Di
me ti puoi fidare
Tenevo
ancora quel maledetto
cellulare stretto nella mano e non avevo avuto ancora il coraggio di
guardare
quel messaggio. Non sapevo se fosse perché avevo paura di
rimanere illusa
oppure perché ero sempre stata codarda nella mia vita,
cercando sempre di
sfuggire alle situazioni che potevano mettere in discussione le mie
idee. Non
mi ero mai definita una persona coraggiosa, preferivo rimanere nella
mia triste
tranquillità piuttosto che mettermi in gioco. Eppure ora ero
stanca di quella
situazione e dovevo ammettere a me stessa che non avevo scelta, se
volevo
cambiare dovevo rischiare.
Il
cellulare si illuminò un’altra
volta e fu così che lo aprì e lessi le frasi che
vi erano stampate sopra. Ad un
primo impatto sembravano fredde e terribilmente prive di emozione, ma
poi
quando realizzai chi ne era l’autore il sangue
defluì più intensamente sulle
guance ed arrossii in un batter d’occhio.
“Ciao Sarah! Sono contento che tu mi abbia scritto,
anche se ho visto il
messaggio solo ora… di me ti puoi fidare. Per qualsiasi cosa
io ci sono”
Di
me ti puoi fidare…
Quelle
parole mi rimasero
impresse come un timbro in un pezzo di carta bianca. Non sapevo per
quale
motivo fossi così agitata, alla fine era solamente un
ragazzo che aveva
risposto ad un semplice messaggio, ma per me non era proprio
così. Lui era il ragazzo, che
aveva risposto ad un mio messaggio
e quella per me era la
prima volta.
Quando
scorsi in lontananza la
scuola realizzai, che per tutto il tragitto non avevo pensato
assolutamente a
dove andare, come se le mie gambe mi avessero portato lì
autonomamente. Cercai
di sopprimere tutti i pensieri che ormai si accavallavano uno con
l’altro e per
la prima volta m’imposi di pensare solamente alla scuola.
Normalmente mi veniva
normale pensare alla scuola, anzi era una distrazione,
perché la scuola
riusciva a farmi sentire una persona normale.
Quando
entrai in classe c’erano
già dei ragazzi all'interno, ma lui non era ancora arrivato.
Mi sedetti come ogni mattina e
cominciai a ripassare definizioni, formule e vocaboli.
La
giornata passò via
velocemente, Daniel quel giorno non era venuto a scuola ed io avevo
provato una
sensazione di sconforto che non avevo mai provato prima. Come se mi
sentissi
vuota, come se la mia vita non avesse più un senso e come se
tutto quello che
facevo non avesse uno scopo.
Era
terribile, perché non potevo
farci niente. Era come se il fatto che qualcuno avesse deciso di
conoscermi
avesse scaturito un’ondata di emozioni che non provavo
più da tempo e che
perciò non riuscivo più a controllare. Un momento
ero triste ed amareggiata e
quello dopo ero sollevata ed apparentemente felice, per gli altri era
l’adolescenza per me voleva dire di nuovo emozioni.
Era
sera, le luci delle case si
erano ormai quasi del tutto spente, ne rimaneva solo qualche
d’una che
resisteva al buio di quella gelida notte d’autunno.
-Sarah,
noi siamo di sotto a
guardare un film, vuoi venire?-
Era
la voce squillante di Katia e
quella era forse la prima volta che mi chiedeva di guardare un film con
loro,
era strano, ma forse anche i miei coinquilini leggevano nei miei occhi
la
volontà di cambiare. Cambiare per vivere ed amare di nuovo.
In fondo non avevo
nulla da perdere, pensai.
-Certo,
vengo volentieri- risposi
cercando di imitare il suo tono di voce gioioso.
Lei
sfoggiò uno dei suoi
splendidi sorrisi, mi prese dolcemente per mano e mi
accompagnò giù.
C’erano Alex e Marco che si erano già
accomodati sul lungo divano. In quel momento mi sentii per la prima
volta a
casa, come in una famiglia. Era strano, ma quella sembrava veramente
una
famiglia.
Mi
addormentai in un istante
quella notte e quando la sveglia suonò, mi sembrò
di aver dormito solamente per
mezz’ora. Il sole illuminava la mia stanza attraverso le
tende semitrasparenti.
Mi stiracchiai e quando vidi quella ragazza esile allo specchio ne
rimasi ben
poco soddisfatta, d’altra parte ormai avevo imparato ad
accettare me stessa.
Avevo imparato ad accettare le mie gambe scheletriche, il mio seno
quasi del
tutto inesistente, le mie mani ossute e tanti dei difetti che
individuavo sul
mio corpo ogni giorno.
Solo
dopo essermi avvicinata al
calendario mi ricordai che era Domenica, il giorno di riposo o almeno
era
quello che doveva sembrare. Io passavo le mie domeniche a leggere e a
studiare
tutto il giorno, a volte uscivo e passeggiavo in solitudine nel parco
vicino a
casa mia, ma la monotonia delle mie domeniche era a dir poco
straordinaria.
Quando
scesi in cucina vidi che
era completamente deserta o meglio, tutta la casa era deserta. Che i
miei
coinquilini si fossero dissolti nella notte?
Poi
in soggiorno vidi che c’era
un foglio di carta ripiegato su se stesso e così mi
avvicinai e aprendolo
velocemente.
“Ciao. Noi siamo andati a fare shopping in un centro
commerciale
abbastanza lontano da qui. Staremo via tutto il giorno”
Ecco,
l’avevano fatto un’altra
volta. Io che pensavo di iniziare a far parte di una famiglia, ero sola
di
nuovo.
P.S.
Ciao! Mi fa piacere che
qualcuno di voi abbia recensito questa storia, perché mi
rende felice sapere che
qualcuno si prende il tempo per leggere. Siamo solo al terzo capitolo,
ma spero
lo stesso che vi stia piacendo, è la prima volta che scrivo
una storia
drammatica e spero che questa sia all’altezza di questo
splendido genere
letterario. Recensite se vi va!
Alla
prossima, Iris