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Autore: AlexisLestrange    09/12/2013    1 recensioni
Era stato così naturale, così spontaneo, così istintivo, John non ricordava neppure come fosse accaduto. Era stata la distanza, si ritrovò a pensare lasciava andare la presa stringendo tra le dita il bordo del lenzuolo, quella dannata distanza che li aveva tenuti lontani per anni. Ma ora era tornato, era vivo, ed ora era suo, tutto suo.
Genere: Angst, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La temporanea residenza di Rufus Bruhl risultò essere appena fuori Londra, nel bel mezzo della
campagna inglese, probabilmente una di quelle residenze vecchie di qualche secolo che facevano
ancora fare la loro figura alla ricca famiglia di turno, come dedusse Sherlock, mentre guidava l'auto
nera lungo la strada deserta, fuori mano. Era ormai tardo pomeriggio, quando una casa bianca
spuntò all'orizzonte, già visibile molto prima che parcheggiassero in mezzo al campo, per poi
percorrere a piedi l'ultimo tratto di sentiero.

«Non vuole attirare l'attenzione» fece Sherlock, stringendo appena gli occhi per osservare la
dimora. «Probabilmente non si aspetta di rimanere qui per molto, e la visita di un ambasciatore
americano a Londra desterebbe subito l'interesse dei media. Sta agendo con estrema riservatezza
-deve essere per questo che è stato tanto propenso a consultare un investigatore privato, di nuovo».

John lanciò un'occhiata a Sherlock, come cercando nel suo sguardo una traccia di disagio, di
eccitazione, o una qualsiasi emozione diversa dalla calma distaccata che gli permeava il viso
pallido. Nulla. L'altro si limitò ad indicargli l'ingresso al quale erano ormai vicinissimi.

«Una sola auto parcheggiata fuori. Chi lavora in questa casa -avranno una governante per la figlia,
vi abita anche. L'analista di Claudie dev'essere venuta con loro dall'America. Nessuno entra ed esce
dalla casa, per evitare che nessuna notizia sulla famiglia si sparga all'esterno».

«Ma ora stanno facendo entrare noi, e hanno chiamato la polizia, perché?» fece John, appena
accigliato.

«Già, perché?» ripeté Sherlock, sovrappensiero. «La morte del figlio ha fatto cambiare linea
d'azione a Bruhl, vuole che la faccenda si risolva in fretta. Preferisce rischiare che peggiorare la
situazione della bambina -una mossa saggia, ma poco consona ad un uomo di politica come lui.
Deve essere disperato».

«Suo figlio è morto» puntualizzò l'altro, gettandogli un'occhiata, le sopracciglia aggrottate.
Sherlock annuì, quasi compiaciuto. «Già, un ottima ragione, vero? Guarda, le finestre dell'ultimo
piano sono spalancate, ma la luce della stanza è comunque accesa. Deve essere lì che tengono
Claudie -la pazza nell'attico, un classico».

Sherlock si avvicinò alla porta, e bussò tre volte, per poi voltarsi verso, John come se si fosse
appena ricordato di qualcosa.

«Oh, dovrai essere tu ad interrogarla, ovviamente» aggiunse, con leggerezza.

«Io?»

«Beh, lei crede ancora che io sia il rapitore, ricordi?» Sherlock sorrise con giusto un accenno di
ironia alla sua espressione confusa, e nello stesso istante la porta si aprì, e ne uscì una donna i cui i
segni dell'età cominciavano a farsi strada sulla carnagione olivastra.

Lei si scostò una ciocca di capelli neri dal viso, aprendo la porta per lasciarli passare.

«Il signor Holmes, immagino» disse, lanciando un'occhiata al primo, per poi soffermare lo sguardo
su John. «E lei...?»

«Il dottor Watson» rispose Sherlock, prima ancora che quello potesse parlare. «È con me».

È con me.

Qualcosa dentro lo stomaco di John sembrò contorcersi, soffiando e facendo le fusa. È con me.

«Il signor Bruhl vi sta aspettando in soggiorno» concluse la donna, indicandogli una stanza in fondo
ad un corridoio.

Sherlock attraversò lentamente l'ingresso, non senza notare i mobili vecchi, ma puliti di recente
-qualcuno aveva sporcato di candeggina la carta da parati, le piccole e sgradevoli macchie bianche
dietro ad una credenza non lasciavano dubbi. John lo vide far scivolare le dita su uno dei fiori finti
disposti su un vaso davanti a una specchiera, prima di raggiungere la porta segnalata dalla donna.
Poggiò una mano sulla maniglia, poi si fermò, ed indicò a John la scalinata alla loro destra.

«Va a parlare con la bambina» disse, a bassa voce. «Io mi intratterrò con il padre».

John esitò appena, perplesso. «Come, così? Non dovremmo... chiedergli il permesso, o...?»

«Ci ha chiamato per indagare, ed è quello che faremo» replicò Sherlock senza battere ciglio. «Vai».

John si guardò intorno per un secondo, poi sospirò esasperato, e cominciò a percorrere gli scalini di
legno, che scricchiolarono sotto il suo peso, uno ad uno. Sentì Sherlock aprire quasi
contemporaneamente la porta e si voltò a guardarlo, ma tutto quello che vide fu il retro del suo
cappotto sparire oltre la soglia con uno svolazzo.

Senza smettere di osservarsi intorno, come aspettandosi che qualcuno lo fermasse e lo riportasse giù
da un momento all'altro, John percorse l'intera scalinata, raggiungendo il primo piano -gettò
un'occhiata alle stanze interne, che parevano vuote, per un attimo incerto su come procedere. Se
Claudie fosse stata in una di quelle?

L'attico, Sherlock aveva parlato dell'attico. Il che era ovviamente notevole, essendo la prima volta
che entrambi entravano là dentro, ma onestamente, quante volte la cosa era stata di qualche intralcio
per le deduzioni dell'altro? John continuò a salire, gradino dopo gradino, finché non raggiunse
quello che doveva per forza essere l'ultimo piano.

Il soffitto era più basso, e c'era una sola porta davanti a lui. Deglutendo, la aprì lentamente.

Subito udì un singhiozzo ed un respiro trattenuto in fretta. Spalancò la porta.

La stanza era completamente vuota, fatta eccezione per un tavolino, proprio in fondo, ricoperto di
scatole sigillate, ed un armadio. Ma non fu quello ad attirare l'attenzione di John, bensì una figura
minuta rannicchiata nell'angolo opposto della stanza.

«Claudie?» chiamò, esitando appena.

La figura parve tremolare per un po', poi sollevò il viso, scoprendo un volto candido di bambina,
che inclinò la testa per guardarlo, gli occhi scuri bene aperti.

«Chi sei?» domandò lei, e la voce pareva insolitamente ferma.

Lui sollevò le mani, come a scoprire subito le tue carte. «Sono John, Claudie. Sono un dottore. Non
ti voglio fare nulla di male».

La ragazzina si tirò appena su dal pavimento. «Certo che no» lo rimproverò, con tranquillità. «Li
conosco, i dottori, io, ne ho visti un sacco. So cosa fanno».

«Bene, allora, bene, meglio così» John si fermò un istante, senza sapere cosa dire, rendendosi conto
solo in quel momento di non avere la minima idea su cosa Sherlock volesse farlo indagare.

Una risata cristallina interruppe i suoi pensieri. Claudie stava ridendo di gusto, gli occhi che
brillavano.

John aggrottò la fronte, le mani strette dietro la schiena. «Che cosa... c'è, che cosa ho fatto?»

«Sei basso» cantilenò la bambina, ridacchiando.

Quello si accigliò, non credendo alle sue orecchie, sorridendo forzatamente. «Sì, beh, allora...
cosa...?».

«E i tuoi capelli sembrano paglia» constatò serenamente Claudie. «Che cosa sei venuto a fare qui,
dottor John?»

Lui le si avvicinò di qualche passo, aprendo la bocca come in cerca di ispirazione. «Io... sono un
dottore, sono venuto a vedere come stai. Tu stai... bene, sì?» domandò, cercando di suonare
convincente.

Il sorriso scivolò via dal viso della ragazzina, mentre spalancava gli occhi, e qualcosa come puro
terrore le si dipinse negli occhi. John si guardò attorno, preoccupato, ma nulla era cambiato, e
nessuno era entrato.

«Hanno lasciato la finestra aperta» sussurrò Claudie, fissando un punto oltre la sua testa.

John si voltò, ed individuò le stesse vetrate spalancate che Sherlock gli aveva indicato dall'esterno.

«Sì, è aperta... e quindi?» chiese, confuso.

«Non bisogna mai lasciarla aperta, mai!» esclamò Claudie, in un impeto di rabbia, poi si fermò,
schiacciando le mani contro la sua bocca, come a volersi zittire. Solo dopo un istante, lasciò
scivolare via le dita, sussurrando: «La chiuderesti per me, dottor John?»

Lui annuì, non senza una buona dose di perplessità. «Sì... sì, certo» borbottò, mentre si voltava e
raggiungeva la finestra. Gettò un'occhiata fuori, come cercando di trovare nella vista del cortile
qualcosa di spaventoso e terrificante, ma era tutto nella norma. Richiuse le ante, sigillandole, per
buona misura.

Sentì Claudie sospirare di sollievo. «Grazie» esclamò, la voce di nuovo allegra.

«Come mai le finestre... le finestre ti fanno paura, Claudie?» chiese John, avvicinandoglisi e
inginocchiandosi davanti a lei, per essere alla sua stessa altezza.

«Non ho paura delle finestre» lo corresse Claudie, come perplessa da tanta stoltezza.

«Hai paura di quello che potrebbe entrare?» chiese ancora lui, abbassando ancora di più la voce, la
fronte aggrottata.

Con sua sorpresa, Claudie rise di nuovo, forte. «Siamo all'ultimo piano!» esclamò, ma il suo tono
era più duro di prima, e suonava meccanico, come di qualcosa imparato a memoria. «Niente può
entrare da lì».

«Giusto» acconsentì John, annuendo appena. «E allora cosa... cosa c'è che non va, nelle finestre
aperte?»

Claudie si guardò intorno, prima di avvicinare il viso al suo, le labbra a pochi centimetri
dall'orecchio di John, e sussurrare: «Non è quello che viene su. È quello che può andare giù».

«Come, scusa?»

La bambina allontanò il viso di scatto, con un'espressione quasi indignata sul volto. «Non glielo
hanno detto!» esclamò, corrugando la fronte pallida.

«Detto cosa?» chiese l'altro, cominciando ad essere vagamente stufo di continuare a chiedere
ulteriori spiegazioni. Si sentiva estremamente tardo. Dannazione, perché non era venuto Sherlock,
su con lui? Lui lo sapeva, che non era tagliato per quelle cose -lo mandava in giro perché si
divertiva a vederlo arrancare qua e là? Oppure, semplicemente, lo sopravvalutava? Il pensiero era
frustrante.

«Mio fratello» mormorò la bambina, piano. «Non te lo hanno detto, dottor John?»

«Oh. Sì. Certo» fece lui, in un lampo di comprensione. «Mi... mi dispiace molto, Claudie».

Lei parve stupita dalla sua reazione. «Io credo che tornerà» mormorò vagamente, e gettò vagamente
lo sguardo oltre la porta.

«Tornerà?» ripeté John, e per l'ennesima volta gli parve di essersi perso qualcosa. «Ma non è...»
L'ultima parola gli rimase incastrata in gola. Si schiarì la voce, riprovò ancora. «Pensavo fosse...»

«...caduto?» concluse per lui Claudie. «Da un tetto? Sì. Credo si sia buttato».

John strinse le labbra, in un ultimo tentativo di restare distaccato e professionale. Strinse il pugno
destro, sentendo il contatto delle unghie contro la pelle, come se potessero aiutarlo a restare lucido.
«Allora come potrebbe... tornare?» disse, lentamente. Ogni parola pareva inciampargli sulla lingua,
incapace di uscire allo scoperto. «Deve essere... essere...». Oh, andiamo, John. «...morto».

Questa volta, Claudie fece una pausa prima di rispondere. Rimase ferma ad osservare il volto di lui
per qualche istante, gli occhi castani bene aperti, poi iniziò a parlare, sottovoce, lentamente.

«Lui è tornato» disse, in un sussurro. «Noi avevamo paura, mio fratello e io, perché pensavamo che
sarebbe tornato a prenderci, no? La dottoressa diceva che era tutto nella nostra testa, ma io e Max lo
vedevamo, ed era proprio là, davanti a noi, tutte le volte che faceva buio... Papà diceva che non era
vero, che l'uomo sarebbe andato in prigione, ma noi lo sapevamo, che voleva prenderci, e lui poteva
venire, di notte, e ci guardava perché voleva prenderci e noi non potevamo dormire perché lui ci
vedeva e ci toccava e rideva».

Claudie si fermò di nuovo, deglutendo. Le iridi erano vagamente dilatate, notò John, ma non stava
tremando, né dava segni di avere paura. La bambina alzò lo sguardo verso di lui, e d'un tratto scoprì
i denti in un ghigno. John sentì una spiacevole sensazione nella gola.

«Poi un giorno papà è venuto da noi e ha detto: è morto! Potete stare tranquilli, Sherlock Holmes,
l'uomo che vi aveva presi, è morto! Non avete più nulla di cui avere paura, perché lui non c'è più!
Andato, andato per sempre!»

«Claudie...» cominciò John, aprendo la bocca per parlare, ma la bambina scoppiò a ridere.

«Caduto da un palazzo, ha detto papà, proprio dal tetto, come un pupazzo di pezza! Un attimo prima
era lì, e poi, boom! Si è lanciato giù, e poi è morto, morto!»

«Claudie...»

«E io e Max eravamo contenti perché non sarebbe venuto più, e allora sapevamo che gli incubi
dovevano essere solo incubi, perché Sherlock Holmes era morto, no? E non sarebbe mai, mai più
tornato, ce n'eravamo liberati, aveva detto papà!»

La mano sinistra di John stava iniziando impercettibilmente a tremare. «Claudie...»

«Ci hanno detto una bugia!» strillò la bambina, e questa volta sembrò di nuovo spaventata. «Perché
lui è tornato ancora, e adesso e vivo, e adesso ci verrà a prendere, perché non è riuscito a ucciderci e
ora vuole provarci di nuovo, perché Sherlock Holmes è cattivo, cattivo...»

Claudie rabbrividì, dondolandosi appena sul pavimento di legno, e gli occhi si fissarono di nuovo
sulla finestra, ora chiusa a chiave.

John si morse l'interno della guancia, si schiarì la gola, lasciò che le unghie della mano destra
tormentassero il suo palmo, e si infilò quella sinistra in una tasca, per non sentirla tremare. Sbatté le
palpebre un paio di volte, e non appena sentì che gli era tornata la voce, aprì la bocca per parlare.

«Claudie, ascoltami» cominciò, la voce più incerta di quanto si aspettasse. «Devi credermi,
d'accordo? Sherlock Holmes non è affatto come credi tu. Non è stato lui a rapirmi, lui vi ha salvati,
e non è cattivo, perché lui è...» Professionale e distaccato, si ripeté. Ma dannazione, come poteva?
E dopotutto, lei era solo una bambina. «...Lui è una bravissima persona, davvero, è buona, e devi
essere contenta che non sia... morto, perché lui vuole aiutarvi».

Deglutì. Claudie alzò lentamente la testa, inclinandola verso di lui, una mano poggiata sulla
guancia. Sembrava una bambina intenta ad ascoltare la favola della buonanotte.

«E tu come lo sai?» mormorò, guardandolo come se pendesse dalle sue labbra.

«Lo so, perché, Sherlock Holmes...» esitò, poi riprese, schiarendosi la voce per l'ennesima volta,
ringraziando il cielo che non ci fosse nessuno ad assistere la scena. Doveva star dando davvero un
misero spettacolo. «Perché Sherlock Holmes è mio amico. Il mio migliore amico».

Claudie batté le palpebre un paio di volte, distogliendo lo sguardo. John si chiese addirittura se lo
avesse ascoltato, poi scosse la testa, si passò una mano sul mento, e si alzò in piedi. Il colloquio,
sentì, era già durato abbastanza.

«E non è stato lui a farti del male» concluse, lanciando un'occhiata alla bambina.

Rimase incerto solo per un istante sul da farsi, poi voltò le spalle, e se ne andò. I suoi passi
risuonarono sordamente sul legno proprio quando Claudie chiuse gli occhi, le labbra appena
incurvate in un sorriso.


 
Note dell'autrice:

E, con un piccolo, dovuto ritardo (dannati esami e poi pardon, mA THE NEW TRAILER AND ALL MY
FEELS UGH), ecco a voi il nuovo capitolo!
Cosa più importante di tutte, ho pubblicato questa storia con molti dubbi e preoccupazioni e tutto
((come al solito)), ma mi sono ritrovata con tantissime persone, più di quante immaginavo, a seguire
questa fic, e quindi, ecco, ci tenevo a ringraziarvi tutti, uno ad uno, voi che state leggendo, apprezzo
davvero tantissimo. *hugs*
Al prossimo capitolo!
Kisses,

Relya.

 

   
 
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