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Autore: Perksofbeingawallflower    10/12/2013    1 recensioni
"I wish that I could take you to the stars, I'd never let you fall and break you heart."
-Improvvisamente ti ritrovi per le mani la vita di qualcuno da salvare, senza neanche volerlo, ma semplicemente perchè esisti. Ma io sono abbastanza per salvare te?-
Come si fa, a soli 16 anni, quando è già abbastanza difficile riuscire a dare un senso alla propria, di vita, a salvarne un'altra? Come Emily, Emily che non avrebbe mai pensato di sacrificare così tanto se stessa per qualcun'altro.
-Questa è dedicata a lui, che mi ha salvata.-
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo.

Spalanco gli occhi. Il suono penetrante della sveglia s’insinua nella mia testa, che, non appena mi siedo sul bordo del letto, protesta cominciando a girare vorticosamente. Mi verrebbe voglia di scagliare quel dannato affare contro il muro, ma cerco di contenermi e lo spengo schiacciando con un po’ troppa forza i tasti.
Mi alzo e comincio a vagare per la camera alla ricerca del cellulare. Nessun messaggio, come al solito: del resto chi dovrebbe scrivermi alle sei di mattino? Vado verso il bagno e mi sciacquo la faccia per poi raccogliermi i capelli corti e biondi in una coda bassa. Guardo fuori dalla finestra. Comincia a spuntare un po’ di sole. “Ora o mai più” penso. Torno in camera e m’infilo un completo da basket fregato dall’armadio di Zayn. La maglietta mi sta decisamente troppo larga e l’elastico delle braghe è molle, ma non ci faccio caso. Le scarpe sono buttate in un angolo di fianco alla scrivania. Le infilo e stringo i lacci.
Scendo le scale ed esco facendo attenzione a non sbattere la porta. Seguo il marciapiede costeggiando le case a schiera di tutta la via. Lentamente mi metto a correre, accelerando man mano. Sento i muscoli delle gambe che si risvegliano a contatto col duro asfalto e il respiro che aumenta. Entro nel parco. Comincio a girare tra i sentieri di ghiaia, senza guardare dove vado, ormai il percorso lo conosco bene. Dopo cinque minuti sbuco dall’altra parte del parco e mi lascio alle spalle il verde per infilarmi nella strada che costeggia lo skate park. Mi fermo e mi avvicino alle rampe. È deserto. Mi posiziono in mezzo alle due rampe più alte che mi tolgono la visuale dai lati. Dopo qualche attimo riparto, piano. Svolto nella strada principale. I primi negozi stanno aprendo. Procedo ancora fino alla piazza e svolto verso sinistra. Controllo l’orologio che ho al polso. È quasi mezz’ora che sono uscita. In cinque minuti sono davanti a casa. Mi sfilo le scarpe sporche di terra e busso alla porta che si spalanca dopo pochi secondi.
- Perché non mi hai detto che uscivi? - mia madre pianta gli occhi nei miei e io sostengo lo sguardo.
- Mi avresti fatta uscire? - chiedo sorridendo. Lei scrolla le spalle e mi lascia entrare. Mentre varco la soglia Zayn scende le scale canticchiando. Non appena mi vede io scappo in cucina, lui dietro che urla: - Tu ferma li! La mia tuta da basket! Ma chi cavolo ti ha dato il permesso! - io entro in cucina ridendo e comincio a girare intorno al tavolo. Nostra madre entra con le mani sui fianchi e cerca di tenermi ferma, con scarsi risultati, tenendo conto che ormai sono più alta di lei di una spanna buona. Riesco a divincolarmi e a fuggire in salotto, Zayn che mi sbraita dietro: - E che caazz è tutta piena di terra! Emily ti giuro che ti uccido! - io rido ancora di più.
Il divertimento finisce di li a poco però: nostro padre entra in salotto con uno sguardo rabbioso, tipico di chi viene svegliato nel bel mezzo di un sonno profondo. – E allora! La finite voi due! Mi state facendo venire il mal di testa! – ci immobilizziamo entrambi. Ci guardiamo in faccia e scoppiamo a ridere tutti e tre.
La mamma entra in salotto annunciando – Avanti, la colazione è pronta. Tutti in cucina! – Zayn mi afferra da dietro e mi prende a sacco, io protesto urlacchiando, ma lui mi scarica sulla sedia. Sorride. Lo fisso e mi ritrovo a pensare che è davvero un bel ragazzo: capelli ed occhi marroni, come la mamma, un ciuffo sparato per aria e un sorriso un po’ misterioso. Io sono praticamente il contrario: capelli biondi e occhi verde scuro. Spesso la gente ci scambia per fidanzati, anziché per fratelli. – Be, cosa c’hai? Perché mi fissi? – mi chiede Zayn ridendo. Io scuoto la testa, concentrandomi sui cereali.
- Potevi dircelo che saresti uscita – dice mio papà. – Come se la mamma poi mi avesse lasciato andare! “Non puoi andare a correre quando c’è scuola” – le faccio il verso. Lei mi guarda storto e io abbasso gli occhi: - In ogni caso, sono stata perfettamente puntuale e non sono stata investita da un tram. – sorridono. – Avanti, sono già le sette, sbrigatevi o farete tardi. – ci sollecita la mamma.
Io e Zayn ci alziamo sospirando e mettiamo via le tazze, dirigendoci poi di sopra. Io mi chiudo in bagno e faccio velocemente una doccia, poi mi lavo i denti e mi metto giusto un filo di matita e mascara. Per finire, sciolgo i capelli che mi sfiorano appena le spalle. Lascio il bagno a Zayn e vado in camera. Mi infilo un paio di jeans a cavallo basso, una maglietta bianca a maniche corte e una felpa grigia col cappuccio. Le blazer azzurre le ritrovo sotto al letto. Prendo lo zaino pronto dalla sera prima e controllo ci sia tutto. Prendo il cellulare: un nuovo messaggio. “Buongiorno Em. Ci vediamo dalla solita panchina. Liz.”
Rispondo con il solito okay e poi esco. Zayn mi si para davanti: - Devi ancora chiedermi scusa per la tuta… - sorride. Io alzo le mani in segno di resa e lui mi stringe la vita: - Forza sorellina andiamo, che se no qua perdiamo l’autobus.-
 
Non poteva dire una cosa più azzeccata. Arriviamo al pelo alla fermata facendo segno all’autista di aspettare. Saliamo e scoppiamo a ridere. Ci sediamo uno di fianco all’altra. C’è un gruppo di ragazze tre file più in la che fissano mio fratello e ridacchiano tra di loro. Lui alza gli occhi al cielo e mi dice a bassa voce - Ti prego salvami… - un’idea mi balena in testa. Appoggio la testa sulla sua spalla e gli prendo una mano. Lui all’inizio si irrigidisce, poi capisce e mi cinge le spalle con un braccio. Subito tutte quelle oche smettono di ridacchiare e abbassano gli occhi sulle proprie scarpe. Io cerco di trattenere le risate, ma non appena scendiamo dall’autobus scoppio. Zayn si tiene la pancia, piegato in due e io rovescio la testa all’indietro. – Dio hai visto come ti guardavano?! - - Si sembrava mi volessero uccidere! Mi facevano quasi pena, stavo per dirgli “Guardate che è mio fratello”- continuiamo a ridere. Dopo qualche minuto ci riprendiamo e ci avviamo verso la strada della scuola, puntando la panchina nell’angolo del marciapiede.
 
***
 
L’una e tre quarti. Liam arranca per il marciapiede, mentre fitte lancinanti gli percorrono la caviglia. Lo zaino di scuola è appoggiato su una spalla sola. Una smorfia di dolore gli si dipinge in viso mentre spinge la porta ed entra in casa. Silenzio. Come al solito. Entra in cucina: un biglietto sul tavolo. “Preparati una bistecca, ci sono le patatine nella credenza. Mamma.” Lo appoggia sul piano cottura. Cerca la bistecca in frigo e, senza degnarla di uno sguardo, la butta nell’organico. Svuota il pacchetto di patatine che fanno la stessa fine. Esce in giardino e butta tutto nel bidone. Sale le scale, la caviglia protesta con veemenza. Non ci bada e arriva fino in camera. Appoggia lo zaino vicino alla scrivania e si sfila la felpa. Rimane in maglietta e abbassa lo sguardo sui polsi. Contempla quello strano disegno di righe intricate tra loro: i segni più bianchi dei tagli più vecchi, ormai cicatrizzati; le sfumature rosse di quelli freschi, la pelle che si riforma, cercando di ricucire, di chiudere. Ma ormai, Liam lo sa, non si può ricucire niente.
Si sfila anche la maglietta e scopre i lividi che gli percorrono il fianco destro. Si piazza davanti allo specchio del bagno e si esamina con cura. Dolore. Dolore e schifo ovunque. Non riesce ad accorgersi di quanto quegli occhi marroni siano belli, di quanto siano veri, ne di quanto quelle labbra rosee siano delicate. Quando una persona tratta così se stessa, non vede più nient’altro.
Apre l’anta più alta del mobile del bagno, e dietro alle confezioni di borotalco afferra un oggetto freddo e piccolo.
Si spoglia completamente ed entra nella doccia. Apre l’acqua bollente e rimane in equilibrio su un solo piede.
La lametta comincia a incidere nel suo polso sinistro. Scava in profondità. Il sangue esce, copioso. Un’altra riga s’interseca trasversalmente con le altre, disegnando uno strano reticolo di sfumature.
La testa comincia a girare vorticosamente e il sangue scorre sulle pareti della doccia. Liam si getta fuori, ma la caviglia non regge e si accascia sul pavimento.
Poi, solo il buio.


***
Spazio Wallflower.

Ciao a tutti ragazzi.
Questa è la mia prima fanfiction. Come ho già detto nella trama, mi è stata ispirata da una persona speciale per me, una persona che mi ha aiutato ad uscire da una situazione difficile e che mi ha fatto stare molto meglio e che volevo ringraziare in modo speciale. Ti amo. 
Emily e Liam sono i nostri due protagonisti, anche se ancora non conoscete molto di loro. Entro la prossima settimana pubblicherò il primo capitolo e mi farebbe molto piacere qualche recensione, giusto per vedere cosa ne pensate... Lo so che per ora non si capisce molto della storia, ma potete intuire qualcosa e spero che continuerete a seguirla.
Se siete arrivati fino a qui vi meritate un bel grazie. 
Alla prossima settimana.

Perksofbeingawallflower. 
 
  
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