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Autore: The queen of darkness    07/12/2013    2 recensioni
Quando la vita presenta ghirigori stranissimi prima di donare una felicità assoluta.
( questa storia è stata precedentemente cancellata per motivi di formattazione. Vi chiedo di portare pazienza; i capitoli verranno ricopiati e la storia procederà con lo sviluppo ideato precedentmente. scusate per il disagio.)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La penombra della stanza le faceva ricordare la Cantina.
"Ricordare", che strano verbo; saltava sempre fuori al momento meno appropriato.
C'era un uomo che parlava, e le sembrava il suo patrigno. Non si stava rivolgendo a lei, ma pareva piuttosto essere impegnato in una vivace conversazione telefonica; anche se non capiva il senso delle parole, sentì subito il tono concitato e decise di non ascoltare, poiché la confusione e il dolore martellante erano già due presenze sufficienti nella sua testa.
Si accorse di avere le mani legate; niente di nuovo. Nella Cantina era sempre legata. Più che una cinghia, sui suoi polsi ebbe l'impressione di avere della corda ruvida. Nella confusione di suoni e odori poté nettamente avvertire lo sfregamento terribile dello iuta contro i polsi.
Provò a muoversi, ma capì subito che era stata una cattiva idea: l'anca le pulsava in modo terribile e la testa sembrava un'incudine ciondolante attaccata al suolo. Mugugnò: fra i denti digrignati sentì un fazzoletto intriso di saliva.
Attorno ai suoi occhi, la sua visuale si fece ancora più confusa e traballante, incerta. Ebbe l'impressione di guardare il mondo al di sotto di una superficie d'acqua, poiché le pareti non sembravano solide e dei grandi cerchi concentrici si allargavano davanti al suo viso.
Poi, con un movimento appena accennato, scorse una figura nell'angolo. All'inizio le sembrò soltanto uno scherzo della propria testa, il preludio di uno svenimento che era ormai certa di dover sopportare, ma i bordi si fecero definiti e assunsero il profilo di un corpo magro, rannicchiato fra l'incontro dei due muri di legno marcio.
L'altro prigioniero si era accorto della sua presenza, e la stava guardando con occhi sbarrati. Si mosse leggermente, facendo tintinnare dei braccialetti al polso. Quel suono formò un riverbero assordante, che si espanse fra le pareti del suo cranio spaccandole il cervello a metà.
Eva cercò di allungarsi verso di lei, ben sapendo di essere totalmente incapace di fare qualcosa di utile, ma quel rumore cigolante le mozzò il respiro e si ritrovò a rimanere immobile, con un dolore lancinante convogliato in tutto il corpo a partire dalle tempie, a fissare la sua terrorizzata compagnia.
Stava dicendo qualcosa. Muoveva le labbra e scandiva un messaggio.
Le immagini si sovrapposero, gli odori nauseanti divennero quelli di un tempo.
"Aiutami" mimò l'altra persona.
Uno sparo.
"Aiutami".
E poi il buio.

**

Reid, inaspettatamente, decise di mettersi alla guida al posto di Morgan.
-Non c'è tempo! - esclamò -Non c'è più tempo!
Finì di sistemare la chiusura del giubbotto antiproiettile e si sedette di slancio davanti al volante, mettendo in moto prima che il collega salisse.
-Calmati, Reid! - protestò il collega, salendo di corsa e chiudendo lo sportello mentre erano già in movimento.
Il più giovane si passò una mano sulla fronte, scalando forsennatamente la marcia.
-Calmarmi, Morgan? Non mi sembra proprio il momento. Ci sono un'agente federale e una possibile vittima in mano ad un sadico in preda a deliri di onnipotenza, armato e in una zona disabitata...come credi possa calmarmi?
L'altro scosse la testa. Aveva ragione, aveva maledettamente ragione.
Se quel caso si era svolto con quella flemma, con quella lentezza, e si stava ora per concludere con un esito drammatico, era solo a causa della tensione nell'aria, dello spaventoso nervosismo di Hotch di fronte all'ennesimo cambiamento della formazione della squadra, che stava mettendo tutti alla prova.
Eva era una ragazza giovane, con del potenziale; lavorava all'unità da qualche giorno soltanto e, anche se aveva commesso un gesto avventato, non era giusto rischiasse una fine del genere. Era loro compito riportarla a casa sana e salva.
Estraendo il cellulare vibrante dalla propria tasca, Morgan azionò il vivavoce.
-Morgan? Siamo appena arrivati all'abitazione di Laure Dawson - disse la voce metallica di Rossi -Hotch, Emily e JJ sono rimasti in centrale per mobilitare tutte le unità operative e trattenere lo sceriffo. Sembrava impazzito.
-Non dev'essere facile accettare l'idea che la propria figlia è una serial killer sociopatica - borbottò l'agente di colore.
-Già - assentì l'uomo, truce. - Stiamo tenendo d'occhio l'entrata, ma non sembra esserci nessuno all'interno. Prima di fare irruzione lanceremo un avvertimento, a quanto pare la Dawson è a casa con il marito ed è armat...
In sottofondo si sentì distintamente il suono di uno sparo e di sirene della polizia.
-Ti richiamo! - urlò Rossi, e la linea cadde precipitosamente.
"Merda!" Imprecò mentalmente il giovane. Con Reid in quello stato, una simile telefonata non sembrava di certo un toccasana.
Come previsto, infatti, il dottore calcò con maggior forza il piede sull'acceleratore e si lanciò sulla strada a tutta velocità, prendendo le curve in maniera decisamente preoccupante, a sirene spiegate. Non aveva mai avuto un'espressione così seria, mai il sul viso era stato così tirato: sicuramente le sorti di Eva dovevano stargli molto più a cuore di quanto gli avesse confidato.
-Morgan, dobbiamo sbrigarci - disse all'improvviso, - se non arriveremo in tempo, lui potrebbe...
Non continuò la frase, e strinse il volante con ferrea decisione, tanto da far sbiancare le nocche.
Quando, in centrale, Michaels aveva concluso la telefonata con una risata beffarda dopo aver dato il suo laconico e derisorio messaggio, il ragazzino sembrava non riuscire a trovare pace. Si era fiondato fuori, all'ingresso, e aveva preso le chiavi del SUV posate sul tavolo con mano tremante.
Era spaventato, terribilmente spaventato. E Morgan non sapeva che cosa dire per rincuorarlo, se davvero fosse stato possibile renderlo meno agitato di quanto non fosse.
-Vedrai, ce la faremo - lo incoraggiò.
Gli pneumatici dell'auto stridettero contro la strada dopo l'ennesima curva azzardata.
-Lo spero - pronunciò il collega a denti stretti.
Il luogo del delitto si avvicinava sempre di più.

**

-Laure Dawson, esca subito dalla sua abitazione con le mani bene in vista! - esclamò la voce metallica dell'altoparlante. - Ripeto, esca subito con le mani bene in vista!
Ci fu uno stridio secco quando l'agente tolse il dito dal pulsante del microfono, tanto che Rossi fu costretto a tapparsi le orecchie con le dita.
Hotch, appena giunto sul posto, si stava sistemando l'auricolare per le comunicazioni interne. Nonostante avesse detto che sarebbe stato più utile per lui rimanere in centrale, nemmeno due minuti dopo aveva raggiunto il grosso delle volanti verso la casa della Dawson, sguainando la pistola di ordinanza e facendosi subito mettere a conoscenza delle mosse da seguire durante l'irruzione.
Lo sceriffo aveva lasciato il permesso di procedere solo a condizione che fossero i suoi uomini, e non gli agenti federali, a guidare le operazioni, sperando in una maggiore clemenza nei confronti della figlia; era stato un calcolo errato. Per i componenti della squadra, la Dawson era soltanto l'ennesima doppiogiochista che infrangeva la legge, ma per i suoi colleghi si trattava di una donna che, avendo conquistato difficilmente il potere in un mondo tipicamente maschile e avendo sempre detto di amare la giustizia e di voler abbattere i pregiudizi, si trattava di un oltraggio personale. Sembravano una muta di cani da caccia in procinto di catturare la preda.
Dopo lo sparo, Rossi non era molto sicuro che la tattica di dare ancora degli avvisi alle persone all'interno della casa si sarebbe potuta rivelare utile, tuttavia non poteva fare nulla per cambiare il corso degli eventi. Tirò fuori a sua volta la pistola e attese, ritirandosi in disparte.
Nonostante non vedesse l'ora di intervenire personalmente per fermare una lunga serie di mosse sbagliate, il suo giuramento di obbedienza nei confronti del suo superiore costituiva una museruola troppo coriacea per essere divelta da una singola tentazione; era ovvio che a quella massa di zotici non importava un fico secco se una giovane ragazza dell'FBI stava rischiando la vita in quello stesso momento: per loro era decisamente più importante ristabilire la propria virilità ferita mettendo le manette su una persona che non avevano mai sopportato.
-Hotch - disse, appena lo vide avvicinarsi - tutto questo è assolutamente ridicolo.
L'uomo annuì con severità, mentre in sottofondo l'agente ripeteva il proprio avviso, senza nessuna reazione, come la prima volta.
-Se solo facessero le cose nel modo giusto... - cominciò a dire, ma non concluse il discorso.
Volse lo sguardo verso il lato ovest della casa, e vide lo spettacolo desolante di uomini in tenuta antisommossa costretti a stare mollemente appoggiati al loro furgone blindato, senza aver ricevuto un solo comando sulle azioni da svolgere.
Hotch scosse la testa. -Se Laure Dawson è sola in casa con il marito può benissimo darsi che l'abbia ucciso.
-Ma per quale motivo?
-Non abbiamo nemmeno fatto un profilo su di lei, non avevamo il minimo sospetto. Se è vero, come abbiamo ipotizzato, che si tratta di una sociopatica, allora il matrimonio doveva essere solo una facciata.
Rossi appoggiò la schiena ad una volante della polizia, incrociando le braccia con aria meditabonda.
-Ma noi le abbiamo fatto il profilo, Hotch - gli ricordò. Il superiore lo squadrò con interesse.
-Il secondo complice - spiegò. - Non si trattava di Paul Smith, lui era solo un esecutore materiale della fase finale, il trasporto; in caso di processo si sarebbe preso tutte le aggravanti, un comportamento da manuale. Il vero complice era lei.
Hotch lo fissò intensamente, comprendendo all'istante. -Credi che si sia uccisa?
Rossi fece un mezzo sorriso. -Non lo pensi nemmeno tu.
In quello stesso istante, un giovane poliziotto si affiancò ai due federali con sguardo truce e una mano sulla fondina della pistola d'ordinanza. 
-Pronti all'irruzione - latrò, cupo, prima di passare oltre ad avvisare i colleghi.
Rossi sospirò. -Finalmente.
Controllò il caricatore ma rimase al suo posto: presto ci sarebbe stata una carneficina.

** 

In un primo momento tentò di scalciare, di ribellarsi alla costrizione delle corde grezze sui polsi ma, alla fine, aveva capito che sarebbe stato tutto inutile e aveva ceduto, poggiando la schiena contro il divano a fiori e fissando con odio sincero ogni sua singola mossa.
Lanciando appena uno sguardo verso la sua "dolce metà", chiuse con evidente soddisfazione la conversazione telefonica.
Nel buio del soggiorno, i profili degli oggetti erano scheggiati dalle lame di luce che oltrepassavano le veneziane. Bagliori circolari rossi e azzurri spezzavano l'aria buia e silenziosa dell'interno. Da quando la sua singolare preda aveva smesso di mugolare, il silenzio si era fatto denso e rassicurante, intervallato soltanto da qualche inutile richiamo dell'altoparlante e di uno scalpiccio concitato sul vialetto davanti al garage.
Guardò velocemente fuori dalla finestra: drappelli di uomini in uniforme si stavano vicendevolmente scambiando le armi e sistemando i propri auricolari.
"Era ora" pensò.
Tutto procedeva secondo i piani e la fine, inevitabile, appariva ancora più dolce di quanto avesse inizialmente pensato. Avevano calcolato tutto quanto, insieme, e non avevano fallito. Era stato il giusto prezzo da pagare per quel periodo di armonia, brutalità e pace interiore.
Raccolse la pistola fumante da terra, controllando i colpi rimasti. Sei; sarebbero stati più che sufficienti.
Si chinò lentamente verso la figura accovacciata e si accostò al suo orecchio. Era incredibile che, nonostante tutti gli anni passati assieme in quella stessa casa, ora stesse facendo di tutto pur di sottrarsi alla sua bocca.
Sussurrò poche parole, con un lieve sorriso, scostando i capelli perché sentisse meglio.
-Ci siamo quasi, amore mio.
Al suono del secondo sparo, la porta d'ingresso venne divelta con un calcio. 
Ma nessuno di coloro che entrò nella stanza si sarebbe potuto dire preparato a ciò che sarebbe stato costretto a vedere.


  
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