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Autore: Larrys_bravery    07/12/2013    1 recensioni
Questa storia l'abbiamo scritta per il giornalino della scuola e la riportiamo qui. Non è la classica storia d'amore, ma parla di un amicizia rovinata e delle difficoltà che un ragazzo omosessuale deve affrontare per farsi accettare.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Does he know?


“Corri, Gabriele, continua a correre e non fermarti; sei quasi arrivato, non mollare.”

E’ questo quello che mi ripeto mentre sfreccio per la strada, con i polmoni che bruciano a causa delle troppe sigarette fumate negli ultimi giorni per lo stress. Gocce di pioggia che imperterrite continuano a cadermi addosso e a penetrare nei vestiti ormai completamente zuppi.
Nonostante questo, corro e non mi importa né del fiatone né delle gocce, dei tuoni, dei clacson, delle persone che mi dicono di fare più attenzione; niente. Riesco solo a sentire le parole di mio padre che mi hanno fatto crollare- “Vattene, non ti voglio in questa casa.”- e i pianti di mia madre, che lo supplica di ragionare, che io sarò sempre suo figlio e nulla potrà mai cambiare questo. Ma la colpa non è loro, è soltanto mia, perché sono io quello sbagliato. Un tuono mi riscuote, potente, rumoroso, e continuo a correre lontano da lui, da me, da quella casa che ormai non sento più mia. Fa freddo, ho freddo ovunque. E il semaforo è rosso, mi fermo, così come il mio corpo, la mia mente e il mio cuore, e tutto viene avvolto da una nebbia fitta, incolore ma pesante, pesantissima, come i pensieri che hanno ricominciato ad affollarmi la testa e di cui so che non riuscirò a liberarmi in fretta.
Ma ecco che di nuovo tutto si fa chiaro e la vedo. Lì, in fondo alla strada, il mio porto sicuro; ricomincio a correre, più veloce di prima, più motivato di prima. Sono finalmente a casa, l’unica che mi è rimasta.
“Gabri, sei tutto bagnato. Che ci fai qua fuori, entra! I miei non ci sono, inizia a salire in camera, svaligio la dispensa e arrivo.”
Mi precipito per le scale come se alla fine di esse si trovasse la mia salvezza, percorro quel corridoio ormai così tanto familiare e mi abbandono sul letto di Edoardo, chiudendo gli occhi e aspettando il suo arrivo.
Mi ritrovo a sorridere quando entra in camera, chiudendo la porta con un piede e, come al solito, appoggia i biscotti sulla scrivania. Prima di girarsi verso di me, immerge la testa nell’armadio e tira fuori una felpa e dei pantaloni della tuta, che mi piombano addosso come la scia di quei pensieri che avevo creduto di essermi lasciato alle spalle anche solo per un momento.
“Vai in bagno ad asciugarti e infilati questi o mi bagnerai il letto.”-  mi dice sorridendo. 
Quando ritorno mi siedo al suo fianco e gli tolgo dalle mani il pacco di biscotti, per ritardare il più possibile quel discorso che sapevo avremmo dovuto affrontare.
In altre occasioni avrebbe sicuramente reagito, spingendomi magari, ma non ora, non adesso che ha capito che c’è qualcosa che non va. 
“Allora, devo aspettare ancora tanto? Smettila di mangiare e sputa il rospo, amico” dice lui, guardandomi con aria divertita, non immaginando minimamente quel che sto per confidargli.
“Io, veramente.. non so da dove iniziare” dico io, abbassando immediatamente la testa.
“Ehm.. dall’inizio, magari?” mi schernisce lui. Scoppio a ridere e gli tiro un cuscino in faccia.
“Scemo” rispondo io, mettendomi più comodo sul suo letto. Fisso il soffitto, sperando di trovare le parole che non ho, cercando un qualche suggerimento. Quando il silenzio inizia a farsi più pesante, carico  di attesa, parlo, senza fermarmi, riversandogli addosso quella giornata disastrosa, sicuro che lui saprà confortarmi e capirmi.
“Erano giorni ormai che ci stavo pensando, e sapevo che prima o poi avrei dovuto farlo, quindi mi sono detto perché no, dai, mi sembra il momento giusto! Peccato che non esista il momento giusto, né il modo giusto, per dire a qualcuno che sei gay. Perché sì, sono gay, e sono riuscito ad accettarmi. Perché allora loro non possono fare lo stesso? Sono i miei genitori, quelle persone che dovrebbero amarmi incondizionatamente, starmi sempre vicino, come possono da un momento all’altro considerarmi un estraneo?
Non mi aspettavo certamente che ne sarebbero stati felici, o che avrebbero capito subito, ma cavolo nemmeno una reazione del genere.
Pensa che mio padre mi ha iniziato ad urlare in faccia, con un’espressione quasi disgustata. Continuava a ripetere che sono un errore, la delusione della famiglia, che non avrebbe più voluto avere niente a che fare con me.
A questo punto mi aspettavo che mia madre intervenisse, ma no! Lei non faceva altro che piangere, e piangere, sussurrando a mio padre di smetterla, disperandosi come se avessi ucciso qualcuno. Ma io non ho fatto niente di male, vero?
Comunque sono scappato di casa, non potevo più trovarmi nella stessa stanza con persone che non mi accettano, non mi capiscono, pensano che io sia un errore. Ed eccomi qui, sono corso da te perché sei l’unico che mi è rimasto, l’unico che mi può capire. Ho bisogno di te, cosa devo fare?”
Finisco il mio sfogo continuando a fissare il soffitto, come ho fatto per tutto il discorso, temendo una sua reazione, avendo paura di leggere nei suoi occhi le stesse emozioni che avevo trovato in quelli di mio padre. Ma lui non è mio padre, è il mio migliore amico. Quindi abbasso lo sguardo, trovo il coraggio di fissare i miei occhi nei suoi, e mi paralizzo non
appena queste parole raggiungono le mie orecchie.
“Tu. sei. gay?” 
Ed eccolo, di nuovo quello sguardo di disgusto, di ribrezzo, che speravo di aver visto una volta e di non dover più affrontare, almeno non con lui. Quegli occhi azzurri che prima erano un appiglio adesso mi trafiggono come lame di ghiaccio.
Alterato dal mio silenzio, urlando mi ripete: “TU SEI GAY? RISPONDIMI CAZZO!”
Con gli occhi che iniziano a offuscarsi per le lacrime trovo un filo di voce per rispondergli: “..Sì, ma ti prego non abbandonarmi anche tu.”
Ignorando la mia supplica si alza, tentando di prendere le distanze da me.
“E cosa vorresti da me? Io non sono come te. Ti aspetti che adesso io ti confidi il mio amore e che mi butti tra le tue braccia, diventando la coppia di frocetti più felice della scuola?” dice lui, con la risata più umiliante e sarcastica che io abbia mai sentito uscire dalla sua bocca.
“Quelli come te mi fanno schifo.”
Adesso, con le lacrime che iniziano a sgorgare copiose dagli occhi, tento di avvicinarmi a lui, che però continua a indietreggiare, accostandosi alla porta. Con la voce ridotta a un soffio, strozzata dal dolore, gli dico “Non fraintendermi, per me tu sei come un fratello; non provo assolutamente niente nei tuoi confronti, non potrei mai. Ti prego..”
Come se le mie parole gli fossero indifferenti apre la porta.
“La strada la sai..”
Tento di replicare ma, dopo aver incrociato i suoi occhi gelidi, mi limito a recuperare i miei
vestiti bagnati e ricomincio a correre, questa volta senza una meta.


Angolo autrici C:
Ciao, siamo Carlotta e Valentina! 
siamo qui per presentarvi questa storia che abbiamo scritto per il giornalino della nostra scuola, incontrando non poche difficoltà, soprattutto da parte dei professori; però noi siamo cazzute e quindi l'abbiamo pubblicata lo stesso u.u 
Speriamo che vi piaccia, fateci sapere che cosa ne pensate :)
Un bacione!
  
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