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Autore: Hutcher92    10/12/2013    9 recensioni
Una ragazza si sveglia in ospedale. E' sola e non ha nessuno lì con lei.
Non ricorda niente prima del suo risveglio.
Nemmeno il suo nome.
Come riuscirebbe a resistere in quell'ospedale bianco senza qualcuno che la venga a salvare?
-"Gli angeli non sono sempre bianchi"-
Spesso gli angeli indossano un camice d'ospedale come il tuo.
Spesso gli angeli ti chiamano paperella.
Spesso gli angeli hanno dei segreti
Spesso gli angeli si chiamano Niall.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Salve :) Sono Hutcher92.
Questa è una delle mie poche FF sui One Direction, ma è quella che ritengo la più romantica.
Spero che vi piaccia e se avete un suggerimento o una critica (accetto tutto in maniera limitata) la potete recensire e dirmi cosa vi piace o non vi piace.
Grazie per l'attensione e Buona Lettura



Dolore.
Riesco a sentire solo questo.
Un dolore così forte da mandarmi fitte lancinanti per tutto il corpo.
Non ricordo cosa me lo ha procurato.
Sento delle voci intorno a me, ma vedo tutto nero.
La testa mi gira.
Sento qualcuno che mi solleva.
Un altro dolore meno acuto.
Un ago mi trafigge le vene del braccio destro e sento un nuovo liquido che scorre dentro di esso.
Un liquido che mi calma, la testa smette di girarmi e ogni dolore passa mentre perdo lentamente conoscenza.
 
Sollevo leggermente le palpebre.
All’inizio vedo tutto ombrato ma a poco a poco riesco a mettere a fuoco il posto dove mi trovo.
La testa mi fa male e anche la gola brucia molto.
Sono distesa su un letto, coperta da lenzuola bianche.
Avanti a me c’e un armadietto di colore azzurro e bianco, le stesse tonalità delle pareti.
Giro leggermente la testa a sinistra. Al posto delle pareti azzurre c’e una finestra gigante , che dà sulla città.
Alla mia destra c’e un letto uguale al mio, vuoto.
Ho già visto un posto come questo, ma non mi ricordo.
Una sensazione di nausea sale dalla bocca dello stomaco e mi arriva in gola.
Io non ricordo.
La mia testa comincia a formulare delle domande.
Come mi chiamo?
Quanti anni ho?
Perché sono qui?
Comincio a tremare tutta, non riesco a rispondere a nessuna di queste domande.
Faccio respiri profondi e cerco di interrogarmi sulla domanda che credo sia la più facile.
Come mi chiamo?....Io mi chiamo….Mi chiamo….
Niente.
Nella mia testa rimbomba quella domanda.
Ma non ho la risposta.
Devo pur chiamarmi in qualche modo.
All’improvviso mi rendo conto di non sapere niente di me. Non so come mi chiamo, né quanti anni ho, non ricordo il viso dei miei genitori e la cosa peggiore è che non ricordo nemmeno il mio, di viso.
Ho un ago infilato in un braccio che prosegue in un tubo che finisce attaccato ad una flebo. Il liquido della flebo che finisce nel mio braccio brucia, vorrei strapparmi l’ago, ma non lo faccio. Probabilmente mi avrebbe fatto ancora più male.
La mia mente comincia a ragionare.
Camera a due letti, flebo, lenzuola bianche, mal di testa.
Sono in un ospedale.
Ecco, è questa la parola che mi ronzava nella testa.
Cosa mi è successo?
Comincia a salirmi la paura, voglio esaminare il mio corpo visto che non ricordo nemmeno come sono fatta.
Con il braccio sano, tolgo le lenzuola dal letto in modo da scoprirmi le gambe.
Passo un po’ di tempo ad osservarle.
Ho i piedi piccoli, le gambe sono cicciotelle e scure, alla caviglia destra c’è un braccialetto colorato.
Il mio sguardo si sposta sul mio torace, nascosto da un camice bianco.
Mi tocco la pancia.
Lentamente la mia mano comincia a salire e comincio a toccarmi il viso.
Con la coda dell’occhio vedo i miei capelli sciolti sulle spalle. Li tocco, sono abbastanza lunghi e di color marrone.
Voglio alzarmi. Voglio andare nel bagno che vedo attraverso la porta aperta alla mia destra e vedere il mio viso.
Voglio vederlo più di ogni altra cosa.
Sto quasi per alzarmi quando sento una voce.
-Ti sei svegliata, finalmente-
Un uomo con un lungo camice bianco mi si avvicina.
Deve avere una cinquantina di anni, è molto alto con i capelli grigi e lo sguardo triste.
-Dormivi da molte ore-
“E’ un medico” dice una vocina nella mia testa.
Apro la bocca per fargli una quindicina di domande ma dalla mia bocca non esce suono.
Cerco di sforzarmi a parlare ma la gola mi brucia ancora peggio di prima e mi escono le lacrime.
-Calma, non ti sforzare- mi dice l’uomo –Ti dirò tutto-.
Prende una sedia che prima non avevo visto e si siede.
Prende un respiro profondo.
-Sei in un ospedale come hai già capito-
Io annuisco.
-Ti abbiamo portato qui ieri sera, una donna ci ha chiamato per avvisarci di un incidente appena fuori città, lei stava passando con l’auto e ti ha vista stesa a terra, non avevi niente con te nemmeno un telefono. Lei ha chiamato l’ambulanza e siamo venuti a prenderti-
Fa una pausa per permettermi di capire.
Ho avuto un incidente.
Una donna mi ha salvato.
Ecco perché sono qui.
Avrei altre mille domande da fargli, lui lo capisce e continua a raccontare.
-Eri in fin di vita, l’incidente ti ha procurato danni alla parte frontale del cervello e alle corde vocali-
Ecco spiegato il mal di testa e il fatto che non riesco a parlare.
-Vedi piccola, devi sapere che qui- mi tocca la fronte con l’indice –E’ dove risiedono i nostri ricordi, le nostre emozioni e quando si ha una grave botta questi ricordi svaniscono. E’ come la pellicola di un film, se si rompe anche di un poco, tutto il film è perduto-
“E’ questo che mi è successo? Ho perso la memoria?” penso.
Lui fa eco ai miei pensieri.
-Hai avuto una perdita della memoria, fortunatamente a breve termine, ecco perché non ricordi il tuo nome né sai chi sono i tuoi genitori-
-“I miei genitori”-
-Stiamo facendo tutto il possibile per rintracciarli, ma è complicato non sapendo come si chiamano-
Stringo in un pugno la mano e faccio respiri profondi.
Mi sento come se mi avessero rubato la vita.
Lui mi sorride.
-C’è un ottima notizia però- mi dice –Potrai riprendere a parlare fra poco e in più conosciamo anche il tuo nome-
“Il mio nome…e come hanno fatto?!” penso sbalordita.
Lui mi indica il braccio in cui è infilato l’ago.
Vedo una striscia di plastica arancione che prima non avevo notato.
-Guarda-
La gira attorno al mio polso fino a trovare una scritta incisa nella plastica.
-C’è scritto May..è il tuo nome-
-“Potrebbe essere anche una marca”- penso.
Lui sorride.
-So che ti chiami così. Anche mia figlia ne ha uno uguale, azzurro però-
Guardo il braccialetto e lo accarezzo con il braccio sano.
Il mio nome. Ho finalmente scoperto come mi chiamo.
May.
Sfortunatamente non mi dice niente. Speravo che sapendo almeno il mio nome avrei ricordato qualcosa della mia vita passata.
Invece niente.
Nada.
Zero.
Vorrei chiedergli qualcosa, ma lui si alza e fa per andarsene.
Io lo blocco per un braccio e lui intuisce che voglio sapere un'altra cosa.
Prende un foglio di carta e mi dice di scrivere.
Il mio braccio destro non si può muovere ma stranamente la mano sinistra afferra subito la penna e comincio a scrivere velocemente.
Sono mancina.
Scrivo e ridò il foglio al dottore.
Lui annuisce ed esce e torna poco dopo con uno specchietto abbastanza grande.
 Lui me lo dà e poi esce dalla stanza.
Faccio un respiro profondo e porto lo specchio ad altezza viso.
Il primo pensiero quando mi vedo è “Questa sono davvero io?”
Ho gli occhi marroni, leggermente tirati alle punte.
Un naso all’insù.
Una bocca carnosa.
Un neo sulla guancia destra.
Non sono un tripudio di bellezza ma mi piaccio.
Cerco di impormi l’immagine del mio viso in testa e solo quando me lo ricordo ad occhi chiusi poso lo specchietto ma prima di farlo noto qualcosa sul mio collo.
Una cicatrice orribile che parte da sotto al mento e procede a forma di curva, lunga circa cinque centimetri.
E’ spaventosa.
Poso di scatto lo specchietto sul mobile e faccio respiri profondi.
Mi calmo e ricapitolo mentalmente tutto quello che il medico mi ha detto.
-“Mi chiamo May…non so quanti anni ho… non conosco i miei genitori…ho avuto un incidente…ho perso la memoria…anche la voce…sono abbastanza carina e ho una brutta cicatrice sul collo”
Beh, è sempre più di quello che sapevo venti minuti fa.
-“Cosa farò ora?”- penso.
-“Aspetti”- mi dice la vocina nella mia testa.
Vorrei parlare, sentire la mia voce, invece chiudo gli occhi e mi addormento di nuovo, sperando di sognare qualcosa della mia vita precedente.

  
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