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Autore: Paradoxofmyself    08/12/2013    4 recensioni
«André! André! Vieni subito qua!» gridò il padre al bambino.
«Quante volte ti ho detto che non devi giocare nel fango dopo che ha piovuto?!» continuò a sgridarlo il signore. «Non è un comportamento adatto a una bambina della tua classe sociale!» la bambina finalmente distolse lo sguardo dalle sue mani sporche di fango e guardò il padre con enormi occhi blu come il mare profondo. Si, era una bambina, anche se il nome che le era stato dato non era molto adatto per lei. Ma il padre, sapendo che la moglie sarebbe morta prima di vedere la bambina nascere, le aveva promesso che si sarebbe preso cura lui del figlio, e che l'avrebbe chiamato André come era la tradizione della famiglia. Si trattava infatti di una famiglia di aristocratici, marchesi, per la precisione. Erano i marchesi di Laverte, di origini, come si può capire dal nome, francesi. Perciò la bambina era stata cresciuta come un maschio, o per lo meno la badante della bambina aveva cercato di farlo rimanendo fedele alla promessa fatta alla madre, incurante delle proteste del padre. Il nome completo della bimba era effettivamente Marie André, ma era stata soprannominata da tutti André.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologue
 
 
 
 
«André! André! Vieni subito qua!» gridò il padre al bambino. 
«Quante volte ti ho detto che non devi giocare nel fango dopo che ha piovuto?!» continuò a sgridarlo il signore. «Non è un comportamento adatto a una bambina della tua classe sociale!» la bambina finalmente distolse lo sguardo dalle sue mani sporche di fango e guardò il padre con enormi occhi blu come il mare profondo. Si, era una bambina, anche se il nome che le era stato dato non era molto adatto per lei. Ma il padre, sapendo che la moglie sarebbe morta prima di vedere la bambina nascere, le aveva promesso che si sarebbe preso cura lui del figlio, e che l'avrebbe chiamato André come era la tradizione della famiglia. Si trattava infatti di una famiglia di aristocratici, marchesi, per la precisione. Erano i marchesi di Laverte, di origini, come si può capire dal nome, francesi. Perciò la bambina era stata cresciuta come un maschio, o per lo meno la badante della bambina aveva cercato di farlo rimanendo fedele alla promessa fatta alla madre, incurante delle proteste del padre. Il nome completo della bimba era effettivamente Marie André, ma era stata soprannominata da tutti André.
«Allora? Che aspetti a venire qui?» riprese a chiamarla il padre. La bambina con i grandi occhi blu aveva anche dei bellissimi boccoli castano chiarissimi, che alla luce sembravano dorati. Per una bambina sarebbe stata anche una cosa positiva, ma per un ragazzino non era il massimo venire chiamati “boccoli d’oro” dalle cameriere. Perciò le erano stati tagliati molto corti, fin sopra le orecchie, lasciando scoperta la voglia a forma di stella che aveva sulla spalla destra.
«Eccomi!» fu finalmente la risposta di André.
 
Pianto. Il suono che André sentiva dalla sua camera da letto era sicuramente quello di un adulto che piange. I loro singhiozzi sono facilmente distinguibili da quelli dei più piccoli perché i grandi cercano sempre di soffocarli, come se fossero sbagliati; in realtà, ogni tanto un bel pianto è quello che serve per potersi poi risollevare più forte il giorno dopo.
Ma questo, una bambina di dieci anni non lo sapeva, così come non sapeva che l’ultima cosa che il padre voleva era che la bambina capisse quello che stava succedendo. Perciò scese dal suo letto, a piedi scalzi, e si incamminò verso il salotto dove proveniva il pianto. Ciò che il padre vide arrivare fu un ragazzino un po’ mingherlino per la sua età che scendeva le scale e gli veniva incontro. E nonostante fosse scalzo, gli volle un gran bene, per il semplice fatto di esistere.
«Cos’hai papà?» chiese innocentemente André.
«Niente piccolo, niente» rispose paterno, abbracciandolo. Col passare degli anni, si era finalmente arreso a chiamarla come facevano tutti i loro conoscenti: come un maschio. Ma al momento non era il fatto che la sua bambina sognasse di diventare un cavaliere piuttosto che la principessa a preoccuparla: c’era il fatto che i soldi della famiglia non gli bastavano più a mantenere una casa, e che dovevano trasferirsi con i pochi averi che ormai appartenevano loro in un’altra città se non addirittura in un altro stato, e ricominciare a vivere come “gente del popolo” che lui, quale nobile che era, aveva sempre disprezzato.
 
Correva l’anno 2007.
 
 
«André! André!» una voce prima dolce poi più forte mi strappò dal mio sogno. Nella mia fantasia ero tornato bambino (mi consideravo io stesso un maschio, era raro che pensassi di me come una ragazza) e mi padre mi richiamava all’ordine per aver fatto qualcosa di sbagliato.
Aprii lentamente gli occhi. «Farai tardi a scuola se non ti svegli» mi riprese nuovamente mio padre. «Eccomi, eccomi» le risposi svogliato.
 
Non avevo per niente voglia dell’ennesimo primo giorno di scuola. Già, ennesimo, perché negli ultimi sei anni eravamo peregrinati (io e mio padre, chi altri sennò?) alla ricerca di un posto da chiamare casa. Avevamo girato per un po’ nelle altre zone della Francia che mia padre non conosceva ma avevo capito che le riportava a galla brutti ricordi, così l’avevo convinto a tornare in Inghilterra, dove era nata e cresciuta mia madre, prima di conoscere mio padre, Leonhard Joseph Laverte.
 
Così eravamo finalmente giunti a Londra, la nostra ultima meta, dove lui finalmente si trovava a suo agio. Così quel giorno era il mio sesto primo giorno di scuola. Anche se ero più preparato rispetto ai miei coetanei, mio padre aveva insistito per farmi iscrivere al liceo della zona, “per fare amicizia, se non altro”, aveva detto. E per farlo felice una volta in più avevo accettato. Ero più preparata degli altri sedicenni perché fin dall’età di quattro anni mio padre mi aveva fatto studiare correttamente francese, inglese, italiano, latino e greco, oltre a materie come matematica, biologia e scienze, arte, storia e letteratura (di tutte e cinque le lingue), e la mia badante mi aveva fatto partecipare a lezioni private di karate e scherma dalla stessa età.
In oltre, essendo la mia vita sociale inesistente, leggevo tantissimo, di qualsiasi argomento possibile.
Mi vestii in fretta e scesi in cucina. Abitavamo in una piccola villetta non proprio al centro, che mio padre manteneva facendo il segretario di un avvocato nel centro. L’avevamo acquistata appena pochi giorni fa, subito dopo aver ricevuto l’offerta di lavoro per mio padre a Londra da questo avvocato. Lo pagavano bene, e lui era finalmente felice.
Addentai un toast rendendomi conto che era davvero tardi e mi catapultai fuori di casa, strillando a mio padre un “Vado a scuola, a dopo papà!” e correndo alla fermata dell’autobus con le cuffiette nelle orecchie con i miei amati Pink Floyd.
 
Arrivai a scuola in tempo, per fortuna, ma mi persi per cercare la segreteria, così entrai in ritardo alla mia prima lezione del giorno: biologia. La professoressa era una tipa che si usa descrivere come “una con un bastone su per il culo”, per usare un francesismo, con la puzza sotto al naso e una terribile erre moscia che credeva la rendesse più interessante. Io odiavo la erre moscia, infatti cercavo di nascondere la mia, ma ogni tanto ricompariva sempre a ricordarmi le mie origini.
Tornando alla professoressa, comunque, mi fece entrare in classe e sedere all’unico banco vuoto in fondo all’aula, senza presentarmi alla classe (per fortuna, aggiungerei, ero terribilmente timido) non senza lanciarmi prima una terribile occhiataccia.
Quando mi appoggiai al banco però, tutti i miei compagni di classe mi lanciarono strani sguardi, e non capii il perché finché una ragazza non si sporse dal banco davanti al mio e mi sussurrò: «Non ti sedere li! Quello è il posto di Louis e Harry!», e così compresi che si trattava dei bulli di quella scuola e che sedendomi li avevo sfidato il loro dominio sull’istituto. Alzai le spalle. Che mi picchiassero pure, non avevo paura. La ragazza sgranò gli occhi e tornò a seguire la lezione. Probabilmente stava pensando a quanto fossi pazzo a sfidarli, mentre a me non interessava. Tanto ero sicuro che quella sarebbe stata un'altra occasione sprecata di fare amicizia e di avere rapporti con qualcuno che non fosse mio padre. "Sono solo una banda di ragazzini che si credono dio perché sono belli" pensai tristemente osservando i ritagli sul banco su cui mi ero praticamente sdraiato, memorie di un'epoca passata ma allo stesso tempo presente, la vita dell'alunno destinata a trascorrersi tra quei banchi verdi. 
E fu proprio in quel momento che la porta si aprì e io vidi per la prima volta quei fantastici occhi verdi.
 

 













HEREEE I AMMM :)

Eccomi di nuovo quiii

Dopo tanto tempo ho scritto una nuova storia, dopo aver cancellato la mia prima perchè non la seguiva nessuno praticamente çç
Spero che con questa andrà meglio e ringrazio già di cuore chi avrà mai la buona anima di recensire anche solo per dirmi che fa schifo :)
Anyway, spero che si sia capito il fatto che Andrè in realtà è una ragazza ma è stata cresciuta come un maschio dal padre, e che quindi alla fine lei parla di se come un maschio.
Se non si è capito mi licenzio e smetto di scrivere, perchè soto due settimane che penso a come renderlo al meglio D:
Cooomunque, mie belle fanciulle, ora vi lascio, spero vivamente che qualcuna di voi mi scriva anche solo un paio di righe.
Grazie, anche a chi leggerà solo <3
Bacini baciosi (?),


Malikscocaine <3
  
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