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Autore: Angel_24    09/12/2013    7 recensioni
"Un sorriso triste, solo questo riuscì a percepire John sul viso dell'altro. Né paura, né terrore. Un sorriso, poi, più niente."
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciaaao a tutti C: Ho finito da poco di guardare Sherlock e non potevo non scrivere una Johnlock, anche perchè quei due insieme sono adorabili ** Spero che piaccia e una recensione mi farebbe tanto contenta ^_^ Buona lettura :3




Don't you remember?


Stavano discutendo, John e Sherlock, in quale posto  andare a cenare quella sera. Ed era una discussione anche piuttosto animata, ma i due in fondo si stavano divertendo.
Sherlock guidava attentamente, cercando di convincere Watson a preparare qualcosa semplicemente a casa.
"Non c'è mai nulla di buono!" Urlò il passeggero aprendo le braccia.
"Il mio tè è ottimo però, ammettilo" aggiunse l'altro ridendo.

Al contrario del solito era una serata tranquilla, nessun caso necessitava di essere risolto e nessuna vita, per quanto ne sapessero loro, era in pericolo, perciò avevano deciso di concedersi un po' di libertà tra amici, con qualche disappunto di Sherlock sul termine "amici". Ma John gli ripeteva sempre "un giorno ti mancherò, caro Sherlock!" e lui, senza pensarci due volte, gli rispondeva: "E' probabile, mio caro Watson, ma non certo!" E scoppiavano a ridere, come le poche volte in cui lo facevano.
Stavano ancora discutendo allegramente, quando Sherlock fermò la macchina di colpo, spingendo eccessivamente sul freno: un ragazzino in bicicletta si era fiondato in mezzo alla strada e il detective aveva dovuto inchiodare per non investirlo.
Prima di ripartire si girò con aria saccente: "John, non si parla al guidatore, se fossi stato distratto avrei investito il ragazzino, poco attento e stupido ad attraversare un incrocio così grande e senza le strisce pedonali, ma comunque poteva perdere la vita e la ragazza a cui stava andando a portare il regalo che ha in tasca non l'avrebbe mai ricevuto!"
John lo guardò stupito e quasi adorante, anche in una situazione del genere era riuscito a cogliere un simile dettaglio.

"Fantastico, lo so." Disse Sherlock prima che l'altro potesse parlare. 

Fermi in macchina e in mezzo all'incrocio risero ancora, ma il gran sorriso di John si trasformò nel giro di qualche nanosecondo in paura. Il rumore di un clackson, di un camion, suppose Sherlock, e poi il buio. Un sorriso triste, solo questo riuscì a percepire John sul viso dell'altro. Né paura, né terrore. Un sorriso, poi, più niente.

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Un dolore allucinante trafisse la gamba destra di John quando provò, inutilmente, ad alzarsi. Si passò una mano sugli occhi e si guardò intorno, ancora un po' stordito per la grande quantità di farmaci di cui era stato riempito. Con l'aiuto dell'infermiera accanto a lui si mise a sedere e guardò un'altra volta in ogni angolo della stanza, assumendo un'aria abbastanza allarmata.

"Dov...Dov'è?" Disse John tossendo a causa della gola secca.

"Chi, signore?" Rispose prontamente l'infermiera, non sapeva a cosa si stesse riferendo.

"Sherlock. Eravamo in macchina insieme. E'..il mio amico, si, amico."

"E' ancora in sala operatoria, lui-"
John non sentì la fine di quella frase, forse per stanchezza, forse per paura, ma svenne dopo quella notizia.
Si svegliò il pomeriggio seguente, l'infermiera era cambiata e riusciva a muovere la gamba.

"Buongiorno, signore! Qui c'è qualcosa da mangiare se ha appetito e qui appoggiate ci sono le stampelle, oggi dovrebbe riuscire a camminare." Sorrise e uscì dalla stanza dopo avergli indicato il tutto, mentre John osservava le stampelle quasi inorridito.
"Ancora?" Sussurrò a se stesso, mentre quasi schifato prendeva in mano le stampelle e, muovendosi lentamente, scendeva dal letto.
In quel momento un'altra infermiera entrò nella stanza con in mano dei vestiti puliti, "Portati dalla signora Hudson" disse la donna, e solo in quel momento John si accorse di avere ancora addosso una di quelle camicie da ospedale che ti lasciano completamente scoperto nella parte dietro. Arrossì, sbiascicando un "grazie" all'infermiera che uscì di corsa.
Era di nuovo da solo e si soffermò a guardare nuovamente le stampelle, sperava di potersene liberare al più presto.
Lanciando di tanto in tanto piccoli urli di dolore, John si vestì e notò di non aver mai visto in vita sua quei vestiti, probabilmente la dolce signora Hudson gli aveva comprato un regalo.
Si sistemò il colletto della camicia verde scuro, abbottonò la giacca grigia e una volta pronto uscì dalla stanza, fermando circa tre o quattro medici che passavano di corsa per il corriodio, chiedendogli dove si trovasse il suo "amico". Solo l'ultimo che fermò, meno di fretta degli altri, lo accompagnò nella stanza di Sherlock.
John non chiese informazioni dopo essere entrato, aspettò solo che il medico se ne andasse per sedersi vicino all'amico. 
Era steso sul lettino, occhi chiusi e mani incrociate sullo stomaco, anche da non coscente aveva un'aria terribilmente irritante, pensò John prima di prendergli una mano e stringerla.

"Tu ora ti svegli, non è vero?" Si portò la sua mano alle labbra e gli baciò le nocche, mentre gli occhi iniziavano a diventare lucidi.
"Svegliati..." Sussurrò appoggiando la testa sulla sua spalla non riuscendo più a contenere le lacrime.

"Salve!"

"Adesso mi immagino anche la sua voce" John strinse le labbra, continuava a piagnucolare, ma quella voce gli era sembrata così reale...

"Mi scusi, chi è lei? Odora di farmaci, ma non è vestito da infermiere e sta piangendo, è vestito bene e i capelli sono perfettamente in ordine e io non ho la minima idea di chi lei sia, cosa mi sfugge?"
John alzò la testa di scatto, incredulo.

"S-Sherlock?"

"E' questo il mio nome? Non me lo ricordo. Per quale motivo mi trovo in questa stanza? Chi sei tu?"

"Non ti ricordi chi sono?"

"Non le avrei fatto questa serie di domande altrimenti e...la prego, può lasciarmi la mano?" Disse Sherlock cinico, osservando l'altro con un sopracciglio alzato.

"Tu sei Sherlock, Sherlock Holmes e abbiamo avuto un incidente qualche giorno fa, non so quando, ho perso il conto dei giorni. E noi siamo...- ne doveva approfittare? Non doveva? Dopotutto John era sempre stato attratto dal detective, adorava sentirlo risolvere casi e amava il fatto che lo coinvolgesse ogni volta. Ma ora, che aveva perso parte della memoria, doveva approfittarne? Decise di non entrare nel dettaglio, ma non disse neanche che erano solamente amici- Siamo conviventi, al 221B di Baker Street."
Sherlock fece saettare lo sguardo dagli occhi di John alle sue mani, ancora appoggiate sul lettino. "Oh."

"Oh?"

"Già." Il detective riprese la mano di John e la tirò verso l'alto, come se facesse un segno di vittoria e gli fece il sorriso più sforzato del mondo.
"Così noi..." 

John impallidì.

"Noi? Ehm, no, cioè, noi-"
Non riuscì a finire la frase perchè in quel momento entrò il dottore. Watson strinse i denti e fulminò con lo sguardo il vecchio uomo che era appena entrato che, per sua fortuna, non lo vide, ma notò all'istante i due con le mani intrecciate.
"Oh, perfetto" esultò "non sapevamo a chi affidare il signor Holmes, ma a quanto vedo..."
John arrossì completamente, soprattutto quando il dottore uscì dalla stanza dicendo "gli da una mano lei a rivestirlo?" seguito da un occhiolino. Deglutì sonoramente guardando Sherlock.

"Tu mi stai nascondendo qualcosa." Esordì il detective.

"Su forza, devo aiutarti a... rivestirti, andiamocene di qui, questa puzza di ospedale mi infastidisce."

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E tornarono a casa, al 221B di Baker Street.
Appena aperta la porta, la signora Hudson si fiondò davanti a loro chiedendo notizie e sprizzando gioia da ogni poro, ma subito Sherlock si avvicinò all'orecchio dell' "amico".

"Viviamo da tua madre?!" Sussurrò stranito e la signora Hudson scoppiò in una fragorosa risata.

"Salve detective! Dottor Watson, cosa succede qui?" Lei gli sorrise, aveva capito tutto da tempo.

"Sherlock ha perso la memoria e no, lei non è mia madre. Vieni, abitiamo al piano di sopra, io arrivo subito."
John si avvicinò all'anziana e, con la faccia bordeaux e guardando in basso, le chiese se potesse preparare di qualcosa di più buono di quello che avevano loro in frigorifero. La donna gli strinse una guancia e gli fece segno di andare e non se lo fece ripetere due volte. A fatica salì le scale con le stampelle, ma un lieve sorriso divertito gli spuntò sulle labbra quanto vide Holmes in piedi al centro della stanza che guardava in giro.

"Non ero una persona ordinata, a quanto vedo."

"Chi ti dice che tutte queste cianfrusaglie non appartengono a me?"

"Sei un uomo che si cura molto, non lasceresti un simile disordine in casa tua, si può notare dalle tue unghie e semplicemente da quanto sono in ordine i tuoi capelli e, a proposito, sei molto affascinante- disse prima di continuare la sua analisi - in più non sembri una persona che ama molto leggere da come parli e in questa stanza è pieno di libri e, considerando che la simpatica signora al piano di sotto mi ha chiamato detective, potrei dedurre che queste cose sono mie, sbaglio?"
John sorrise e scosse la testa: "Mi chiedo davvero come fai a non ricordarti chi sono. Ma i dottori hanno detto che la memoria dovrebbe tornarti nel giro di ore, già domattina potresti ricordarti tutto." Rispose il medico, un po' amareggiato. Avrebbe mai ricevuto un altro complimento come quello di prima? Forse no, una volta tornata la memoria probabilmente lo avrebbe respinto e, nel migliore dei casi, sarebbero tornati di nuovo "amici".
La signora Hudson si affrettò per le scale, portando nella stanza dei due un grande vassoio con antipasto e un'enorme bistecca di carne insieme ad una
bottiglia di vino rosso. Li appoggiò sul tavolo e tornò di sotto, facendo un occhiolino a John prima di uscire.

"Oggi è la giornata Fai un occhiolino a John?"
Sherlock lo guardò non capendo, ma l'altro gli fece un gesto con la mano come a dire di lasciar perdere.
Si sedettero al tavolo, uno di fronte all'altro e, più eleganti del solito, iniziarono a mangiare. C'era un silensio carico di tensione, imbarazzante, ma fu spezzato dalla signora Hudson che gentilmente aveva portato loro tre candele che posò sul tavolo per poi accenderle.
"Buona serata!" Sorrise e tornò di sotto, per poi non farsi più vedere.
John e Sherlock iniziarono a conversare del più e del meno, il detective faceva domande al dottore che, contento di avere una conversazione civile senza essere escluso dal "palazzo mentale" di Sherlock, gli rispondeva sorridendo.
Finita la cena, John si diresse verso il bagno e non appena uscì, sentì una musica lenta, classica, una sonata di Mozart, che arrivava dallo stereo. Si affacciò alla stanza con aria curiosa e subito si ritrovò davanti uno Sherlock un po' alticcio, in piedi con una postura fin troppo dritta e una mano tesa verso di lui.

"Mi concede questo ballo?"

Watson non ci pensò nemmeno un secondo e gli andò incontro, gli appoggiò una mano sul fianco mentre sentiva quella del detective sulla spalla. Le loro mani si intrecciarono e, limitati comunque dai vari dolori per l'incidente, ballarono vicini, vicini come mai prima d'ora.

"Sai, non mi sembra possibile tutto questo." Disse John sorridendo.

Sherlock si fermò, erano a un palmo l'uno dall'altro, gli occhi si erano intrecciati in uno sguardo profondo, i respiri si mescolavano, frenetici, e i loro cuori battevano all'impazzata.

"Se si esclude l'impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, è pur sempre possibile."

E lo baciò. Sherlock Holmes si avvicinò a Watson e lo baciò. Il dottore era sorpreso, lo sperava, ci aveva sperato per diverso tempo, ma  non aveva mai preso in considerazione il fatto che potesse accadere davvero. Era con Sherlock Holmes, il detective più sociopatico nella storia dei sociopatici e stavano ballando un lento con lui, anzi, lo stava baciando.
Si abbandonò agli ondeggiamenti della musica classica, continuando a ballare con Sherlock per tutta la serata. Si ritrovarono poi su un divanetto polveroso, mano nella mano e un po' ubriachi a chiacchierare di cose senza senso. John accarezzava il dorso della mano dell'altro con il pollice e di tanto in tanto gli lanciava sguardi di pura dolcezza, che venivano ricambiati da sorrisi teneri.
Si fece tardi, più tardi di quanto si fossero resi conto, e decisero di andare a dormire più o meno alle cinque del mattino. John era nel panico: dove doveva dormire? Insieme a lui? Da solo? Una sola frase di Sherlock lo aiutò a decidere.

"Ho freddo." Disse semplicemente.

E John si infilò sotto alle coperte con lui, entrambi col pigiama e abbracciati. John stringeva Sherlock da dietro e gli sussurrò "buonanotte" prima di addormentarti nel sonno più beato di sempre.

---              ---            ---
La mattina seguente non erano più abbracciati, probabilmente si erano spostati dormendo e forse era stato anche un bene. 
Sherlock si alzò a sedere di scatto.

"John! Perchè sei nel mio letto?" Urlò confuso.

"Mmh..."
Sherlock si avvicinò all'orecchio dell'amico e di nuovo... "JOHN!" Quest'ultimo scattò in piedi, maledicendo l'altro in ogni modo possibile.

"Perchè sei nel mio letto?"

"E'?"

"Sei nel mio letto, per quale motivo?"

"Sei serio?" John alzò entrambe le sopracciglia non capendo la situazione.

"Sei nel mio letto, tu non dormi nel mio letto. Che io sappia almeno."

"Noi... Oh aspetta." Watson si appoggiò una mano sulla fronte, "Potrebbe ricordare tutto anche domani", aveva detto il dottore prima di lasciarli andare. Non pensava che il non ricordarsi della sera precedente fosse implicito.

"Ti ricordi cosa abbi...hai fatto ieri sera?" Provò già rassegnato.

"In realtà no, ora esci dal mio letto."

John si alzò tristemente, si vestì e uscì da solo a far colazione. 
Sherlock, intanto, si era fatto con tutta tranquillità una doccia e si era seduto poi sul divano della sera precedente, sul quale notò una macchia di vino. Un forte dolore alla testa gli fece serrare gli occhi e l'immagine di lui e John col bicchiere di vino rosso in mano gli passò per la mente.

"Ho le allucinazioni."

Si alzò, ma barcollò un secondo dopo e si ritrovò a stringersi le tempie in ginocchio sul tappeto, mentre l'immagine di due persone che ballavano abbracciate gli comparve in testa, sparendo dopo pochi secondi. Non aveva capito chi fossero, ma si alzò e si appoggiò al tavolo. Giunse le mani e le mise sotto al mento, pensando e aspettando il ritorno dell'altro.
Rimase in quella posizione per circa un quarto d'ora, poi la porta si aprì ed entrò Watson che, tristemente, guardava in basso. Sherlock scattò in piedi, con la sua perenne aria elegante e da intellettuale.

"John." Salutò.

"Sherlock..."

"Credo di ricordarmi qualcosa di ieri sera."

Una scintilla di felicità si accese negli occhi di John che lasciò cadere la brioches che aveva preso per l'altro sul pavimento. Gli sorrise, gli occhi lucidi.

"In effetti, me lo ricordo."

   
 
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