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Autore: Lechatvert    07/12/2013    4 recensioni
Dicono che delle persone si serbino, in genere, tre ricordi.
Di lei, da qualche parte nella mia mente, ne conservo soltanto due, entrambi popolati da quella paura che fa tremare le gambe, quel terrore del buio che fa piangere i bambini quando si soffia sulla candela per spegnerla.

Cominciarono a chiamarla طّ, Qitt, Gatto.
Ma si sa, quando i gatti muoiono, muoiono soli e lontani dal mondo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Altro personaggio, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio, Sef Ibn-La'Ahad
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dove cresce l'erba gatta

Ottavo – l'attacco
(http://www.youtube.com/watch?v=zqKZ_WIK5ms)




Il sonoro starnuto di Imaad ruppe il silenzio del tempio, mentre il suono si propagava per il corridoio di terra.
Mi voltai a guardarlo, seccato, mentre lui si asciugava il naso nella manica immacolata della cappa.
« Sono allergico alla polvere », si giustificò ed in effetti dovetti ammettere di vederlo piuttosto rosso in viso.
Camminammo in silenzio per una manciata di minuti, in una processione che mi vedeva come apri fila e che ricordava con crudele umorismo quella di otto mesi prima, quando Kadar era morto.
Qitt procedeva con passo felpato alle mie spalle, affondando leggermente nel pavimento di sabbia umida, mentre Imaad chiudeva la fila senza la minima discrezione, sciolto nei suoi movimenti pesanti.
« Fa’ piano, maledizione », mormorai, illuminandogli il volto con la lanterna che stringevo in mano.
Lui alzò le spalle.   
« Rafiq, questo luogo non vede anima viva da almeno sei mesi », rispose, sorridendo. « Non c’è bisogno di essere ombre! »
Gli lanciai un’occhiata carica di rimprovero e lui soffocò a stento una risatina, superandomi con un balzo per aggrapparsi alla scala di legno che avevamo davanti.
« D’accordo, d’accordo. Le mie scuse », disse, sottovoce. « Vado in ricognizione ».
Mi aggrappai alla scala e mi lasciai aiutare da Qitt per salire fino al piano superiore, dove l’entrata alta del tempio, coronata da due colonne, ci si presentò di fronte in tutta la sua imponenza.
« È uguale all’ultima volta », mormorai.
Camminai verso Imaad e superai la porta, trovandomi sulla stessa torretta da cui, otto mesi prima, spiavo Roberto di Sable assieme ad Altaïr e Kadar. Trovai assurdo quanto tutto fosse rimasto esattamente lo stesso, senza cadere vittima del tempo e delle intemperie.
« Laggiù! », esclamò Imaad, in piedi sui merli della torretta.
Seguii il suo dito puntato contro la camera sottostante e mi ritrovai ad osservare un tavolo di legno a ridosso del muro su cui erano stati abbandonati interi plichi di fogli.
Sospirando, mi portai avanti.
« Qitt, con me », ordinai, muovendomi verso la scala. « Imaad, tu resta qui e fa’ da vedetta ».
Sentii l’Assassino ridere e subito dopo la sicura della balestra che portava sulla schiena scattò in un rumore secco che rimbombò per tutta la camera.
« Cerchiamo ciò di cui abbiamo bisogno e torniamo a Gerusalemme », sentenziai, prima di calarmi dalla scala.
Qitt mi superò con un balzo, atterrando a piedi pari sul livello intermedio prima di spiccare un ultimo salto che la portò praticamente dinanzi al tavolo.
La raggiunsi senza fretta e presi a passare in rassegna il primo plico di carte.
Niente di esorbitante, in realtà. Lettere ingiallite dal tempo, vecchi archivi, una lista di parole in arabo con la corrispettiva traduzione in francese …
Il tonfo della scala che sbatté contro il pavimento mi immobilizzò.
Levai lo sguardo verso Qitt, la quale mi tranquillizzò con una scrollata di spalle, e mi costrinsi a lanciare un’occhiata a Imaad.
Sulla torretta, l’Assassino aveva ancora la gamba alzata sul vuoto dove poco prima c’era  il pezzo di legno che aveva spinto a terra.
Buttai i fogli sul tavolo, sbottando.
« Imaad, se proprio ci tieni ad attirare qui i Templari possiamo anche metterci comodi con dei falafel¹ », lo rimproverai.
Lui piagnucolò delle scuse, tornando a fare avanti e indietro sulla sua postazione.
Mi scostai dal tavolo e mossi un paio di passi verso il centro della sala.
Quella scala caduta, proprio come il giorno in cui avevo perso il mio unico fratello …
Superai velocemente Qitt e il mio sguardo cadde inevitabilmente sull’entrata principale e sui macigni che la bloccavano. Addosso a quei sassi, a gennaio, avevo visto un uomo tagliare la gola a Kadar.
Non potei in alcun modo rendermene conto, ma piombai in uno stato di incoscienza popolato dai fantasmi di quel giorno. Improvvisamente, intorno a me non c’erano più Qitt e Imaad, ma Altaïr e Kadar, entrambi avvolti nelle loro vesti bianche da Assassini, con la spada puntata contro i templari come i più fieri dei combattenti.
Sbattei le palpebre e vidi Altaïr scomparire, dopodiché una lama trafisse il petto di Kadar e un pugnale gli aprì la gola, sporcando la sabbia di sangue mentre il suo corpo rotolava a terra in un suono di sommesso dolore.
Caddi in ginocchio, affondando le dita nei capelli.
Non sono sicuro se la mia bocca liberò qualche suono o meno, ma ricordo la voce profonda di Imaad gridare il nome di Qitt, mentre il rumore di due lame che si scontravano riempiva la sala con il suo eco.
« Gli stronzi ci attaccano! », urlò ad un tratto e, non so come, me lo ritrovai accanto con una spada in una mano e la balestra nell’altra. « Haif! »
Scattò in avanti e lanciò la spada a Qitt, la quale non esitò ad afferrarla, piantandola immediatamente nel petto dell’uomo che provò invano a colpirla.
« Rafiq! », si voltò verso di me, lanciandomi un’occhiata decisa. « Ordini? »
Allungò il braccio a destra e la sua freccia trapassò di netto la gola di un templare.
Guardai lui, poi mi voltai a controllare quanti nemici erano rimasti da eliminare.
In tutto, erano cinque.
Imponendomi di riprendermi, mi tirai in piedi e sguainai a mia volta la spada.
« Qitt, alla mia sinistra. Coprimi le spalle », dissi, buttandomi in un affondo. « Imaad, trova una via d’uscita. Facci arrivare a Gerusalemme vivi ».
Vidi la balestra sparire dalle mani dell’Assassino che se la ricaricò sulla schiena, sostituendola immediatamente con la spada a due mani che, fino a quel momento, non gli avevo mai visto usare.
Nello stesso tempo che io e Qitt impiegammo a uccidere un templare, lui ne fece fuori due con altrettanti colpi, studiati e talmente precisi che non sporcarono nemmeno la lama di sangue.
Tre erano andati e, mentre io mi occupavo del quarto, Qitt venne attaccata dall’ultimo.
Non riuscii a dare esattamente una dinamica ai fatti; la vidi perdere di poco l’equilibrio quando tentò di schivare il primo fendente che le tagliò la cappa, poi ondeggiò piano sulle punte dei piedi e spiccò un balzo verso l’alto usando le pietre accatastate addosso al muro per darsi lo slancio. Atterrò conficcando la spada nella spina dorsale dell’uomo e cadde in avanti, ruzzolando ai miei piedi.
Stavo per rimproverarle l’esibizionismo quando la voce squillante di Imaad richiamò la mia attenzione.
« Di qua! », gridò, saltando sulla torretta da dove ci eravamo lanciati.
Aveva rimesso in piedi la scala e ci indicava il corridoio con la lama della spada tenuta appoggiata sulla spalla sinistra.
Rapidi, sia io che Qitt lo raggiungemmo, lasciando poi cadere la scala.
Ci accorgemmo in ritardo di un altro plotone di guardie in arrivo dal corridoio che avevamo percorso e fummo costretti a ripiegare da un’uscita di fortuna in superficie, saltando dall’altra parte della sala tramite un grosso lampadario appeso al soffitto.
Andai per primo, immediatamente seguito da Imaad.
Qitt si riservò lo sfizio di infilare la spada nella gola di un ultimo nemico, prima di balzare verso di noi con un salto troppo debole per la distanza da compiere.
Per un istante la vidi cadere nel vuoto.
« Haif! No! »
Buttandomi addosso la spada, Imaad sfidò letteralmente la gravità. Si sporse pericolosamente sul vuoto della sala, appena in tempo per afferrare il cappuccio di Qitt e stringerla a sé, al sicuro contro il muro.
Le premette la testa contro il suo petto, respirando a fondo.
« Per Allah », sussurrò, chiudendo gli occhi. « La prossima volta ti lascio cadere ».
Lei alzò il capo verso il suo viso e per un istante rimasero in silenzio a guardarsi. Erano talmente vicini che con il fiato facevano ondeggiare i baveri dei reciproci cappucci.
Qitt si scostò con uno sbuffo scocciato, riprendendo la salita fino alla superficie e Imaad, rosso fino alla punta delle orecchie, la seguì dopo un istante, assicurandosi di buttare a terra il lampadario con un colpo di balestra.
Si fermò poi al mio fianco, porgendomi un taccuino di pelle dall’aria trasandata.
« Ho trovato questo », mi disse, con le guance ancora vivacemente tinte dall’imbarazzo. « Era assieme alle altre cartacce ».
Recuperò la spada finita a terra e uscì dall’apertura sul tetto, così mi affrettai a seguirlo.
Fuori, era già sorto il sole.
Ci buttammo in una corsa silenziosa verso i nostri cavalli, accuratamente legati a una colonna in bella vista.
« Muoviamoci e torniamo a Gerusalemme », imposi, slegando le briglie. « Ed evitiamo altri scontri ».
Montammo in sella e ci avviammo verso la città senza aggiungere un’altra parola al discorso.
Prima di mezzogiorno, eravamo già seduti attorno al bancone della dimora, immersi nella lettura del taccuino che Imaad aveva trovato.




__________________________

Note d'autore
[1] Falafel: credo siano un cibo abbastanza conosciuto anche in Italia, ma se qualcuno dovesse ignorarne l'esistenza, vi basti sapere che sono delle polpettine fritte di ceci di origine egiziana.


L'attacco, l'attacco!
Mi sono divertita a scriverlo. Mi sono divertita tantissimo.
Stavolta, ho deciso di non essere logorroica (no, sono solo in ritardo e devo uscire sotto pesante minaccia), quindi ... saluto brevemente chiunque passi di qui, chi ha voglia di recensire, chi segue, chi legge, chi mangia i biscotti, chi si stampa questa storia e la usa come carta igienica

Siete sempre tantissimi e io non ho parole. Davvero.
Grazie a tutti!

Falafel,

Lechatvert


   
 
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