma afsshajdslakaa)
Questa parte mi serviva per dare una base a quello che succederà dopo, nella parte di avventura, e poi concludere con la parte smut.

Credo proprio che le due seguenti parti (massimo quattro, devo ancora vedere, ma credo tre) verranno pubblicata a distanza di una settimana, quindi stay tuned <3

Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui, spero che fino ad ora vi sia piaciuta ^^

Grazie in particolare all'adorabile TheShippinator per avermi betato tempestivamente la FF, sei un tesoro <3 
I <3 <3 U! 

Un bacione

Alexa
   
 
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