I’ll tell you now you
can’t win this
You’re way too slow
I’ll tell you now I’m gonna take this
Did you come here to watch me, watch me burn?
Kiba si lasciò cadere su d’una poltrona girevole
che, sotto spinta, prese a vorticare, mentre l’Inuzuka osservava passivo il
soffitto ingrigito, da cui penzolava una lampadina accesa che fiocamente
illuminava la stanza.
Il sentimento di noia e irritazione ben si
addiceva al grigiume diffuso.
«Odio
aspettare quelli lì per salire sul
palco» Ringhiò, premendo i palmi contro gli occhi, stanchi e cerchiati da notti
insonni. La maggior parte passate in compagnia.
Naruto Uzumaki, un amico di vecchia data, si unì
alla causa con un sospiro annoiato.
«Perché noi dobbiamo esibirci dopo le due di
notte? Così prendo sonno…» non ebbe finito di dirlo,
che dovette coprirsi la bocca con la mano per nascondere uno sbadiglio.
«È facile, idiota»
lo riprese secca l’unica ragazza presente, seduta sinuosamente davanti al
piccolo specchio del camerino, intenta a passarsi l’eye-liner antracite sopra e
sotto l’occhio. «Noi siamo ancora nella merda, loro sono giù famosi».
Kiba fermò violentemente il moto rotatorio della
sedia, fissando con i piccoli occhi felini il viso pacifico di Ino Yamanaka,
intenta a sfumare la matita scurissima.
«Famosi dove,
poi?»
Dallo specchio Ino sorrise ad entrambi, quel
sorriso lascivo e malizioso che metteva soggezione.
E – si ritrovo ad aggiungere mentalmente Kiba, squadrando
senza troppi problemi il corpo magro semi-nascosto da pantaloni di pelle
aderenti e una canotta nera – evocava pensieri che, se la serata fosse stata
fortunata, forse sarebbe riuscito a
saziare, se Ino ne avesse avuto voglia.
Tsk.
Miseramente aggiogato ai voleri di una donna,
proprio lui che aveva giurato di non
subire più tirannie femminili dopo una vita sotto le ali di sua madre e della
sorella.
Eppure Kiba sapeva che nessun ragazzo avrebbe
potuto sentirsi più di uno schiavetto, sotto le curate mani di Ino: quella
donna era bile nelle parole quando con il linguaggio del corpo, incatenava lo
sguardo e mandava in panne tutto ciò che poteva essere razionale, risvegliando gli istinti. Anche quando ti scherniva,
beffarda, come se fosse superiore a tutti.
«Uh, vediamo, tutta Tokio?» lo derise la Yamanaka,
riponendo nella borsetta scura i trucchi.
Kiba seguì i suoi movimenti con attenzione,
serrando la mascella mascolina.
Naruto sbuffò, appoggiando stancamente il viso
sulle nocche.
«Bah, a me non dispiacciono, ma credo che il loro
successo sia dovuto solo all’Uchiha… che ci trovano
le donne in lui?» sbottò rammaricato, ricordando il poster appeso sopra il
letto di Sakura-chan. La sola idea che lei potesse venerare qualcun altro
all’infuori di lui – come accadeva troppo
spesso – lo fece inviperire.
Ino si girò, facendo fluttuare la lunga coda
bionda nell’aria, e rise – per l’ennesima
volta – loro in faccia.
«Quante volte ve l’avrò detto? Itachi Uchiha è un
vero dio agli occhi delle ragazze, bello, misterioso e capo di una band Metal,
ricco, famoso… ci farei perfino io un pensierino, se non fosse già occupato con quella
moretta che gli è sempre appiccicata dopo i concerti!»
«Ino, tu ci hai già fatto un pensierino…»
Kiba sogghignò, deciso a riscattarsi con una battuta ben più acida. «Magari
anche due, conoscendoti» aggiunse, causando l’ilarità di Naruto e un piccolo
broncio della Yamanaka che, tuttavia, non lo contraddisse, anzi, le labbra scarlatte
da crucciate che erano si distesero in un sorriso flessuoso, accompagnate dalle
lunghe ciglia tinte di mascara scuro, che si abbassarono, vibrando accattivanti.
«Credimi Kiba se ti dico che non verrebbe a
nuocere nemmeno a te, questo mio pensiero» cinguettò, sbattendo le ciglia.
L’Inuzuka strinse i pugni, ma non replicò nulla.
Ino osservò la sua reazione, incuriosita e
genuinamente divertita; ma prima che potesse lavorare sul ferro caldo, Naruto
cambiò bruscamente argomento, forse ingenuamente, forse perché aveva visto
l’arrivo di un possibile ennesimo litigio tra i due.
Si era creata una sorta di ‘situazione traballante’
nel gruppo da quando Kiba era entrato nel circolo di ‘uomini’ di Ino Yamanaka,
una ragazza che non poteva appartenere a nessuno, tranne che a se stessa, come
gli aveva già espressamente dichiarato con un sottile (e crudele) rimprovero: “Cane e gatta
non andranno mai d’accordo, Inuzuka.”
E, si sa, i gatti sono animali selvatici che
bramano solo indipendenza e coccole.
«Ma Sasuke dove diavolo è?»
«A bruciare l’invidia con qualche ragazzina
adorante» rispose secca Ino. «Sai che gli piace essere venerato, non sopporta
essere inferiore al fratello» sbottò, irritata. «Piuttosto,» accavallò le
gambe, scostandosi con un gesto nervoso una ciocca di capelli color paglia.
«dove diavolo è Shikamaru?»
«Eccomi qui, seccatura».
Un ragazzo mediamente alto, con uno strano ciuffo
ad ananas in testa, entrò nella stanza ed Ino sorrise, raggiante.
«Alla buon’ora Shika! Buone notizie?» domandò
frenetica.
«Diciamo di sì…»
commentò neutro il moro, appoggiandosi alla parete con la sigaretta in bocca,
spenta.
«Allora?!» Intervenne Naruto, eccitato, alzandosi
in piedi in attesa di maggiori informazioni da parte del manager della loro
neo-band, nata da meno di un anno e già richiesti in un paio di locali
abbastanza frequentati, anche se lavoravano per lo più ad orari improponibili.
Tuttavia, per farsi un nome, si accontentavano
dell’orario di chiusura, nonostante la maggior parte dei clienti fossero troppo
sbronzi per ricordare la loro musica il giorno dopo.
Le canzoni ‘indimenticabili’ erano quelle
dell’Akatsuki, la band in cui militavano ragazzi già famosissimi all’università
e al liceo, come Itachi Uchiha e Sasori Akasuna, e la
loro rivale per due ragioni, principalmente: la naturale competizione tra
Sasuke e il fratello, Itachi, e la natura altrettanto combattiva e ambiziosa di
Naruto, Kiba ed Ino (ragazza orgogliosa).
Era stata lei a decidere e obbligare il vicino di
casa – Shikamaru Nara – a far loro da manager, consapevole delle sue abilità di
oratore. Ed ora attendeva il resoconto del colloquio con il proprietario del
locale, impaziente, picchettando le lunghe unghie ovali smaltate di viola scuro
contro il tavolino di alluminio.
«Aspettiamo domain mattina o ti sbrighi?» soffiò
aggressiva, stringendo i grandi occhi cerulei da bambina.
Shikamaru fece una smorfia, portando la sigaretta
intatta dietro l’orecchio destro, dove pendeva un semplice orecchino d’argento,
identico a quello che portava Ino.
«E il vostro bassista e leader?» replicò, neutro.
Ino strinse le labbra, Kiba alzò gli occhi al
cielo e Naruto scattò verso la porta, energicamente.
«Vado a prenderlo io, quel galletto di Sasuke!» si
agitò, nascondendo malamente la soddisfazione di poterlo riprendere davanti a
tutti. Ma non poté farlo, poiché Sasuke aprì in quel momento la porta, entrando
indifferente nel camerino.
«Teme!» Naruto si fermò precipitosamente,
rischiando di cadere contro il nuovo arrivato. «Sei in ritardo!»
«Avevamo concordato un orario?»
Il sarcasmo di Sasuke ebbe in risposta il ringhio
di entrambi gli altri due componenti maschili della band e lo sbuffo irritato
di Ino.
«Sasuke-kun sta zitto.» sibilò la ragazza, acida.
Il bassista la degnò di un’occhiata neutra, non
fredda né calorosa. Semplicemente senza espressioni.
«Yamanaka, non accetto ordini da nessuno.»
«Oh, lo ricordo bene, Sasuke-kun!» Ino rise, amaramente.
«Lo dici anche quando sei a letto!»
Sasuke non rispose, preferendo sorvolare sul modo
in cui aveva convinto Ino ad entrare nella band come cantante, e si concentrò
su Shikamaru, il quale gli aveva rivolto un’occhiata indecifrabile, leggermente
più teso.
«Ebbene Nara?»
Il moro si schiarì leggermente la voce.
«Hanno accettato di lasciarci esibire il venerdì sera…»
«Yatta!»
«’tebbayo!»
Ino si sciolse leggermente in un sorriso,
osservando con sguardo divertito gli urli animaleschi di Kiba e Naruto
impegnati stringersi le mani e batterle insieme, nel loro tipico modo di
salutarsi.
Sasuke tuttavia era ancora impassibile.
«…c’è un ma, deduco dal
tuo silenzio.»
Kiba e Naruto si fermarono, d’improvviso, e loro
visi scattarono simultaneamente su Shikamaru.
Il manager obbligato sospirò, stancamente.
«Devono chiedere il permesso agli quelli
dell’Akatsuki, prima di dare il sì definitivo.»
Sasuke si rabbuiò. «Bastardi.»
Naruto si grattò il capo biondo ingellato, per manifestare la sua perplessità. «e allora?»
«Allora?» ringhiò Sasuke, puntando gli occhi
antracite contro Naruto. «Quello stronzo di mio fratello non ci lascerà mai far carriera!»
«Oh» Naruto abbassò gli occhi, moscio, e toccò con
la punta della scarpa una macchia di unto sul pavimento.
«Che merda!» sbottò Kiba, buttando la testa
all’indietro, in uno scarso tentativo per placarsi. Naruto si lanciò su una
sedia, il braccio scompostamente appoggiato sullo schienale di plastica
colorata e l’espressione intristita.
«Non puoi insistere Shika?» domandò il biondo,
mogio.
Il ragazzo scosse la testa, dispiaciuto. «Mi
spiace ragazzi.»
Sasuke non commentò, prese il pacchetto di
sigarette e uscì dalla stanza. Naruto sospirò ed Ino si alzò, facendo
svolazzare i lunghi capelli biondi attorno alle spalle.
«Grazie Shika.» disse al moro, passando accanto a
lui. L’amico di limitò a ricambiare il suo sguardo deciso, perplesso.
Kiba inarcò le sopracciglia. «E dove vai ora?»
Ino non si degnò di rispondergli.
Ino mal sopportava decine e decine di cose.
Ad esempio, l’abitudine di Naruto di infastidire
Sasuke-kun con quegli stupide sfide. O l’eccessiva sudorazione di Kiba. O, cosa
che trovava decisamente più irritante,
che la presenza del fratello di Sasuke si frapponesse fra lei e il successo
tanto sudato.
Non era entrata solo nella band solo perché Sasuke
l’aveva baciata – nonostante l’anno prima fosse cotta dell’Uchiha – ma per le
potenzialità di successo che poteva presentare questa scelta. Aveva visto
all’opera i suoi compagni prima di accettare, l’energia di Naruto alla
batteria, l’abilità delle dita di Kiba alla chitarra e il tuono gutturale del
basso di Sasuke. Erano bravi, terribilmente bravi. E con la sua voce erano un
buon gruppo.
Si erano allenati per se mesi ininterrotti prima
di approdare in un locale, con la loro musica punk rock, e le ci era voluto
tutto il tempo delle prove per modulare la voce in modo da renderla più
armoniosa possibile con la musica, a tratti dolce e ad altri spezzettata. E
altrettanto per farsi un guardaroba decente, non troppo punk, né troppo pop (e
doveva ammettere che gli piaceva, la tenuta aggressiva nera).
Camminava ora impettita verso le quinte del
locale, perfettamente in equilibrio sui tacchi medio-alti,
oggetto di domande di Naruto, che si chiedeva spesso come facesse a saltare con
quei ‘cosi’ addosso. Eppure Ino non traballava, forse perché non aveva nessun
dubbio: non sarebbe mai caduta, lei.
Piuttosto, si sarebbe appoggiata su qualcuno e l’avrebbe fatto cadere sotto,
come un cuscino attutente.
I fili dell’impianto elettrico serpeggiavano lungo
le quinte, neri e grigio scuro, appena impolverati. Ino li scansò con una lunga
falcata, appoggiandosi ad un tavolino, attendendo la fine della canzone.
Batteva il piede ritmicamente sul pavimento,
seguendo involontariamente la musica.
Cazzo, Ino si morse un labbro, sono fottutamente bravi.
«Un bicchiere d’acqua, acqua!»
La ragazza sorrise maliziosamente, prendendo una
bottiglietta con le lunghe dita magre.
Dalla tenda della quinta uscì un biondino di media
altezza, con un ciuffo a palma che saliva al cielo e lunghi capelli che gli
coprivano l’occhio destro, similmente a lei, addosso un paio di jeans maltenuti
e una maglietta nera spruzzata di colori.
Affascinante,
sì. Ma io lo sono di più.
«Ehi Deidara-niichan!»
squittì innocente, sventolando sopra la testa la bottiglietta d’acqua. «Ti ho
preparato un bicchiere!»
Il ragazzo si fermò, istupidito. «Ino? Che ci fai
qui?»
Lei sorrise, cominciando a versare nel piccolo
contenitore di plastica il liquido.
«Non posso preoccuparmi del mio fratellone?»
Deidara alzò gli occhi al cielo e gli rubò
sospettoso il bicchiere. «Di solito non lo fai mai…»
commentò secco.
Ino alzò le spalle. «Oggi è una bella giornata,
sono di buon umore!»
«Umph» il biondo ingoiò
una discrete quantità di acqua. «Giornate che si contano sulle dita della mano…» bofonchiò, irritato.
«Non dovresti parlare così ad una signorina,
Deidara.»
Gli occhi di Ino si illuminarono, vivaci. «Oh,
Hidan, tu sì che mi capisci!»
Un ragazzo decisamente più alto le si avvicinò ridendo;
i capelli biondo platino ingellati all’indietro non
si muovevano di un centimetro – come la sua sicurezza, che pareva irremovibile
– e le iridi violacee che la osservavano con un accenno di movimento.
«Ehi biondina come te la passi?» la salutò, passando
un braccio attorno alle spalle esili della ragazza.
Ino sogghignò, compiaciuta.
«Abbastanza bene… mi
rubate i fans, però!» si lagnò, crucciando le labbra
pitturate di rosa antico.
Deidara sbuffò mentre Hidan, al contrario, rise
ancora.
«Oh, qualcuno che ama un bel fiore come te c’è di sicuro…» insinuò,
malizioso, accarezzandole con i polpastrelli delle dita la pelle nuda della
spalla.
Deidara scostò lo sguardo,le guance imporporate. «Hidan,
dai cazzo, è mia sorella…» il biondo cercò appoggio dietro
di sé. «Sasori-danna…» piagnucolò, indicando con gli
occhi (ed enfasi) l’uomo dire qualcosa ad Ino nell’orecchio, facendola ridere.
Sasori Akasuna li fissò
senza emozioni e richiuse la zip della custodia morbida della sua chitarra.
«Hidan smettila.»
L’uomo grugnì e si stucco di malavoglia dalla
spalla di Ino. «Lei mica si stava lamentando, porca puttana.»
Sasori lo immobilizzò con gli occhi da bambolotto,
tondi e inumani.
Hidan alzò gli occhi al cielo. «Oh, vaffanculo,
non sapete proprio come divertirvi voi!»
Ino ridacchiò e si appoggiò al muro, osservando
l’Akatsuki riporre nelle custodie i loro strumenti. «Non faceva nulla di male»
si permise di dire, subito fulminata da un’occhiataccia di Deidara.
«Tu, piccola t– »
«Non con te, Ino. Non con te.»
Ino rise. «Andiamo, mi conosci da quando aveva
quattordici anni Sasori! Hai paura di me?»
«So come sei fatta, Ino.»
La risposta di Sasori, carica di diversi
significati, le riecheggiò nelle orecchie, quasi fosse una maledizione, ricca
di umori diversi e ombre che le parevano sempre più nere.
Che il rosso avesse capito dove volesse andare a
parare?
Sbuffò, sperando di non far trapelare il suo
nervosismo. «Non dipingermi come una stronza, Sasori. Limiti la mia personalità»
ironizzò, scostando il ciuffo biondo dagli occhi da cerbiatta.
Dondolò un po’ avanti e indietro, infantilmente,
guardandosi la punta squadrata degli stivali neri e la lucentezza dei pantaloni
di pelle.
«Avete finite stasera?»
Deidara alzò gli occhi al cielo. «Va dai tuoi
amichetti, ok Ino?»
La bionda si staccò indolente dalla parete,
muovendo la mano con non-chalance. «Ok, ok, vi lascio soli…
so sei geloso sei tuoi amici, Deidara-chan» lo prese in giro, sbattendo le palpebre.
Il fratello maggiore addentò il labbro superiore,
furente. Hidan tornò a ridere, dandole un bacio sulla nuca e un «A presto
principessa!» come saluto quando gli passò vicino, come erano soliti fare da
quando si conoscevano, mentre Sasori la degnò di un’occhiata indecifrabile.
Ino tentennò prima di uscire, posando gli occhi su
Itachi Uchiha, rimasto in silenzio per tutto quel tempo ad osservare il basso –
lo stesso strumento di Sasuke, la bravura
raddoppiata tra quelle mani – senza guardarla nemmeno una volta.
«E tu non mi saluti, Uchiha?»
Lui nemmeno alzò il capo. Ino strinse le labbra,
irritata.
Perché doveva far finta che lei non ci fosse?
Perché, quando la guardava, era sempre dall’alto al basso, quasi fosse uno
schifoso insetto?
Ino schiaffeggiò nell’aria la lunga coda bionda e
marciò verso il camerino, umiliata.
Sapeva che ad Itachi piaceva vederla bruciare
d’invidia e delusione.
Era proprio un gran bastardo.
So let me know just how to
take this
You’re way to cold
Now show me how, before it breaks me,
Did you come here to watch me, watch me burn?
Dopo la lunga serata, tutti e quattro volevano
solo tornare a casa.
Solo Naruto ritrovò l’energia uscendo dal locale
quando vide Sakura Haruno attendere pazientemente Sasuke con in mano un cesto
da cui proveniva un vago odore dolciastro.
«SAKURA-CHAAAN!»
La ragazza aprì gli occhi verde chiaro e si scostò
impaurita, evitando l’abbraccio di Naruto.
«BAKA!» lo prese per il colletto del giubbetto di
jeans logoro, alzandolo da terra, dove Naruto stava piagnucolando
massaggiandosi la tempia contusa nell’impatto con il terreno. «Devi smetterla
con quel –chan, non sono la tua ragazza, capito?!»
Gli occhi di Naruto si fecero comicamente umidi.
«Ma Sakura-chan… non
comprendi il mio amore per te!»
«Io ti ucc– !» Sakura
mollò d’improvviso la presa, facendo ricadere Naruto a terra, con un tonfo, e
si mise a sorridere malamente, ridacchiando imbarazzata in direzione degli
occhi d’opale di Sasuke. «Sasuke-kun ti ho portato dei biscotti…
ho pensato che, forse, avevi fame dopo la performance…
ne vuoi qualcuno?» chiese, esitando.
Sasuke la fissò lapidario.
«Non mi piacciono i dolci.»
«Oh» Sakura fece un sorriso tremulo. «Fa nulla, li
butterò.»
«Dalli a me Sakura-chan!»
Un pugno colpì la zazzera bionda, seguito da un
guaito di dolore.
«Nemmeno morta!»
Sasuke alzò gli occhi al cielo, cominciando a
camminare verso casa. «Naruto, Sakura, andiamo…»
«Sì Sasuke-kun!»
«Umph, quante arie…»
Kiba scuoteva il capo, divertito.
«Ogni venerdì mattina, la solita scena…» commentò, trattenendo una risata, mentre si metteva
il casco del motorino, posteggiato poco lontano. «Ehi Ino, vuoi un passaggio?»
Ino si passava la mano tra i capelli biondi,
cercando di riordinarli.
«No, vai pure Kiba.»
«Sei sicura? Guarda che non mi faccio problemi a–
»
«Sì, Kiba. Vai.»
Il moro tentò di non esternare la palese delusione
e saltò sul motorino d’un assurdo color kaki.
«Fai un po’ come vuoi, strega» salutò, inacidito.
Ino gli sorrise, dolce come il miele. «Buonanotte.»
Kiba strinse i denti e accese il motore, sgommando
via. In fondo, lo sapeva da sempre che non era Ino Yamanaka a venire catturata;
poteva fingerlo di esserlo, ma lei era il ragno che intesseva la tela (e stringeva a sé i cuori).
I lampioni affogavano di luce giallognola la larga
strada davanti al Mohito Cafè,
dove avevano appena suonato.
Ino ascoltò in lontananza il rumore dello scooter
accuratamente truccato di Kiba e strinse le dita sulla cinghia della lunga
borsetta di stoffa lillà che pendeva alla sua destra, dondolante.
Forse,
un giorno, mi lascerai stare Kiba. Non sono la donna per te.
Dei passi, inudibili se non fosse stato per il
silenzio improvviso che aveva fagocitato la via deserta, la fecero scattare
indietro.
All’apparenza non vi era nessuno, ma Ino sapeva
che lui era lì, proprio come continuava da due settimane, ogni sera che aveva
un concerto, ogni qualvolta lui avesse voglia di sbatterla, contro un muro, su
d’un letto, in macchina: le importava davvero poco, in realtà.
Ciò che Ino bramava era incatenarlo a lei. E superare l’ostacolo che il
contrasto perenne con Sasuke rappresentava.
Non lo vide finché non fu lui ad uscire dal buio
di un angolo, camminando lentamente verso di lei; il nero antracite dei suoi
capelli ingoiava la luce, rendendola nulla, le occhiaie sottolineavano le iridi
scure, inzaccherate di un’inquietante tonalità vermiglia.
La sigaretta, come sempre, pendeva dalle labbra
sottili e il fumo grigio si dissolveva nell’aria fredda della sera. Ino
rabbrividì e strinse ancora più la morsa sulla borsa.
Io
sono più brava. Lo conduco io, il gioco.
«Itachi»
il tono era divertito, contornato da un sorriso da gatta. «Come stai?»
L’Uchiha non le rispose – ma Ino nemmeno se
l’aspettava, una risposta.
Si appoggiò, invece, contro il muro del locale
chiuso, fumando placidamente e continuando solo a fissarla con gli occhi
ossidiana: e Ino sapeva cosa volesse.
Voleva vederla cadere ai suoi piedi, come tutte le
ragazzine.
Voleva che lei gli andasse addosso, pregando per
il tocco delle sue mani.
Voleva ed esigeva,
Itachi Uchiha. Ma Ino Yamanaka non era da meno.
«Ho capito» disse, piuttosto seccata. «Vengo io da
te.»
In pochi passi fu davanti a lui, braccia strette
al petto, mento in alto, codino biondo che fluttuava sulla spalla coperta da un
giubbotto di jeans sgualcito.
Le dita di Ino si strinsero attorno alla sigaretta
di Itachi, rubandogliela e portandosela alla bocca, in un gesto volutamente
lento.
Spirali
grigie, sul volto macchiato di eyeliner nero,
sbavato.
Alzò le sopracciglia, invitando Itachi a fare la
sua mossa; ma lui rimase immobile, le mani nelle tasche dei jeans, attendendo
la sua, di mossa.
Ino cominciò a picchiettare nervosamente lo
stivale sull’asfalto, frenando a malapena l’impetuosità.
Odiava quel silenzio. Odiava perdere tempo.
Ma non avrebbe piegato nessuno, con la fretta.
«Allora» cominciò, espirando una boccata di fumo. «Dove
andiamo, stasera?»
Itachi, allora, sorrise.
Ed Ino si ritrovò a rabbrividire, ancora.
Alle volte si chiedeva se l’Uchiha non fosse un
pezzo di ghiaccio che, appoggiato sul suo corpo, le infondesse la sua algidità.
«Non dovresti dettare tu le regole Yamanaka?
Scegli tu.»
Ino si portò su dita sul mento, mentre con l’altra
mano faceva cadere la cenere sul pavimento.
«Hai la macchina?» domandò, cauta.
Itachi annuì e portò le mani a coprirgli il viso,
per impedire al vento di smorzare la fiamma dell’accendino. Ino sorrise
largamente.
«La vista panoramica va più che bene.»
Il capezzolo del seno nudo era ancora turgido.
Ino prendeva grandi boccate d’aria, cercando di
ricomporsi nel minor tempo possibile.
Di tempo da perdere certo non ne aveva, lei.
Lei non perdeva nulla.
Osservò di sottecchi Itachi, la fronte madida di
sudore liscia e pallida, il collo teso mentre affondava dentro di lei, con
vigore.
Poteva vedere dal basso quel minuscolo sorriso
soddisfatto, la luce languida dei suoi occhi antracite, la tensione dei muscoli
sopra di lei.
Bastardo.
Non avrebbe voluto lasciarsi andare all’orgasmo
per prima, ma non aveva potuto evitarlo. Era fottutamente bravo, il fratello di
Sasuke, molto più di quanto non volesse ammettere.
Ma era plasmabile.
Vinceva sempre, Ino. Anche quando perdeva, ci
guadagnava qualcosa.
E – questo lo pensò mentre Itachi scivolava
un’ultima volta dentro di lei – se aveva perso nella BMW di Itachi, avrebbe
vinto al Mohito Cafè
quell’esibizione ad un orario decente.
Itachi non le collassò addosso, a differenza di
molti uomini con cui era andata a letto, né le accarezzò i capelli. Si leccò
appena le labbra pallide – e Ino lo fissava, decisamente troppo – e prese piccoli respiri, per calmare il corpo ancora un
po’ scosso da violenti moti di piacere.
Ino se ne stava ferma, scomodamente infilata tra i
sedili dell’auto, in attesa che si mettesse boxer e jeans e se ne andasse a
fumare, come sempre.
E così Itachi fece, uscendo dalla BMW,
concedendole una sigaretta per sistemarsi.
Ino soffiò il ciuffo ribelle biondo che le cadeva
davanti agli occhi si lato e cercò i suoi vestiti, appositamente lasciati sotto
il suo sedile, in modo che non perdesse tempo a cercarli.
(Il
tempo era troppo poco, per lei.)
Si agganciò il reggiseno, infilò il tanga scuro,
ma ebbe ben più difficoltà con i pantaloni, aderentissimi. Stava ancora
litigando con la zip, inarcando la schiena contro il sedile per aiutarsi
nell’impresa, quando Itachi rientrò, chiudendo la portiera senza tanti
accorgimenti.
«Ti riporto a casa.»
«Ehi! Devo ancora– !» inutile protesta, la sua,
dato che l’Uchiha aveva preso a guidare verso casa, imperturbato in volto.
Stizzita lasciò perdere la chiusura dei pantaloni
e si infilò la canotta veloce, il giubbetto, e ebbe una mezza crisi isterica
per allacciare gli stivali, che proprio non volevano collaborare.
Stronzi,
stronzi!
«Arrivati.»
«Uh?» Ino also lo
sguardo, e vide la sua piccolo villetta di media-borghesia. Illuminata.
Spaventata guardò l’orologio della farmacia vicino
a casa, e lesse l’ora: le cinque di mattina. Suo padre doveva essere
preoccupato.
Schioccò la lingua sul palato per esprimere tutta
la sua disapprovazione e decise di rimandare la chiusura degli stivali a dopo.
«Arrivederci, Uchiha» sbottò, appoggiando la mano
anelata sulla maniglia della portiera. Fu fermata dalla mano di Itachi,
infilatasi nei pantaloni di pelle non ancora chiusi.
Un soffio tra i capelli, appena sotto l’orecchio,
una delle zone più sensibili del suo corpo.
Come faceva già a conoscerla, prima che lei
scoprisse tutti i suoi punti deboli?
«Vedi di sistemarti, brava ragazza» sogghignò nel
suo orecchio, muovendo pigramente i polpastrelli sullo stomaco piatto. Ino
emise un suono indistinto, un gemito strozzato.
«Sei l’ultimo che mi deve dare consigli!» fu la
risposta carica di alterigia, rancore, e qualcosa di indefinibile.
Avvertì il fantasma di due labbra contro la pelle,
già arrossata.
«Addio, Yamanaka.»
«Non ci contare, non ti liberi così facilmente di
me!»
Si concesse un sorriso trionfante, prima di uscire
dall’auto. Camminò tranquilla per la strada, a piedi nudi, scollando la chioma
bionda, sicura – sicurissima – di
essersi guadagnata quella serata al Mohito Cafè e – ma questo lo sapeva solo il suo subconscio – una
nottata con quel bastardo dell’Uchiha.
I’ll let it show that
I’m not always hiding
Come all the way down
And watch me burn
I won’t let it show that
I’m not always flying
So on the way down
I’ll watch you burn
«Cosa?!»
Ino sbarrò gli occhi, che improvvisamente avevano
cominciato a pizzicarle.
«Niente serata?!»
Shikamaru scosse la testa, leggermente a disagio.
«Pare che gli Akatsuki non vogliano cedervi
nemmeno un’ora… io… mi dispiace, ragazzi.»
«Non ci credo! Che bastardi!» inveì Naruto,
prendendo a calci la porta.
Kiba si era lasciato andare sul divano, con un
gemito frustrato. Sasuke, semplicemente, fumava serrando tanto le labbra da
farle diventare bianche.
Ed Ino?
Ino scappò dal camerino e sfrecciò verso le quinte
del locale, la vista così appannata che faceva quasi fatica a mantenere il suo
innato equilibrio sui tacchi.
Era uscito da solo, per un bicchiere d’acqua. Se
ne stava appartato nel suo angolo, bevendo una bottiglia di birra fresca. Al
buio, la sua collocazione naturale.
Fu così che lo trovò Ino: stava sorseggiando
l’alcolico leggero sereno come se nulla potesse farlo cadere. Ma aveva giocato
con la ragazza sbagliata.
Ino non cadeva mai, mai. Proprio mai.
«Bastardo schifoso di un Uchiha!»
Itachi alzò gli occhi su di lei, senza essersi
scomposto più di tanto.
«Ciao Yamanaka. Vuoi sfogare le tue frustrazioni
con una scopata?»
Ino lo prese per il colletto del giubbotto di
pelle, ignorando la naturale differenza d’altezza tra lei e Itachi, e avvicinò
il piccolo naso dritto a quello di lui, digrignando appena i denti.
Non le importava che vedesse che stesse piangendo.
Voleva solo ferirlo, ripagarlo con la stessa
moneta. Voleva picchiarlo, tanto era denso l’odio che provava per lui in quel
momento.
«Sei un figlio di puttana Itachi Uchiha! Io ti
rovinerò, stanne certo!» gli ululò in faccia, la voce estremamente stabile nonostante
il viso macchiato da righe nere.
Itachi le sorrise, sadico.
«In queste condizioni faresti ben poco… e poi ti rovinerò sempre, Yamanaka.»
La mano di Ino si alzò, aperta.
«Bastardo!»
Una stretta su entrambi i polsi fermò il suo
schiaffo, e in un attimo Itachi portò i polsi sopra la testa, un luccichio
insano negli occhi antracite.
E Ino tremò appena, notandolo.
(Prima
non vi aveva mai fatto caso.)
«Tutti questi insulti… ti
laverò la bocca…»
Le labbra di Itachi si impossessarono con violenza
delle sue, mentre lei si dibatteva con un animale, muovendo il capo a destra e
a sinistra.
Avvertì la presa sui polsi farsi più forte, più
feroce, e il cuore si fermò di un battito.
«’Sta ferma,
micina» le sussurrò Itachi all’orecchio, falsamente
gentile. «Vuoi quella fottuta serata per il concerto, no?»
Lei non gli rispose, ma lo sfidò con gli occhi
azzurri infuocati.
Itachi la derise.
«Allora devi stare alla mie regole, micina… bisogna chinarsi,
alle volte, per ottenere le cose, non lo sai?»
Ino non rispose, continuando a tenere il viso alto
e orgoglioso.
«Itachi?!»
Il ragazzo imprecò e la lasciò andare, prendendo
l’ultimo sorso di birra. Ino lo osservò, crudele e minacciosa, massaggiandosi i
polsi arrossati. Itachi ricambiò lo sguardo, più rilassato.
Le prese il mento tra indice e pollice e l’alzò
alla luce, orgoglioso.
«Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata tra
tutte le puttane che ho avuto» le sorrise, raggelante. «Ino»
«Itachi?!»
«Arrivo Deidara!»
Le baciò leggermente le labbra. «A presto, Ino»
Quando lui se ne fu andato, Ino si lasciò cadere a
terra, singhiozzando,
Te lo dirò adesso che non puoi vincere
sei troppo lento
ti dirò adesso che ce la farò
sei venuto qui per vedermi, per vedermi bruciare?
Così lascia che capisca come resistere
sei troppo freddo
ora mostrami, prima che mi distrugga,
come sei venuto per vedermi, per vedermi bruciare?
Lascerò che si veda che
Non sempre mi nascondo
Vieni qui sotto
A vedermi bruciare
Non lascerò che si veda
Che non volo sempre
Così qui sotto
Ti vedrò bruciare
Burn, Three Days Grace
Lo so, Ino rocker è strana, pensatela un po’ Avril
Lavigne (Rò… XD)
Spero vi sia piaciuta…
scusate se non faccio troppi commenti, ma ho il cervello che canta ‘Arma virumque cano…’ e non è bello.
=_=
E adesso, per favore, un commentino. Anche se è
malato, insano, osceno, e solo sesso. ù//ù Ma d’altronde non sempre Ino può
avere ciò che vuole, giusto? la vita ti sfugge di mano. e anche i secondi,
scorrono veloci.
*fugge
a scrivere Welcome, che attende da troppo tempo*
Bye,
Kaho