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Autore: DavisGTI    07/12/2013    0 recensioni
Si può trovare la propria natura.
Ma non il proprio ambiente.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolo dell'autore: questa è la prima storia finita che pubblico su EFP, perciò siate clementi. Se proprio fa schifo, sentitevi liberi di prendermi a ginocchiate sugli zigomi. Si tratta di un sogno che ho realmente fatto e, come vedrete, mi ha parecchio disturbato... Consiglio di ascoltare questa durante la lettura (giusto per dare atmosfera; se non vi piace neanche questa, doppia quantità di ginocchiate per me ^^'):

https://www.youtube.com/watch?v=lR4dw_B423E

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Box

 

Avete presente tutti quei sogni di cui ci ricordiamo solo i particolari più bizzarri? Io mi sono sempre chiesto se i nostri sogni potessero rispecchiare un nostro pensiero attuale, un nostro ideale. Quello che feci io mi disturbò non poco... quella mattina realizzai che avevo appena affrontato uno dei miei pensieri più ricorrenti anche adesso.

Quando ho cominciato a guardarmi intorno, io ero nel mezzo di un largo corridoio e su quel corridoio c'erano varie stanze separate fra di loro. No, non da muri; erano stanze singole, autonome. Sono in un periodo futuro (credo), anche se non un futuro pieno di navicelle, extraterrestri e boiate simili. Sembrava poco distante dal nostro presente.

A causa del mancato rendimento dell'attività turistica, vengono create delle stanze particolari, simili a container, chiamate “Box”. Erano grandi, mobili e acquistabili in grandi centri allestiti appositamente alla vendita dei Box. Lo scopo di questi oggetti singolari era quello di poter visitare ambienti naturali e posti turistici a pochi passi da casa propria: erano decorati in modo tale da rappresentare deserti, zone di montagna, campagne, spiagge ecc. Per un prezzo maggiore era possibile anche modificarli per rendere un Box già acquistato simile ad un luogo specifico (modificare le spiagge per farle sembrare quelle delle Hawaii, per fare un esempio). In seguito, vista l'enorme richiesta per nuovi tipi di Box, ne vennero anche creati alcuni riproducenti ambienti diversi rispetto a quelli prima descritti, come campi di tennis, parchi giochi e, secondo alcune ordinazioni “speciali”, anche bordelli. Andarono presto a ruba e anche la mia famiglia, per qualche motivo a me sconosciuto, ne comprò molti.

Io li odiavo. E ogni volta che lo rimarcavo ai miei genitori mi rimproveravano e mi davano dell'ingrato, del depresso, dell'”uomo in mezzo ai mille” e via discorrendo.

Date le circostanze ho provato a “farmeli piacere” e provai a visitare quello che più mi allettava: il Box 17, la sezione naturale. Fu sufficiente oltrepassare la porta con un solo piede per poter dare il giudizio finale.

Schifo. Orrore. Tristezza. Tumore maligno. Pene dell'inferno & co. Le pareti interne del Box erano rivestite da delle carte da parati che raffiguravano delle foreste, tra l'altro fatte pure male, vista l'altezza spropositata degli alberi che la rendeva quasi una foresta tropicale. Sempre vicino alle pareti nella zona superiore vi erano delle foglie di alberi vari (e questo per farvi capire l'enorme impegno dedicato alla realizzazione del suddetto Box). Il suolo era composto da terriccio ricoperto da erba molto bassa. C'era anche qualche rilievo di bassa altezza ( un metro massimo) fatto di rocce. Il sistema di ventilazione, che chiaramente serviva a rendere più “realistico” l'ambiente, si attivava tramite una console fuori dal Box e poteva essere regolato. Poteva anche sembrare minimamente un punto a favore del mio giudizio, se non fosse per il rumore dannatamente fastidioso che produceva. La luce era artificiale (non che mi aspettassi chissà che) ed era emessa da una sfera di plastica gialla. Sole, per gli amici.

C'erano anche alcuni gatti che giravano un po' ovunque. Era abitudine quella di inserire anche esseri viventi, sempre per aumentare il fattore realtà. Questo dettaglio mi inquietava e mi tranquillizzava allo stesso tempo: ADORO i gatti e scoprirli in quel miserabile Box mi rallegrò un po', anche se non mi sembravano in forma smagliante...

Gli altri Box... non perdo tempo a descriverli: tutti, inesorabilmente discutibili. L'unico che visitavo era quello con i gatti. Lo facevo ogni tanto, dopo le animate discussioni con i miei genitori.

Tuttavia, il giorno di quel sogno ruppe la monotonia. Regolai il sistema di ventilazione. Entrai. Mi accorsi che oltre ai gatti vi era un altro essere vivente lì: era girato di spalle, ma era chiaro che fosse un ragazzo, probabilmente più piccolo di me. Indossava una maglia bianca, dei pantaloni rossi, non indossava scarpe portava dei fieri capelli verdi acqua. Per qualche motivo i gatti non gli si avvicinavano, al contrario: sembravano quasi messi in allerta e alcuni di loro gli soffiavano contro. Non lo conoscevo, la sua improvvisa comparsa mi spaventò. D'istinto gli chiesi chi fosse. Lui si voltò lentamente. Mi accorsi in quel momento che aveva due canini sporgenti. Mi guardò con uno sguardo strano: gli occhi erano socchiusi, la testa era abbassata. Non mi sottrassi e aspettai che lui mi dicesse chi fosse. L'unica risposta che ricevetti fu:

  • Non penso di avere un nome.

Non fui soddisfatto, per evidenti motivi. Allora gli chiesi cosa stava facendo in quel Box.

  • Vivo di natura. Piuttosto, rivolgerei la stessa domanda a te.

Rispose così. Io fui confuso. Gli dissi che questo era un ambiente artificiale e che, soprattutto, era mio. Lui sembrò ignorare le mie parole. Mi disse semplicemente che stare lì era la sua natura. Non sapevo di cosa parlava, ma la sua presenza non mi dispiaceva. Anzi, sembrava che io volessi solo conoscerlo di più. Non ricordo i discorsi che feci io. Ma lui mi parlò molto del suo modo di vivere: mi insegnava i trucchi per cacciare una preda, come sopravvivere in piccoli posti bui e, sostanzialmente, come adattarsi agli ambienti più pericolosi. Sentivo per qualche motivo che era molto simile a me. Non ricordo esattamente cosa successe dopo. Ricordo solo che per darmi una dimostrazione di quanto diceva, si accovacciò a quattro zampe e digrignò i denti. In un istante balzò sopra uno dei gatti del Box e, in seguito ad un acuto lamento del gatto, gli staccò il collo. L'improvviso rumore delle ossa che si rompevano mi spinsero a guardare cosa fosse accaduto. Aveva ucciso uno dei gatti. Uno dei miei animali preferiti. Vidi la testa, separata dal corpo, con gli occhi dell'animale ancora aperti.

In quel momento guardai con ammirazione il ragazzo, che nell'agguato si era sporcato la bocca che lasciava cadere piccole goccioline di sangue. Non mi interessava il fatto che quel gatto fosse morto, sentivo solo una certa familiarità con il ragazzo.

Proprio in quell'istante, mio padre entrò. Non me ne accorsi subito, ma egli mi chiamò e, sorpreso di vedere qualcun altro con me, mi chiese:

  • Chi è lui?

A quella domanda, il ragazzo stava per girarsi, ancora sporco di sangue. Lo fermai prima che papà lo guardasse in volto e nascosi il corpo e la testa del gatto. Gli dissi che lui era un mio amico e l'avevo invitato nel Box. Ma la risposta non servì: sembrava minaccioso e mi ordinò:

  • Vieni immediatamente con me.

Con un tono che emanava il desiderio di mio padre nel fare in modo che io non lo incontrassi più.

  • Esci immediatamente. Dobbiamo andare.

Non volevo andare con lui. Volevo restare li, continuare ad ascoltare... Ma non potei fare nulla. Mio padre mi strattonò per il braccio.In lacrime, guardai lo sconosciuto. Anche lui stava piangendo. Lo lasciai lì. Mio padre mi portò in macchina...

 

 

Non lo vidi più...

 

 

 

Si può trovare la propria natura.

Ma non il proprio ambiente.
 

  
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