13. She
Falls
Asleep – Part One
Non
era facile togliersi dalla testa quella lunga cicatrice che segnava il
petto di
Joanna. Era... impressionante: sottile, non del tutto rettilinea, dai
contorni
sfumati. Quanti punti le avevano messo per chiudere quella ferita? Non
era giusto che fossero sempre le persone come Joanna a subire le
peggiori
prepotenze della vita. Era solo un luogo comune, ma quella cicatrice ne
era la
prova.
Era
felice che lei gliene avesse parlato. Anche se era venuto proprio con
quella intenzione, tra le altre, non aveva contato sul fatto che
accadesse
davvero. Era stato certo che Joanna avrebbe negato ogni parola al
riguardo,
dicendogli che non erano fatti suoi e che non era obbligata a parlarne.
L’avrebbe compresa senza dubbio, ne avrebbe avute tutte le
ragioni.
Ma
Joanna si era fidata di lui, era stata quella la cosa incredibile. Che
cosa
aveva detto o fatto per farglielo credere? Niente! Era sempre stato il
solito
Dougie Poynter... Forse era stato più il fatto di avere
qualcosa di spiacevole
in comune a spingerla a fidarsi di lui, anche perchè non
avrebbe saputo come
spiegarselo meglio.
Ma
era comunque contento, molto contento, e capiva anche tante cose.
La
sua timidezza.
La
sua riservatezza.
Il
suo costante ritrarsi, come un riccio spaventato.
La
pressante gelosia del fratello.
C’era
stato tutto un motivo per quello, non era una semplice questione di
carattere o
di mancato rispetto verso di loro, come invece aveva sempre sostenuto
Harry.
Le
persone speciali come te
devono avere dei posti speciali ai nostri concerti...
Le
guance tornarono ad arrossire.
“Doug!”,
si sentì chiamare, alle spalle.
Si
voltò ed alzò gli occhi: da una finestra
illuminata al secondo piano lo
salutava Joanna. Fortuna che in lontananza non si sarebbe mai accorta
del
rossore.
“Stai
attenta a non cadere di sotto, Giulietta!”, le disse.
“Hey,
Romeo! Le manie suicide lasciamole alla fine della farsa!”,
rispose lei,
mettendosi le mani intorno alla bocca per amplificare la sua voce.
“Già...”,
le fece, “Adesso però torna dentro o ti
ammalerai!”
“Ok!”,
disse Joanna, allungando di proposito la vocale
dell’affermazione, “Sta
arrivando il tuo taxi!”
“Buonanotte!”
“Notte! Fai buon ritorno!”
Le
fece un cenno di mano e si voltò, tornando ad appoggiarsi
alla colonna. Dopo
pochi secondi, un’auto bianca si fermò davanti a
lui e lo fece salire.
Cosa
pensi di Danny?
Che
dire... E’...
simpatico, è dolce. E’ un bel ragazzo.
Ti
piace?
Beh...
sì, mi piace...
Era
vero che, nella vita, non tutti i baci significavano il nascere di
qualcosa
in più. Quello che c’era stato tra Danny e Joanna
era certamente, senza ombra
di dubbio, uno di questi. Conosceva abbastanza bene Danny da poterlo
affermare
al posto suo.
Ma
Joanna? Era sicuro di poter dire altrettanto di lei? E se, in quel
momento, se
ne stava in camera sua a pensare a quello che avrebbe potuto esserci
tra lei e
Danny? Incrociò
le dita e sperò di no. Nessuna illusione per Joanna, non ne aveva bisogno.
Si
morse la lingua e, per una volta, si trovò
d’accordo con Harry.
La
volete finire di
prendere per il culo questa povera ragazza! Non se lo merita!
Ecco,
bravo Harry, aveva avuto ragione fin dall’inizio e lo aveva realizzato solo in quel
momento, quando ormai era diventato troppo tardi. Joanna non si meritava di essere presa in giro. Né
da Danny, che l’aveva baciata creandole forse
un’illusione... Né
da lui stesso. L’aveva definita una persona speciale, cioè quello
che lei era veramente: Joanna era una ragazza davvero
speciale, in tutti i sensi possibili di quella parola. E
quando lei si era dimostrata perplessa, aveva ripiegato sulla parola amici.
Di nuovo, le parole taglienti di
Harry gli rimbombarono in testa.
Non
siamo suoi amici, non
siamo nessuno, solo i McFly.
Non poteva offrirle la sua amicizia:
non tanto
perchè gli piaceva, perchè era attratto da lei, ma
soprattutto perchè Joanna
aveva davvero
bisogno qualcuno che fosse presente per lei, nei suoi momenti
più bui, e lui non poteva farlo, non poteva esserci per lei.
Anche se avrebbe voluto con tutto il suo cuore, non poteva essere suo
amico. Non voleva farle
del male,
lei aveva già sofferto abbastanza...
Dio, che cosa aveva combinato?
Appena
quella
domanda gli si formulò in testa, la stanchezza della giornata
gli cadde addosso in un momento. Mentre camminava verso
l’ascensore
dell’hotel, si stropicciò più volte gli
occhi e, una volta uscito dall’abitacolo,
al suo piano, si frugò stancamente nelle tasche in cerca
della chiave
magnetica.
Ma
dove cavolo era finita...
“Poynter?”
Dougie
fissò lo sguardo davanti a sè, sul legno
insonorizzato della porta della sua
camera.
Merda...
Chiuse
la finestra ma, invece di sedersi sulla comoda sedia a dondolo, che
dava un
tocco retrò a quella stanza in stile moderno come il resto
della casa, rimase
appollaiata sull’ampio davanzale, ad accumulare il calore che
emanava il
termosifone sotto di esso. Le mani penzolavano sulle ginocchia unite,
lo
sguardo cadeva sui suoi piedi, nascosti in due comode pantofole spumose
a forma
di befana foruncolosa.
Provava
una bellissima sensazione, totalmente sconosciuta. Non aveva mai saputo
come ci
si sentiva dopo aver confessato un fatto personale così
grande e difficile. Leggera,
molto leggera, come se avesse gettato dall’ultimo piano di un
grattacielo
altissimo un macigno più grosso di lei, sospinto con una
fatica immane. Anche
se tutto aveva iniziato ad affievolirsi lentamente, Joanna era comunque
felice.
Era orgogliosa di se stessa, aveva fatto una cosa che si era negata da
sempre,
imparando quanto fosse vero il detto mai
dire mai.
Semplicemente
stupefatta, Dougie era stato a sentirla con attenzione ed interesse.
Era venuto
per scusarsi, ma soprattutto per sapere, le aveva detto.
Incredibile.
Se
fosse stata in camera sua, sicuramente, avrebbe passato le ore a
fissare il
loro poster, chiedendosi se tutto quello era la vita reale. Certo che
lo era,
anche se continuava ancora a sembrare un filmetto americano prodotto
per
adolescenti con problemi di acne e l’apparecchio sui denti
storti.
Le
persone speciali come te
devono avere dei posti speciali ai nostri concerti!
Surreale.
Incomprensibile e fuori dal mondo.
Speciali
come.. gli miei
amici.
Amici...
“Amici...”,
ripetè, sottovoce, come se fosse stata una parola magica di
cui non si
conosceva l’incantesimo che evocava.
Vicino
a lei, nella parete di fronte, un lungo specchio fissato al muro che
rifletteva
la sua immagine stupita. Si fece la linguaccia, poi sorrise a se stessa.
La
gente era amica degli altri, non di lei.
Dougie
Poynter è tuo amico.
Quello
che per gli altri era una banalità assurda, per lei non lo
era affatto. Poteva
sembrare stupido, tutti al mondo aveva un amico su cui contare, con cui
uscire
e confidarsi. Ma non lei.
Era
così strano averne trovato uno.
Le
veniva da storcere il naso, ma era la realtà, Dougie Poynter
era suo amico. Lo
aveva detto lui stesso.
Era
ancora tutto troppo fresco per riuscire a razionalizzare, avrebbe fatto
meglio
ad andarsene a letto ed ascoltare i consigli della notte. Si sedette su
di
esso, si tolse le pantofole ed entrò sotto al morbido
piumone d’oca, che la
riscaldò in un attimo.
Era
lui.
“Doug?”,
chiese ancora una volta.
Dougie
sospirò e si voltò, a testa bassa.
“Che
fai?”, gli domandò.
“Beh...
io...”, balbettò Dougie, “Sono sceso a
prendere qualcosa da bere.”
Danny
annuì.
“Vestito
di tutto punto?”, fece, incredulo.
“Perchè
no?”, ribattè Dougie.
“Tu...
che sei sceso per tre mattine di fila a fare colazione in
pigiama?!?”, continuò
Danny, “Dove sei stato?”
Era
certamente uscito, non aveva avuto nessun mal di pancia e stava
tornando
proprio in quel momento. Aveva mentito, lui se n’era andato
per fatti suoi.
Perchè?
Ah
già...
“A
fare un giro per fatti miei, dopo che mi è passato il mal di
pancia.”, disse
Dougie, con risoluzione, “Avevo bisogno d’aria e
sono uscito.
Basta.”
Danny
si grattò la testa. Non era un stupido, aveva capito che era
stato da lei.
Ma
perchè farlo di nascosto?
“Andiamo
Doug, non dire cazzate.”, gli fece, mantenendo un tono basso
per l’ora tarda e
il rischio di svegliare qualche ospite.
Il
suo amico sbuffò e scosse la testa.
“Senti,
Danny, sono stanco, vorrei andare a letto.”, disse poi,
infilando la sua
tessera nella fessura della porta.
“Ok.”,
gli rispose.
Girò
sui tacchi e andò verso la sua stanza, a qualche metro da
lì. Erano tornati
circa dieci minuti prima, dopo un paio di birre in un locale squallido.
Com’era
possibile che in tutta quella città non ci fosse qualche
posto carino in cui
passare le serate? Forse erano loro che non erano stati capaci di
scovarli?
Decisamente sì, altrimenti sarebbe stato incredibile.
Se
Doug non si fosse sentito male, avrebbe colto l’occasione per
scusarsi con lui,
fare pace e buttarsi quella cazzata alle spalle. Ora, invece, se ne
stava
sdraiato sul letto a chiedersi perchè aveva mentito a tutti
loro. Era indubbio
che a Dougie piacesse Joanna e fosse andato da lei di nascosto, o non
avrebbe
mai fatto una cosa del genere. La cosa non lo disturbava, se non un
poco. Beh,
anche a lui piaceva quella ragazza, ma mai sarebbe arrivato a fingersi
malato
per vederla.
Si
tolse le scarpe, la camicia ed i pantaloni, rimanendo in boxer e
t-shirt, faceva sempre dannatamente caldo in quella stanza d’albergo.
Si buttò di nuovo
a peso morto sul materasso, rimbalzando, e si mise le mani dietro la
testa in
riflessione.
Era
fuori discussione, stavano dando troppa importanza ad una cosa che non
ne aveva
molta. Ok, avevano litigato ma era già successo moltissime
altre volte e tutto
si era sempre sistemato nel giro di poco tempo. Avrebbe voluto scendere
dal
letto ed andare e scusarsi in quel momento, in mutande, ma non lo
avrebbe
fatto. Perchè?
Perchè
lui se n’era andato da lei senza dirglielo, ecco
perchè! S’era nascosto come un
cane, quando avrebbe potuto benissimo chiedergli se poteva farsi da
parte
perchè a lui, Dougie Poynter, evidentemente, Joanna piaceva
molto di pìù
rispetto a lui stesso, Danny Jones.
Sentì
bussare alla porta, doveva essere Tom. Prima di entrare nelle loro
rispettive
stanze aveva farfugliato qualcosa ed capito solo ‘ci vediamo dopo.’
Si
alzò ed andò ad aprire.
“Ah...”,
fece, vedendo Doug a testa bassa, davanti a lui. E adesso cosa voleva da lui? Litigare a notte fonda?
“Senti...”,
disse l’altro, “Devo dirti una cosa...”
Danny
rimase per qualche secondo perplesso, ma si spostò
dall’entrata e lo fece
passare. L’amico si sedette a cavalcioni
sull’angolo del letto, Danny liberò
dai suoi vestiti la sedia che stava vicino allo specchio e si
accomodò di
fronte a lui.
“Cosa
vuoi dirmi?”, gli fece. Mantenne la calma, lasciò
i toni polemici al momento
appropriato.
“Beh...
uhm... dovresti chiamarla.”, disse Dougie, dopo una sonora
grattata di testa e
una certa incertezza.
Danny
si fece ancora più incredulo.
“Cosa?”,
esclamò.
Dougie
appoggiò le braccia sulle gambe e strusciò le
mani tra loro, annuendo.
“E...
per quale motivo mi dici di farlo?”, gli chiese.
“Perchè...
non se lo merita.”, rispose Dougie.
Non
ci stava capendo più niente.
“Doug,
non vedo il senso di tutto questo.”, gli disse.
“Non se lo merita.
Tutto qui.”, rispose
l’altro.
Silenzio.
“Dan,
non fare lo stronzo con lei.”, aggiunse ancora Dougie.
“Poynter,
ascoltami, non ci sto capendo un cazzo.”, protestò
Danny, “Lo so che a te
Joanna piace... e molto più di quanto piaccia a
me.”
“Non
è vero.”, negò ancora.
“Piantala.”,
lo seccò Danny, “Piantala di dire
stronzate.”
“Jones, prendi
quel cazzo di telefono e
chiamala.”, disse poi, indicando un punto imprecisato dietro
alle sue spalle,
per esortarlo.
“Perchè
hai mentito e sei andato da lei, senza dirci niente?”, gli
domandò
provocatoriamente
“Non è
questo quello che importa.”, disse lui,
“Tu chiamala e chiedile scusa per quello che hai fatto...
tutto quello che le hai
fatto.”
“No.”,
si oppose Danny, “Ora mi devi dire perchè sei
andato da lei di nascosto.”
Dougie
sbuffò.
“Chiamala.”,
ripetè.
Era
deciso, irremovibile.
Danny
lasciò la sua sedia, scuotendo la testa contrariato, e
frugò nelle tasche dei
suoi pantaloni. Prese il telefono e, raccogliendo dalle dita di Dougie
il solito
foglietto sul quale stava ancora scritto il messaggio di Joanna, compose
il suo
numero.
Nell’attesa,
passeggiò stancamente nella stanza finchè non si
sedette. La
chiamata si stabilitì quasi istantaneamente ma ancora Joanna non rispondeva. Era
mezzanotte e
mezza passata, sicuramente la stava trascinando via dal mondo dei sogni.
Il
rumore della porta che si chiudeva attirò la sua attenzione.
Dougie se n’era
andato.
Maledetto
Poynter.
“Miki... cosa vuoi...”, disse
un’italiana
impastata, dall’altro capo della linea.
“Joanna? Sei
tu?”, le domandò. Sì che era lei,
ma era tanto per accertarsene.
“Ma... chi è...”, perseverò lei nella sua lingua madre.
Era
nel pieno sonno.
“Ehm...
sono io, Danny...”, le disse, mordendosi il labbro inferiore.
“Sì,
lo so, mancano esattamente...”, allontanò il
cellulare dall’orecchio, “Dieci
minuti all’una.”
“Eh... stavo dormendo...”, e
sbadigliò.
“Scusami,
è che...”, si trattenne dal dare la colpa a Dougie.
“Non...”, sbadigliò,
“Un’altra volta?”
“Hai ragione, ma
non avremo molto tempo nei
prossimi due giorni... e sabato partiamo.”, le
spiegò.
“Uhm... ok...”, disse Joanna.
Che
cosa doveva dirle? Che si scusava per il bacio, oppure per aver
insistito nel
volerle dare una mano quando lei ne aveva avuto
bisogno?
“Danny?”, lo chiamò
lei.
“Oh
sì, scusami.”, le disse, “E’
che... stavo pensando...”
Non
sapeva cosa dirle.
“Senti...”, lo
anticipò Joanna, “So che
ho sbagliato a trattarti in quel
modo... ma tu non mi hai dato scelta.”
“Joanna,
io volevo solo aiutarti!”
“Lo so!”, disse lei, “Lo so benissimo ma... non desideravo il tuo
aiuto...”
“Ah...”,
riuscì a dire, “E... perchè?”
“Perchè...”, disse
Joanna, “E’ troppo complicato... da spiegare. E non voglio farlo adesso. Come faccio a fartelo capire...”
“Beh... Non ti preoccupare, ti capisco...”
Allora
era davvero lui che doveva farsi perdonare. Non lei...
“Ti
chiedo scusa.”, le disse, “Pensavo che tu avessi avuto
bisogno di me.”
“Beh... io avevo bisogno di qualcuno, è vero... ma non di te...”, gli rispose
Joanna, “Credimi Danny,”,
sbadigliò ancora, “Ho
apprezzato che tu ti sia offerto... Davvero...”
“Mi
consolerò con questo.”, le disse, con tono
ironico. La sentì ridere piano.
“Ehm... Devo scusarmi anche per non averti richiamato, non
è stato carino da
parte mia..”
“Non ti... preoccupare.”,
rispose Joanna,
tra uno sospiro assonnato e l’altro.
“Non
vorrei che tu pensassi che io sia... uno stronzo, ecco.”
“Lascia stare...”
“Insomma,
non è da me comportarmi così.”,
continuò a dirle, visto che ormai era entrato
in argomento, “Forse penserai che sono il tipo che si diverte
con le ragazze
ma...”
Sì,
si divertiva eccome, ed anche tanto, ma non era tanto un tipo da... una
botta e
via. Non disdegnava assolutamente questo genere di relazioni, ma non
era il Don
Giovanni che si credeva... e che lui aveva fatto credere. Prima di
tutto, il
rispetto verso il prossimo, era questo quello che aveva imparato
davvero dalla
vita.
“Se
do un bacio, un motivo c’è sempre.”,
disse, infine.
Dall’altra
parte della chiamata, sentì un borbottio soffuso.
“Little
Joanna?”, la chiamò, “Ci sei
ancora?”
Niente,
solo il suo respiro leggero.
Danny
chiuse la chiamata sorridendo.
Si
è addormentata.
Ok, parto subito con le scuse personali: rileggendolo, questo capitolo mi sa un po' di soap opera... Sì, non ne sono affatto soddisfatta. Per niente, ma ormai è venuto fuori così e, nonostante i taglia e cuci che ho fatto durante la correzione, non ne sono comunque contenta. Beh, spero che non mi ucciderete ^^
Date veramente un ascolto veloce alla canzone che dà il titolo a questo capitolo, cliccando sul titolo stesso... Questa canzone, She Falls Asleep, è realmente divisa in due parti: la prima, la suddetta, è la parte strumentale, di introduzione alla seconda... Ed infatti ci sarà un altro capitolo, molto più in là, che si intitolerà She Falls Asleep Part Two ^^ Coerenza fino in fondo!
Dicevo, date un ascolto... è veramente bella. Sarà che a me piace il pianoforte in tutte le salse, non a caso la mia 'canzone' preferita è la sonata al chiaro di luna di Beethoven. ^^
Ma presto con i ringraziamenti!
Kit2007: eheheh, spero che matematica non ti abbia sotterrato per la sua difficoltà ^^ e non ho chiamato la neuro stavolta, ma la prossima lo farò! Vediamo cosa mi dici di questo capitolo... sono proprio curiosa!
CowgirlSara: ti sei ripresa dalla storiaccia? Spero di sì, ho troppa voglia di fare una classifica per il tuo capitolo ^^ Non ti chiederò mai per quale coppia tifare perchè, come piace a me da sempre, fino alla fine della storia non si saprà mai cosa succede tra Joannina e il masculo di turno... Eheheh, vabbè che sto capitolo è un po' troppo risolutivo per certi aspetti... ma non ti credere che la mia mentaccia malefica non ribolla qualcosa... Ormai mi conosci!
Princess: Oh meine Liebe! Nella furia dei preparativi del nostro matrimonio, ho trovato il tempo per darti un nuovo capitolo! Spero non cambierai idea su di me, oh meine Liebe XDDDD E come sempre hai colto i momenti fondamentali della storia, non ne hai mancato nemmeno uno. Hai sottolineato tutto il sottolineabile, o meglio, tutto quello che nel capitolo è stato un indizio importante... E spero che il cambiamento di Dougie non sia stato così incomprensibile... ma soprattutto ingiustificabile. Prometto che la sua posizione si approfondità ulteriormente!
Ciribiricoccola: Altolà Passoide! So cosa stai pensando di Dougie, lo so, lo so. Adesso calmati, posa l'ascia di guerra e rifletti con me... Dougie è tanto dolce e caro, Dougie è tanto dolce e caro...
Picchia: Baciamo... So già che sarai perplessa dopo questo capitolo... Avanti, esponimi tutti i tuo dubbi!
Lady Vibeke: MS! Hai capito tante cose rimaste in sordina alle altre... come sempre, tu e l'altra Paola mi stupite nelle vostre recensioni! Mi raccomando, non ti far sotterrare dagli impegni, torna ogni tanto su msn! Ci manchi!!!