Videogiochi > Mass Effect
Segui la storia  |       
Autore: Nymeria90    10/12/2013    2 recensioni
– Di che cosa hai paura, Shepard?-
Fissò il cielo sopra di lui e all’improvviso le stelle parvero spegnersi, oscurate da un’ombra scura, enorme, dalla forma vagamente umana.
L’ombra nel cielo guardò giù, verso di lui, dentro di lui, si sentì invadere da un’oscurità che gli ghiacciò l’anima.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì, un istante dopo, non c’era più nulla.
- Di cosa ho paura mi chiedi?- sussurrò con voce roca mentre qualcosa dentro di sé si contorceva, implorandogli di tacere, perché solo così avrebbe potuto dimenticare. Non lo ascoltò: – C’è un’unica cosa che mi fa paura: l’eternità.-
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashley Williams, Comandante Shepard Uomo, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Alexander Andrej Shepard'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
http://www.youtube.com/watch?v=F-4wUfZD6oc&list=PLHwZ9V-BgL_ulQoYNi6g0oxBhisjDAE_4

Canada, 2191

 
Jack saltò giù dalla navetta prima ancora che toccasse terra, come se stesse sbarcando in territorio ostile, nella foga non si accorse del mucchio di neve fresca sotto di lei e vi atterrò dritta in mezzo, ritrovandosi intrappolata fino alla cintola. Si agitò invano, imprecando e bestemmiando, mentre la navetta atterrava con un grazioso sbuffo di neve.
Cominciò a scavare freneticamente, non tollerando l’idea di farsi trovare in quelle condizioni, ma quando il portellone della navetta si spalancò, l’unico risultato che aveva ottenuto era quello di essersi impantanata ancora di più.
Steve Cortez fece capolino dal portellone e scoppiò a ridere – Sei ancora qui, Jack? Mi sembrava che avessi fretta.-
Fece una smorfia – Al diavolo, Cortez! Tirami fuori da questa roba invece di fare l’idiota!-
Lui incrociò le braccia al petto e la studiò con aria divertita – Si chiama “neve” e se tu mi avessi ascoltato non saresti in questa situazione.-
- Aspetta solo che esca da qui e ti spacco il culo!- ringhiò.
- Allora mi conviene lasciarti lì …-
- Steve!-
Il pilota allargò le braccia, esasperato, ma, a dispetto dei suoi propositi, si avvicinò con prudenza alla biotica intrappolata.
- Da quando fa così freddo sulla Terra?- sibilò lei, rabbrividendo, quando fu finalmente libera.
Steve la squadrò con aria scettica – Sei mai stata qui prima? Sul pianeta, intendo.- domandò, evitando prudentemente di fare commenti sui suoi vestiti.
- Sì, una volta sola e si moriva dal caldo.- rispose, battendo i denti.
- Mai sentito parlare di “stagioni”, Jack?-
- Fanculo, Cortez, non fare il saputello con me. -
Steve sorrise, ma non replicò, si guardò intorno tornando serio all’improvviso. Quel battibecco li aveva distratti per un po’, ma non potevano fingere di non essere in ansia per quello che li attendeva.
Sentì Jack sospirare, segno che anche lei era arrivata alle sue stesse considerazioni. Osservarono il paesaggio che li circondava, spaesati: quel posto era diverso da tutto quello che conoscevano.
In quel luogo sembrava che il tempo si fosse fermato, come se le scoperte e le innovazioni che avevano proiettato il resto del mondo nel futuro si fossero arrestate di fronte all’imponente barriera dei monti, senza aver il coraggio di penetrare al loro interno.
Lì, tra le Montagne Rocciose canadesi non c’era traccia di alieni e navi spaziali, la Cittadella e i portali galattici sembravano solo sogni sfocati e dimenticati.
Sulle rive di un piccolo lago ghiacciato, con gli abeti che si ergevano come sentinelle dalla neve, la galassia sembrava una visione lontana e priva d’importanza.
Era un luogo perfetto da chiamare casa.
I loro sguardi furono attirati dall’unica fonte di luce che, oltre alla luna, illuminava quella gelida notte terrestre.
Affacciata in riva al lago c’era una piccola casa, completamente di legno, il tetto spiovente ricoperto di neve, il fumo che usciva lieve dal camino, le finestre illuminate …
- Sicura che vuoi andare da sola?-
Jack annuì, sfoderando quell’espressione cocciuta che le veniva così bene – Sì, è una cosa che devo fare io …- gli lanciò una breve occhiata - … mi dispiace, Steve.-
Lui si strinse nelle spalle, senza riuscire a dissimulare del tutto la delusione – Non importa, immagino sia giusto così … - le diede un colpetto sulla spalla, prima di voltarsi per raggiungere la navetta – Dalle un bacio da parte mia, va bene?-
Jack fece una smorfia – Te lo scordi, Cortez! Io non distribuisco “baci”.-
Steve ridacchiò, salendo sulla navetta – Lo so che preferisci dare i pugni, ma non mi sembra il caso …- sospirò – Seriamente, Jack dille che …- gli si spezzò la voce e distolse lo sguardo.
- Lo so, Steve.-
Lui annuì, grato – Vado a fare un giro in città, quando hai finito chiamami e vengo a prenderti.-
Jack fece un cenno d’assenso – Non divertirti troppo in città, Cortez e mi raccomando: non fare niente che io farei.-
Steve ammiccò – Non ti prometto nulla.-
Mentre la navetta si alzava lentamente nella notte silenziosa, Jack scese il piccolo pendio che la separava dalla casa, attenta a non sprofondare, di nuovo, nella neve fresca.
Quando arrivò davanti alla casa aveva i piedi zuppi e tremava, ma rallentò lo stesso il passo, chiedendosi che cosa sarebbe successo una volta bussato a quella porta.
Erano passati cinque anni e non aveva idea se la persona al suo interno fosse ancora quella che ricordava e, anche in quel caso, il loro rapporto non era mai stato particolarmente cordiale.
Andare lì da sola non le sembrò più una così buona idea.
Immersa nei suoi pensieri non si accorse dell’ombra che le era scivolata alle spalle, finché non sentì qualcosa di duro premerle tra le scapole.
- Non fare un altro passo!- sibilò una voce familiare e minacciosa al suo orecchio – Identificati o ti faccio esplodere il cuore.-
Jack alzò le mani senza troppa convinzione e sbuffò, con evidente scetticismo – Sono davvero curiosa di scoprire come può un pezzo di legno farmi esplodere il cuore.-
Dopo un attimo di stupito silenzio, la pressione contro la sua schiena scomparve – Beh potevo sempre usarlo per spaccarti la testa, ma è così dura che dubito ci sarei riuscita. Devo ammettere che non mi aspettavo di rivederti, Jack. –
Jack si voltò, prendendosi qualche istante per osservare la donna chinata a raccogliere la cesta di legna che aveva abbandonato per tenderle l’imboscata.
Non riuscì a scorgerle il viso, con il cappello di lana calato sulla fronte e la sciarpa sollevata a coprire il naso, ma la vita da civile l’aveva appesantita parecchio. Jack si accigliò: era difficile immaginare che quella donna, un tempo, era stata uno dei soldati più ammirati della galassia.
Ashley Williams alzò gli occhi su di lei – Andiamo dentro, prima che ti prenda una polmonite. Solo tu puoi andare in giro conciata in quel modo in pieno inverno.-
Non trovò niente da replicare.
Seguì Ash verso casa, davanti alla porta c’era uno strano animale che emetteva versi da bestia in agonia, Jack si accigliò, domandandosi che razza di creatura fosse; cercò di ricordare le poche cose che sapeva della Terra e delle forme di vita che la abitavano – Quello è un cane?- domandò.
Ashley scoppiò a ridere mentre apriva la porta e l’animale sgattaiolava dentro – Lo hai offeso: Francis è un gatto. Ti consiglio di porgergli le tue scuse: è parecchio permaloso e odia i cani. -
Jack la seguì all’interno, stupita nel trovarsi in un ambiente tanto antico, le sembrava di entrare in un museo o di trovarsi in uno di quegli olofilm ambientanti nel passato; ma il tepore che l’avvolse la fece sentire subito meglio.
Osservò Ashley che si toglieva strati e strati di vestiti, smentendo le sue precedenti considerazioni sul suo stato di forma: la vita civile le donava tanto quanto quella militare. Non era cambiata affatto dall’ultima volta che l’aveva vista, aveva solo i capelli un po’ più lunghi e qualche piccola ruga intorno agli occhi.
Ash la squadrò con aria critica mentre si toglieva gli stivali – Vieni, ti do qualcosa di caldo da indossare, a meno che i tuoi tatuaggi non siano termici oltre che di pessimo gusto.-
Dieci minuti dopo era seduta davanti al fuoco, con una tazza fumante di caffè in mano e avvolta nei vestiti più comodi e caldi che avesse mai indossato. Si chiese se si sarebbe mai potuta abituare a una vita come quella, sicuramente no, ma capiva perché Ash l’avesse scelta.
Ci si poteva illudere di essere persone normali.
Stava sorseggiando il suo caffè mentre Ash riattizzava il fuoco, quando notò qualcuno fare capolino da dietro porta, si raddrizzò di scatto, mettendosi sulla difensiva; Ash, notata la sua tensione, si alzò, seguendo il suo sguardo.
Si mise un dito davanti alla bocca, invitandola al silenzio, poi si avvicinò alla porta in punta di piedi, rimanendo fuori dalla visuale, e, dopo essersi appostata accanto allo stipite, scattò rapida, afferrando chiunque fosse acquattato lì dietro.
Seguì uno strillo spaventato e la risata di Ash – Che cos’abbiamo qui? Un piccolo folletto impiccione? Lo sai cosa succede in questa casa ai folletti? Francis se li pappa tutti!-
- No, no!- rispose subito una vocetta infantile, un po’ spaventata, un po’ divertita – Non sono un folletto!-
- E allora cosa sei? Non dirmi che sei uno gnomo! Francis odia gli gnomi …-
- Sono un bambino!-
Jack appoggiò la tazza sul tavolo, le mani le tremavano a tal punto che rischiava di rovesciare tutto. Era il momento che più aspettava e temeva: sapeva dell’esistenza di quel bambino ma un conto era immaginarlo, un altro trovarselo di fronte, vivo e reale.
Quel bambino era tutto ciò che restava di Shepard.
- Un bambino … mmm strano, i bambini non spiano, solo gli gnomi lo fanno. I bambini non hanno paura di presentarsi.-
Jack non sentì la risposta, ma Ash rise di nuovo  – Certo che puoi portare Francis, se ti fa sentire più sicuro. Vieni …-
Jack scattò in piedi e fu con orrore che notò di essere completamente avvolta dall’energia biotica, prese un respiro profondo, imponendosi di calmarsi, e l’aura bluastra si spense nell’esatto momento in cui Ashley entrava nella stanza, seguita da un bambino dall’aria guardinga.
Si mordeva le labbra, a disagio, il gatto stretto al petto e gli occhi azzurri sollevati verso di lei, curiosi e sospettosi.
Jack fece un passo indietro, completamente in balia di quello sguardo che la riportava indietro di sei anni, quando aveva cominciato a vivere per la prima volta.
Non c’erano dubbi su chi fosse il padre di quel bambino coi capelli arruffati e l’aria sveglia.
Il gatto si divincolò e il bambino, dopo aver appurato che non ci fosse alcun pericolo, lo lasciò andare – Tu chi sei?- domandò, incrociando le braccia al petto.
Sembrava la miniatura di suo padre.
Jack boccheggiò, annientata da un bambino di cinque anni con la zeppola.
Ash accorse in suo aiuto, arruffando i capelli del bambino nel tentativo di allentare la tensione – Lei è Jack, è …- esitò, mentre i loro occhi s’incrociavano, nessuna delle due aveva mai pensato a come finire quella frase - … è un’amica. Una mia vecchia amica.- le sorrise e, inaspettatamente, Jack si ritrovò a fare lo stesso.
Il bambino si rilassò leggermente, ma continuò a studiare Jack con aria attenta, come se avesse capito che c’era molto altro oltre quella risposta.
Si avvicinò alla biotica, guardandola da sotto in su – Jack è un nome da maschio.- chinò il capo di lato – Tu non sei un maschio.-
Ashley ridacchiò, andando a sedersi davanti al fuoco – Che perspicacia.-
Anche Jack si ritrovò a sorridere, sentendo la tensione allentarsi lentamente – Jack è un soprannome.- spiegò, chinandosi verso di lui – Il mio vero nome è Jacqueline. Jacqueline Nought.- gli tese la mano, come avrebbe fatto con un adulto.
Lui annuì, composto e soddisfatto, e gliela strinse – Io mi chiamo Andrej. Andrej Shepard.-
Jack sobbalzò e ritrasse la mano come se si fosse scottata, era … troppo per una sera sola.
Guardò Ashley che la osserva dispiaciuta, come se sapesse esattamente cosa stava provando ma non potesse fare nulla per evitarlo.
- Vai a metterti il pigiama, tesoro, è tardi.-
Andrej si accigliò – Ma … - guardò verso la finestra - … non è ancora il momento.-
Ashley si passò una mano sulla fronte – Scusa, hai ragione, non ci avevo pensato. Puoi rimanere sveglio però vai su a giocare, ti chiamo io quand’è il momento. Noi …- lanciò un’occhiata a Jack che stava trangugiando il suo caffè ormai freddo per darsi un contegno - … noi dobbiamo parlare.-
Lui annuì, visibilmente sollevato, fece un timido sorriso a Jack e scappò via.
Ash si abbandonò sulla poltrona mentre il gatto le saltava in grembo, con aria soddisfatta – Respira, Jack. -
Solo in quel momento si accorse di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo – Pensavo l’avessi chiamato Alexander.- esalò in un sussurro.
Ashley passò la mano sulla folta pelliccia di Francis mentre il suo sguardo si perdeva nel fuoco – Alexander Shepard ha avuto la sua occasione … forse Andrej sarà più fortunato.-
Jack si asciugò velocemente le guance, felice che non la stesse guardando: non voleva mettersi a piangere davanti a lei.
Vedere quel bambino, incrociare il suo sguardo, conoscere il suo nome … per la prima volta Andrej Shepard esisteva davvero e seppe di amare quel bambino come e più di quanto avesse amato il padre.
Non aveva potuto salvare Alex, ma avrebbe protetto Andrej fino alla morte.
Si guardò intorno, studiando quella casa che sembrava appartenere ad un tempo ormai scomparso – Perché ti sei confinata in questo posto? Non sarebbe meglio per Andrej vivere in città, in mezzo alle gente?-
- Vorrai scherzare!- sibilò Ash, guardandola male – Il figlio del comandante Shepard? Non oso immaginare l’accanimento dei giornalisti. James e IDA hanno praticamente chiuso Diana Allers nella sua cabina per evitare che riprendesse il parto e lei è ancora una di quelle “ragionevoli”. Non voglio che mio figlio cresca con l’ombra di suo padre cucita addosso. – fece una smorfia – Qui la vita è tranquilla. In paese nessuno ci conosce, presto comincerà la scuola e sarà solo un bambino in mezzo a tanti altri. Sono figlia di militari, Jack, come Alex: non rimpiango nulla, ma non voglio quella vita per mio figlio. Merita di vivere quell’infanzia che a noi è stata negata.- le lanciò un’occhiata penetrante – Tu più di tutti dovresti capirlo.-
Non poteva darle torto. Quel posto era perfetto per crescere un bambino: lei stessa avrebbe rinunciato a trent’anni di vita per cancellare il suo passato e ricominciare da lì.
- Che cosa gli dirai quando comincerà a chiederti di suo padre?-
Ashley indicò la mensola sopra al caminetto, che non aveva notato, era piena di fotografie, medaglie, ricordi – Lui sa benissimo chi è suo padre. Forse non capisce ancora chi è stato e che cosa ha fatto, ma non gli ho mai nascosto niente e mai lo farò. –
Jack si strofinò le tempie, più tempo passava in quella casa, più assurdi le sembravano i motivi che l’avevano spinta fin lì.
Ash dovette intuire il suo disagio perché si sporse verso di lei, con aria indagatrice – Perché sei qui, Jack?-
Non c’era modo di dirlo in maniera semplice, indolore, perciò lo disse e basta, senza giri di parole – C’è una nuova missione, sulla Normandy. Il Consiglio ha chiesto l’aiuto dell’Alleanza e Hackett ha pensato di richiamare la vecchia squadra o … beh quelli che sono rimasti. Buona parte dell’equipaggio è tornato sulla Normandy, siamo al completo, manchi solo tu.-
Ashley s’irrigidì – Chi c’è al comando?-
Fece un sorrisino nervoso - Non ci crederai: James Vega. È capitano adesso.-
- “Capitano, mio capitano …”- Ash tornò a fissare il fuoco con aria assorta – Tu, Vega … chi altri? Oltre a IDA e Joker, naturalmente.-
- Sam e Cortez del gruppo dell’Alleanza, siamo riusciti a convincere Liara e Garrus mentre Tali starà con noi per un po’ … ah e …- fece una smorfia disgustata - … c’è anche Miranda.- scosse il capo per scacciare la fastidiosa prospettiva di dover convivere con la cheerleader per un tempo indefinito - Sai, tecnicamente adesso sei capitano anche tu e se decidessi di tornare il comando passerebbe a te. Vega ne sarebbe più che felice, fa tanto il duro ma … non è tagliato per queste cose. -
Ash le lanciò un’occhiata che non seppe decifrare – Non faccio più parte dell’Alleanza.-
- Beh sei pur sempre uno Spettro.- tentò un sorrisino irriverente – Non mi risulta che abbiate una scadenza.-
- Shepard era uno Spettro.- fece una smorfia e si alzò, facendo scappare via il gatto – Io non lo sono mai stata.-
Jack non disse nulla e rimase immobile, in silenzio, mentre Ash si avvicinava alla mensola carica di ricordi – Durante la guerra, quando vagavamo per la galassia alla ricerca di alleati, trovammo un gruppo di scienziati, su Gellix, erano dei rinnegati di Cerberus.- a quel nome Jack non riuscì a reprimere un fremito di odio e disgusto: Cerberus era distrutto ma avrebbe continuato a vivere nei suoi ricordi per sempre – A capo di quegli scienziati c’era una vostra vecchia conoscenza: Jacob Taylor.- continuò Ash – Quegli scienziati, e una di loro in particolare, erano diventati la sua famiglia, aveva finalmente trovato qualcosa per cui valesse la pena lottare. Quando Shepard gli chiese di tornare sulla Normandy lui rifiutò. Aveva il suo mondo da salvare.- si passò una mano tra i capelli – Shepard rispose che capiva ma Jacob lo interruppe dicendogli che no, lui non poteva capire: il suo unico amore era la Normandy. Io …- si schiarì la voce e scosse il capo - … mi aspettavo che Shepard lo smentisse, che gli dicesse che si sbagliava, che ero io il suo unico amore. Non lo fece, non disse niente, si limitò a chinare il capo e guardare da un’altra parte. Jacob aveva ragione …- prese il modellino della Normandy e se lo rigirò tra le mani - … Shepard era la Normandy e per quanto potesse amarmi non mi avrebbe mai amato come quella nave che era morta e risorta con lui.- rimise il modellino a posto e abbassò il capo, mesta – Non è giusto che la SR2 sia sopravvissuta al suo comandante.- si voltò verso di lei, seria e decisa – Non posso tornare su quella nave, Jack, non posso essere io a comandarla. Non riesco ad immaginare di intraprendere una missione sulla Normandy senza Shepard. E non potrei mai abbandonare Andrej. La mia vita è qui, sulla Terra, con mio figlio. Non c’è nulla là fuori per cui valga la pena combattere.-
Jack si accigliò –  Stronzate: un tempo combattevi per l’Umanità, per l’Alleanza. C’è ancora bisogno di te, là fuori. L’equipaggio ha bisogno di te.-
Il sorriso che si dipinse sul viso di Ashley tradiva una profonda stanchezza – Hanno bisogno di Shepard, non di me. Mi dispiace Jack, non combatto più.- indicò le medaglie appese sopra il caminetto – Le vedi quelle? La maggior parte sono di Shepard, ma ce n’è qualcuna anche mia. Al mio ritorno sulla Terra, dopo la guerra, mi hanno promosso capitano e insignito della Stella Terrestre, mi dissero che l’Umanità era fiera di me. – scosse il capo, amareggiata – Un tempo avrei dato qualunque cosa per ricevere un simile riconoscimento. Ho riscattato l’onore della mia famiglia, lavato l’onta di mio nonno, realizzato il sogno di mio padre: ho ottenuto tutto ciò per cui ho sempre combattuto, ma non riesco ad esserne felice. Che me ne faccio di onore e medaglie se non c’è più nessuno con cui condividerle? Tutti quelli a cui importava sono morti e a me rimane solo la gloria. Solo adesso che l’ho ottenuta mi rendo conto di quanta poca importanza abbia. Vorrei Alex e mio padre, invece ho una medaglia.- si voltò di scatto, per nascondere le lacrime che le rigavano il viso.
Jack esitò senza sapere troppo cosa fare, non era abituata a consolare la gente, lei picchiava duro e basta – Hai Andrej.- mormorò.
Ash annuì, continuando a darle le spalle – Allora capisci perché non tornerò indietro: non posso essere madre e soldato. Lui è … tutto per me. Non lo abbandonerò né lo trascinerò per la galassia come se fosse un pacco postale. Sono stata un discreto soldato …- le lanciò un’occhiata di sfida da sopra la spalla - … sarò una madre decisamente migliore.-
Il terminale dall’altra parte della stanza emise un suono acuto che le fece sobbalzare, Ashley le rivolse un sorrisino nervoso – Un attimo solo.- mormorò, andando a rispondere.
Mentre Ash parlava Jack si alzò, per osservare meglio le fotografie esposte sulla mensola, alcune le conosceva per averle viste nella cabina di Shepard, altre erano state scattate dopo la sua morte; una in particolare attirò la sua attenzione, immortalava madre e figlio seduti in riva al lago, di notte.
Ashley teneva Andrej tra le braccia, il bambino doveva avere due o tre anni, aveva il viso rivolto verso il cielo e la mano allungata a prendere la luna.
- È una splendida notizia.- esclamò Ash parlando al terminale – Andrej sarà felicissimo di vederti. No … non ti preoccupare, veniamo noi a prenderti … Sì, perfetto. A domani!-
Chiuse la comunicazione e si voltò verso di lei – Scusa per l’interruzione, Jack. -
Lei si strinse nelle spalle – Non ti preoccupare.- ammiccò, indicando il terminale – Appuntamento galante?-
Ashley ridacchiò scuotendo il capo – C’è un unico uomo nella mia vita, basta e avanza. Era Hannah …- esitò - … Hannah Shepard, viene a stare da noi per qualche giorno, è molto affezionata ad Andrej, non appena ha qualche giorno libero viene a trovarci.- fece un respiro profondo – Siamo l’unica famiglia che le è rimasta.-
Jack distolse lo sguardo, tornando a guardare le fotografie, non aveva mai conosciuto Hannah Shepard se non nei racconti del comandante o del resto dell’equipaggio, l’aveva sempre immaginata come una donna dal cuore di pietra, tanto presa dalla sua carriera da dimenticarsi tutto il resto … forse si era accorta delle cose importanti troppo tardi.
Scacciò quei pensieri dalla testa e indicò la fotografia - Andrej ha le stelle nel sangue. Non puoi tenerlo inchiodato qui, sulla Terra.-
Ashley spostò il peso da un piede all’altro, a disagio – Credi che non lo sappia? So bene che il suo futuro è tra le stelle. Prima o poi se ne andrà per la sua strada ed io non glielo impedirò. – strinse le labbra, quella prospettiva la turbava più di quanto non volesse ammettere - Ma adesso è solo un bambino e voglio che abbia una vita normale … voglio che sia felice.-
Jack abbassò lo sguardo sulle sue mani coperte di tatuaggi e cicatrici, unici lasciti di un’infanzia che non aveva mai avuto – Non ho mai conosciuto mia madre.- confessò – Ma se avessi potuto scegliere mi sarebbe piaciuto avere una madre come te.-
Ashley arrossì, imbarazzata, fortunatamente i rintocchi dell’orologio che annunciavano la mezzanotte la trassero dall’impiccio di dire qualcosa.
Jack scattò in piedi – Maledizione, è tardissimo.- inviò un breve messaggio a Cortez dicendogli di venire a prenderla – Tolgo il disturbo.-
Ash non diede segno di averla sentita, rimase per qualche istante a fissare l’orologio con aria assorta,  poi il suo sguardo guizzò verso la finestra – Aspetta, prima devi vedere una cosa. - attraversò la stanza e raggiunse l’arco della porta – Andrej …- chiamò - … è ora.-
Jack le lanciò un’occhiata interrogativa, ma Ash le fece cenno di aspettare mentre il bambino correva giù dalle scale come se fosse stato appostato in cima per tutto il tempo, in trepidante attesa.
Madre e figlio indossarono giubbotti e sciarpe, poi uscirono insieme nella notte terrestre, seri e silenziosi, come se stessero per assistere a qualcosa d’incredibilmente importante. Dopo un attimo di esitazione Jack li seguì.
Fuori faceva ancora più freddo di quando era arrivata, l’aria era immobile, gli alberi congelati in una silenziosa attesa, il cielo nero, senza luna né stelle.
La piccola veranda, fiocamente illuminata dalle luci provenienti dall’interno, pareva sospesa sull’orlo di un nero ed interminabile abisso … il mondo intero sembrava trattenere il respiro. Qualcosa … qualcosa d’incomprensibile e sconvolgente stava per accadere.
Andrej e Ash erano fermi davanti ai gradini della veranda, sul bordo del precipizio, gli occhi rivolti verso quel cielo senza stelle: due ombre ai confini del mondo.
- Guarda mamma, laggiù!- esclamò Andrej, indicando davanti a sé. Il bambino iniziò a ridere e d’un tratto il mondo riprese a girare, mentre dal cielo scendevano, lenti e leggeri, bianchi fiocchi di neve e su, in alto, un’unica stella si affacciava sul mondo.
Andrej corse nel prato, ridendo e saltando, col gatto che gli faceva agguati nella neve: il mondo intero era ai suoi piedi.
- Oggi è il suo compleanno.- Jack sobbalzò al suono della voce di Ash, non si era accorta che si era avvicinata – Da cinque anni, ogni anno, a mezzanotte inizia a nevicare e continua per tutto il giorno.- Ashley alzò il viso verso il cielo, fissando quell’unica stella che brillava sopra le loro teste – Mi piace pensare che sia il modo con cui Shepard rende omaggio a suo figlio. Qualunque cosa sia, ovunque si trovi, voglio credere che, almeno oggi, lui sia qui con noi.-
Jack non rispose, si limitò a fissare quella stella chiedendosi se nei pensieri di Shepard, talvolta, ci fosse anche lei. Infilò la mano nello scollo del maglione finché non trovò la medaglietta che da sei anni portava appesa al collo, unico dono di un uomo che aveva scelto di non amarla.
Uscì dalla veranda, affondando nuovamente nella neve fresca, mentre tutto attorno a lei fiocchi bianchi e ghiacciati vorticavano nell’aria, spensierati e giocosi.
- Andrej …- chiamò, perdendosi nel suono di quel nome che mai avrebbe immaginato di pronunciare ancora. Si bloccò quando incrociò quegli occhi azzurri come il cielo d’estate, tanto intensi e profondi da farle dimenticare tutto, persino i motivi che l’avevano portata fin lì, in quel luogo di pace e tranquillità.
- Che cosa c’è?- domandò quella voce da bambino.
Jack si riscosse, sorrise e s’inginocchiò davanti a lui, dentro e sotto la neve – Ho un regalo per te, per il tuo compleanno.- gli porse la medaglietta e gliela mise tra le mani, l’idea di separarsene la faceva star male ma era certa di star facendo la cosa giusta.
Era diventata davvero una persona migliore.
- Era del tuo papà. - spiegò mentre Andrej sollevava la medaglietta coi grandi occhi azzurri sgranati dalla meraviglia – È giusto che l’abbia tu, adesso.-
- A. Shepard …- lesse il bambino con la voce carica di riverente ammirazione. Le sorrise, un sorriso così radioso e felice, da riempirle quel vuoto che la morte di Shepard le aveva lasciato dentro e che mai avrebbe pensato di poter un giorno colmare.
Andrej si mise la medaglietta attorno al collo, fiero e traboccante d’orgoglio, alzò gli occhi su di lei e il sorriso si spense, sostituito da un’espressione così seria da lasciar intravedere il viso di un uomo dietro quei lineamenti da bambino – Grazie, Jacqueline.- disse prima di correre via, nella neve.
Jack rimase inginocchiata per terra, le mani appoggiate sulle ginocchia, lo sguardo perso nel vuoto … in un modo o nell’altro Jacqueline e Andrej esistevano ancora.
Si voltò al suono di passi nella neve, Ashley la raggiunse, consapevole che qualunque cosa fosse accaduta tra lei e suo figlio, era qualcosa che apparteneva a loro e a loro soltanto.
- Credo che sia arrivata la tua navetta.- annunciò, indicando le luci sulla collina davanti a loro.
Jack annuì, rialzandosi e spazzolando via la neve dai pantaloni – Dovrei restituirti i vestiti.-
Ash si strinse nelle spalle – Ne ho altri.- le porse la mano – Buon viaggio, Jack e buona fortuna.-
Jack ricambiò la stretta ma al momento di lasciarla esitò – La Normandy è attraccata allo spazioporto di Vancouver, ci rimarrà fino a mezzogiorno. Se vuoi passare a salutare, saranno tutti felici di vedere te e …- spostò lo sguardo su Andrej che scorrazzava felice nella neve - … e lui.-
Ashley esitò, a disagio – Io … io ci penserò.-
Jack si portò la mano alla fronte – Hangar D-24, Williams.- precisò avviandosi verso la navetta.
- Non esiste un hangar D-24 a Vancouver!- le urlò dietro Ashley.
Jack si voltò verso di lei, continuando a indietreggiare, allargò le braccia con un sorriso di sfida – Davvero? Vieni a verificare tu stessa, Williams.-
Se ci fu una risposta non la sentì.
 
http://www.youtube.com/watch?v=lz9xygnjvIc

L’astroporto di Vancouver era gremito di gente, un amalgama brulicante e vociante di esseri provenienti da tutti gli angoli della galassia.
Sembrava di essere nel crocevia dei mondi.
Gli umani si perdevano tra le splendide Asari, superbe e fiere, i grassocci Volus e i goffi Elcor che avanzavano lenti e impacciati, apparentemente senza altro scopo che creare ingorghi e far imbestialire gli iperattivi Salarian che saltellavano di qua  e di là come bizzarre lucertole parlanti; e poi Turian, Krogan, Hanar … di tanto in tanto si scorgevano persino Quarian accompagnati da Geth, un’accoppiata che stava ormai diventando la norma ma che suscitava ancora diffidenza e sconcerto tra gli altri abitanti della galassia.
Fuori dal tranquillo isolamento delle Montagne Rocciose il mondo si mostrava in tutta la sua prepotente frenesia e sconcertante modernità; in quell’astroporto brulicante di vita la galassia non sembrava più un luogo distante e misterioso, ma un’infinita distesa di mondi, culture e specie diverse che avevano trovato un modo di convivere e cooperare tra loro.
Ashley strinse forte la mano di Andrej, terrorizzata all’idea di perderlo in tutta quella confusione. Il bambino osservava rapito le genti e i colori che sfrecciavano tutt’intorno a lui, gli occhi sgranati, l’espressione meravigliata.
Non era la prima volta che scendevano in città, spesso vi si erano recati per incontrare Hannah o la madre e le sorelle di Ashley, ma mai prima d’ora si erano trovati immersi in una simile folla frenetica ed eccitata, che Ash aveva visto solo sulla Cittadella.
Immaginò che dovesse essere accaduto un qualche evento eccezionale.
I suoi sospetti trovarono conferma quando vide un mucchio di gente assiepata davanti alla grande vetrata che si affacciava sulle piste d’atterraggio. C’era qualcosa, là fuori, capace di ammaliare tutte le specie della galassia.
Ash si avvicinò, attenta a non perdere di vista Andrej, curiosa di scoprire cosa ci fosse di così affascinante; non riuscì a raggiungere il punto panoramico che un Krogan la urtò, rischiando di farle perdere l’equilibrio.
- Ehi!- esclamò, incapace di trattenersi – Ehi, bestione, che ne dici di fare un po’ più di attenzione la prossima volta?-
Il Krogan si voltò con aria minacciosa – Stai parlando con me, principessa?-
Ashley sentì il sangue montarle alla testa – Spero di aver sentito male.- sibilò, stringendo gli occhi a fessura.
- Hai sentito bene … principessa.- la sfidò il Krogan avanzando verso di lei.
Stava per dare inizio a una rissa quando un trafelato agente della sicurezza piombò tra loro, rovinando la festa.
- C’è qualche problema qui?- chiese frapponendosi tra i due, le spalle dritte e il petto proteso in avanti perché tutti notassero il suo distintivo.
Il Krogan lo spinse di lato, mandandolo a gambe all’aria – Fuori dai piedi, tu!- si avvicinò ad Ash puntandole contro un dito grosso come un tronco – Ringrazia che hai un cucciolo, Umana, altrimenti staresti raccogliendo i tuoi denti dal pavimento.- le voltò le spalle e sparì tra due ali di folla che si aprirono per lasciarlo passare.
Ashley sorrise: le erano sempre stati simpatici i Krogan.
Andrej era pietrificato al suo fianco, gli occhi sgranati – Forte …- lo sentì sussurrare.
Ash aiutò l’agente a rialzarsi – Tutto bene, signora?- esclamò scattando in piedi e assicurandosi che il distintivo fosse ancora al suo posto – Ah questi Krogan, sempre imprevedibili, per fortuna che sono intervenuto in tempo …-
Ashley lo osservò con aria scettica mentre si risistemava la divisa con aria computa, c’era qualcosa di familiare in quel tizio iperattivo coi capelli e il pizzetto biondi …
- Posso esserle ancora d’aiuto?- domandò, con un sorriso smagliante.
- No, grazie … - si bloccò – A dire la verità sì: saprebbe dirmi dove posso trovare l’Hangar D-24? Ammesso che esista …-
L’uomo s’illuminò, evidentemente esaltato dall’idea di rendersi utile – L’Hangar D-24? Ma certo, venga con me!- le fece cenno di seguirla verso i terminali d’imbarco - È una storia curiosa.- spiegò mentre camminavano – Fino a ieri non esisteva nessun Hangar D-24, poi una nave dell’Alleanza chiede di atterrare: massima priorità, codici di atterraggio del Consiglio … l’intero pacchetto insomma. Diamo al pilota il permesso di atterrare all’Hangar B-14, quello per i veicoli militari, lui ci chiede se abbiamo un Hangar D-24, gli rispondiamo di no e lui si rifiuta di atterrare.- scoppiò in una risatina di disapprovazione – Lo sa che cos’è successo? Invece di mandarlo al diavolo le autorità dell’astroporto ci hanno detto di cambiare il nome dell’Hangar. – alzò gli occhi al cielo - Così anche l’astroporto di Vancouver ha un Hangar D-24, adesso.- concluse, indicando l’ingresso dell’Hangar.
Ash strinse più forte la mano di Andrej, che tentava di sgattaiolare via per andare a curiosare chissà dove – Mi sa dire il nome della nave che è atterrata?- domandò, anche se conosceva già la risposta.
- Certo.- il sorriso dell’uomo si ampliò – Non ci crederà mai: è la Normandy SR2. Una leggenda!-
Ashley sentì il cuore mancare un battito: la Normandy era tornata sulla Terra, per lei.
Si aggrappò ad Andrej come se quel bambino fosse l’unico appiglio prima di precipitare nel baratro che si era aperto di fronte ai suoi piedi – Mamma?-
Ash gli sorrise, cercando di assumere un’espressione rassicurante – Tutto bene, tesoro.-
L’agente continuava a parlare, ignaro del suo turbamento – Si rende conto, la nave del comandante Shepard qui, a Vancouver! Io l’ho conosciuto sa? Gli ho anche salvato la vita una volta!- esclamò, assumendo un’aria d’importanza.
Ashley agitò una mano per zittirlo – Mi faccia accedere all’Hangar, per favore.- guardò l’orologio: le 11:45, Jack aveva detto che la Normandy sarebbe partita a mezzogiorno.
- Assolutamente no!- esclamò l’agente, scandalizzato – I civili non possono accedere all’Hangar, se vuole vedere la nave, vada alla vetrata panoramica, come tutti gli altri.- disse, indicando la massa di gente che si affollava davanti alla vetrata.
Ash si diede della stupida: la Normandy era il motivo di tutta quell’agitazione. Avrebbe dovuto immaginarlo: la nave e il suo equipaggio erano diventati leggenda.
- Sono Ashley Williams, idiota!- sbottò – Inserisca il mio nome nel terminale e vediamo cosa le dice.-
L’uomo parve offeso ma obbedì, borbottando a proposito di civili arroganti e pretenziosi poi, man mano che scorreva i dati sul terminale, la sua espressione mutò e il fastidio lasciò il posto all’assoluto sconcerto.
- Lei è davvero Ashley Williams?- balbettò, sgranando gli occhi – Quell’Ashley Williams? Il secondo Spettro Umano? Ma … ma non mi riconosce?- il suo viso si aprì in un sorriso smagliante – Sono io: Conrad Verner! Ci siamo conosciuti sulla Cittadella, anni fa! In abiti civili non l’avevo riconosciuta!-
Ashley rimpianse di non aver tirato una testata al Krogan – Sì certo, ehm Conrad … come dimenticarsi di te?- fece una smorfia – Posso passare, adesso?-
Conrad si affrettò a sbloccare le porte – Certo, signora, qualsiasi cosa per lei, signora, sono un suo grande ammiratore!-
- Sì, sì, come no.- si affrettò verso l’uscita, tirandosi dietro Andrej, spaesato e confuso – Alla prossima, Conrad!- salutò, mentre i doppi vetri si chiudevano.
Dopo la confusione e il brusio dello spazioporto il silenzio del corridoio d’accesso all’Hangar sembrava surreale, quasi fossero entrati in un’altra dimensione.
- Dove stiamo andando, mamma?- domandò Andrej, tirandola per una manica.
Ash lo prese in braccio, sentendosi in colpa, per averlo sballottato da una parte all’altra della città, senza una spiegazione  – Ti sto portando in un posto speciale, Andrej.- mormorò, passando una mano tra i suoi capelli perennemente arruffati – Il posto in cui sei nato. –
Arrivarono ad un altro posto di blocco ma, dopo aver dato un’occhiata ai terminali, la guardia li lasciò passare senza fare problemi.
Le porte si aprirono con un sibilo e fu davanti a loro: la Normandy, bella e letale come la ricordava.
Sentì Andrej tremare di meraviglia e sgomento tra le sue braccia e lei stessa si sorprese a trattenere il respiro.
Erano passati quasi cinque anni dall’ultima volta che l’aveva vista ma nulla in quello scafo liscio e sottile era cambiato: la Normandy SR2 era in attesa del suo comandante.
Andrej si divincolò dalla sua presa saltando per terra, lo sguardo fisso sulla nave di suo padre, l’espressione rapita: la Normandy aveva conquistato il cuore di un altro Shepard.
Ash non poté fare a meno di provare una fitta d’irrazionale gelosia.
Andrej la guardò, fremente d’eccitazione – Un giorno viaggerò anch’io tra le stelle, su una nave come questa?-
Ash sospirò, rassegnata: le stelle si erano portate via Alex e, prima o poi, si sarebbero prese anche Andrej. Era inevitabile. – Tu sei nato tra le stelle, Andrej.- rispose in un sussurro. – Un giorno saranno la tua casa. -
Si avvicinarono alla Normandy e in lontananza, in corrispondenza del portellone, scorsero un piccolo gruppo di persone che si preparavano al decollo. Ash riconobbe parecchi volti amici: Jeff, IDA, Garrus, Liara, James … sembrava che l’intero equipaggio fosse tornato sulla Normandy, in memoria dei vecchi tempi. Mancava solo Shepard … o forse no. Il suo sguardo si posò su Andrej che osservava, curioso e intimidito, quelle figure che si stagliavano all’orizzonte.
Erano la sua nave, il suo equipaggio: un giorno non troppo lontano ci sarebbe stato di nuovo uno Shepard a solcare i cieli della galassia.
Alexander non c’era più ma Andrej … Andrej aveva tutta la vita davanti.
- Chi sono?- domandò il bambino indicando i membri dell’equipaggio.
Ash sorrise, osservando Tali e Garrus che battibeccavano a proposito di chissà quale miglioria elettronica, mentre Jack e Miranda si guardavano in cagnesco dai lati opposti della passerella.
Andrej non li aveva mai conosciuti; la Normandy era tornata sulla Terra due mesi dopo la sua nascita e da allora Ash si era rifiutata di vedere chiunque, tranne Hannah e i suoi familiari, chiusa nel suo isolamento sulle Montagne Rocciose. Jack era il primo membro dell’equipaggio ad aver conosciuto il figlio del comandante Shepard.
Ash tese la mano a suo figlio e lui, dopo un attimo d’esitazione, la prese – Loro sono la tua ...  – s’interruppe guardando i suoi vecchi compagni d’arme e sorrise – Sono la nostra famiglia.- strinse più forte la mano di Andrej, consapevole che, da quel momento in avanti, la loro vita sarebbe cambiata per sempre. Ma era giusto così – Torniamo a casa, Shepard.-
Andrej annuì, risoluto e serio com’era stato suo padre; era solo un bambino di cinque anni eppure, guardandolo, Ash intravide l’uomo che sarebbe diventato. Un uomo che avrebbe eguagliato e superato la grandezza del padre.
Lentamente, mano nella mano, s’incamminarono verso la Normandy: Shepard era tornato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note
 
Ringrazio il mio gatto per la preziosa collaborazione.
 
Dal tempo che ci ho messo a partorire questo capitolo credo si capisca che è stato piuttosto travagliato e il pessimo risultato finale lo dimostra.
Non so, non riesce a convincermi fino in fondo ma ho deciso che lascerò a voi il compito di giudicare, io l’ho riletto fino alla nausea e non posso più vederlo.
Fondamentalmente è Jack a non convincermi, temo di averla resa un po’ troppo gentile (perciò decisamente OOC), ho tentato di auto-convincermi che sono passati cinque anni e che perciò si sia ammorbidita, ma la verità è che non sono proprio riuscita a gestirla. Va beh, me ne farò una ragione.
 
La storia è quasi arrivata alla fine (non esultate troppo), il prossimo capitolo sarà probabilmente l’ultimo e prevedo un altro scempio perché non so proprio da che parte cominciare, ma questi sono problemi miei XD
 
Grazie a tutti quelli che si sono sorbiti i miei deliri!
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Mass Effect / Vai alla pagina dell'autore: Nymeria90