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Autore: KH4    10/12/2013    2 recensioni
Estratto dal prologo:
"Io lo so…Tu non sei il tipo di persona che si lascia uccidere così facilmente. Non è nel tuo stile. Ti è sempre piaciuto essere teatrale in tutto ciò che fai, essere la svolta di una situazione prossima al fallimento. Ami essere egocentrico, vanitoso, arrogante, sai di esserlo, e non ti arrenderesti mai d’innanzi a una morte che non ti renderebbe il giusto onore. La sceglieresti solo dopo aver guardato a lungo una bella donna e averle sussurrato frasi che avrebbero fatto di te un ricordo prezioso e insostituibile. Soltanto allora, ne saresti soddisfatto." 
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee, Marian Cross, Nuovo personaggio | Coppie: Allen/Lenalee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Santi Oscuri.'
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Il cielo azzurro si stagliava sull’orizzonte come limpido e infinito riflesso dell’oceano sottostante. Non una sola nuvola lo deturpava, quasi le masse biancastre e inconsistenti che lo sporcavano quotidianamente avessero evitato apposta di comparire per non rovinare una così bella giornata.
Lenalee Lee ne ammirava in silenzio l’intoccabilità, col vento che le gettava indietro i lunghi capelli inchiostrati di nero e il sole a colorarli con riflessi smeraldini; il calore sprigionato dai raggi riversanti verso il basso ne solleticava la pelle con piacevole tepore, nonostante il lungo abito nero la coprisse da capo a collo. Non era mai stata una persona con particolari preferenze, temperature comprese: si era sempre adattata alle circostanze per non essere pesante a chi le era accanto, ma nel mezzo di una tranquillità che non respirava più da molti giorni, non poté non ammettere che la brezza frizzantina e salmastra del porto era di gran lunga più salutare di quella assaporata dal finestrino aperto del treno in corsa. Probabilmente tanto sollievo era dato anche dal fatto che finalmente il gruppo era tornato a essere solido e compatto esattamente come quando erano partiti, con la piacevole aggiunta di un’amica che non vedeva da moltissimo tempo: la scesa in campo di Amèlie era stata un’autentica sorpresa e il suo contributo nel rintracciare il generale Cross sarebbe stato senz’altro di grande aiuto, ma agli occhi della sedicenne, tutto sostava su un piano secondario.
Il ritrovarsi era uno dei momenti che più la rincuoravano quando le missioni a loro assegnate si dilungavano addirittura per mesi: l’attesa consumava silenziosamente pensieri speranzosi, mutando i giorni in secoli e mettendo a dura prova anche la più fiduciosa delle caparbietà. Lenalee aveva rafforzato quel suo pregare per le vite altrui nascondendolo dietro al caldo sorriso che meglio esprimeva la sua dolcezza e sebbene ultimamente i suoi sonni facessero di tutto per renderla irrequieta, avrebbe continuato a farsi forza e a mettercela tutta.

Lenalee, eccoti. – Una voce familiare richiamò l’attenzione della cinese, esortandola a voltarsi con velocità superiore alla norma.
- Allen-kun. – Vide l’albino avanzare verso di lei con passo impercettibile, affiancandola senza mai interrompere il contatto visivo - E’ successo qualcosa? –
- No, ma siccome non ti si trovava al Dragone Imperiale, ho pensato di venirti a cercare. Sei sparita da più di un’ora, cosa ci fai qua? –

La premura che il quindicenne dimostrava nei confronti delle persone a lui care fuoriusciva anche quando non vi erano pericoli nei paraggi. Sapeva di riflesso condizionato, qualcosa d'istintivo quanto il suo essere un gentleman.

- Nulla di importante. – Lenalee scosse debolmente la testa - Volevo solo prendere una boccata d’aria. Sai…Ho parlato con Reever-san giusto poco fa, per salutare lui e tutti gli altri, quindi… - I suoi lineamenti si ammorbidirono un poco, velando il viso di una leggera e sfuggevole malinconia.

Allen annuì, comprendendo appieno le sue ragioni ragioni ed evitando così di indagare ulteriormente. Lenalee viveva all’interno dell’Ordine Oscuro fin da quando ne aveva memoria e tutta la sua famiglia era là che aspettava il suo ritorno. La Cina, terra natale sua e di suo fratello, non aveva risvegliato alcun legame affettivo nel suo cuore, nessuna emozione che le riempisse gli occhi di nostalgia. Profumi, sapori e il rapportarsi di lì le erano completamente sconosciuti. L’alto castello costruito sopra un inscalabile picco protetto da nuvole e correnti ostili che si affacciavano sull’immensità del cielo era l’unico posto che potesse chiamare Casa, perché le persone che ci lavoravano, che la lasciavano e poi ci tornavano, rappresentavano quel mondo che lei amava più di qualunque altra cosa esistente, compreso quello in cui lei viveva e che era stata chiamata a proteggere.

- Sono sicuro che ci attendono a braccia aperte e che si stanno impegnando quanto noi -, la rassicurò Allen, sorridente – Da quel poco che so, la Sezione Scientifica non si fa mettere i piedi in testa tanto facilmente e con tuo fratello al comando, credo che non avranno tempo per annoiarsi. –
- E’ vero -, asserì convinta la ragazza, dopo un attimo di esitazione – C’è solo da sperare che non combini qualche guaio: nel suo aiutare, tende sempre a esagerare -, ridacchiò poi.
- Come darti torto… -, mormorò l’albino, blu in viso e con la mano stretta al petto.

Il ricordo traumatico di Komui che gli trapanava il braccio e quello di Komurin che lo apriva come una scatola di sardine per ricucirgli un minuscolo taglio non fecero che rafforzare la promessa di non ferirsi mai più il braccio sinistro. La follia del Supervisore stava a pari merito con il sadismo del maestro, una cosa che mai avrebbe creduto vera fino a quando non l’aveva sperimentata sulla sua stessa pelle, ma in quel minuscolo siparietto di tragica comicità, Allen non poté non notare la radiosità del volto di Lenalee: i delicati lineamenti si congiungevano fra di loro in una luminosità rinata che ne aveva influenzato addirittura la postura, morbida e più rilassata di come la ricordasse.

- Sembri stare molto meglio, Lenalee -, constatò per l'appunto l’amico, rincuorato.
- Uh? – La cinese batté gli occhi color ametista più volte, senza afferrare bene il concetto.
La linea della bocca dell’albino si piegò in un sorriso denotante una minuscola nota di amara preoccupazione – Prima di separarci, mi sei sembrata triste -, confessò successivamente – Ho pensato che fossi ancora arrabbiata con me, però ho avuto come l’impressione che ci fosse qualcos’altro che ti impensieriva, che non ti lasciava in pace, anche se facevi di tutto per non darlo a vedere. Io so che sei una persona forte, Lenalee, ma sappi che se hai bisogno, io ci sono. –

Soltanto in quel frangente, una volta che l’amico ebbe finito di parlare, l’Esorcista si accorse che la sua mano stava stringendo la sua. Era stata lei a cercarla o il contrario? Proprio non lo rammentava, tanto si era lasciata ipnotizzare dalle parole di lui. Così gentile e di buon cuore, Allen riusciva a rincuorare e a sostenere chiunque gli stesse accanto anche soltanto congiungendo le mani e sorridendo con tutta la fiducia di cui disponeva. Una qualità innata che l’aveva colpita sin dal primo istante, avvertendone i benefici effetti scendere lungo il corpo e privarlo d’ogni briciola di rigida dubbiosità. Anche lei aveva sempre mostrato una certa apprensione per le sorti dei propri compagni, ma Allen…Sembrava che in lui quella particolare dote si moltiplicasse esponenzialmente man mano che lo si conosceva, quasi avesse vita propria.


- Come le tenebre che lo circondano, non trovi? - La malignità di quella voce emersa dal nulla le strinse l’anima con artigli pungenti, facendole tremare le pozze ametiste per un lunghissimo istante.
- Lenalee? – Allen corrugò la fronte: gli era parso che la presa della mano della compagna si fosse accentuata – Lenalee, stai bene? –

La ragazza mancò di dargli risposta, oscurando il suo stato d’animo dietro la frangia ordinata.
Come…Come poteva una cosa astratta e senza peso come un sogno esercitare così tanto potere su di lei, sulla sua sicurezza, su quanto la faceva stare in piedi? La forza di respingerlo, la sua volontà, che molte volte aveva contenuto lacrime amare, tendevano a congelarsi davanti al cielo purpureo sorvolato dalla luna nera, che si stagliavano su quel mare dal colore indefinito e dalle cui viscere emergevano rovine a lei così maledette familiari. Non c’era modo di combatterlo. Accettarlo pareva l’unica via accessibile, la sola a disposizione, ma con le dita intrecciate a quelle di Allen e il calore di esse a proteggerla, Lenalee trovò il coraggio di contenerlo ancora una volta e di ricacciarlo indietro.


- Ti ringrazio, Allen-kun, davvero…Sono contenta che tu e gli altri siate tornati -, sussurrò – Mi spiace se ti ho fatto preoccupare, non era mia intenzione; a volte mi ostino così tanto su una cosa che finisco per fare l’esatto contrario e me ne accorgo sempre troppo tardi. Ma adesso sto bene, è tutto apposto. – Tornò a guardarlo del tutto ripresa, sicura di non aver lasciato nessuna ombra fuori in bella vista – Sebbene a Edo ci attenda una dura prova dove metteremo in gioco le nostre vite come non mai, insieme riusciremo senz’altro a tornare tutti a casa. E poi… -, aggiunse, ritrovando il suo completo e luminoso sorriso – Questa volta ci sarà anche Amèlie-san e con lei riusciremo senz’altro a trovare il Generale. -
Allen sorrise di rimando – Mi è parso di capire che voi due siate molto legate. – L’abbraccio a cui aveva assistito in silenzio era stata una più che esauriente manifestazione d’affetto puro sincero, di intensità contagiosa che aveva impregnato l’aria di calda serenità.
Lenalee annui, dolce e pacata come sempre – Che impressione ti ha fatto? –

- Impressione? – Allen si stupì a tale domanda.
- Sì. - La cinese gli si avvicinò, animata dalla sua stessa curiosità – Cosa ne pensi in generale, che opinione ti sei fatto nei suoi riguardi. –
- Ah, ecco…Su due piedi così non è facile… - Il ragazzino rivolse la testa all’insù, incrociando le braccia per ritagliarsi qualche secondo di personale riflessione.

Conosceva Amèlie da pochissimo e nonostante ne immaginasse una vita molto più ricca di quella appurata fino a quel momento, quel poco a cui aveva assistito era stato in grado di sorprenderlo, di far sorgere nella sua mente domande che ancora attendevano chiarimenti approfonditi. Il rimembrare come avesse sistemato quell’ubriacone alla locanda bastava perché stupore, indignazione, incomprensione, tutta una serie di emozioni di consistenza diversa fra loro si mischiassero e gli bloccassero il respiro.

Chi era davvero Amèlie Chevalier?


- Fa paura –, proferì quasi subito. Era stata la prima cosa che venutagli in mente e dovette inghiottire un bel po’ di saliva per poter mandare giù l’orribile immagine del maestro che lo colpiva col martello e tutte le altre diavolerie che gli aveva propinato durante l’addestramento. L’espressione di pura follia omicida che aveva visto spiccare negli occhi di Amèlie era dannatamente simile, se non peggiore, e qualcosa gli diceva che quello altro non era che un magro preludio al vero e proprio spettacolo – Ha polso e carattere, sa quello che vuole e quando vuole, e non è il genere di persona a cui piace essere contraddetta. Ah, già -, rammentò poi - E’ poco incline alle prese in giro. -
- Eh eh! Immagino che Lavi l’abbia chiamata scherzosamente tu-sai-come –, ridacchiò Lenalee, conscia della propensione dell’amico diciottenne a scherzare ingenuamente con fuochi pericolosi –  Che altro? –
- Che altro? Bè… - L’albino gettò il proprio cervello in una disperata caccia su tutto ciò che riguardava la francese.

Non era facile, anche perché aveva fra le mani semplici osservazioni colte per puro caso e inimicarsi Lenalee per aver dipinto male una persona che forse, anzi, senz’ombra di dubbio, considerava come una sorella maggiore, era l’ultima delle sue intenzioni.
Partì dalla Rosa Nera, trovando congeniale ripercorrere il filo degli eventi da un punto di partenza significativo: Amèlie era esigente con il suo staff – aveva avuto modo di constatarlo quando aveva richiamato all’ordine le ballerine -, raffinata, fiera, accattivante, una beltà algida dall’alone inquietantemente sadico e dai gusti molto costosi, il che lasciava intuire un amore sviscerale per il denaro che, a differenza di un certo maestro scriteriato di sua conoscenza, la bella francese si premurava di conservare come acqua nel deserto. Il libricino nero e i foglietti ingialliti esibiti alla locanda nascondenti l’abominevole cifra che Marian Cross stava accumulando negli anni per mancato pagamento gli avevano dimostrato per l’ennesima volta come quell’essere riuscisse ogni volta ad andare ben oltre la decenza umana. C’era altro, frivolezze come il fumo - sebbene non l’avesse mai più vista sfiorare una sigaretta da quando avevano lasciato la sua magione -, l’amore per il proprio bell’aspetto – che teneva controllato almeno tre volte all’ora - e che dire del vino: non amava scarti annaquati o quinte scelte che ne offendessero la lingua.
Evitò di pensare a Pierre non tanto perché lo scoprire che alla donna piacessero i ragazzini fosse stato preoccupante, ma per non cadere nella tentazione di pensare male di lei e a quella sua propensione a vestirli con abiti femminili, cosa che comunque lo portò ad un passo dal baratro dell’ambiguità; a dispetto di quanto aveva visto e constatato, Amèlie non gli aveva dato l’impressione di essere una persona capace di approfittare di innocenti e ripensando a come lo aveva accolto al loro primo incontro, a come lo aveva guardato, si stupì nel non riuscire a rievocare lo sbigottimento di allora o la rigidità che lo aveva paralizzato sul posto quand’ella gli aveva sfiorato delicatamente il viso, l’occhio maledetto e il braccio infestato dall’Innocence. Le pagliuzze argentate dei suoi occhi si addolcirono a tale ricordo, imbarazzate nel vedersi parare nuovamente davanti quel viso di donna adulta che lo sondava con silenziosa dolcezza.


- Allen-kun? – L’espressione di Lenalee si fece incerta. Il compagno si era estraniato dalla realtà circostante.
- E'…Molto gentile. - La voce dell’albino tornò infine a farsi sentire, imponendosi sul letto acquoso delle onde che si infrangevano contro il muro di pietra del porto – La vedi che è autoritaria, dura, a volte fredda per come gestisce certe situazioni… – Nuovamente, l’episodio della locanda tornò a incalzare – Ma sono sicuro che si comporta così perchè tiene alle persone a lei care e vuole che diano il meglio di sé per il loro bene. –

Gli era occorsa un’abbondante dose di buona volontà per impedire alle parole di sfuggire al suo controllo, tremolanti, per come quell’affettività che lo aveva avvolto alla Rosa Nera traboccasse da ogni parte del suo corpo con intensa nostalgia. Anche con la gola chiusa, le labbra pallide minacciavano di aprirsi involontariamente, di reagire, e non per ribadire la scarsa conoscenza nei riguardi di una compagna che, come lui, aveva condiviso l’essere un seguace del Generale Marian Cross.
La verità era che nessuno gli aveva più regalato simili carezze dalla morte di Mana. Le avvertiva tutt’ora, le sottili e calde dita di Amèlie che gli accarezzavano la linea della cicatrice rossa, la guancia, e infine gli trasmettevano rassicurazione con l’intera mano stretta alla sua deforme. Affetto che aveva addolcito spigoli inconoscibili della sua anima logorata, di cui nemmeno sapeva l’esistenza. Non era certo il conoscere i dettagli più intimi di una data persona a renderla amica o meno; per Allen, simili sentimenti e nomi dal significato incolmabile non necessitavano di prove o sicurezze, vivevano di meravigliosi legami a cui lui stesso ancora stava cercando di abituarsi, accogliendo i nuovi con solarità sincera. Speranze che meritavano tutto, sacrifici estremi compresi, che nella fiducia nascevano e morivano. Che quella donna molto più grande di lei fosse più di quanto lui avesse constatato ne era sicuro, ma era una costante della natura umana interrogarsi su qualcosa che suscitava un certo grado di curiosità e, in tutta franchezza, il semplice fatto che la francese fosse stata un’allieva di Marian Cross ben prima di lui, aveva autorizzato il suo cervello a chiedersi di che natura fosse il loro rapporto. Non era per nulla convinto che il tutto si riducesse a quell’innominabile numero che qualche giorno fa lo aveva visto arrivare alle porte del Paradiso, ma prima che lui stesso vi si perdesse dentro, la voce calda di Lenalee fece in tempo a oscurare qualsiasi sua congegnata ipotesi.


- Sì. A grandi linee, lei è fatta così -, confermò lei, socchiudendo lo sguardo e volgendolo all’orizzonte con i codini a oscillarle davanti per il vento alzatosi – Schietta e indomita: le è sempre piaciuto avere il controllo della situazione e l’ultima parola in un diverbio. Ricordo che quando ancora stava alla Home, molti ne invidiavano l’eloquenza e l’eleganza, era l’unica che tenesse testa al Generale Cross; sembrava che nulla potesse spaventarla. Purtroppo non tutti riuscivano ad apprezzarne le qualità. –

Un flebile sospiro fuoriuscì dalle sue labbra dischiuse e la perplessità fece capolino nelle chiare iridi dell’albino quasi chiamata a comando. La sospirata e melodica felicità di una collana impreziosita di ricordi insostituibili si era affiancata a quella sporca e brutta ruggine che macchiava i gioielli e rimaneva anche dopo l’accurata ripulitura.
Intuì qualcosa, Allen, che tenne per sé nel constatare quanto in profondità Lenalee si fosse addentrata nelle proprie memorie, intenzionata a difendere il ricordo della più grande dalle male voci raccolte inevitabilmente.
Doveva molto ad Amèlie, fin troppo. Nel buio e nell’incomprensione che l’avevano circondata e assediata da piccola, aveva trovato l’amore materno tanto anelato dalla sua anima dilaniata dalla paura nell’abbraccio protettivo della francese, la sicurezza grazie al riparo della sua schiena. Le si era aggrappata la mattina stessa che si era risvegliata nel suo letto, vegliata dopo tanta solitudine, con una corona di lacrime a imperlarle le ciglia per lo scoprire che non era stato un sogno come aveva creduto. Da allora, quell’esistenza forzata le era parsa meno lugubre e fredda, ammorbidita da un conforto umano di tempra diamantina, che non temeva quegli spettri di cui lei neppure riusciva a pronunciare il nome. Era forte, Amèlie, sempre, e quand’era lontana, Lenalee aveva una buona ragione per guardare lo spesso e largo portone d’entrata con intenzione diversa dal semplice scappare. Ma non tutti ne ammiravano la caratteriale bellezza come faceva lei; a circondarla c’erano più ombre che mani amiche, crudeli, che lei stessa si era attirata grazie all’inscalfibile indole che non conosceva sottomissione.


- Lenalee…Posso farti una domanda? – La voce di Allen la riportò alla realtà gentilmente, aprendole le porte e indicandole la via senza alcuna brutalità.
- Uh? Oh, ma certo -, si riscosse lei.
- Ecco, tu sei nell’Ordine Oscuro da molti più anni di me, quindi mi chiedevo, visto che conosci bene Amèlie-san, se sapevi spiegarmi che tipo di Esorcista sia. – Imbarazzato, si era grattato la guancia con la punta dell’indice inguantato dall’inizio alla fine della richiesta.
- Come? -
- Sì, bè…Perché non risiede alla Home come tutti gli altri o perché non sia intervenuta subito quando ci è stato affidato l’incarico di cercare il maestro. Dopotutto, anche lei è stata una sua allieva. –
- Capisco -, Lenalee annuì, coscienziosa e attenta quale era sempre - Uhm…E’ un po’ lunga da spiegare, ma ci provo ugualmente. – Andò sedersi su piccolo pilastro dalla punta quadrata a pochi passi dal bordo pietroso, lisciandosi le pieghe del lungo vestito nero – Come avrai avuto ben modo di notare, Amèlie-san gestisce una Casa del Piacere, la Rosa Nera. Fu sua nonna a fondarla, dopo averla vinta grazie a una scommessa e sempre lei ne fece una copertura per favorire la raccolta d’informazioni per l’Ordine Oscuro. Di molte organizzazioni di cui la Home si serve, la Rosa Nera è sempre stata una delle più fruttuose, soprattutto da quando Amèlie-san ne ha preso il comando -, spiegò accuratamente – Sebbene sia un’Esorcista, ha ottenuto un permesso speciale per rimanere fuori dalla sede principale e gestire l’attività come meglio crede: ovviamente svolge anche le nostre stesse missioni, ma il più delle volte riceve…Ordini di altro genere. – 

Fu impossibile per Allen non notare  l’indugio dell’amica.

- Ehm…Perdonami, Lenalee, ma penso di esseri perso -, non nascose l’albino – Che cosa intendi dire con “Ordini di altro genere”? – Parve pigiare un tasto dolente per la cinese perché il suo volto fu solcato da un leggero e sfuggente velo di tristezza.
- E’ la ragione per la quale Amèlie-san è entrata a far parte del gruppo così tardi -, mormorò lei.
Davvero? -Lenalee esitò ancora per qualche attimo – Quando siamo stati assegnati alla ricerca del Generale Cross, Nii-san ha riflettuto sulla possibilità di contattare Amèlie-san immediatamente, ma non l’ha fatto per via del suo da fare con i Broker. –
- Broker? – Era un nome nuovo, mai udito dall’albino, perplesso per come un tale vocabolo seppe inspessire la cupezza emotiva dell’amica.
- Esseri umani che pur di arricchirsi offrono i loro servizi al Conte del Millennio, ricercando possibili tracce di Innocence o…Raccogliendo loro simili per creare nuovi Akuma -, lo delucidò lei, non nascondendo la tristezza che l’argomento suscitava – Non so molto al riguardo, ma…Pare che il loro Modus Operandi ruoti attorno a strani traffici, aste umane e a informazioni inerenti alla sicurezza dell’Ordine Oscuro -, proseguì – Nii-san ultimamente è stato molto occupato anche per questa ragione: da quello che sono riuscita a capire, il Conte ha ampliato il suo raggio d’azione grazie al loro lavoro e molti dei nostri supporter sono stati sbaragliati per questo. La questione sarebbe di competenza dell’Ufficio Centrale, ma quelle persone sono molto astute, sanno come nascondersi e sparire. –
- E qui entra in scena  Amèlie-san, giusto? – Azzardò Allen.
La sedicenne annuì, alzandosi in piedi – La Rosa Nera si è sempre occupata di attività illecite di tale portata, oltre che a raccogliere informazioni utili che ci permettano di tenere sotto controllo gli avvenimenti più salienti della nostra società, ma in questi ultimi anni le azioni dei Broker si sono fatte molto più aggressive e mirate. Di fronte alla gravità del problema, Amèlie-san ha deciso di scendere in prima fila personalmente per sventare possibili fughe di notizie e traffici illegali. Data la sua copertura, le è più facile avvicinarsi a certi ambienti e persone, ma si tratta comunque di un lavoro molto rischioso: i Broker sono gli alleati umani del Conte del Millennio come gli Akuma sono il suo esercito, se non indossasse la maschera o non facesse ricorso alla doppia identità che si è creata qualcuno di entrambe le parti potrebbe riconoscerla. –

Il vento si alzò appena, increspando la superficie d’acqua marina già frastagliata per il suo continuo abbattersi contro le rocce. Il lontano cinguettio dei gabbiani che sorvolavano il porto e si divertivano a volteggiare intorno ai pennoni delle navi si librò in alto fino a raggiungere il sole, svanendo non appena questi si allontanarono ancora di più, verso mete sconosciute. In piedi e con le mani sciolte lungo i fianchi, Allen Walker avrebbe voluto dire qualcosa, ma dopo quanto ascoltato, il silenzio ebbe facilmente la meglio; la nebbia che circondava il profilo di Amèlie Chevalier ora pareva essere meno densa, ma di una contorta trasparenza che ampliò la faglia che la divideva dai restanti Esorcisti. Il disagio di Lenalee era un perfetto specchio di verità insostituibile, una preoccupazione palpabile che l’albino comprese con insolita affinità: ciò che Amèlie compiva al dì fuori del suo ruolo di Esorcista implicava l’agire in un mondo da trattare con onerosa delicatezza, un continuo fare attenzione e a muoversi con passo felpato in zone recondite dove l’animo umano raggiungeva l’apice della sua crudità e malignità. La fiducia non era un dono che potesse dividere o dispensare con chiunque, nemmeno con chi si professava amico da tanto tempo, e forse era proprio quel suo affrontare costantemente il buio delle persone, l’aver imparato precocemente come l’umanità fosse divisa in strati marci, meritevoli o intoccabili, ad averla resa così diretta – per non scendere in termini che Allen preferì tenere per sé -. Tuttavia, l’angoscia che la cinese aveva lasciato trapelare non si riferiva al carattere della donna, ma a quella segretezza garantita unicamente da un singolo pezzo di pizzo nero e da un nome falso appositamente celato anche a lei.

Il ragionamento era semplice, bastava mettere insieme qualche pezzo e sommare il tutto per ottenere una risposta più che plausibile.
La famosità della Rosa Nera era nota in ogni angolo delle attuali società e giacchè la corvina operava sia in ambiti civili e campi infestati di Akuma, se anche solo una persona o una delle Bambole del Conte del Millennio fosse riuscita a riconoscerla, la sua copertura, le vite di cui lei stessa aveva la responsabilità, avrebbero contratto una pericolo mortale. Lenalee era riuscita a venirne al corrente soltanto dopo diversi anni, ma non era un stupida, intuiva già da sé che la riservatezza di Nii-san sugli incarichi speciali di Amèlie implicavano metodi sfocianti anche nelle crude estremità, se necessarie. E il solo pensare a quella sua amica lottare il doppio, macchiarsi le mani e l’animo anche di reati orribili e venire criticata da voci buone solo a parlare, non faceva che inspessirne la tacita preoccupazione.
Da parte sua, Allen potè solo immaginare le terribili conseguenze legate agli innumerevoli rischi a cui la francese si affacciava con amministrazione quotidiana e davanti a tanto sconforto, prendere in mano la situazione e risollevarla fu più che mai doveroso: rivolgendo giusto per qualche istante le iridi argentate verso l’oceano, lasciando pensieri e giudizi sospesi in un vuoto mentale che gli alleggerì il torace, si mise di fronte all’amica, prendendole le mani fra le sue.

Lenalee Lee sussultò, dischiudendo le fini labbra per l’essere stata colta di sorpresa.


- Coraggio, Lenalee, non è da te essere così giù -, le disse, sorridendole – Se Amèlie-san venisse a sapere che ti stai preoccupando per lei,  finirebbe con lo sgridarti. Sai, credo che sia il tipo di persona a cui non piace che si dubiti di lei e se ci vede, sicuramente ci sgriderà. -
- Allen-kun… -
La presa sulle sue mani si accentuò leggermente, infondendole un calore indescrivibile e così piacevole da scendere giù lungo tutto il petto – Te l’ho detto prima, no? So bene che sei una persona forte, ma ci sono io, se mai avessi bisogno. Okay? -

I fili bianchi che componevano la corta chioma solleticarono le guance pallide del ragazzo, arrivando anche a sfiorare la sottile linea rossastra che solcava l’occhio sinistro e ne disegnava poco sopra al sopracciglio il pentacolo maledetto. Nel suo minuto silenzio, dove entrambi gli sguardi erano legati da una forza invisibile, Lenalee si trovò nuovamente faccia a faccia con quell’altruismo che non conosceva limiti o distinzioni: si rifletteva in ogni dove dell’animo di Allen, in ogni sua gestualità brillante di luce propria, che esplodeva in stelle scintillanti di bagliore superiore a quello degli astri invidiosi del cielo notturno. In cuor suo, dal profondo di quel suo Io turbato, sapeva che in una simile condizione pietosa non sarebbe mai potuta essere associata alla Lenalee Lee che tutti conoscevano. Quella ragazza dalle ordinate e morbide code baciate dal sole, sempre pronta a venire in soccorso della Sezione Scientifica con del buon caffe e dei suoi compagni, dal viso fine e la tempra capace di assorbire quanto la vita ancora le riservava…No, il riflesso ondeggiante e frastagliato che scorse sotto di lei non poteva in alcun modo appartenerle, come neppure tutta quell’incertezza e quel dolore.
Lei aveva la più completa fiducia nei suoi compagni, nelle loro capacità e Amèlie non faceva eccezione. Anche se sempre lontana e più vicina al pericolo di quanto già non fosse, non avrebbe mai lasciato che la paura rovinasse l’immagine che aveva di quella persona a cui era tanto riconoscente. E fu proprio nel mezzo di quella tranquillità aleggiante, possedente un che di irreale, che finalmente ricambiò il calore che Allen le stava trasmettendo con le proprie mani, con una presa ancora più accentuata e un delicato sorriso solare che dissipò ogni sua tristezza.


- Grazie, Allen-kun. - 




Mancava poco alla partenza, un’ora e mezza spaccata.
La nave era ormeggiata in porto, una cannoniera robusta, rapida e adatta ad affrontare la maggior parti delle correnti marine che li dividevano dal Giappone.
Anche a velocità spianata, sarebbero occorsi all’incirca cinque giorni prima di arrivare a destinazione. Il guardarla dalla poppa alla prua non fece altro che accrescere il riflettere di Amèlie, comodamente appoggiata coi gomiti sul balcone rivolto verso l’oceano, la maschera di pizzo ben fissa sulla parte superiore del volto truccato e il piccolo Timcampi comodamente appollaiato sulla cima della sua testa. Le mani volte al vuoto giocherellavano con il piccolo astuccio argentato metallizzato, rigirandolo da una parte all'altra col contenuto ben stipato al suo interno. La Maitresse della Rosa Nera lo aprì accarezzando la superficie ruvida delle sigarette riposte ordinatamente, soffermandosi con indecisione su ciascun cilindro dall’odore acre e dolciastro che emanavano.


- Che situazione. – Svuotò il contenuto dell’astuccio nell’aguzza boccuccia del golem dorato, che ne masticò e ingoiò il contenuto gonfiando le guance al massimo della loro espansione.

Tutta quella calma era fin troppo innaturale, un idillio che avrebbe dovuto assorbire e far suo prima che svanisse in una nuvola di fumo e lasciasse spazio a quanto aspettava tutti quanti loro. La superficie cristallina che si stagliava in lungo e in largo era dominata dalla luce pomeridiana del sole, un mezzo cerchio rosso incandescente che dava l’impressione che il pelo dell’acqua fosse coperto da un meraviglioso e luminescente manto dorato. Ma lei avrebbe dovuto aspettare un altro po’ per solcarlo e non lo avrebbe fatto insieme ad Allen e agli altri.

- Amèlie-chan, c’è qualcosa di cui devo parlarti: Cross-sama mi ha lasciato delle indicazioni per te. –
- Cosa? Indicazioni? –

Anita mosse seriamente la testa in segno di affermazione, porgendole una tazza di caffè bollente appena fatto. Delle molte aree riservate all’utilizzo esclusivo della Maitresse del Dragone Imperiale, la saletta orientale era la più bella e sontuosa: un turbinio di rosso e oro primeggianti nelle loro più svariate versioni, decorata con tappeti e arazzi degni di suscitare l’invidia di un collezionista, profumata d’incensi e dal soffitto decorato con dragoni dalla zanne sporgenti. Il mobilio si limitava a ben poco, giusto qualche soprammobile per mettere in mostra vasi o statuette di valore, ma era il piccolo gazebo dal tetto spiovente e dalle colonne di legno rosso lucido a essere stato ciò che Anita aveva sempre definito “Un piccolo, ma più che giustificato capriccio”. Una di quelle frivolezze che le donne ogni tanto si concedevano senza una valida ragione. Amèlie Chevalier, scivolando in quella stanza impreziosita di ogni bene materiale di alta fattura, non aveva minimamente immaginato l’esistenza dei doppi muri che la isolavano dal resto della magione; tuttavia, quando la collega l’aveva pregata di seguirla per poterle parlare in privato, la testa di Cross le era balzata in mente come un riflesso condizionato.

E in quel preciso istante, sorpresa da quella rivelazione, le risultò difficile reputare quella stranezza come una banale e casuale coincidenza.


- Sulla nave che salperà tra qualche ora, saliranno tutti tranne te -, le spiegò la più grande con molta calma – Cross-sama mi ha chiesto di farti partire separatamente dagli altri Esorcisti e che ci avrebbe pensato lui al mezzo di trasporto. Tutto quello che devi fare tu, è farti trovare alla spiaggia della costa a ovest della città alle dieci e mezza di questa sera.-
- Non ti ha riferito nient’altro? –
- Solamente di rispettare l’orario prestabilito e di dargli la precedenza su tutto -, rispose la donna – E’ stato molto categorico al riguardo. –

Su ciò, Amèlie non obiettò. Con le dita a reggere la tazza di caffè, abbassò lo sguardo su di essa e sul fumare ancora visibile che le solleticava il mento. Un cambio di programma inaspettato, niente da dire. Marian Cross puntava sempre sull’inatteso per volgere una situazione a suo favore, non era il tipo di persona che amava i protocolli o seguire piani elaborati ancor prima di essere approvati, ma in tutta sincerità la donna non si sarebbe mai aspettata che quell’uomo le lasciasse addirittura delle istruzioni da seguire. Da un punto di vista strettamente professionale, lo riteneva abbastanza prudente da prendere le dovute misure di sicurezza, eppure nel suo rifletterci attentamente, si soffermò proprio sulla capacità di improvvisare da cui il suo vecchio maestro aveva sempre tratto diversi vantaggi, di adattarsi alla situazione senza mai perdere di vista l’obiettivo principale. Arricciando le labbra struccate, le fece schioccare, inumidendole del sapore del caffè appena bevuto.

- Anita, sai se Cross era a conoscenza del fatto che un’unità di Esorcisti stesse seguendo le sue tracce? -
- Sì, ne è venuto a conoscenza poco prima di partire per il Giappone -, le rispose lei - Ora che mi ci fai pensare, è stato dopo averlo scoperto che mi ha chiesto di riferirti quanto ti ho detto. –
- Capisco... - Amèlie annuì nuovamente, sorseggiando con serietà un altro po’ della bevanda calda e dal forte gusto.

Le informazioni raccolte erano preziose, andavano sistemate seguendo il giusto ordine e nel suo socchiudere le iridi d’onice, la francese rifletté con maggior attenzione di prima: che il Generale le avesse lasciato delle indicazioni e che fosse a conoscenza del fatto che qualcuno della sua stessa fazione fosse sulle sue tracce non potevano essere delle semplici coincidenze, ormai era fin troppo evidente. Sapeva che sarebbe venuta, che prima o poi lei stessa si sarebbe fatta avanti e aveva agito di conseguenza. Forse tutta la sua intera strategia si basava proprio su questo. La sua mente contorta e brillante – oltre il potere spaventoso della sua Innocence - rientrava nella lista delle ragioni per la quale fosse considerato una persona meritevole di ricoprire una carica gerarchica tanto in vista ed escludendo tutti i suoi difetti caratteriali e materiali, Amèlie non si sarebbe mai permessa di sputare sentenze senza prima ricordare quanto sveglio e maledettamente astuto fosse Marian Cross.

Se era giunto a lasciarle simili direttive, doveva sicuramente aver intuito fin dal principio la situazione a Edo oppure…
Che potesse centrare la misteriosa Arca di cui le aveva parlato l’Akuma?


- Dalle note melodiche della ninna nanna, le ceneri dell’Arca Bianca partoriranno la Nera e le sue ali alte si dispiegheranno alla volta del cielo stellato… -, mormorò la corvina pensierosa.
- Che cosa significa, Amèlie-chan? – Anita si sporse avanti, in attesa che il riflettere dell’amica giungesse alla fine.
- E’ una specie di profezia. Riguarda la nascita di qualcosa che ha a che fare con il Conte del Millennio, ma cosa di preciso, non ne ho idea -, le rivelò lei, tamburellandosi l’indice sulle labbra.
- Se ha a che fare con il Conte, si tratterà di qualcosa di molto prezioso, che Cross-sama vorrà usare a suo vantaggio. Oppure che cercherà di distruggere, nel caso venga utilizzata contro di lui -, ipotizzò Anita.
- Non saprei, non è qualcosa su cui mi senta di azzardare inutili teorie. In tal caso, credo che al momento Cross non sia nelle condizioni migliori per muoversi -, asserì con fermezza la collega - Se quest’Arca si trova a Edo e a proteggerla c’è il Conte in persona, non oso immaginare le orde di Akuma che pullulano laggiù, per non parlare della famiglia Noah. Anche per un Generale del suo calibro muoversi in posto così infestato risulterebbe difficile, ma se lo conosco bene, si sarà imboscato da qualche parte, in attesa del momento più propizio per fare la sua mossa. Figurarsi se spreca delle preziose energie per combattimenti inutili. –
- Bè, sai meglio di me che Cross-sama non è il genere di persona che attacca immediatamente e senza essere sicuro di poterlo fare -, le ricordò la padrona di casa, versandosi dell’altro caffè – Quello che non capisco è il perché ti abbia lasciato delle indicazioni del genere: se a Edo la situazione è grave come presupponiamo, farti separare dal resto del gruppo non è una mossa saggia. -
- Lo so, ma cosa pensi che ci stia a fare qua? – Sbuffò Amèlie, sprofodando nel morbido schienale della poltrona – E’ tipico di lui  sfruttare le persone per i propri scopi e io non faccio testo: era sicuro che prima o poi mi sarei unita alle ricerche, ci contava e si è preparato in anticipo. Se vuole che mi separi dagli altri è perché ha già una chiara idea della situazione e di come possa degenerare. Ancora non mi è chiaro il quadro in generale, anzi, brancolo nel buio più totale, ma sta a vedere che mi toccherà fare da esca per qualcosa. - Allungò la mano destra verso il piattino di porcellana pieno di deliziosi dolcetti e se ne portò uno alla bocca, lasciando che il gusto della pastafrolla e del cioccolato fondente amalgamati insieme le ammorbidisse l’umore contrariato.

Parlare di Marian Cross spesso e volentieri sfidava il suo autocontrollo e la sua compostezza in maniera fin troppo incisiva, tanto da ridurla a una bambina sull’orlo dell’esplosione. Di per sé ammetteva di aver sviluppato un linguaggio che a volte scemava nel volgare, se provocata adeguatamente, di essere subdola, orgogliosa, materialista, dispostica e con un pizzico di strabordante narcisismo che non guastava mai, ma almeno lei si sbatteva ventiquattrore su ventiquattro per entrambi i suoi lavori, non era indebitata fino al collo, una sfruttatrice di prima categoria – salvo occasioni -, ne una menefreghista patentata – almeno con la gente a lei cara. –
Andava fiera della sua eleganza, di quel fascino ammaliante che non passava mai inosservato, l’amore per la propria immagine vinceva su qualsiasi provocazione che solleticasse quell’altra facciata di lei rivelatasi a tratti ai compagni, non ancora del tutto svelata nella sua perversità crudele e spaventosa; poteva soprassedere sul fatto di essere stata un po’ influenzata dall’arrogante temperamento del Generale, replicare con sfacciata cattiveria qualsiasi malignità rivoltale, ma resistere al pensiero di trovarsi faccia a faccia con quel ghigno maledetto e sprezzante…Oh, lui scatenava la sua parte peggiore, quel demone cresciuto a pari passo con il suo stesso ego e che non si faceva troppi problemi a competere con chi ne aveva sollecitato a viva voce la creazione.
Era più facile stilarne i difetti che i pregi e non le sarebbe bastato neppure un giorno per arrivare anche solo a un quarto del presunto elenco, ma ad Anita fu sufficiente cogliere ogni singola contrattura del viso di Amèlie per provare quel pizzico di gelosia che spesso l’aveva vista sorridere allo specchio per come le fosse venuto in mente di provare un simile sentimento per una persona tanto amata.


Permettere ad un uomo come Marian Cross di irrompere nella sua vita le aveva riempito il corpo e l’anima di forza e di speranza, esortandola a guardarsi dentro ogni volta che ne aveva il tempo per scoprire una bellezza che mai avrebbe pensato di possedere. I curati fili d’ebano splendevano ordinatamente sotto la luce immacolata della stanza, liscia e fine seta nera che incorniciava altrettanti finissimi lineamenti nivei, enfatizzando gli occhi a mandorla e l’innamorato sorriso che con grande gioia era stato ricambiato più volte da quell’uomo a cui ogni giorno di quel lungo anno aveva servito il sakè mentre gli faceva compagnia. Un cuore facile e gentile come quello di sua madre, riscaldato e gonfiato da un sentimento che aveva dato vita ad un legame così forte da spingerla a incamminarsi su una strada cento volte più difficoltosa di quella che già stava percorrendo, ma anche tristemente consapevole di una realtà dentro cui lei rientrava soltanto come figura secondaria. La sicurezza con cui le parole di Amèlie uscirono fluide dalla sua bocca gliela mostrarono nuovamente, in tutta la sua fredda limpidezza, ma alla Maitresse del Dragone Imperiale non colpì altro che la naturale disinvoltura esibita dalla corvina nell’affrontare un tema tanto spinoso. Nessun dubbio, nessuna esitazione: solo una completa fiducia in un uomo che lei forse neppure poteva dire di conoscere completamente, ma per cui era disposta a dare la vita. Sentirsi piccola, quasi inesistente davanti a una persona come la Chevalier, fu come venire spinti sul ciglio di un burrone e costretti a guardarne l’infinito fondo.


- Adesso mi è chiaro perché Cross-sama ha chiesto a te questo favore e non ad Allen -, sorrise Anita, chiudendo gli occhi e annuendo fra sé e sé.
- Uh? Cosa intendi dire? – Vi era un che nella figura della cinese che in qualche modo la rendeva diversa dal solito. L’aver appoggiato i gomiti sul tavolo, incrociato le dita e appoggiatovi il mento sopra, erano tutti movimenti permeati da un soddisfatto senso di dolcezza gongolante che insospettì Amèlie.
- Tu lo conosci a tal punto da non prendere neppure in considerazione l’eventualità che lui venga sconfitto non perché sai com’è fatto, ma perché hai fiducia nel suo potere, credi in lui incondizionatamente -, le rivelò, dischiudendo le palpebre – Amèlie-chan, io so che cosa ti è successo quando avevi nove anni, prima e negli anni successivi… - Calcò le parole con sentimento perché riuscisse a trasmettere la propria comprensione all’amica - E so anche che non potrò mai capire cosa significhi farsi carico del peso dell’Innocence, ma come donna so riconoscere quando il proprio amore non viene ricambiato. -
- Anita… -
Subito, la donna gli fece cenno con la mano per fermarla – Ovviamente, questo discorso non vale per te. Sappiamo entrambe che  un cuore orgoglioso spesso e volentieri si comporta in un certo modo per nascondere le proprie debolezze e anche se ora lo negherai, quando si parla di Cross-sama, fatichi a non sbuffare come una ciminiera. -
- Questo non è certo un segreto e non ho bisogno di negarlo -, replicò composta Amèlie – E se stai insinuando che sia innamorata di quell’ irrecuperabile ubriacone, ti stai… -
- Sbagliando di grosso? – La intercettò la collega, inclinando la testa sulla sinistra – Ne sei proprio sicura, Amèlie-chan? Te lo chiedo perché, sebbene tu riesca a ingannare le persone altrui, il prenderti cura del ciondolo che ti ha regalato ti tradisce visibilmente, almeno ai miei occhi. -

L’odore dolciastro dell’incenso sprigionato dai bastoncini smise di aleggiare per la stanza non appena il lento bruciare della fiammella ebbe consumato tutti i minuscoli stecchetti sparsi nella stanza. I suoni esterni, neppure il più flebile dei singhiozzi, poteva raggiungere e superare le quattro pareti che imprigionavano in una comodità orientale le due corvine.

Tranne uno, un impercettibile movimento la cui presenza era quasi del tutto irrilevante.
Se lo stava rigirando fra le dita, quel gioiello indicato dal dito affusolato di Anita. Le dita di Amèlie lo rigiravano da una parte all’altra, imprigionato fra i polpastrelli che ne saggiavano le lisce e spigolose facce irregolari. Lo faceva sempre quando pensava o si estraniava dal resto del mondo. Una perfetta goccia di rubino con un minuscola catenella dorata a tenerla attaccata al collo scoperto di Amèlie. Niente di troppo vistoso, semplice, un simbolo che aveva sancito la fine di un periodo colmo di influenze e cambiamenti che avevano contribuito a farne maturare l’esistenza. Accoccolata al suo posto e accortasi troppo tardi di quel suo gesto istintivo, la francese provò per qualche istante la sensazione di stare con le spalle al muro, ma non tentò alcuna ribellione al riguardo. L’intraprendenza di Anita era una qualità che le aveva sempre ammirato: il girare le carte e volgerle a suo favore esibivano tutta una furbizia e un fascino dall’unicità inimitabile, un elegante movimento invisibile che costringeva chiunque a porsi sulla difensiva. Non uno spiraglio libero concedeva, non un solo barlume di luce lasciava filtrare senza prima aver ottenuto quanto desiderava sapere: la Maitresse del Dragone Imperiale aveva molti modi per far parlare una persona, ma certamente non la si poteva reputare una donna subdola o peggio ancora cattiva.

Non era un ruolo che si addicesse a tanta candida gentilezza.


- Cavolo…Devo veramente essere messa male se non riesco a nasconderti una stronzata del genere. E’ così evidente la mia pateticità? – Le concesse infine la collega, incrociando le braccia con sorriso tinto di incredulità per quella sua stessa facile arrendevolezza. A che sarebbe servito perseverare in quella cocciuta ostinazione?
- Non definirei mai l’amore di qualcuno con un aggettivo tanto riduttivo, ma forse ti sentiresti meglio a dirmi cosa provi, quello che senti. Quello che ti dici ogni volta che guardi la tua immagine riflessa allo specchio e quello che pensi non appena la tua mente visualizza il suo volto. –
- Eh eh! Più facile a dirsi che a farsi -, ridacchiò appena Amèlie, per quanto richiestogli, nel mentre si sistemava una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio, ridendo appena per quanto richiestogli.
- Tu provaci -, la esortò dolcemente l’altra.
- Perché? Sai già quello che vuoi sentirti dire. –
- Già, ma tu? –

Ancora una volta, il silenzio tornò a dominare indiscusso sulla scena, appena frastagliato dall’impercettibile respirare delle due donne. Amèlie avrebbe potuto replicare, ma non lo fece. Avrebbe potuto guardarsi intorno, cercare una qualche distrazione e concentrarsi su d’essa, ma non prese neppure in considerazione l’idea di pensarci: sarebbe equivalso ad un affronto che non conosceva alcun tipo di perdono facile, a scappare da se stessa. E da lui. Da quel miscuglio amalgamato di ricordi, sentimenti e cicatrici che aveva inglobato, superato e imparato a gestire seppellendole sotto strati di lavoro, autocontrollo e forza di volontà, da quella persona a cui aveva riconosciuto un’importanza troppo rilevante da risultare cancellabile. Non lo aveva mai negato al suo Io interiore, non da quando aveva perso completamente la capacità di considerarlo solo il suo salvatore e una sorta di maestro che si dilettava più a sparire che a compiere i suoi doveri. Marian Cross le era entrato dentro l’anima senza mai più uscirne completamente. L’Inferno in terra. Il suo Inferno in terra. Il solo sentirne pronunciare il nome sollecitava la sua fermezza a frammentarsi e a disperdersi come petali al vento, dove i colori si riducevano e plasmavano in un’incolta e sanguigna cascata di capelli ondeggianti. Era così automatico da farle venire il nervoso, facilitava la suscettibilità sulla lunga lista di difetti che contribuivano a rendere quell’uomo ciò che sua nonna avrebbe definito con due parole concise: senza speranza. Perché sì, era fin troppo risaputo quanto a Marian Cross piacesse eccedere nei vizi e ancor di più scaricarli su spalle altrui…

Eppure, anche il solo chiederle di fare a meno di domandarsi dove fosse, se stesse bene o se non stesse correndo rischi inutili, l’avrebbe angosciata a tal punto da farla sfigurare per l’ansia. Ormai non poteva più tornare indietro, riavvolgere gli eventi e far sì il legame che la univa indissolubilmente al Generale mutasse in qualcosa di più ridimensionato e definito.

La verità era che aveva già scelto. Con Marian Cross era impossibile avere il pieno controllo delle proprie facoltà mentali e delle proprie emozioni, non costantemente; gli era sufficiente uno sguardo altezzoso per mettere al muro chiunque provasse a fare la medesima cosa con lui e Amèlie ancora peccava in questo. Lo odiava per quel suo riuscire a renderla così schifosamente vulnerabile, per come valicasse quella soglia che si disperdeva in una terra dove lei ancora non sapeva del tutto orientarsi, così come odiava se stessa per la propria debolezza, per il non essere in grado di guardarlo dritto negli occhi dell’anima e ammettere che non le era più possibile essere indifferente. Lo odiava per come l’aveva ridotta, per esserle sempre cento passi davanti e per averla presa e trascinata in mezzo ad un mare in tempesta da cui ora non poteva, ne voleva più uscire. E sempre per ciò, odiava se stessa per non riuscire a non amarlo.
Non c’era stata una sola notte, da quando lui era sparito, dove lei non si fosse specchiata e avesse colto dal suo stesso riflesso una disgustosa e abbondante irragionevolezza dipartita dalla veritiera voce del suo cuore. Si detestava per amare una persona che le aveva sconvolto l’esistenza senza neppure impegnarsi tanto, per come corpo e mente puntualmente la tradissero d’innanzi alla sua presenza non più tanto ignorabile e per l’impossibilità a sottrarsi a quella lotta intestina che vedeva sentimenti morbosi divenire contrastanti, trasformarsi in luce e poi mutare in nuovi sentimenti che andavano a nascondersi dietro il suo orgoglio e le sue più oscure incertezze. Ma come negare che il ribrezzo per la propria persona dipartisse da quell’impellente bisogno di averlo vicino, continuamente, più dell’aria che entrava e usciva dai suoi bronchi? Da quel giorno di tanti anni fa, dove tutto era cominciato, erano trascorsi secoli che si riflettevano nella sua immagine adulta e consapevole di verità raccapriccianti, ma lei era ancora lì, in stallo.

Consumata dalla paura che le risposte future alla sua impazienza sancissero un cambiamento irreversibile in quel rapporto che la univa al Generale, che la cruda coscienziosità della sua ragione, che mai aveva perso occasione di tenerle presente quel rischio, frantumassero il suo desiderio più intimo. Non era pronta, non era forte come desiderava essere ai suoi occhi, non poteva accettarsi così com’era e dunque non poteva essere meritevole di niente. Preferiva combattere ancora e ancora contro quel magone che portava in grembo e che si nutriva della sua essenza, producendo dolore che lei assorbiva senza battere ciglio, a farsi corrodere l’anima da quel sentimento meraviglioso e al tempo stesso distruttivo anche per il resto della vita, se fosse servito a prepararla. Prima o poi quel momento sarebbe arrivato, che fosse stata lei a chiamarlo o che il destino decidesse di metterla alla prova, ma fino ad allora avrebbe pazientato, lottato e stretto a sé quell’Inferno che desiderava e considerava il suo Paradiso. Quella Felicità racchiusa in parole ambite giorno e notte, inconcepibili e inafferrabili con un uomo diverso da lui.




Uno sfuggente luccichio scarlatto strappò Amèlie da quel ricordo fresco e appena impresso nella sua mente. Con movimento lento e meccanico, afferrò delicatamente fra il pollice e l’indice della mano destra il rubino a forma di goccia che portava costantemente al collo, percependo sotto i suoi polpastrelli le minuscole facce lisce che la componevano. Una sua fissa era quella di giocherellarci quando si chiudeva nei suoi pensieri, rigirandolo in ogni angolazione per tempi che a volte si prolungavano per intere ore. Lo stringeva nei giorni di pioggia, guardando l’acqua scendere lungo i vetri e rigarli in attesa che il malumore le passasse. Non l’aveva mai potuta sopportare, tutta quell’acqua che cadeva giù da grosse nuvole cupe e grigie ammassate fra di loro: i suoi cari più amati l’avevano sempre lasciata in giorni come quelli.

E, ironia della sorte, a quel bastardo invece piacevano.


- Se tu volessi la Felicità, dove l’andresti a cercare? -

Guardando il suo prezioso monile con quella domanda ancora aperta come una ferita appena inflitta, un minuscolo sorriso amaro fece capolino all’angolo della sua bocca. La pietra era così scura che sembrava essere stata riempita di sangue; le sfumature rossastre rilucevano di tonalità diverse a seconda della luce solare, accompagnate dalla catenella dorata con cui Amèlie ogni tanto si attorcigliava le dita.
Rosse, scarlatte…Come le sue labbra piene e al tempo stesso sottili e delicate. Come i lunghi capelli del Generale Marian Cross.


- La strada è ancora lunga, vero, Tim? – Il golem si appoggiò delicatamente contro la sua guancia, in un minuto gesto d’affetto e comprensione – Fintanto che sarò una codarda indegna… -
- La vedresti dentro a semplici parole? -

Oramai non si prendeva neppure più la briga di scacciarne il ricordo dalla testa. Era ovunque, dentro e fuori di lei, visibile e imprendibile come il vento che spingeva verso l’oceano, aldilà di quella sottilissima linea gialla che divideva l’acqua dalla luce. Con lo sguardo fisso sul veliero pronto a salpare, Amèlie rievocò la voce di Anita, dolce e soave com’era solita essere. La goccia di rubino scivolò via dalla sua mano e rimbalzò contro la sua pelle, perdendo momentanea importanza d’innanzi a quella confessione ceduta con così tanta spontaneità da farla ridere tuttora.

- Io non ho possibilità, lo so. Tu pensi che ne abbia, Anita, che sia diverso, ma non lo è. Vivere per proteggere ciò che si ama è aggrapparsi a quanto di più bello e idilliaco si possegga per non precipitare nell’oblio. Se vivessimo di sole sicurezze finiremmo per consumare una misera esistenza e questo a me non basta, non più. Io sono masochista, preferisco il dolore al nulla, perché se il solo odiarlo per come riesce a farmi sentire quando sono da sola mi fa impazzire, non averlo mi ucciderebbe. Ho smesso di rifiutarlo non appena l’ho capito. Se dovessi scegliere fra un uomo dabbene e un vecchio zotico alcolizzato che potrebbe passare benissimo per mio padre, io sceglierei come e comunque lo zotico alcolizzato, perché lo conosco, non desidererei null’altro ne lo vorrei anche se fosse per il mio bene -, aveva rivelato con voce blanda, arrendevole. Il petto si gonfiava e sgonfiava con pesantezza, quasi il carico che stava portando all’esterno la sottoponesse a una fatica insostenibile – E’ il solo uomo che sento di amare e odiare più di me stessa, senza incertezze -, aveva ripreso tombale, l’animo ringhiante e in conflitto con l’orgoglio per quei sentimenti immensi e distruttivi – Il solo…Che mi faccia esasperare così tanto, che mi faccia sentire così insicura, debole, viva e capace di ogni cosa, che non potrò mai battere o eguagliare e da cui io voglia sentirmi dire quelle parole. Da un altro non avrebbe senso, ci sputerei sopra immediatamente, ma è questo mio egoistico e insano volere lui  e solo lui a farmi capire ogni giorno quanto ancora io sia lontana da ritenermi pronta. E mi da la nausea il non riuscire a non pensarci. – 




Note di fine capitolo.
E finalmente un capitolo pieno di romanticismo e debolezze svelate a colpi di caffè. Nonostante abbia scritto parecchio, passo più tempo a correggere e ad aggiungere che a portarmi avanti, ma questo capitolo volevo farlo bene, l’ho controllato così tante volte che se dovesse esserci un errore penso che potrei prendere a testate la scrivania. Volevo pubblicare prima delle vacanze di Dicembre e mi sento soddisfatta nell’esserci riuscita perché, davvero, ho il tempo contato a gocce e sono stanca da morire. Il prossimo aggiornamento penso lo farò a Gennaio o magari chissà, potrei farmi venire un colpo di fulmine per una One-shot o cose simili, MA, per chiunque leggesse Hell’s Road, faccio una piccola anticipazione: con il prossimo capitolo comincerò a narrare il passato di Amèlie! E quindi dovrete portare pazienza perché son cattiva e vi voglio tenere sulle spine, uh uh!

 
AUGURO A TUTTI UN FELICISSIMO DICEMBRE E PRIMO GENNAIO!
  
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