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Autore: holls    10/12/2013    8 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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19. Raggio di luna
 
 
 
18 gennaio 2005, mattina.
La punta fredda del naso di Nathan continuava ad accarezzare la sua guancia destra, mentre i piedi cominciavano a intirizzirsi a causa della neve, nonostante le scarpe pesanti.
Ma in quel momento, del freddo, non gliene importava nulla.
Stringeva il viso di Nathan tra le sue mani, assaporando quelle labbra che gli erano mancate per tanto, troppo tempo.
Non si sfioravano da una vita.
Aveva provato ad approfondire quel bacio, e Nathan, a poco a poco, aveva schiuso le labbra. Ogni volta che le loro lingue si sfioravano era un sussulto, come se fosse una conferma che sì, Nathan voleva riavvicinarsi. Aveva il terrore che, all’improvviso, quella conferma venisse a mancare.
E così fu.
Nathan si staccò all’improvviso, spingendolo poco lontano, ma abbastanza distante perché ci fosse meno intimità. Adesso riusciva a vederne il volto, offuscato dalla condensa dei loro respiri.
« Non mi sembra giusto, Alan. »
« Perché? »
Nathan si strinse nel suo cappotto, strofinando appena le mani sul tessuto che ricopriva l’avambraccio. Alan non seppe capire se era per il freddo o per la tensione.
« Perché tu stai già con un’altra persona. Quindi non puoi venire qui e baciarmi in quel modo. »
« Anche tu. »
Nathan inarcò un sopracciglio.
« Anche io cosa? »
« Anche tu stai con un’altra persona, quindi potrei dirti la stessa cosa. »
Nathan aggrottò maggiormente la fronte.
« Io non sto con un’altra persona. Non devo rendere conto a nessuno se ti bacio, ma tu sì. Quello che voglio dire, è che non voglio essere il tuo amante. Se vuoi stare con me, stai solo con me. »
Alan continuava a guardare dappertutto fuorché verso Nathan, arricciando le labbra in segno di dissenso.
« Non stai con un ragazzo dell’università? »
Nathan alzò le spalle, smarrito.
« Te l’ho già detto, no. E non capisco perché ti ostini a crederlo. »
Alan aprì bocca per dire qualcosa, salvo poi condensare un altro po’ di fiato, silenzioso. Si portò le mani sui fianchi, per poi farle scivolare, e incrociarle subito dopo. Nathan non capiva.
« C’è qualcosa che non va? »
Alan scosse rapidamente il capo.
« No, niente. Questioni personali. Però hai ragione, non posso tenere il piede in due scarpe. »
Nathan strinse le labbra, come a voler sottolineare l’ovvietà delle sue parole.
Alan continuava a essere nervoso: si mordicchiava il labbro inferiore, batteva il piede continuamente, e cambiava spesso l’oggetto del suo sguardo.
« Alan? »
Smise di fissare ogni singolo particolare intorno a lui, per concentrarsi sul ragazzo.
« Mh? »
« Perché mi hai baciato? »
Alan ridacchiò, spaesato.
« Che domanda è? C’è bisogno di chiederlo? »
Nathan espirò pesantemente e abbassò lo sguardo.
« Non mi vuoi rispondere? »
Alan continuava a sorridere, perché davvero non riusciva a trovare un senso, a quella domanda. Invece, per Nathan, un senso ce lo aveva. Poteva essere che Alan avesse sentito la sua mancanza, ma come sarebbe stato tornare davvero insieme? E se Alan l’avesse ripudiato, una volta che fossero entrati nuovamente in intimità, ripensando a ciò che era stato in tutti quegli anni? Non era sicuro che l’altro avesse pensato davvero a tutto questo, quando lo aveva baciato. Aveva paura che fosse stata la follia di un momento, ma che non facesse davvero sul serio. E il fatto che Alan non volesse rispondere alla sua domanda, gli metteva l’ansia.
« Continuo a non capire perché mi fai questa domanda. »
Nathan scosse il capo. Non aveva voglia di spiegare.
« Fa niente. Ma sappi che non ci saranno altri baci finché non avrai preso una decisione. Se vuoi stare con me, devi scaricare il tuo ragazzo. E la prossima volta che ci vedremo, avrai preso una decisione. »
Nathan sentiva il suo cuore come passato in un tritacarne. Gli faceva male, molto male, al solo pensiero che Alan non scegliesse lui. Stava facendo di tutto per tenere a bada la speranza, ma laggiù, nelle cave più remote della sua anima, si intravedeva un piccolo e tenue lumicino, che forse non si sarebbe mai spento.
« Agli ordini, capo. Adesso vado, però. »
« E dove? »
Alan gli sistemò il cappellino di lana abbassandolo fino a coprire, in parte, le orecchie.
« Lo saprai presto. Buona giornata. »
Alan lo salutò camminando all’indietro per qualche passo, per poi voltarsi e continuare per la sua strada.
 
Quando Nathan si era staccato da lui in quel modo, aveva davvero temuto il peggio. Che gli dicesse che non era possibile, che era troppo in collera con lui per baciarlo o altri scenari simili. E invece aveva interrotto quel bacio solo perché voleva assicurarsi che Alan fosse tutto suo. Solo suo. L’aut aut di fronte al quale l’aveva messo gli aveva fatto solo piacere. Poteva considerarla una sorta di dichiarazione e questo lo rese felice come non lo era da veramente tanto tempo.
Improvvisamente, fu come se il sollevamento dall’incarico non fosse mai esistito, come se l’omicidio non fosse mai avvenuto, come se…
Jack.
Il viso del ragazzo gli si stampò nella mente. Lo immaginò mentre lo aspettava a casa, magari già intento a preparargli il pranzo. Già pronto ad accoglierlo con un bacio, per passare una tenera giornata insieme.
Si rese improvvisamente conto di che cosa significasse nel concreto lasciare Jack. Significava spezzare lo scenario romantico che il ragazzo già pregustava e forse anche ammettere che, tutto sommato, la gelosia che aveva sempre provato nei confronti di Nathan non era così ingiustificata. Non appena questi gli aveva aperto il suo cuore, Alan non ci aveva pensato due volte a buttarvisi. Si rese conto solo in quel momento che, per tutto quel tempo, aveva preso in giro Jack. Ripensò a tutte le volte che lo aveva redarguito per la gelosia che provava, sostenendo che erano solo sue fantasie, e si sentì in colpa. Avevano pure litigato, per quello.
Mentre tornava a casa, cominciò a cercare le parole giuste per comunicargli la sua decisione.
Ma nessuna sembrava andare bene.
 
***
 
Aveva allungato di proposito il giro, sperando di essere colpito da un’idea fulminante, ma tutto ciò che frullava nella sua testa erano frasi banali. Certo, lui e Jack si erano solo frequentati per un breve periodo, non si erano giurati amore eterno. Tuttavia, già era in grado di immaginare la delusione sul suo volto e si sentiva male al solo pensiero.
Ma, dopo quello che era accaduto con Nathan, aveva voglia, finalmente, di mettere le cose in chiaro. Aveva scelto con chi stare, e voleva amare di nuovo. Amare davvero.
 
Alla fine, si ritrovò davanti alla porta del suo appartamento. Infilò le mani in tasca e razzolò in cerca delle chiavi. Per un momento sperò quasi che fossero andate perdute, creando così un diversivo in quella giornata. Ma, per sua sfortuna, le chiavi erano lì, in fondo alla tasca, intente a martoriare un pacchetto di fazzoletti aperto, la cui chiusura non attaccava più.
Mentre girava le chiavi nella serratura, immaginò Jack venirgli incontro festoso, chiedendogli come fosse andato l’incontro con Nathan e di cosa avessero parlato. Forse l’avrebbe detto con una punta di gelosia.
Gelosia.
Era stato quello che, più di tutti, l’aveva allontanato da Jack, spingendolo, paradossalmente, nelle braccia del suo ex. Ma Alan doveva essere onesto con se stesso. Anche se Jack non gli avesse dato una spinta, lui sarebbe comunque tornato da Nathan. Non poteva averne prove certe, ma sentiva che le cose sarebbero andate comunque in quel modo. Magari sarebbe occorso più tempo, ma aveva capito solo quella mattina che non si può smettere di amare da un momento all’altro. Era stato disgustato prima e arrabbiato poi, riguardo a Nathan, ma quanto aveva desiderato riabbracciarlo? 
Era questo che, più di tutti, lo metteva in difficoltà con Jack. Si chiese se non fosse meglio, addirittura, non tirare in ballo Nathan, e dire semplicemente che non era più il caso di frequentarsi.
Era in totale confusione.
 
Come si aspettava, Jack lo accolse subito sulla porta di casa, con un’espressione tesa. Probabilmente, cercava di carpire l’esito dell’incontro dal volto di Alan, seguendo, taciturno, i suoi movimenti nel soggiorno. Dopo qualche secondo, Jack provò a insinuarsi in quell’atmosfera silenziosa.
« Com’è andato l’incontro? Hai scoperto qualcosa? »
Alan si umettò le labbra, per poi serrarle; teneva lo sguardo basso, si grattava la fronte, schioccava la lingua. Jack provò a intercettare i suoi occhi, nel tentativo di capire cos’è che lo rendesse tanto irrequieto.
Poi, alla fine, Alan si avvicinò a Jack, sostenendo con fermezza il suo sguardo. La sua espressione si fece terribilmente seria.
« Ti devo parlare. »
Jack rimase interdetto per una frazione di secondo.
« Di cosa si tratta? »
Alan respirò profondamente, mordicchiandosi le labbra.
Jack lo squadrò lentamente, cercando di capire cosa volesse dirgli, ma senza risultato. Deglutì, abbandonando il suo intento e aspettando che l’altro rispondesse.
« Riguarda noi due. »
Quella era la frase che Jack non avrebbe mai voluto sentir dire. Senza che Alan proferisse altra parola, lo sguardo di Jack si trasformò da preoccupato a supplichevole, come una vittima che chiede al suo aguzzino di risparmiarlo da un’orribile tortura. Era come se, in qualche modo, avesse già intuito il contenuto della conversazione.
E, secca come una pugnalata, arrivò la conferma.
« Io credo sia meglio non vedersi più. »
Si sentì come se, in un istante, ogni parte del suo corpo avesse smesso di funzionare. Il cuore aveva mancato un colpo, l’ossigeno si era come congelato nelle sue narici e il corpo pareva un blocco di marmo. Poi, tutto ricominciò a scorrere; ma il sangue fluiva lento per riprendere il ritmo, e anche l’ossigeno, sì, era troppo perché potesse inalarlo tutto insieme. E la saliva, che premeva per andare giù, avrebbe aspettato ancora un po’.
Ancora inebetito, come se stesse cercando di capire se fosse sogno o realtà, deglutì in modo meccanico, mentre il palato si prosciugava.
« … Perché? »
Ai suoi occhi, Alan si muoveva talmente veloce da non riuscire a seguirne i movimenti. Lo vide sospirare pesantemente e gesticolare quasi isterico, ruotando la mano destra verso l’esterno, come se cercasse di far uscire le parole; poi, a ogni tentativo fallito, scuoteva il capo.
« Ho capito che la nostra relazione non può andare avanti. Non… »
Alan schioccò nuovamente la lingua, rassegnato.
« Non? »
« Non ti amo. »
Seconda pugnalata. Ma Jack era talmente preso a curare il dolore della prima, che la seconda lo trafisse senza che nemmeno se ne accorgesse. Il suo corpo era già impegnato a lenire altre ferite. Fioco, come se davvero stesse esalando l’ultimo respiro, pronunciò una domanda.
« E Nathan? »
Alan continuava a intrecciare le dita, per scacciare la tensione.
« Mi dispiace, Jack. Non sono stato onesto con te, benché lo abbia fatto in buona fede. Sono innamorato di Nathan. Scusa. »
« Scusa. »
Jack ripeté quella parola, come se cercasse di soppesarne il valore, la veridicità, l’inclinazione con cui era stata pronunciata. Continuò, più come se fossero pensieri ad alta voce.
« Scusa. Certo, basta chiedere scusa. Mi hai preso in giro tutto questo tempo e basta chiedere scusa. Mi sono sentito in colpa, per la mia gelosia, mi sono sentito un cretino, pensando di sbagliare tutto, e tu ti scusi! Volevi quasi farmi passare per paranoico con questa storia di Nathan, e invece ci avevo visto giusto! E io che stavo anche cercando di cambiare, per te! »
Jack ormai era totalmente esploso, ritrovandosi praticamente a urlare.
« Cambiare…? »
Jack sorrise amaro, mentre scuoteva il capo.
« Vedi? Non te ne sei neanche accorto. Prima sei uscito, dicendo che andavi da lui, e non ho battuto ciglio. Avrei voluto farlo, non sai quanto! Ma ho provato a fidarmi di te, perché tanto, - vero? -, con Nathan non c’è niente! Perché sennò ti avrei soffocato e allontanato! Quanto sono stato stupido! »
Alan si coprì il volto con una mano, sinceramente dispiaciuto. E dovette ammettere a se stesso che quanto diceva Jack era vero. Era talmente preso dall’idea dell’incontro con Nathan, che non aveva nemmeno notato che Jack non aveva aperto bocca riguardo al loro incontro. Uno stupido, piccolo dettaglio, che a Jack era costato chissà quanto, e che lui non aveva nemmeno visto. Si vergognò.
« Lo sai cosa, Alan? Non sei tu che lasci me, sono io che lascio te! Mi fai schifo! »
Alan provò ad afferrare Jack per le spalle, nel tentativo di dirgli qualche cosa, ma l’altro fu più veloce. Lo scacciò via, con quelle sopracciglia increspate e gli occhi incerti, come se volessero piangere.
Ma Alan non vide nemmeno una lacrima solcare il volto di Jack.
Provò a corrergli dietro, mentre il ragazzo camminava a passo spedito verso la porta d’ingresso, chiamandolo per nome e cercando di calmarlo. Ma quando lo vide oltrepassare la soglia del portone del condominio, qualcosa lo spinse a non rincorrerlo.
Non aveva nessun’altra verità da raccontare a Jack, né poteva addolcire quel dolore con qualche scaltra bugia. Lo osservò mentre correva via il più velocemente possibile e si sentì vuoto, come se avesse perso una parte di sé. Ripensò a come si erano conosciuti, alla loro gita a Coney Island, a come, poi, la gelosia avesse cominciato a insinuarsi nel ragazzo e nella coppia.
E, ripensando a tutte le litigate e a ciò che ne era scaturito, si rese conto che l’unico ad aver visto una realtà distorta, fino a quel momento, era stato proprio lui stesso.
 
***
 
Aveva aspettato almeno una mezz’ora buona, spinto forse dalla speranza che Jack tornasse indietro, ma invece si ritrovò solo, davanti alla tv, in compagnia di una tazza di cioccolata calda. Le parole del telefilm gli entravano in testa per poi uscire subito dopo, come un soffio di vento che ti accarezza per poi volarsene via.
Nonostante non fosse lui quello lasciato, si sentiva male all’idea di aver ferito così tanto qualcuno, soprattutto perché si rese conto, in quel momento, che sarebbe stato meglio non iniziare proprio, con Jack.
Ma i sentimenti sono una materia strana, si nascondono, cambiano forma, non è facile capirli.
Restava comunque il fatto che aveva preso in giro Jack, illudendolo di poter avere una storia come le altre, quando così non era stato e, si rese conto Alan, non lo sarebbe stato mai.
Cercò di cogliere l’unica nota positiva in tutta quella faccenda.
Amava Nathan.
E se ne rendeva finalmente conto. Era Nathan che voleva amare, che voleva proteggere, che voleva per sempre legato a sé.
La chiarezza con cui riuscì a formulare quelle affermazioni suscitare in lui un pensiero un po’ bizzarro. Si rese improvvisamente conto che doveva salutare qualcuno.
Finì in fretta e furia la sua cioccolata – comunque quasi giunta al termine -, spense la tv e si infilò nuovamente le scarpe per uscire.
 
***
 
Si fermò da un fioraio. Perlustrò a lungo il chiosco in cerca di qualcosa che facesse al caso suo. Gli sarebbe piaciuto fare una bella composizione, ma di fiori non se ne intendeva; cercava perciò di prendere mentalmente i singoli fiori e provare ad accoppiarli, ma nessuna unione sembrava convincerlo.
Dal chiosco uscì una signora di mezza età, con il grembiule sporco di linfa e un sorriso da guancia a guancia.
« Posso aiutarti? »
« Sì, vorrei un bel mazzo di fiori, ma non so proprio cosa scegliere. Non so cosa sia più adatto. »
La signora rise di gusto, divertita.
« Per certe occasioni, non esiste niente di adatto, bisogna farsi guidare dal proprio cuore. Ma proverò lo stesso a darti una mano. »
La signora scaricò il peso su una gamba, pensosa, mentre il suo sguardo scorreva rapido  tra le varietà di fiori.
« Ho trovato! Che ne pensi di qualche rosa rossa, gerbere arancioni e dei gigli bianchi? Ti piace? »
La donna glieli mostrò uno a uno, trovando l’immediata approvazione di Alan, che non avrebbe saputo ribattere in alcun modo.
La fioraia afferrò una manciata di rose, le pulì e le tenne strette nel suo pugno grassoccio; unì le gerbere arancioni, dalle foglie lanceolate disposte a rosetta, che ricordavano una margherita un po’ più grande; dispose poi i gigli bianchi, alcuni non ancora sbocciati del tutto, le cui foglie si disponevano armoniosamente verso l’esterno come fossero una mano tesa; infine, la signora abbellì il tutto con qualche foglia di aspidistra ripiegata su se stessa.
La composizione fu legata con un piccolo nastro giallo e Alan pensò che fosse la chiusura perfetta. Era decisamente soddisfatto e non vedeva l’ora di portarli nel luogo di destinazione.
Alan ringraziò la signora e pagò la somma dovuta, dopodiché si soffermò a deliziare le sue narici con il delicato profumo del giglio. Fece qualche passo, e finalmente si trovò lì.
Era sulla soglia del cimitero.
 
Ritrovò nuovamente il viavai di anziane signore venute a trovare i loro mariti, ma, ora che ci faceva caso, sembravano piuttosto intente a chiacchierar di pettegolezzi, tante erano le risatine che scaturivano da quei volti rugosi.
Osservò gli imponenti cipressi che guidavano il vialetto e i ciottoli che lo componevano. Ascoltò il rumore dei passi che affondavano in quei sassolini insidiosi, lo scrosciare dell’acqua che riempiva gli annaffiatoi, e il silenzio che regnava nel luogo quando non passavano le auto.
Erano cinque minuti che se ne stava sulla soglia del cimitero.
E stavolta entrò.
 
Nonostante fosse andato poche volte, ricordava perfettamente dove era collocata la tomba di Oliver. Percorse interamente il selciato principale, chiazzato della poca neve che era nuovamente caduta e che non era ancora stata spalata; svoltò a sinistra e, dopo aver delineato il perimetro di quella sezione di lapidi interrate, scese cauto gli scalini, pestando la pietra per evitare di scivolare sul ghiaccio depositato. Arrivò così in un’altra, vasta area di anime seppellite sotto terra, sovrastate da una lastra di marmo e qualche mazzo di fiori.
Alan entrò nel campo, trascinandosi a fatica a causa della neve che lo faceva sprofondare un poco. Superò due file di lapidi, per poi arrivare alla sua.
 
Oliver era lì, col sorriso di un ventiduenne che ha ancora tutta la vita davanti, la cui maggiore preoccupazione è organizzare lo studio per la successiva sessione di esami.
Oliver era così: studioso, preciso, meticoloso. Anche un po’ secchione, a dire il vero. Ma amava imparare, amava la conoscenza; e Alan non poté fare a meno di lasciarsi andare in un sorriso, ripensando alle pile di libri sulla scrivania del ragazzo, ai milioni di quaderni pieni di appunti e ai post-it che assediavano il suo materiale di studio.
Alan era molto diverso allora. A quel tempo, era un ragazzo fresco di laurea, con ancora qualche sogno in testa e tanta, tanta voglia di buttarsi. Di sperimentare, di provare nuove esperienze, di vivere ogni emozione. Con Oliver era così, un libro aperto.
 
Poi, dopo l’incidente, era cambiato.
Si era chiuso a riccio dentro la tana che albergava nel suo cuore: era piccola, fredda e semi-buia, ma era anche sicura. Lì nessuno sarebbe potuto entrare, perché la porta si apriva solo dall’interno e non si poteva sfondare. E tanti avevano provato a bussare, sperando che aprisse, ma lui era sempre rimasto lì, dentro quella tana a fissare il niente.
Poi, però, erano arrivati Nathan e Ashton. Due uragani nello stesso momento, ma non poteva saperlo.
Nessuna costruzione dell’uomo può resistere alla forza della natura, e così anche la sua tana cedette.
Con l’irriverenza di Nathan e la sfacciataggine di Ashton, piano piano era riuscito a guardare oltre le macerie, a muovere qualche passo verso la luce. Una luce che aveva rischiato di perdere, da cui aveva provato a scappare, ma che poi, inesorabilmente, l’aveva trovato.
Perché non ci si può nascondere dalla luce del Sole: in qualche momento della giornata ti troverà.
E Nathan l’aveva trovato. Si erano ritrovati, in realtà.
Ecco cosa ci faceva lì, accovacciato sulle cosce, con l’estremità della neve che gli solleticava le natiche con il suo gelo. Stava parlando con Oliver, gli stava raccontando la sua vita, ora riuscendo a sorreggere lo sguardo di quella foto silenziosa.
Gli parlava con un sorriso, ammirando i bei fiori che aveva posto sulla sua tomba. Perché adesso Oliver era diventato un amico, qualcuno verso cui tendere, e non da cui scappare.
Non era più un fantasma.
Era un ricordo.
Dolce, romantico e malinconico.

 

Sera a tutti! Bene, penso che sarete tutti felici, ora *abbraccia Jack* Insomma, le cose sembrano andare per il verso giusto, ma durerà a lungo? O qualche nuovo guaio deciderà di fare capolino nella vita dei nostri personaggi? XD
Vabbuò, prima di salutarvi ne approfitto per pubblicizzare un Missing Moment che ho scritto l'altra sera, in occasione delle feste! Si intitola "Ho bisogno di te, ma tu non ci sei", e racconta cosa è accaduto a Nathan il fatidico giorno della Vigilia, svelandoci cosa lo ha portato a correre a perdifiato verso casa di Alan. Spero vi piaccia! Ecco il link:  Ho bisogno di te, ma tu non ci sei.
Se tutto va bene, presto ne arriverà un altro che ci racconterà cosa è successo dopo Scosse di terremoto ^^ Ma non prometto niente!
Alla prossima e un grosso grazie a chi mi ha seguito fino qui *____*
   
 
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