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Autore: ChibyLilla    08/12/2013    1 recensioni
Mickey è un aspirante medico, Ian un ragazzo che apparentemente si fa male troppo spesso.
“Sono la tua prima volta?” domandò il più piccolo, fingendo stupore. “Mi sento onorato!”
Mickey avrebbe voluto rispondergli a tono. Magari evitando di essere sgarbato, poiché era pur sempre di fronte al proprio responsabile, ma avrebbe voluto davvero trovare una risposta adatta a fargli capire quale era il suo posto.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mickey Milkovich
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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La prima volta

 

La prima volta in cui Mickey vide Ian Gallagher al Mercy Hospital, il rosso aveva un polso rotto ed un taglio al braccio sinistro.

Mickey era al suo secondo mese di tirocinio e stava seguendo il dottor Lishman nel suo interminabile giro attraverso il pronto soccorso. Ascoltava distrattamente l’uomo farneticare qualcosa a proposito dell’importanza di indossare i guanti sterili prima di toccare qualsiasi strumento e di rivolgere sempre un sorriso al paziente, punto sul quale Mickey avrebbe voluto dissentire.

Per di più, in ormai due mesi di lavoro col dottore, Mickey non aveva avuto modo di mettere un dito su nessun paziente, aveva semplicemente seguito Lishman, guardandolo compiere il suo lavoro, osservando con impazienza ogni suo gesto.

Arriverà il tuo turno, gli aveva detto una volta il dottore, intanto guarda e impara. E Mickey aveva iniziato ormai a perdere le speranze. Prima o poi quel vecchio sarebbe andato in pensione e Mickey avrebbe potuto fare il medico.

Il moro camminava a fianco di Lishman, annuendo distrattamente, fingendo di ascoltare le sue parole, quando il dottore si fermò al centro del corridoio, costringendolo a fare lo stesso.

“Oggi è il tuo giorno fortunato, Milkovich,” gli disse, aspettando di avere la sua completa attenzione prima di continuare. “Lui,” proseguì, indicando un punto indefinito all’interno di una delle stanze di fronte a loro, “è la persona giusta su cui fare pratica.”

Mickey a quel punto era un po’ più attento, il suo sguardo fisso verso stanza che il dottore aveva indicato. Speriamo almeno che sia un caso interessante, pensò tra sé e sé, leccando istintivamente l’angolo delle labbra con la punta della lingua.

“Quel ragazzo ha passato praticamente più tempo qui dentro che a casa sua. In effetti era strano che non si facesse vivo da un po’,” cominciò a riflettere l’uomo e Mickey smise di ascoltare nuovamente, certo che fosse ricominciato un lungo ed interminabile monologo. “Ha una straordinaria resistenza al dolore, quindi non preoccuparti di fargli male. Oh e sii gentile con lui, è solo un ragazzo.”

Mickey fece cenno di aver capito un attimo prima di entrare nella stanza. Si fermò dietro al dottor Lishman, alla sua sinistra, aspettando che fosse lui a parlare e lanciando un’occhiata di sfuggita al ragazzo seduto sul lettino, il braccio sinistro provvisoriamente fasciato, la garza sporca di sangue.

“Ciao, Ian!”

“Ned!”

Mickey spostò rapidamente lo sguardo sul proprio responsabile. Lui era abituato a chiamarlo dottor Lishman; le infermiere, i colleghi, i pazienti, tutti lo chiamavano così. Mickey non si sorprese di non sapere neppure che il nome dell’uomo fosse Ned. Quel ragazzino invece sembrava essere piuttosto in confidenza con lui, piuttosto a suo agio, nonostante il camice ed i capelli grigi che, Mickey doveva ammetterlo, incutevano in tutti una certa soggezione. Non poté fare a meno di provare una certa curiosità nei confronti di quel ragazzo a prima vista così … particolare.

“Che ti è successo stavolta?” domandò il dottore, facendo cenno a Mickey di avvicinarsi.

Il ragazzo dai capelli rossi, di cui Mickey aveva puntualmente dimenticato il nome, si limitò ad una scrollata di spalle. “Sono caduto dalle scale,” poi deviò la conversazione su altro. “Un nuovo specializzando, eh?”

A sentirsi chiamare così, Mickey si ritrovò a roteare gli occhi. Quella parola non gli piaceva proprio. E quel ragazzo era un po’ troppo impertinente per i suoi gusti, anche solo il timbro troppo alto della sua voce infastidiva Mickey.

“È bravo?” domandò ancora il rosso.

Lishman scrollò le spalle, lasciandosi sfuggire una smorfia divertita. “Non so, me lo vuoi dire tu? È la sua prima volta!”

“Sono la tua prima volta?” domandò il più piccolo, fingendo stupore. “Mi sento onorato!”

Mickey avrebbe voluto rispondergli a tono. Magari evitando di essere sgarbato, poiché era pur sempre di fronte al proprio responsabile, ma avrebbe voluto davvero trovare una risposta adatta a fargli capire quale era il suo posto. Però di fronte a quegli occhi verdi e a quel sorriso ingenuo non gli erano proprio venuti commenti intelligenti. Strano, perché Mickey era una persona dalla risposta sempre pronta.

Comunque, mentre lui si perdeva nei meandri della propria mente, il rosso continuava a parlare a sproposito. “Beh, spero che non sia come l’altro. Te lo ricordi, Ned? Come si chiamava? Ros?  Forse Todd! Il tipo che faceva cadere le pinzette. Mi ha lasciato anche la cicatrice, guarda!”

Quando Mickey alzò lo sguardo verso di lui, il rosso indicava una linea bianca appena sotto il sopracciglio sinistro.

“Sono certo che non ti resterà nessuna cicatrice stavolta,” sorrise affabile il dottore, dando a Mickey qualche direttiva tecnica su come preparare l’anestesia e ricordandogli un’ultima volta da dove partire per le suture. “Milkovich, non perderlo di vista per nessun motivo e non dargli niente, è allergico quasi a tutto e comunque non ne ha bisogno. Buon lavoro!” con quelle parole, il dottore riprese il proprio giro, lasciando Mickey in compagnia del ragazzo dalla lingua lunga.

Leggermente a disagio, il moro preferì voltarsi, evitando accuratamente di incontrare ancora lo sguardo del ragazzo e preparando l’anestesia. Alle sue spalle, il rosso batteva ritmicamente i piedi contro lo scheletro di metallo del letto, probabilmente per il solo gusto di irritare Mickey.

“Che c’è? Ned non te lo ha detto?” domandò ad un certo punto Ian.

Quando Mickey si voltò verso di lui con un sopracciglio alzato, il rosso fece spallucce. “Dovresti sorridere, essere gentile. Sai, stai per infilarmi un ago nella pelle per poi ricucirmi, sarebbe meno inquietante se sorridessi.”

Mickey fece schioccare la lingua, “Preferisci che io sorrida e poi ti faccia male, o che mantenga la faccia che ho e non ti faccia sentire dolore?”

Ian sorrise. Anzi, ghignò. Mickey era proprio certo che il suo fosse un ghigno, mentre rispondeva piano, “Sembri sicuro di te.”

Non si sforzò di capire se il suo tono fosse compiaciuto o ironico, si preparò semplicemente a suturare.

Mentre l’ago affondava nella carne del ragazzo, Mickey si ritrovò a pensare che il dottor Lishman non lo aveva affatto sopravvalutato. Aveva visto uomini molto più grandi e robusti di quel ragazzino lamentarsi per molto meno, mentre lui non emetteva neppure un fiato.

“Ahi!”

Mickey alzò appena lo sguardo, Ho parlato troppo presto. “Fatto male?” Eppure era stato attento, era certo che le sue mani non avessero tremato, che l’ago non fosse penetrato troppo a fondo.

“In realtà no,” sorrise il rosso, “Sei bravo. Forse un po’ troppo sicuro di te, però.”

Mickey sbuffò, riprendendo il proprio lavoro. Cosa ne vuol sapere lui se sono bravo o no, pensò, sistemando una fasciatura intorno al suo braccio. “Ecco fatto.”

Il rosso abbassò lo sguardo sul pavimento, arrossendo appena. “Mh, non ho finito però. Ho il polso rotto,” continuò, sporgendo timidamente l’altro braccio, in modo che Mickey potesse dare un’occhiata.

“Magari è solo slogato. Chiamo il dottor Lishman, comunque.”

Ian  sembrava profondamente oltraggiato dalle parole di Mickey, per questo motivo quando il dottor Lishman entrò nella stanza lo trovò imbronciato, ancora intento a giocherellare con i piedi contro il bordo del lettino.

“Cosa c’è, Ian?” chiese, scompigliandogli i capelli con una mano.

Il ragazzo guardò Mickey con l’espressione più triste di cui fosse capace, “Non crede che mi sia rotto il polso,” spiegò, mentre il dottor Lishman controllava l’arto in questione, strappandogli finalmente un gemito di dolore.

Mickey sospirò. “Non ho detto che non gli credo, ho solo detto che non può esserne sicuro,” fu costretto a rispondere, tanto per essere certo di non cacciarsi nei guai col proprio responsabile. Anche se a ben pensarci, quello scambio di battute sembrava proprio un battibecco tra bambini ed aveva ben poco di professionale. Dannato ragazzino.

“Milkovich, accompagnalo a fare una lastra. Non lasciarlo da solo.”

Mickey guardò Ian un po’ perplesso, indicandogli la strada. In fondo come prima esperienza non stava andando poi tanto male.

Dopo qualche momento di silenzio, Ian riprese a parlare, la voce più bassa rispetto a prima, il tono più serio. “Mi dispiace.”

“Per cosa?”

“A quanto pare non ti libererai di me ancora per un po’, quindi ti perderai il resto del giro.”

Mickey non aveva molta voglia di continuare quella conversazione, ma sarebbe stato poco carino, anche per i suoi standard, ignorare il ragazzo. “Tranquillo, non perdo granché,” rispose, forzando un sorriso.

Ian lo guardò un po’ stupito. “Sei il primo a dirlo. In genere gli specializzandi pendono dalle labbra di Ned. Il che è ridicolo, perché pensano di più a far buona impressione su di lui che sul paziente,” spiegò, indicando se stesso alla fine della frase.

 

“Ah si?”

Mickey riusciva a capire la sintonia tra Lishman ed Ian: entrambi amavano parlare troppo.

Comunque il rosso chiarì subito la precedente affermazione. “Tu mi piaci invece. Non ti preoccupi né di Ned né di me, preferisci fare il tuo lavoro.”

Mickey non poté fare a meno di guardarlo con la coda dell’occhio. Quanti anni poteva avere quel ragazzo? Forse quindici, sedici al massimo e si ostinava a parlare come un adulto.

“Ah si? Tu invece preferisci parlare troppo invece che guardare dove vai, o non saresti qui,” rispose, indicando al rosso la stanza in cui entrare.

Ian si limitò ad una scrollata di spalle, eseguendo il comando ricevuto.

Dopo quel commento non  parlarono molto, cosa della quale Mickey si convinse di essere soddisfatto. Ian aveva messo il broncio e lo aveva mantenuto per tutto il tempo in cui avevano aspettato i risultati della radiografia, costretti a restare nella stessa stanza. Mickey aveva finto di ignorarlo, giocando al cellulare e guardandolo di tanto in tanto, quando era certo che l’altro non lo potesse vederlo.

Ian era rimasto in silenzio, lo sguardo fisso su una parete. Aveva appena sogghignato quando aveva avuto conferma di aver ragione, guardando Mickey con la classica espressione da Te lo avevo detto, mentre un altro dottore gli metteva il gesso al braccio, ma non aveva proferito parola.

Non lo aveva neppure salutato andando via. Non che Mickey se lo aspettasse, sia chiaro.

Ed eccomi di nuovo qui!

Su questa storia non ho molto da dire, spero che vi intrighi almeno un po' :)

  
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