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Autore: _Trixie_    10/12/2013    7 recensioni
Quando un cuore si spezza, il mondo crolla lentamente in mille, piccoli pezzi, che non sei più in grado di mettere insieme.
Quando un cuore si spezza, non c’è nulla, che possa aiutarti a sopravvivere.
Quando un cuore si spezza, ogni speranza scivola via, lasciandoti impotente e sconfitta.
Ma, forse, quando un cuore si spezza, hai solo bisogno di ritrovarne l’altra metà, anche se questo dovesse significare attraversare quella sottile linea che divide la vita dalla morte.
[SwanQueen, lievi lievi spoiler terza stagione, seguito di “Quattro volte in cui Emma e Regina furono felici e la quinta in cui non lo furono”].
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Daniel, Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your heart, can you feel it?'
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II. La pazzia di Emma
 
 

Emma Swan si svegliava ogni mattina e ogni mattina faceva le stesse identiche cose.
Emma Swan non pensava, perché pensare avrebbe significato essere qualcuno, e lei aveva smesso di esserlo da qualche tempo, ormai.
Emma Swan desiderava solo scomparire, scomparire nel nulla e dimenticare ogni cosa.
Emma Swan aveva un figlio, ma Emma Swan non aveva altro, perché Regina le aveva portato via tutto il resto.
Emma Swan, comunque, continuava a svegliarsi ogni mattina e faceva le stesse identiche cose.
 
Aveva perso il conto dei giorni, ma la cosa non aveva importanza. Il tempo non avrebbe alleviato il suo dolore.
«Tesoro».
Mary Margaret aprì la porta della camera di Emma e infilò la testa all’interno.
La donna era seduta accanto alla finestra e sembrava fissare Storybrooke che si stendeva davanti a lei. In realtà, il suo sguardo cercava qualcosa che non avrebbe mai più potuto cogliere in quel mondo. Regina.
Le sue mani stringevano convulsamente la collana con l’anello e il ritratto di Regina. Da quando Gold l’aveva regalata alla ragazza, Mary Margaret non si ricordava di averla mai vista in un luogo che non fosse le mani di Emma. Ed erano passate tre settimane.
«Tesoro?» tentò di nuovo Mary Margaret, entrando nella camera. «Perché non esci dalla tua stanza, perché-».
«Non è la mia stanza. Questa stanza è mia e di Regina, è la nostra stanza» la corresse Emma, con voce dura.
Lei e Henry erano rimasti a vivere in quella che una volta era solo la casa del sindaco, ma che ora portava scritto Swan-Mills sulla cassetta della posta.
Mary Margaret e David non avevano avuto il coraggio di lasciare sola la loro unica figlia a prendersi cura di Henry. Nessuno dei due sembrava essere in grado di badare a sé stesso, in ogni caso, così loro si erano trasferiti con il consenso di Emma in quella casa.
«Solo per qualche tempo, per aiutarti con Henry» avevano detto.
In realtà, lo loro prima proposta era stata che tornassero tutti a vivere nel loft, ma né Henry né Emma avevano la minima intenzione di abbandonare quel posto, dove la presenza di Regina era tangibile in ogni angolo, in ogni dettaglio: la rifinitura dei mobili laccati, la cornice d’oro dello specchio, l’eleganza di ogni stanza. Ogni cosa sapeva di Regina, in quella casa.
Mary Margaret era convinta che fosse necessario cambiare ambiente, ma non aveva il coraggio di dirlo ad alta voce, non quando due paia di occhi perennemente umidi per il piatto ti osservavano sulla difensiva.
Sembrava che Emma e Henry, di fatto, riuscissero a trovare conforto solo nella presenza l’una dell’altro.
«Emma, non può continuare così» sbottò Mary Margaret, quasi con rabbia, sedendosi sul letto.
La ragazza si girò di scatto nel sentire quelle parole.
«Alzati. Quello è il posto di Regina».
«Emma…» protestò la donna debolmente, facendo tuttavia quelle che le veniva chiesto.
«Smettila di chiamarmi, ok? È vero, non può continuare così, ma la sai una cosa? Non può continuare e basta. Come pensi che possa vivere, dopo che Regina si è tolta la vita perché credeva il suo amore non fosse abbastanza puro? Come credi che stia dopo aver trovato Regina, senza vita, che si è sacrificata per potermi amare come lei credeva che meritassi? Non si è nemmeno accorta di amarmi già abbastanza, non si è nemmeno accorta che il sacrificio è il genere di azione che si compie quando si ama una persona con ogni briciola del proprio essere. Lei credeva di non essere abbastanza per me. Lei si è tolta la vita, per  me».
Emma aveva iniziato ad urlare, si era alzata in piedi e fronteggiava Mary Margaret, rimasta senza fiato. Quella era la prima volta che sua figlia le parlava di cosa fosse realmente successo in quella stanza del mausoleo.
Tutto ciò che sapeva le era stato detto da Gold, il quale certo non era entrato nei dettagli e si era limitato a parlare di un incantesimo, che aveva strappato la vita a Regina in cambio della purezza del proprio cuore. Ma a quanto pare c’erano ragioni ben più profonde della volontà di redimersi, dietro il gesto della donna.
«Emma, non-»
«Smettila di chiamarmi! Maledizione, va’ al diavolo, andate al diavolo tutti quanti!» gridò Emma, correndo fuori dalla stanza e scendendo di corsa le scale.
«Emma!» la chiamò Mary Margaret, rincorrendola. «Dove vai? Emma!»
La giovane indossò il cappotto, ignorando del tutto la madre e uscì di casa sbattendo la porta.
Il freddo la investì. Da quanti giorni non usciva di casa? Uno, due, dieci? O forse doveva parlare di mesi? Davvero, non ne aveva la più pallida idea.
Perché Regina è morta e il tempo non avrebbe cambiato assolutamente nulla.
 
Emma si trovò accanto alla tomba di Regina, in quella stanza dove l’aveva trovata priva di vita.
Non era più stata lì dal giorno del funerale. La vista del corpo freddo e immobile di Regina scavava troppo a fondo nel suo cuore perché potesse sopportarlo, ma Emma non aveva altro posto dove andare o dove voler rimanere, se non accanto a Regina, anche se questo faceva male.
«Mi manchi» bisbigliò, una mano appoggiata sopra le teca di vetro. Il suo riflesso le restituiva l’immagine di una donna smagrita, con i capelli arruffati e sporchi e gli occhi di chi stava per piangere sangue, tanto era grande la sofferenza.
«Eri abbastanza, per me, idiota. Eri tutto, eri tu» sussurrò, tirando un pugno sul vetro, che si limitò a vibrare, senza rompersi.
Emma singhiozzò, barcollò appena, prima di scivolare a terra, in ginocchio, una mano ancora premuta contro il vetro freddo.
Piangeva, Emma, e non riusciva a smettere.
Una mano, piccola e calda, le strinse la spalla e Emma alzò gli occhi.
«Henry» sussurrò, cercando di asciugarsi le lacrime. Anche il bambino aveva gli occhi rossi.
«Vengo sempre qui, dopo la scuola, e racconto la mia giornata alla mamma».
Emma lo strinse a sé, accarezzandogli i capelli.
«Sembra quasi che dorma» commentò il ragazzino, sedendosi a terra.
«Come hai detto?» domandò Emma. Qualcosa nella sua testa scattò. Nelle parole di Henry c’era più di una semplice constatazione, Emma lo sapeva, solo che non riusciva a ricordare, non riusciva a capire che cosa la sua testa stesse cercando di dirgli.
«La mamma, sembra che stia dormendo».
Fu in quel momento che Emma capì e spalancò gli occhi. Forse, forse c’era un modo…
«Tesoro, ascolta, vado dal signor Gold. Di’ alla nonna di non preoccuparsi, torno per cena» disse concitata al bambino, lacrime di dolore misto a speranza continuavano a rigarle il volto. Baciò velocemente il figlio e poi uscì, correndo, verso l’unica luce che riusciva a vedere dopo tanto buio.
 
«Signor Gold!» chiamò la donna, precipitandosi nel negozio dell’uomo come un uragano. Il campanello della porta tintinnò tanto violentemente che Emma fu infastidita dal rumore: piangere senza sosta le procurava mal di testa continui.
«Gold! Accidenti, Gold!» urlò di nuovo, premendo ripetutamente il campanello posto sul balcone. Ormai decisa ad andarlo a cercare nel retrobottega, la giovane si scontrò con il proprietario del negozio che la stava raggiungendo.
«Dunque l’udito non mi aveva ingannato. Come posso aiutarti, cara?»
«Una maledizione, mi serve una maledizione».
«Come, prego?»
«Mi serve la Maledizione del Sonno, Gold, e mi serve al più presto!»
«E a cosa dovrebbe mai servirti?» chiese l’uomo incredulo. Chi aveva intenzione di maledire? Che il dolore le avesse offuscato il giudizio al punto di toglierle ogni facoltà razionale? Emma doveva essere impazzita, senza dubbio, non c’era altra spiegazione.
«Puoi procurarmela?»
«Dimmi a cosa ti serve, Emma».
Lo sceriffo sembrò sul punto di replicare, ma poi si morse il labro e decise che, in fondo, una spiegazione a quell’uomo doveva pur darla. E poi, forse, avrebbe anche potuto aiutarla. La sua era solo un’idea, un’intuizione, e Gold sicuramente ne sapeva molto più di lei in termini di magia, portali e altri mondi.
«Va bene, d’accordo. Una volta hai detto che chi cade sotto la Maledizione del Sonno rimane intrappolato. Hai detto che accede a un luogo che non appartiene a questa realtà, eppure, non appartiene nemmeno alla morte» disse Emma, camminando avanti e indietro freneticamente.
Gold la seguiva con lo sguardo.
Quella ragazza non stava davvero pensando di…
«Voglio cadere sotto la Maledizione del Sonno, Gold. Se c’è un modo per arrivare da questo mondo a quel luogo, ci deve sicuramente essere un modo per passare da quel luogo al Regno degli Inferi. O in qualunque maledetto modo si chiami l’Oltretomba».
«Emma, è una pazzia» la avvisò il signor Gold.
«Qualcuno ci ha mai provato prima?» domandò Emma, ignorando completamente le parole dell’uomo.
«Non ha importanza, Emma, perché è una pazzia!»
«Gold, i miei genitori non mi hanno cresciuta, ma ho il loro sangue nelle vene, perciò lo so che c’è sempre un modo e questo è il mio modo per ritrovarla» disse Emma. «Ora, qualcuno ci ha mai provato, prima?»
L’uomo deglutì. La forza che la sola speranza di ritrovare Regina infondeva in quella donna era sconvolgente.
«Sì».
«Cosa è successo?»
«Alcuni sono tornati, altri no. Nessuno ha portato qualcuno con sé» rispose Gold.
«Perché no?»
«Non si può strappare nessuno alla morte, Emma» disse l’uomo.
«Ci deve essere un modo».
«Se un’anima viva entra in quel regno, una sola anima viva può uscirne. Non c’è altro modo» disse titubante Gold perché l’uomo sapeva perfettamente come stavano lavorando gli ingranaggi nella testa, ma soprattutto nel cuore, di Emma, ed era un modo che l’avrebbe portata ad una sola conclusione.
«Allora sarà Regina, ad uscirne».
Gold si accigliò.
«Emma, a Henry rimarrebbe comunque una sola madre, le cose non cambierebbero in alcun modo».
«E invece sì, Gold. Perché Regina si è presa cura di nostro figlio quando io l’ho abbandonato, perché Regina merita una seconda possibilità e merita la felicità molto più di quanto la meriti io. E ricorda che sei stato tu a renderla quello che è stata, ricorda che se non fosse stato per te, burattinaio da quattro soldi, nulla di tutto questo sarebbe accaduto» lo accusò Emma. «Tu devi la felicità a Regina, sei in debito con lei».
Gold strinse la bocca in una smorfia.
«Ha scambiato la felicità con il potere. Io non le devo niente».
«Oh, andiamo, tu l’hai ingannata!» sbottò Emma. «Ma sai una cosa? Non importa, perché se tu non mi vuoi aiutare, lo farò da sola. A quanto pare la magia non mi manca e i libri di Regina sono tutti nel suo studio. È stato un piacere, Gold» lo salutò la ragazza, con rabbia.
«Emma!» la chiamò l’uomo, prima che potesse uscire dal negozio. «Quello che vuoi fare è da pazzi. E tu sei la madre di mio nipote, non posso lasciartelo fare. In più, mio figlio sembra ancora essere innamorato di te».
«E allora? Hai intenzione di fermarmi?»
«No, Emma. Ho intenzione di aiutarti. Se proprio vuoi farlo, mi occuperò io dei dettagli tecnici per la maledizione, almeno sarò sicuro che non farai saltare in aria questa città con stupidi esperimenti di magia».
 
«No» disse Mary Margaret, dopo che Emma ebbe spiegato ai suoi genitori che intenzioni avesse.
«Non ho chiesto il vostro permesso. Ve l’ho detto solo perché possiate occuparvi di Henry in mia assenza».
«Non ti lasceremo andare. Non puoi semplicemente-».
«Sì che posso».
«Vuoi scambiare la tua vita per quella di Regina. Emma, tu non sei lucida, non puoi farlo!» urlò Mary Margaret.
David non parlava, si limitava a guardare Emma con gli occhi colmi di disperazione e il cuore rigonfio di comprensione. Lui, per Biancaneve, l’avrebbe fatto senza pensarci due volte. Eppure, davvero, non riusciva a lasciare andare la figlia.
«E chi me lo impedirà?» domandò Emma, l’accenno di una risata isterica sul viso.
«Per favore, tesoro, non farlo».
Lo sceriffo scosse la testa, poi lasciò la cucina e salì di corsa le scale.
Lei lo avrebbe fatto, eccome se lo avrebbe fatto.
 
«Penso di poterti aiutare» disse Henry quella sera a letto, accanto a Emma. Dal giorno del funerale dormivano nello stesso letto, quello di che sapeva ancora, dolorosamente, di Regina e sembrava che la compagnia reciproca riuscisse a tenere lontani gli incubi. Almeno i peggiori.
«Aiutarmi?» domandò Emma, curiosa. «In cosa?».
«A salvare la mamma».
Il sangue di Emma ghiacciò. Come diavolo faceva Henry a sapere delle sue intenzioni? Eppure, aveva controllato che lui non fosse nei paraggi, quando ne aveva parlato con i suoi genitori.
«Hai origliato?»
«Credevo di poter ascoltare» rispose.
«Henry…»
«Tu e la mamma lo avete sempre fatto. E poi hai promesso che saresti sempre stata sincera con me» protestò Henry.
Emma sospirò. Quella storia continuava a ritorcersi contro di lei.
«Sentiamo, ragazzino».
«C’è una storia, nel mio libro» iniziò Henry, entusiasta di avere l’attenzione di Emma, ma, soprattutto, la speranza di poter salvare Regina, «dove la mamma passa attraverso il cappello e raggiunge il Regno di Cuori».
«Quel cappello è andato distrutto, Henry e poi non credo mi possa portare-».
«No, ascoltami. Se attraverso il cappello passa una persona, poi per tornare indietro può passare solo una persona. Ma io credo ci sia un modo per portare una persona in più».
«Henry, di cosa stai parlando?»
«Quando la mamma è tornata indietro, nel suo castello, ha portato con sé un cuore. E il cappello l’ha lasciata passare» spiegò Henry, in un sussurro. Quelle erano cose di cui un bambino tanto piccolo non avrebbe mai dovuto parlare. E poi, dopo quello che era successo sull’Isola, il cuore non era certo il suo argomento preferito.
«Henry, di cosa diavolo stai parlando?»
«Forse, non è necessario che tu porti con te la mamma. Prendile il cuore e poi, forse, se-».
«Fermo, fermo, Henry. Non posso… non so cosa succederebbe se facessi una cosa del genere a tua madre nell’Oltretomba. E poi devo essere risvegliata dal bacio del Vero Amore, tesoro e non-».
«Quando io ero sotto la maledizione il tuo bacio ha funzionato. Sono sicuro che funzionerà anche se sarò io a darlo a te».
«E come farai a sapere quando darmelo? No, Henry, non se ne parla» chiuse il discorso Emma.
«Ma ci deve essere un modo perché io possa avervi entrambe» protestò debolmente il bambino, gli occhi di nuovo pieni di quelle lacrime ormai familiari.
Emma non riuscì a fare nulla se non stringerlo al petto, fino a quando entrambi non scivolarono in un sonno agitato.
 
Il cellulare di Emma squillò.
«È tutto pronto» disse il signor Gold, all’altro capo del telefono.
«Ci vediamo nel tuo negozio, tra un’ora» rispose la ragazza, prima di riagganciare.
Sto arrivando, Regina. 
   
 
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