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Autore: cormac    07/12/2013    3 recensioni
{ ElliotLeo & GilbertBreak | Vampire!Au | Accenni a varie pair }
1846, Bretagna. Nella città di Sablier si intensifica gradualmente uno scontro secolare tra due fazioni: i Baskerville, una famiglia di creature
sinistre e sovrannaturali, e Pandora, un'organizzazione chiamata ad annichilirli tutti. Il confine tra amore e perdizione è tuttavia molto labile per un
Baskerville ed un membro di Pandora, che pur di salvare loro stessi sono disposti a ripercorrere le orme del fondatore che venne chiamato eroe,
cento anni prima.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville, Revis Baskerville, Un po' tutti
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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The Horror we called Love;
Atto I – Parti in fretta e non tornare
 
 
 
 




“Mon cher ami Adrien,
la consapevolezza di quanto possa essere irritante per voi ricevere questa mia missiva –sempre che chi di  dovere abbia svolto un buon lavoro, e di questi tempi, non ci metterei la mano sul fuoco-- mi addolora profondamente, tuttavia la ragione per cui state adesso leggendo queste righe non è trascurabile. Immagino sappiate bene quanto ho a cuore la mia famiglia e quanto mi distrugga il pensiero di perderne anche il più debole dei suoi membri. Si tratta di un ragazzo. Non dimostra più di quindici anni, lo riconoscerete per i suoi lunghi capelli neri che rifuggono le forbici ed i suoi occhi violetti.
Confido nella vostra bontà e lealtà verso la nostra famiglia, oltre che nel vostro infallibile occhio notturno. Attenderò trepidante vostre notizie.
Vostro stimato amico,
 
Revis Baskerville”
 
 
 
 
 
Adrien, bisbetica guardia cittadina (evidentemente incattivito dai turni di notte) e venduto di prim’ordine se chi era disposto a comprare le informazioni che derivavano dal suo lavoro di sorvegliante apparteneva ad una qualche ricca famiglia, ripiegò la lettera del nobile Revis dopo averla riletta attentamente ed essersi debitamente informato sui vocaboli altisonanti di cui non conosceva il significato, infilandola in tasca. Morse il mozzicone del sigaro ormai spento che ancora si ostinava a trattenere tra le labbra, sputacchiando qua e là sui sanpietrini umidi ciò che i denti avevano strappato. Si strinse nel lungo pastrano verde scuro, maledicendo sottovoce ogni singolo santo presente in paradiso e poi, non contento, anche tutte le donne “lavoratrici” che lo fermavano per la strada, informandosi ogni due metri se per caso non volesse usufruire di un veloce servizio. Dannato il giorno in cui aveva accettato l’invito di quel sorridente (quanto sinistro, invero) nobile dai capelli nivei a seguirlo in una lussuosa saletta da tè per discutere di un ipotetico lavoro che avrebbe svolto “come preziosa ed irrinunciabile concessione da parte della famiglia Baskerville per arrotondare”. Non ricordava precisamente quando era diventato uno degli occhi e le orecchie che i Baskerville avevano in tutta la capitale. Ed ora, che l’ennesimo incarico gli era stato affidato, Adrien cominciava a non poterne più. Della Bretagna, di quella città, Sablier, che puzzava di fumo ed ipocrisia, di quella famiglia che serviva con terrore e di malavoglia, di quella sua vita che si era sempre rivelata deludente su tutti i fronti. Erano questi i pensieri che affollavano la sua mente, mentre s’incamminava a passo incerto per i vicoli e le strade nebbiose e deserte, svanendo nell’oscurità.
 
In fondo, non era poi così strano che Adrien, la guardia cittadina, fosse divenuto intrattabile.



 
1
 
Sablier non era quel tipo di città tranquilla, consigliabile come un’ottima alternativa ad una vacanza in campagna per far riposare e ringiovanire i polmoni dopo un aerosol di smog e chissà quante tipologie di fumi diversi, sgradevoli testimoni di un avanzo tecnologico fin troppo rapido. Sablier, perla della Bretagna, sebbene frantumata ed insozzata, era un crogiuolo di lingue e ceti sociali. C’era spazio per l’alta nobiltà, che era solita esimersi dal vivere nel pieno centro cittadino, dove le polveri nocive, impietosamente, non risparmiavano nulla e nessuno; e ce n’era per i ceti più umili, per i mendicanti. Il ragazzo dai lunghi capelli neri, che a grandi ciocche gli ricadevano scompostamente sul viso, mentre osservava con sguardo assorto le copertine dai colori smorti dei libri esposti nella vetrina di una delle librerie più malmesse dell’intera Francia, non avrebbe saputo precisamente collocarsi in uno dei gruppi. Lui non era nobile, o almeno non si sentiva tale. Ma non era neppure un poveraccio senza arte né parte. Cos’era, dunque? Il ragazzo non lo sapeva. Lui era Leo. E basta. Nient’altro.
Credeva di essere l’unico a saperlo, credeva che quella mantella stracciata, portatrice di sporcizia che indossava avvolta intorno alle spalle riuscisse, in qualche modo, a celare la sua identità: si sbagliava. Si sentiva osservato. Già da parecchio, da quando si era fermato a fissare con desiderio i libri esposti, aveva avvertito una sgradevole sensazione allo stomaco e quando sbirciava alle sue spalle con la coda dell’occhio, quell’uomo qualunque, avvolto nel suo pastrano verde scuro e con un sigaro spento in bocca, era ancora lì e lo fissava in cagnesco. Storse il naso. Meglio comportarsi normalmente e andar via come se niente fosse. Tentò, in effetti: svoltò l’angolo, imboccò il vicolo; man mano che si attenuava  il rumore che le sue suole consunte producevano sui sanpietrini lerci e puzzolenti, ritrovo di ratti e covo di colonie di scarafaggi, riusciva ad udire sempre più distintamente quello prodotto dalle scarpe di cuoio tirate a lucido che acceleravano il passo dietro di lui. Il respiro di quell’uomo qualunque era sempre più vicino. Il tempo che Leo impiegò a voltarsi non gli fu sufficiente per rendersi conto del pericolo, che le mani dell’uomo, simili ad arpioni arrugginiti, già gli erano addosso. E la tela del ragno era pronta.



 
2
 
Riecheggianti nelle sale adiacenti fino a perdersi nei corridoi centenari della villa, note alterate (tra cui erano riconoscibili dei…bemolle?) scaturivano dalla cassa armonica di un fortepiano, probabilmente di faggio. Una triste melodia senza nome, accompagnata dal sorriso del suo musicista, continuò a susseguirsi come una lenta agonia fino a che le mani che la producevano non vennero fermate di colpo. Irritazione, seguita da una dolce stoccata di sguardi, fu ciò che ne conseguì. Revis Baskerville, sinistra quanto assai longeva guida dell’omonima famiglia, si alzò dallo sgabello di legno e pelle per raggiungere le ampie vetrate da cui poteva comodamente sbirciare la neve cadere a grandi fiocchi sull’erba, tingendola di un bianco candido, senza doversi scomodare ad uscire. Nel riverbero che la luce produceva sul vetro era riflessa la figura di un uomo nel fiore degli anni, dai lunghi e mossi capelli nivei, raccolti solo per metà in una coda alta e poco stretta, riccamente abbigliato, dagli occhi dello stesso colore delle rifiniture ametista che decoravano il suo abito e un sorriso mellifluo delineato sulle labbra sottili e chiare, come il resto della carnagione, che senza alcuna difficoltà poteva essere considerata cadaverica. «Padrone» fu strappato dalla ragnatela dei suoi pensieri da una voce profonda e maschile. Non si voltò; aveva già riconosciuto il suo possessore. Continuò imperterrito a scrutare il mondo che si imbiancava man mano, ma il suo interlocutore aveva già compreso di aver ottenuto la sua attenzione. «Lo hanno trovato»
Quando Revis si voltò, rivolgendo il proprio sguardo all’uomo che l’aveva interpellato, quest’ultimo credette di vedere qualcosa scintillare nei suoi occhi, un barlume di soddisfazione. Erano occhi ridenti, vittoriosi. «Ben fatto, Oswald». Era sempre uno spettacolo particolare, ascoltare la voce del capofamiglia dei Baskerville: rassomigliava al filo di uno stiletto cinquecentesco, o meglio, lo era. Era la canna di una pistola, una goccia di veleno, il fondo di un burrone: qualsiasi cosa fosse in grado di tagliare, frantumare, uccidere, la voce di Revis la riassumeva perfettamente. Era all’incirca da duecento anni che Oswald non poteva concedersi il lusso di un brivido, ma se ne fosse stato in grado, non aveva dubbi: ogni qualvolta il suo padrone avesse parlato, lui non sarebbe mai rimasto insensibile come avrebbe voluto. Perché Revis era carismatico, ammaliatore, perché Revis era Glen.
«Devo comunicare qualcosa alla guardia?» un rametto picchiò insistentemente contro il vetro della finestra, intervallando così la domanda di Oswald dalla risposta di Revis.
«Digli solo…» una pausa. Le labbra dell’albino, lievemente incurvate all’ingiù, si schiusero leggermente, esibendo quello che aveva tutta l’aria di essere un ghigno, quello di un essere infinitamente vecchio ed infinitamente crudele. Era il sorriso di un cacciatore che scrutava la preda negli occhi prima di ucciderla, il piacere dell’onnipotenza. «che il compenso diminuirà proporzionalmente al sangue versato».
 
Mentre la notte iniziava ad ammantare di nero la Bretagna, Oswald scomparve nella bufera,
a portare la parola sprezzante di una creatura centenaria alla loro nemesi,
per ricordarlo a quel dolce, indifeso fuggitivo che aveva smarrito la strada.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[ Notes ]
Orbene, buonasera popolo di efp! =w=
Non so cosa mi passasse per la testa quando ho deciso di iniziare una long –visto che non ho neanche il tempo di andare al cesso- ma eccoci qua! Il capitolo non è molto lungo, in quanto non voglio iniziare mettendo subito troppa carne al fuoco, ma spero ugualmente di avervi incuriosito!
Alla scuola piacendo, credo di poter dire che aggiornerò ogni due settimane, anche se cercherò di velocizzare quanto posso- al momento non ho altro da specificare, ringrazio chi ha perso due minuti per leggerla e chi vorrà lasciare un commento!
La Turca vi ama <333
 
p.s. credo che il rating non salirà, ma eventualmente potrei aggiungere delle avvertenze in più!
   
 
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