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Autore: NemoAdNoctum    07/12/2013    6 recensioni
La chiesa gremita, le lacrime di mio padre, i petali di rosa sulle mie scarpe bianche, il tacchettio sulla navata, il battito assordante del mio cuore. O forse era il suo? I suoi occhi che mi cercavano, come persi nella nebbia e impauriti, fino all’istante prima che incrociassero i miei.
Il tocco delle sue mani tremanti per l’emozione, la profondità della sua voce nel pronunciare quelle parole solenni, la delicatezza con cui mi scoprì il volto e mi guardò come se avesse visto il suo angelo per la prima volta. Il dolce sapore delle sue labbra. Il calore della sua fronte sulla mia….
…il suono delle campane, il riso, i baci e le lacrime. La sua mano stretta nella mia.
Per sempre. Lo voglio. Per sempre.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanabusa Aido, Kaien Cross, Kaname Kuran, Yuki Cross, Zero Kiryu
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mille anni di te e di me
 
Quell'abbraccio sciolse le catene del destino. Riesco ancora a sentire il calore delle sue braccia cingermi le spalle. Quel dolore, quella speranza, erano il mio castigo e il mio più profondo desiderio. Erano anni che attendevo di udire quelle parole che inconsciamente entrambi custodivamo in fondo al nostro cuore, e ora, che erano tutte per me, le temevo più di qualsiasi cosa e le desideravo più di quella vita eterna.
Lì, di fronte ai miei occhi, il ghiaccio che avrebbe celato mio fratello, il mio promesso sposo, per un tempo non definito; addosso, il calore della persone del cui amore avrei da sempre voluto nutrirmi e scappare al tempo stesso, e che ora mi chiedeva di non fuggire più. Dovevo scegliere di liberarmi dall'abbraccio e continuare a seguire il mio destino, vegliando in eterno in attesa del risveglio di quell'uomo, quel vampiro, che aveva dato la vita per me, oppure voltarmi e lasciarmi andare al desiderio soffocato di una vita che volevo, ma non meritavo, portandomi dietro per sempre il senso di colpa per non essere stata mai abbastanza per mio fratello che mi amava più di quanto avrei mai potuto fare io.
La primavera del mio diploma giunse quasi in un battito d'ali. I ciliegi erano in fiore, gli studenti in fermento per la festa del diploma e per i corsi di riparazione. Ma la mia mente era inebriata da un profumo diverso da quello regalato dalla stagione dei fiori. Il mio corpo si riempiva del profumo che, ogni notte della mia esistenza da vampira, mi aveva tormentato per il desiderio e la sete. Il suo sangue scorreva nelle mie vene e sporcava le mie labbra, tutte le notti.
- Eccolo -, bisbigliava Rima al mio orecchio, non appena lo intravedevamo tra i corridoi della scuola, a fare da guardiano come ai vecchi tempi, ed io arrossivo come un'adolescente, abbassando lo sguardo, rialzandolo solo quando era così vicino da offuscarmi la mente col suo odore. Così i nostri occhi si incrociavano e lui mi sorrideva lanciandomi un fugace sguardo con la coda dell'occhio per poi svanire nel buio del corridoio. Era sempre stato bellissimo, ma la serenità di quei giorni gli illuminava il viso rendendolo splendido oltre ogni aspettativa. Ed io mi lasciavo travolgere dal turbinio delle emozioni che anche il solo tocco dei suoi occhi sulla mia pelle provocava.
Erano passati due mesi da quando le sue braccia avevano scelto di cingermi finché avrebbe avuto vita, non sapevamo quanto tempo avremmo avuto, non sapevamo di quante notti avrebbe goduto il nostro amore, così avevamo deciso di vivere intensamente ogni istante, rendendo quanto più umana possibile la nostra vita.
La guerra aveva inferto ferite inguaribili sui nostri animi, sui nostri corpi, sul collegio Cross. Una guerra finita prima di iniziare, ma che si era comunque lasciata dietro morti e macerie. Ognuno portava nel cuore il dolore di una perdita, sul corpo la cicatrice di una ferita in battaglia, addosso la polvere della distruzione, sul viso la stanchezza dei combattimenti, nell'animo la desolazione che ne era seguita.
Del collegio solo un’ala era rimasta in piedi richiedendo agli studenti della day e della night class uno sforzo ancora maggiore per la pacifica convivenza e, ai guardiani, un compito ancora più arduo del dovuto per poterla assicurare.
Le armi forgiate col cuore di Kaname e la potenza sovraumana di Zero avevano scongiurato il pericolo che la razza umana potesse soccombere e scomparire, lasciando spazio ad esseri erranti ed infelici, macchine dei sangue puro, burattini di un’arroganza che avrebbe dominato il mondo portandolo verso un’inevitabile fine catastrofica.
All’alba della nuova era di pace, il direttore Cross, lasciò la poltrona che da anni occupava all’associazione, in favore del suo adorato e meritevole figlioccio, ormai pronto nel cuore, nell'animo e nel fisico, a condurre l'associazione nel suo tortuoso percorso verso una durature pace.
- Ho sempre saputo che ce l'avresti fatta. Il tuo cuore era solo colmo di dolore ma non avrebbe mai potuto essere dominato dall'odio. L'amore che ti è stato dato t'ha salvato e oggi quell'amore salva noi - . Una lacrima scese sul viso di Cross mentre pronunciava le parole di un padre che stringeva quel figlio sfuggente e sempre accigliato che finalmente aveva cominciato a vivere e ad accettarsi. Zero rimase sorprendentemente immobile, e chiudendo gli occhi sembrò voler finalmente godere dell'abbraccio dell'uomo che l'aveva strappato alla solitudine e all'abbandono e che oggi come ieri lo incitava a vivere e rincorrere la luce.
 
- Puliscimi gli stivali Kaito - .Aveva esordito provocatorio Zero, come primo ordine ad un suo sottoposto, non appena si sedette dietro la scrivania.
- Carina la tua ragazza, presidente -. Aveva risuonato Kaito per fargli dispetto.
- Non ci provare! -
- Uhm tranquillo, prediligo la razza umana, quindi gli stivali pulisciteli tu, vampiro! -
- Questa è insubordinazione, Takamiya - !! rispose Zero ridendo.
 
L'ala del collegio distrutta dalla battaglia era ormai un templio abbandonato di colui che alimentava il fuoco della pace. Quel templio, con un inusuale quanto inaspettato guardiano, era la meta del mio consueto pellegrinaggio serale. Ogni notte, dopo le lezioni, andavo a trovare Ichijo e ...Kaname. Ammiravo la devozione e l'amore di Takuma per mio fratello. Dopo il diploma sarei andata via, avrei vissuto intensamente la mia vita, ma lui no. L’amava e forse un giorno sarebbe diventato polvere su quella bara di ghiaccio senza poterlo mai guardare ancora negli occhi.
Da dietro quella lastra gelata che ci divideva, Kaname mostrava un volto quasi sereno, come se prima di spegnersi ancora, avesse trovato la sua pace donandomi la possibilità di una vita felice.
Ci aveva dato la sua benedizione, stringendoci a sé in quell’ultimo struggente abbraccio, prima che le tenebre lo risucchiassero di nuovo, prima che la vita ancora scorresse fuori dallo scrigno che lo conservava, senza che lui potesse afferrarla e viverla veramente.
Ed io strizzavo gli occhi per non piangere, ridandomi forza con la convinzione che un giorno sarei riuscita a donargli un’esistenza da assaporare giorno per giorno così come era stato concesso a me.
Zero mi aspettava sempre alla fine della strada, con la schiena poggiata contro un albero e lo sguardo rivolto alla luna. Mi prendeva la mano e rimaneva in silenzio, conscio di quanto ancora fossi scossa nel sapere il mio nobile fratello in una bara di vetro, ma mi bastava guardarlo negli occhi ormai ridenti perché tutta la malinconia svanisse.
Era sempre stato la mia forza, da quando aveva varcato la soglia di casa Cross. Tutto quello che avevo affrontato con caparbietà lo avevo fatto per lui. Mi ero messa in gioco migliaia di volte per la sua sicurezza, per vederlo sorridere, non solo per lui, ma perché standogli vicino mi sentivo viva e il mondo prendeva sfumature inaspettate.
Tenergli la mano, al chiaro di luna nel giardino del collegio, era l’incantesimo più bello: l’arrogante sangue puro diventava l’adolescente innamorata mano nella mano col suo senpai.
- Ma tu lo sposeresti uno come me? - . Domandò una sera nella sua stanza mentre le sue dita disegnavano luoghi sconosciuti sulla mia schiena. Sorrisi per il modo tutto suo in cui aveva trovato il coraggio di chiedermelo, mentre il mio cuore sembrava volesse uscirmi dal petto per l'emozione. Spalancò gli occhi e arrossì quando si accorse dell'effetto delle sue parole su di me. Gli strinsi le mani fra i capelli affondandovi il naso per sentire il profumo che mi sarebbe appartenuto per sempre: - ce ne hai messo di tempo per chiedermelo sig. Presidente. Credevo di essere una delle tue tante ragazze del sabato sera! -
Rise rumorosamente, come non faceva mai, forse per smorzare la tensione e mi rigirò con la schiena sul letto stendendosi su di me, poi con uno sguardo provocatorio mi prese in giro: - possibile che debba chiederti tutto io? -
- A si? Guarda che é da pochi mesi che hai deciso di sciogliere l'iceberg che conteneva il tuo cuore, prima ho dovuto fare tutto io! -, dissi sorridendo soddisfatta per la risposta a tono.
- Uhm...chi ti ha chiesto di ballare? - Esclamò indispettito.
- Chi ti ha baciato? - , risposi convinta, arrossendo subito dopo essermi resa conto dell'ammissione!
Anke lui arrossì.
- A proposito -  dissi musona, - dov'é che hai imparato a baciare così?! -
- Così come? -
- Non fare il finto tonto, non mi freghi...ti sei esercitato molto in quell'anno d'aria che t'ho concesso! -
- Non dirmi che tu hai fatto la clausura?! -
- La risposta potrebbe sorprenderti. Comunque hai ammesso! -
- Smettila di dire cavolate...non ho ancora sentito la risposta! -
- Credevo non ti servisse -
- Non mi serve, ma voglio sentirlo -
- Si, mille volte si -. Dissi finalmente seria, perdendomi in quel mare ametista.
- Bene signora Kiryuu, preparati a migliaia di notti insonni - Rise. Poi mi baciò e i nostri corpi si sciolsero solo quando il sole disegno i contorni dei rami dei ciliegi sui nostri volti appagati e sulle nostre labbra sporche della linfa dell'altro.
 
Ci sposammo alla fine dell’estate, quando l’aria divenne appena frizzante, le foglie iniziarono ad ingiallire, i diari a riempire le vetrine, i golfini ad affollare i nostri armadi.
- Non preoccuparti per la pioggia - mi aveva rassicurato Ruka, - sposa bagnata, sposa fortunata- .
E dovevo essere davvero fortunatissima visto il modo in cui piovve incessantemente quel giorno.
La chiesa gremita, le lacrime di mio padre, i petali di rosa sulle mie scarpe bianche, il tacchettio sulla navata, il battito assordante del mio cuore. O forse era il suo? I suoi occhi che mi cercavano, come persi nella nebbia e impauriti, fino all’istante prima che incrociassero i miei.
Il tocco delle sue mani tremanti per l’emozione, la profondità della sua voce nel pronunciare quelle parole solenni, la delicatezza con cui mi scoprì il volto e mi guardò come se avesse visto il suo angelo per la prima volta. Il dolce sapore delle sue labbra. Il calore della sua fronte sulla mia….
…il suono delle campane, il riso, i baci e le lacrime. La sua mano stretta nella mia.
Per sempre. Lo voglio. Per sempre.

- Hai dimenticato di nuovo il riso Yuuki - , disse annoiato mentre faceva saltare un' omelette nella padella.
- Oh scusami, ho fatto tardi, erano tutti chiusi! -
- Sei una pessima bugiarda - disse sorridendo, ormai arresosi all’evidente assenza della busta della spesa nella mia mano.
- Vuol dire che mangeremo zuppa di cipolle e omelette…ancora -
- Hai ragione sono imperdonabile -
Click
- Ma cosa fai?! -  Disse sospettoso
- Cosa ti sembra? E’ una foto -
- Lo sai che detesto essere fotografato. Hai la stessa mania di tuo padre per le foto -
- Sapessi quanto gli somigli in questo momento, Zero. Con questo grembiulino a pois sei proprio lo splendido erede di Cross!- Dissi, burlandomi di lui.
Mi avvicinai e lo strinsi forte mentre lui di spalle era intento a cucinare.
- Yuuki…-
- Shhh…non dire nulla, lo so che non devo, ma lasciami almeno sfogare -
- Non serve a nulla la malinconia, non fare in modo che la paura del domani ti privi di vivere intensamente il presente. Io lo so meglio di chiunque altro -.
- Hai ragione -. La voce mi tremava e stavo per scoppiare a piangere, così feci una pausa prima di proseguire, ingoiando ripetutamente aria, per non crollare.
- Lasciami almeno fare foto, Zero. Ho bisogno dei ricordi-.
 
La neve iniziò a coprire i tetti della città, mentre i negozi si riempivano di luci per l’avvicinarsi del Natale e io ricoprivo le pareti di casa delle nostre fotografie più belle.
In questa ci sono Yori e Kaito …voglio metterla qui, vicino a quelle del mio matrimonio per ricordarmi chi c’era.
 

Non avrei mai pensato che finita la guerra il mio peggior nemico potesse diventare il tempo. Spietato, decennio dopo decennio, secolo dopo secolo, mi portava via pezzi di cuore strappandomi le persone a me care, incurante del dolore che arrecava e del vuoto che lasciava. La mia immutabilità era un peso troppo grande da sopportare, quella di mio marito, invece, mi riempiva di falsa speranza.
Ogni notte facevamo l'amore come fosse l'ultima della nostra vita, avidi, come se qualcuno dovesse toglierci con la forza dalle braccia dell’altro nel tempo di un rintocco di orologio. Ci nutrivamo dell’altro lasciandoci profondi segni sulla carne, cicatrici che il tempo non avrebbe sbiadito.
Non sapevo quando sarei diventata la metà di niente.
 
Mentre il mondo cambiava, Anabusa non conosceva arrendevolezza. Aveva trovato la sua missione, la sua ragione, e, nonostante sembrasse impossibile trovare una soluzione, lui rimaneva caparbio come mai l’avevo visto prima.
- Qual è la tua ragione Aidoh? -, trovai il coraggio di domandargli una volta.
Era stranamente invecchiato. Gli anni tra i libri, le ricerche, le biblioteche del mondo, i viaggi, lo avevano un po’ curvato e “ingrigito” ma non era meno affascinante di come lo ricordava la mia non più giovane mente.
- Non è la tua stessa ragione, Yuuki? Corri da me non appena sai che sono di ritorno e non certo per amore delle scienza o per il timore che si possa scatenare ancora una guerra ormai domata. Lo fai per amore, e non sto parlando solo di quello che nutri nei confronti di tuo fratello. Lo fai anche per te, perché non ci sarà ragione per restare quando Zero non ci sarà più. Non c’è nulla di male nel desiderare di vivere da umani e morire come tali, insieme, di vecchiaia. E’ il desiderio di tutti. Ho già perso troppo restando a guardare inerme, ora ho trovato la mia missione e quando avrò la soluzione vivrò, intensamente, e poi morirò, come chi ho amato in un passato che sembra appartenere a milioni di vite fa -.
Aveva ragione. Ancora una volta era il mio egoismo a dominare. L’amore ci rende egoisti, ma anche spaventati.

- Lo voglio- , sussurrai affannata, quella notte stretta tra le sue braccia, mentre mi donava il suo corpo e la sua anima. Si arrestò un istante, tracciò con la punta del naso una linea dal mio collo all’orecchio, poi con voce ansimante rispose: - anche io - Sorridemmo, e i nostri occhi nel buio apparvero come diamanti scintillanti, impreziositi dal bagliore dell’emozione. Ci stringemmo forte, ancora e ancora, lasciando che da tanto amore nascesse una vita nuova, una vita che sarebbe sopravvissuta a noi. A lui.
Volevamo qualcosa che fosse solo nostro, frutto del nostro amore, parte di lui e di me fusi insieme nel miracolo della vita.
Ricordo ancora la sera in cui gli confessai che a breve saremmo stati in tre.
Ero appena rincasata e come suo solito sbuffava e mi rimproverava per le mie dimenticanze.
- Cos'hai? non stai bene? stasera non mi rispondi col tono peperino e ti chiudi per ore in bagno mettendo su il muso, mentre il sottoscritto prepara la cena?....Yuuki...dove sei stata?...sei silenziosa...-
Gli presi le mani e le poggiai sul mio ventre: - Zero...- La voce mi tremava, mentre lui spalancava i suoi splendidi occhi in attesa di ciò che la sua mente aveva già intuito e il suo cuore sperato. - Ha tre settimane. Entro l'estate saremo in tre. Dobbiamo dire al direttore di fare posto alla casa al mare-.
Non riuscì a parlare, ma prese i miei fianchi e mi tirò più vicino a sè poggiando la sua fronte sulla mia, poi sorrise di un sorriso sereno come pochissime volte gli avevo visto fare e respirò profondamente, non aprendo mai gli occhi, godendosi fino in fondo quel momento di estrema felicità. Non so se Zero avesse mai creduto, in passato, che potessimo essere meritevoli di tanta gioia, ma io ero incredula e mi lasciai trasportare da quell'aria leggera, che ci circondava, come una piuma che si libra sulle ali del vento.
 
Mentre i ciliegi ricominciavano a colorare il nostro giardino, Juri cresceva dentro di me, nutrendosi ogni giorno del nostro amore.
Tutte le sere, appena rientrato, Zero lanciava l'impermeabile sul divano e prima ancora di sfilarsi le scarpe, mi baciava, si inginocchiava e metteva un orecchio sul mio pancione. Diceva che le sue giornate erano scandite ormai dal battito di quel cuoricino inconsapevolmente responsabile di infinita gioia.
 
Iniziai così a scrivere un diario perché una volta cresciuta Juri potesse conoscere la storia che aveva coltivato l’amore di cui era il frutto.
Zero era sempre taciturno e lo vedevo osservarmi, allo scrittoio, fare mattina riportando pensieri e sentimenti di un tempo che fu, senza chiedermi mai nulla.
Così un giorno risposi alla sua domanda mai pronunciata perché ogni inesistente dubbio nella sua mente potesse comunque lasciare spazio alla certezza:
- da quando so che deve arrivare nella nostra vita ho iniziato a scrivere la nostra storia. Voglio raccontarle tutto. Sto scrivendo della mia infanzia, della tua, del giorno in cui sono stata ritrovata nella neve, del modo in cui il direttore Cross m’ha cresciuta al tuo fianco, di quello che abbiamo vissuto insieme, di quando ci siamo separati, del tempo passato nella mia casa natale, di mio fratello che si è sacrificato per una guerra inutile, di come la sua mamma e il suo papà si sono innamorati, del nostro matrimonio, di quanto l’abbiamo desiderata e quanto significhi per noi sapere che sta arrivando. Sto allegando foto, ecco perché ne sono doppiamente ossessionata in questo periodo. Ho ritrovato quella del nostro primo giorno di scuola e il Direttore m’ha regalato quelle tue e di Ichiru. Voglio che un giorno legga che è stato il miracoloso frutto di un amore impossibile e che l’abbiamo desiderata e attesa con amore. Lei non lo sa ancora, ma rappresenta la pace nella sua forma più determinante e meravigliosa-.
E Zero senza proferire parola continuò a fissare il giardino dalla finestra, poi infilò le mani in tasca e si diresse verso la cucina sicuramente intenzionato a sfogare i suoi pensieri più bui preparando manicaretti da fare invidia a cuochi sopraffini.
Aveva paura più di me del tempo tiranno, ma uno dei due doveva essere il più forte, il sostegno dell’altro, così ogni giorno indossava una maschera di impassibilità perché potessimo vivere sereni e non lasciarci sopraffare dalla malinconia.
 
Il giorno in cui nacque nostra figlia, il mondo sembrò prendersi una pausa e fermarsi ad osservare quel miracolo di pace. Juri era bellissima, avevi i miei colori, ma i lineamenti, gli occhi “taglienti” e le labbra di Zero. Era bella, ma soprattutto era una creatura sconosciuta al mondo. Non sapevamo quanto avrebbe vissuto, se avrebbe prediletto il sangue al gelato, se avrebbe maneggiato armi anti vampiro, ….se io sarei sopravvissuta a lei.
Avevo incaricato il Direttore Cross di occuparsi delle foto, e quel giorno nessuno di noi ebbe tregua. La peggiore fu quella che mi ritraeva nell’immediato post-parto, sconvolta, sudata e con gli occhi rossi per lo sforzo; la più bella quella di Zero che prende in braccio sua figlia, più scioccato e terrorizzato di me.
La sfiorò come stesse maneggiando un cristallo, inebetito si perse nei suoi occhi nocciola, poi sorrise con lei che allungò una manina sul suo viso, forse ammaliata dagli splendidi occhi del papà.
Eccoli, insieme, padre e figlia. Cross iniziò a singhiozzare e stavolta…io con lui.

- Cos’è questa canzoncina che le canticchi per farla addormentare?- , chiese Zero sbadigliando ormai stravolto da una giornata piena da Presidente, marito e papà.
- Uhm… non ricordo dove l’ho sentita, ma le piace, si addormenta subito -, sorrise Yuuki, con gli occhi che facevano fatica a stare aperti.
- Se vuoi ci penso io, così puoi cambiarti - 
- No tranquillo, dorme, ora arrivo - , dissi sbadigliando, - dango, dango, dango, dango, dango daikazoku -.
 
Non facemmo in tempo ad insegnarle a camminare che arrivò anche Ichiru nella nostra vita, identico a suo padre nell’aspetto, uguale a me nel carattere. Restavo ore a osservarli, tutti e tre, i miei amori, la ragione della mia esistenza, addormentati avvinghiati sul divano, illuminati dal fuoco del camino. Juri abbracciata a Zero dormiva beata, avvolta nei suoi boccoli castani, Ichiru a pancia in giù disteso sul ventre di suo padre, Zero con una mano penzolante giù dal divano e gli occhiali semi sfilati, i capelli arruffati e il libro sul pavimento. Quanto era bella la mia famiglia? Potevo essere più felice di così? Meritavo davvero tanta gioia? Il tempo mi stava illudendo che potessimo conoscere la parole “eternità”, ma era una dolorosa quanto infame illusione.
 
- Essere genitore è il lavoro più difficile del mondo - , sosteneva il Direttore Cross, quando ancora eravamo ragazzini, e doveva scontrarsi col caratteraccio di Zero. - Un giorno me ne darai adito -, diceva convinto. Aveva ragione….
 
- Vado a studiare da un mio compagno di classe -, asserì convinta Juri, mentre si infilava il cappotto e raccoglieva i suoi libri riponendoli nella borsa.
Zero fece un balzo dalla sedia: - dove vai?! -  domandò allarmato, - non ho ben capito - .
- Papà non cominciare, vado solo a studiare per il compito di matematica! -
- Te la insegno io la matematica, come ho fatto con la mamma, non c’è bisogno che tu vada dal tuo “amico” - , disse con aria di sfida.
- I tuoi metodi sono antiquati, papà, sono superati da secoli, non vanno bene - .
- Allora ti accompagno -, strepitò Zero infilandosi in fretta gli stivali.
- No, papà, abita a due isolati da qui, tranquillo, torno per cena -  e sgattaiolò veloce fuori dalla porta di casa prima che suo padre avesse il tempo di replicare.
- Non dici nulla tu eh? - urlò poi voltandosi verso di me.
- Ma, amore, ha 14 anni, lasciale vivere la sua adolescenza -
- Noi non studiavamo fino a sera con gli “amici” a quell’età -
- Uhm Zero io dividevo il bagno e la casa con quello che sarebbe diventato mio marito, a quell’età - , asserii compiaciuta.
- Ma noi eravamo diversi, noi non pensavamo a certe cose, i ragazzi di oggi sono…maliziosi, pensano già a....- disse, non riuscendo a finire la frase, preoccupato.
- eh eh eh…devo ricordarti di quella volta che mi sbattesti contro le piastrelle del bagno, e con quell'aria provocante ti avvicinasti ad un centimetro da me, affannato, dicendo poi che non ero ancora pronta? O di quando mi mordesti di spalle, leccandomi ripetutamente il collo, mentre io ti chiedevo che sapore avevo e fuori dalla porta c’erano decine di persone? -
- …quello…quello non era ...sesso….-
- Ah no?? - . Risi rumorosamente.
- Ecco cosa vuol dire quando tua moglie non ti appoggia! Non sopporto che mi contrasti davanti ai miei figli! - , disse lanciando un’occhiata a Ichiru.
- Vai in camera tua, adesso -, alzò la voce innervosito.
- oooh Zero, quanto la fai lunga! Non fare il vecchiaccio, ma quanti anni hai? Solo perché tu sei un vecchio decrepito asociale dall’adolescenza non vuol dire che anche i tuoi figli debbano esserlo -, risposi arrabbiata.
- Sarò anche asociale, ma sono un padre esemplare. Cosa mi dici di te che non hai mai smesso di fare il ragazzaccio, il maschiaccio paladino della giustizia con l’Artemis tra le mani?! -. Sbuffò contrariato, poi placò il tono di voce, e quasi arrendevole disse: - Meglio che me ne vado a riposare…-
- Si meglio che te ne vai -  asserii indispettita dalla discussione e dai paroloni senza senso che ci eravamo riservati l’un l’altro.
La nostra vita matrimoniale era inusuale solo per la durata, ma per il resto potevo vantarmi di avere una vita coniugale uguale a quella di milioni di mogli. Ci si scontrava per come veniva spremuto il tubetto del dentifricio, perché lui preferiva starsene al calduccio sul divano al sabato sera mentre io volevo uscire, per chi avesse lasciato le scarpe in mezzo alla stanza, per chi avesse tardato da lavoro e non avesse fatto la spesa. Insomma una vita normale condita dal carattere difficile del mio adorato maritino e dalla mia ossessione per il mio tempo infinito.
 
- Ti amo - , mi sussurrò abbracciandomi di spalle mentre finivo di lavare i piatti, nemmeno dieci minuti dopo la “zuffa”.
Sorrisi e ancora mi capitava di arrossire sentendo quelle parole che raramente riusciva a pronunciare disinvolto.
- Ti amo - , gli risposi ormai travolta dal suo immutabile desiderio per me. Sollevò i ciuffi di capelli che scendevano dalla coda disordinata che li raccoglieva e udii il suo respiro farsi più profondo. Le sue labbra sfiorarono il mio collo e la mia testa ruotò all'indietro rispondendo ai comandi dell'istinto. Emisi un gemito all'affondo dei suoi canini nella mia carne, e delle sua mani tra i miei vestiti.
I nostri litigi frequenti duravano il tempo di una battito del nostro cuore e ci ritrovavamo a fare pace tra quelle lenzuola testimoni di centinaia di notti d’amore.
 
Il telefono che squilla in tarda notte è il grido di dolore che segue un addio.
- Yuuki…Anabusa….chiede di te - , sussurrò Ruka dall’altra parte della cornetta.
Era malato da mesi, una cosa inusuale per un vampiro. Taluni dicevano che si fosse nutrito di chissà quale misterioso e contaminato sangue durante i suoi lunghi viaggi, ma erano tutte illazioni, costruzioni mentali di chi non sapeva nulla del mal di vivere del biondo vampiro nonché mio maestro, che aveva sognato un mondo in cui non si fosse prigionieri del tempo.
Aidoh si era ammalato del desiderio irrealizzabile di una fine dignitosa, ed ora quella stessa fine giungeva senza che lui avesse realizzato il suo sogno di pace.
- Ora il testimone passa a te, Yuuki - , disse con un filo di voce tremante tenendomi le mani e guardandomi negli occhi. - Non è ancora finita, continua a cercare - .
Capii solo allora che la vera ragione di Aidoh ero stata io per tutto quel tempo. Si era consumato tra libri polverosi e dimenticati, aveva studiato le lingue del mondo solo perché io fossi felice, perché io potessi concludere la mia vita da "umana", chiudendo gli occhi per sempre, prima dei miei figli.
L'avevo letto, quel giorno, nel suo sangue, quanto desiderasse il mio, ma il suo amore per me, l'aveva spinto, come mio fratello, a tentare di darmi la vita che più desideravo, nel modo in cui volevo assaporarla: da essere umano, accanto a Zero.
Strinsi forte le sue mani tra le mie, mentre sentivo che stava per andarsene per sempre.
- L’hai fatto per me?!…Io credevo fosse per lui, per Kaname e invece...- , non riuscii a finire la frase che presi a singhiozzare, mentre a breve distanza Zero ci guardava angosciato senza riuscire a proferire parola.
- Hei -  disse Aidoh con voce tremante: - tutto avrei voluto tranne che farti piangere, anche io come il tuo oniisama, volevo solo che sorridessi dal profondo del tuo cuore. Questo è quello che ho sempre provato e tu hai sempre saputo. Non guardarmi accigliato, Zero, tra poco non sarò altro che polvere, poi…- , sorrise: - ...poi nessuno ha mai potuto competere con te - .
Mi accarezzò il volto asciugandomi le lacrime, poi riempì la stanza di una nebbia scintillante che lasciò spazio al nulla nel tempo di una lacrima che scivolò sul mio viso affranto.
 
Quella notte non riuscii a chiudere occhio e mentre disegnavo l’infinito sul pavimento del soggiorno, Zero mi guardava nell’ombra preoccupato.
- Se vuoi farlo, se ti senti pronta a portare avanti le ricerche al suo posto, allora fallo, non avere rimpianti. Non dobbiamo arrenderci Yuuki, io e te non l’abbiamo mai fatto e io ti aiuterò - .
Sapeva che avevo bisogno di sentire esattamente quelle parole. Corsi tra le sue braccia, bisognosa del suo calore dopo il freddo lasciato da una giornata di dolore.
- Devo dirti una cosa - , dissi infine coraggiosa: - anche se la cura dovesse essere trovata, non ci sono prove che funzioni su Kaname. Il suo cuore è molto debole e potrebbe non farcela. In quel caso, quando la vita mi avrà già portato via ogni cosa, io… -
- shhh, non c’è bisogno che tu vada oltre. Ho sempre immaginato che alla fine avresti trovato il modo di regalargli tanta luce quanto il suo sacrificio ne ha donata a noi e va bene così, se è quello che più desideri. Sii serena Yuuki. Abbiamo una vita che gli altri sognano. Abbiamo già avuto e stiamo avendo ogni cosa. Non possiamo chiedere di più. E se tutto questo è possibile è anche perché qualcuno un giorno si è sacrificato perché non soccombessimo. Se oggi non siamo polvere e possiamo godere del sorriso dei nostri figli è anche merito suo. Ho scoperto che nulla appaga più del perdono e dell’amore. Me l’hai insegnato tu ed io l’ho perdonato decine di vite fa - .
Sorrisi serena stringendomi a lui. Ancora mi meravigliavo nel constatare che gli bastasse uno sguardo per capire ogni cosa di me. Non occorreva che parlassi, per lui ero un libro aperto e lui per me.
Credeva che non lo vedessi quando nelle notti degli ultimi due mesi andava in bagno e ingerire compresse ematiche e a rigettarle dopo poco, e non perché io non gli bastassi più. Sapeva che dirmelo m’avrebbe tramortita e questo avrebbe arrecato a lui ulteriore dolore, così fingevo di non sapere, e sorridevo al mattino, mostrandomi incurante del colorito poco salutare del suo volto.
Ogni notte era peggio e io mi arrotolavo tra le lenzuola e piangevo, finché una notte le sue urla arrivarono alle camere dei ragazzi e smisi di fare la commedia.
- Zeroooooooo!! - . Urlai atterrita vedendolo privo di sensi sul pavimento del bagno.
- Ragazzi andata a dormire, papà starà bene, andate! Subito! -
Il mio sangue riusciva a placare solo temporaneamente il suo dolore, poi i suoi occhi tornavano cremisi e il suo corpo a irrigidirsi. Ogni giorno peggiorava, e mentre alternava momenti di lucidità a momenti di follia, io alternavo le lacrime ai sorrisi per i miei figli. Ma l’addio era vicino, lo sapeva lui, lo sapevo io…ed era giunto il momento che anche Juri e Ichiru lo sapessero.
- Hai ancora con te quel braccialetto? -, mi chiese una sera con uno sguardo stranamente sereno. Quel giorno sembrava stesse meglio e riuscisse anche ad aiutare i ragazzi con i compiti, ma io a quella domanda non riuscii a rispondere.
- Yuuki?...-
- Zero…non lo userò mai più contro di te! -
- Vieni qua - . Mi prese le mani tra le sue poi con aria solenne pronunciò le parole più tristi che gli avessi sentito dire in tutta la sua vita: - ci siamo, lo sai. Abbiamo sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato, quindi non essere triste - . Non riuscì nemmeno a finire le prime parole che iniziai a singhiozzare. - Non devi piangere, abbiamo avuto più tempo di quanto avessimo mai immaginato io e te, per cui, ti prego, ascoltami. Quando arriverà il momento, anche se non dovessi essere presente a me stesso, portami sotto il ciliegio in giardino, quello dove ci siamo amati per la prima volta e dove abbiamo scelto che sarebbe sorta la nostra casa, parlami di noi, di come ci siamo incontrati, di quanto siamo stati fortunati, poi prendi con le tue labbra ciò che resterà di me e portalo con te, dentro di te, finché vivrai, così non ti lascerò mai - .
Sapevo che forse il giorno dopo non avrei rivisto i suoi occhi, né potuto più assaporare la sua pelle, così lo strinsi forte tra le lacrime e ci amammo per l’ultima lunga notte della nostra vita insieme.
Se ne andò il mattino seguente, sotto il ciliegio, in giardino, mentre guardava per l’ultima volta la sua famiglia tutta stretta intorno a lui. La mia bocca aspirò l’ultimo alito di vita dell’uomo che amavo, le mie zanne ne risucchiarono l’esistenza, perché non mi abbandonasse mai. L’ultimo battito del suo cuore, l’ultima volta che quel mare ametista con cui ero cresciuta si posò su di me, l’ultima volta che quelle mani che mi avevano da sempre accompagnata per le strade della vita strinsero le mie, l’ultimo istante in cui sentii il calore di quel corpo che secoli prima aveva scelto di cingermi per sempre, l’ultima volta che lo tenni tra le braccia prima che scomparisse.
Per sempre. Lo voglio. Per sempre.
E tutta la vita mi passò davanti. Mentre tra le mani stringevo la polvere. I suoi capelli argento che accarezzavo quando non riusciva a dormire, la sua voce che mi diceva
-uccidimi -, mentre si odiava per avermi ferito, i suoi abbracci prima del lungo addio, tutte le volte in cui aveva cucinato per me, il suo abito bianco al nostro matrimonio, il suo sorriso sereno quando gli dicevo che lo amavo, la prima volta che facemmo l’amore, i primi passi dei nostri figli, l’estate al mare col direttore Cross, le mattine di Natale a scartocciare i regali, le nostre infinite litigate, le nostre buffe quanto passionali riconciliazioni.

- Mamma, non puoi continuare così. Sono settimane che non esci da questa stanza. Se resti chiusa qui dentro e infrangi tutte le promesse che hai fatto anche te stessa, papà comunque non tornerà -  disse Ichiru con voce tremante. - Mi manca…ma… così abbiamo perso anche te…prima del tempo - .
Mio figlio aveva ragione, i morti non tornano e io stavo infrangendo tutte le promesse fatte a Zero, ad Aidoh, a Kaname, a me stessa. Dovevo lottare, era quello che sapevo fare meglio.
E proprio mentre stavo per perdermi lo sentivo scalpitare dentro di me, come fuoco che ribollisse nelle vene. Zero mi parlava così, la parte di lui che viveva dentro di me mi spronava a non gettare la spugna, a non farmi sopraffare dal dolore, a non arrendermi. Dovevo farlo per i nostri figli, dovevo farlo per mio fratello, dovevo farlo per la pace.
Così mi risvegliai dal letargo in cui ero caduta e ripresi a cercare con caparbietà, conscia che quella fosse l’ultima cosa rimastami per cui lottare.
 
Avevo cresciuto i miei figli raccontandogli della nostra vita come se fosse stata una fiaba: una principessa ritrovata nella neve, un cavaliere che l’aveva protetta e amata, un re che per amore si era sacrificato per una guerra meschina. Sapevano che un giorno avrei risvegliato Kaname, che avevo sempre descritto come un loro secondo papà, proprio come nonno Cross lo era stato per me e Zero. Quello che non sapevano e che per ridargli la vita avrebbero perso la loro mamma. Ichiru sembrò capirmi subito, il giorno in cui ebbi il coraggio di confessargli i miei intenti,  Juri, invece non riusciva ad accettare che li avrei lasciati.
- Se oggi posso stringere i miei figli tra le braccia, se ho potuto vivere una vita meravigliosa con papà, è perché Kaname col suo sacrificio ci ha permesso di non soccombere. Ho avuto tanto amore, una vita lunga, voi, è giusto che anche colui che si è sacrificato perché tutto questo fosse possibile, possa godere delle medesime gioie. Sarà solo, in un mondo che non conosce e dove le persone che ha amato non esistono più. Voi dovrete essere la sua guida, lui il vostro papà. Un giorno vi darà la mano perché possiate percorrere senza paura, le strade della vostra esistenza, ma per ora dovrete guidarlo voi. Raccontategli di noi, di quanto il mondo che aveva sperato per me è stato più roseo di quanto potessi desiderare, di quanto siamo stati felici. Regalategli i sorrisi che per anni hanno illuminato i nostri volti. Fategli sapere quanto è stato amato e quanto tutto l’amore che ha dato gli viene restituito perché possa goderne anche lui - .
 
Quando sembrava che ogni speranza fosse vana e la cura solo utopia, qualcuno imboccò miracolosamente la via giusta.
Quel giorno il mondo conobbe attimi di sgomento a cui seguì una gioia infinita. Nessuno sarebbe stato più intrappolato dal tempo, nessuno sarebbe sopravvissuto ai suoi cari, nessuno sarebbe stato maledetto e rinchiuso per sempre nella prigione di un’infinita e soffocante eternità di solitudine.
- Direttore Cross, Zero, mamma, papà, Kaname…ce l’abbiamo fatta! -  dissi con voce rotta dall’emozione, mentre, all’istituto di ricerca che avevo fondato alla morte di Aidoh, si faceva festa.
Quella sera, a casa, strinsi forte i miei figli prima di porre nelle loro mani la scelta che avrebbe segnato la loro vita. Juri e Ichiru erano creature ibride, solo per metà ossessionate dal liquido scarlatto della vita, ma volevo che fossero loro a scegliere se avere o meno un’esistenza umana. Così porsi la cura nel palmo della loro mano, li strinsi forte a me, poi ci addormentammo vicini nel lettone in cui tante volte ci si era addormentati tutti insieme, quando ancora Zero illuminava le nostre giornate, mentre la malinconia riempiva i nostri animi stringendoci il cuore. Era la mia ultima notte in quella casa, tra quelle lenzuola, stretta in quegli abbracci, al calore dei corpi dei miei figli.
- Dovete essere sereni. Dovete vivere felici, altrimenti la mamma e il papà ne saranno rattristati. Noi continueremo a librarci come granelli di polvere nell’aria frizzante dei vosti mattini, sulle vostre teste spettinate, sui vostri visi addormentati e poi emozionati dalle gioie della vita. Dentro di voi continueremo ad esistere. Quindi siate la luce l’uno dell’altro e delle persone che amerete - .
Il mattino seguente ci recammo alla tomba dei Kiryuu. E mentre ponevo ciò che restava della Bloody Rose tra le mani invisibili di quel fratello che aveva spinto Zero a non sprecare la sua vita, alzai il volto per parlare ancora una volta al mio cavaliere, i cui frammenti giacevano dentro di me:
- Abbiamo litigato tanto ma sono stata immensamente felice con te, Zero -
Fu l’ultima volta che potei beneficiare del calore del suo sorriso. La sua luce era destinata a spegnersi con me, per sempre, di lì a poco.
Il templio del mio nobile fratello, ormai incustodito dalla morte dell’angelo biondo che l’aveva adorato e venerato per secoli, sembrava un luogo incantato, racchiuso in una folta foresta, proprio come in una fiaba.
Lasciai le mani dei miei figli poi accarezzai il volto dell’ultimo vampiro rimasto al mondo: - Voglio che tu possa vedere la luce del tramonto con gli occhi dell’amore, voglio che tu possa sentire il profumo dei ciliegi in fiore, voglio che tu possa scartocciare i regali sotto l’albero, a Natale, tenendo i tuoi figli sulle ginocchia, voglio che tu possa lamentarti per i prezzi troppo alti del market in centro e per il Ramen scondito. Voglio che tu viva, intensamente, e forse per la prima volta davvero nella tua lunga esistenza. Questo è il mio modo di ringraziarti per la meravigliosa vita che mi hai donato e per farti sapere quanto sei stato inconsapevolmente amato - .
Poi mi chinai su di lui per fargli il dono più prezioso al mondo: la vita.
 
 
L'Anima Vola 
Mica si perde 
L'Anima Vola 
Non si nasconde 
L'Anima Vola 
Cosa le serve 
L'Anima Vola 
Mica si spegne

 
 
- Ichiru, vieni a sederti vicino a me. La mamma avrebbe voluto che anche tu conoscessi tutta la storia -  disse Juri, sedendosi accanto al camino e aprendo il diario. Posò gli occhi su quelle pagine ingiallite dal tempo, sentendo una stretta al cuore, poi si schiarì la voce e iniziò a leggere:
- …E’ fredda…ne…ve…bianca…che significa “bianca”? Che significa “neve”? Qualcosa…che non è rosso…che significa “qualcosa di rosso”? …-
  
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