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Autore: Shomer    10/12/2013    3 recensioni
Fine anni '80: in un paesino sulla costa della nostra penisola, un gruppo di amici si ritrova a dover percorrere il difficile cammino che porta alla maturità.
C'è chi è innamorato di qualcuno con cui è incapace di stare insieme, chi non ha idea di cosa fare della sua vita, chi da sempre ottimi consigli ma è il primo a non seguirli, chi non è corrisposto, chi ha un peso che finirà per schiacciarlo, chi cambia giro, chi non vuole cambiare mai. Ci sono le serate in macchina, i litigi per la musica da ascoltare, gli amori, le insicurezze, i ricordi, le decisioni che non si vorrebbero prendere e i segreti che in un modo o nell'altro vengono a galla.
C'è qualcosa che se ne va e non torna più. E il momento in cui ci si rende conto che ad alcuni errori non si può rimediare.
Questa storia si è classificata prima al contest "Quadri e Picche: il contest delle sorprese!" indetto da phoenix_esmeralda, Slappy e Gaea.
Prima classificata al contest "Il meglio di me" di Lilith in Capricorn.
[REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo sette
Ho paura a dirti che per te mi svegliai. - Lucio Battisti

 

Estate 1989


Quella sera al Sottomarino si respirava un'aria strana. Prima di allora non ci avevo mai fatto caso, ma in quel preciso momento mi accorsi dei numerosi occhi puntati su Freddie, che era seduto di fronte a me.
«E' abbastanza inquietante» commentai, guardandomi intorno infastidita.
«E' sempre così» disse lui, giocherellando con il cibo che aveva sul piatto. «Ormai non me ne accorgo quasi più. Ma ci vuole un po' ad abituarsi all'idea che la gente ti considera un drogato.»
«Eppure tutti sanno quello che è successo in realtà...» sospirai. «E' un paese piccolo.»
Freddie mi sorrise teneramente. «Appunto per questo, Lenticchia» disse. «Nei piccoli paesi la gente fa così. Ormai dovresti saperlo.»
Un brivido mi percorse tutto il corpo. Effettivamente lo sapevo, ed era una cosa che mi aveva sempre spaventato. Che cosa avrebbero detto le persone, un anno prima, se avessero scoperto di ciò che c'era tra me e Janis? Qualcosa che alle mie orecchie suonava come “sono stati praticamente compagni di culla, questo è poco meno di un incesto”. Che poi, sarebbe stata  la voce costante che avrebbe invaso le mie orecchie non appena mi fossi decisa a parlare con lui, sarebbe stato quello che mi avrebbe gridato mia madre non appena glielo avessi confessato e sarebbe stato il motivo per cui, probabilmente, Janis avrebbe litigato con sua sorella. Ma non era più una frase che mi tormentava giorno e notte come aveva fatto per anni, insistentemente, impedendomi di fare qualsiasi cosa. In un modo o nell'altro ero riuscita ad andare avanti. E questo era successo per molti motivi: da una parte c'era il discorso di Rob che mi aveva toccata profondamente, dall'altro c'era l'anno che  avevo passato nella più completa solitudine e che mi aveva fatto capire, una volta tornata, che mai avrei potuto fare a meno di Janis. Ultimo, ma più importante di tutto, c'era la straziante paura che mi travolgeva ogni qualvolta in me si affacciava il pensiero di perderlo per sempre. Quindi sì, probabilmente ci avrei fatto l'abitudine anche io. Ne valeva la pena.
«Come mai Janis non è ancora arrivato?» domandai. «Aveva detto che ci avrebbe messo poco.»
«Lo sai com'è Gaia...»
«Gaia?» domandai in fretta. «Cosa c'entra Gaia?»
Freddie alzò velocemente lo sguardo su di me, guardandomi in modo strano. «L'ha chiamato dicendogli che era una cosa urgente.»
«Questo Janis non me l'ha detto. Mi ha detto di aver avuto un contrattempo e che saresti venuto a prendermi tu.»
«Non ti preoccupare.»
Aggrottai la fronte, cominciando a stuzzicarmi le unghie. Perché Janis non mi aveva detto che doveva passare da Gaia? Non ci sarebbe stato nulla di male. Il giorno in cui ero tornata, dopotutto, mi aveva detto chiaramente che non era venuto alla stazione perché era da lei. Mi ricordai improvvisamente che quel giorno mi ero anche ripromessa di non chiedergli mai se stessero insieme o se fossero stati insieme durante l'inverno, non volevo saperlo. Ero sicura che ci fosse stato qualcosa tra loro, perché non poteva essere altrimenti: erano rimasti in buoni rapporti nonostante tutto, Freddie un giorno aveva detto che  Janis era l'unico a vederla e al cimitero, appena l'aveva vista, aveva sciolto la stretta delle nostre mani, anche se io stupidamente gliel'avevo ripresa due minuti dopo. Sapevo che qualcosa durante l'inverno era successo per forza, ma sentire la conferma di qualcuno mi avrebbe solo fatta stare male.
Quando ero tornata in città per i primi giorni avevo addirittura pensato che stessero ancora insieme, ma quella supposizione era andata piano piano scemando perché, anche se io non avessi chiesto niente a nessuno, la voce in qualche modo mi sarebbe arrivata. 
E poi Gaia non avrebbe permesso che io e Janis ci vedessimo e lui non era il tipo da fare le cose di nascosto. Ormai avevo appurato quanto fosse stato pesante per lui, l'estate precedente, intraprendere quella relazione segreta con me.
La voce di Freddie mi riscosse dai miei pensieri.
«Non stanno insieme, se è quello che stai pensando» disse.
Nonostante lo sapessi, un'ondata di sollievo mi pervase. «Gaia è ancora molto arrabbiata con me» dissi.
«La conosci. Lei è una che porta rancore... nel bisogno estremo c'è sempre, anche per il suo peggior nemico, ma quando le cose tornano normali si dilegua. Per un po' di tempo è stata arrabbiata anche con Janis.»
«E perché?» chiesi, un po' sorpresa. Dopotutto, solo io sapevo che quando Janis l'aveva baciata era stata solo una vendetta nei miei confronti. In generale, lui non aveva fatto niente per farla arrabbiare.
«Ha detto che si è sentita presa in giro.»
Scrollai le spalle. Gaia e le sue stupide manie di persecuzione, anche se quella volta erano fondate. Allontanai il piatto da me, dato che quella sera avevo lo stomaco chiuso, e mi accesi una sigaretta. Lanciai un'occhiata fuori dalla finestra per controllare se stesse arrivando Janis, ma non lo vidi.
«Tempo fa Janis si è ubriacato come non aveva mai fatto e mi ha raccontato tutto quello che è successo l'anno scorso» buttò lì Freddie. Era tipico di lui custodire questi segreti per lungo tempo e confessarli solo quando era sicuro che non avrebbero fatto del male a nessuno.
Io provai un profondo senso di vergogna e non dissi nulla.
«Hai parlato con lui?» chiese allora.
«Ancora no» risposi. «Ma conto di farlo al più presto.»
«E cosa gli vuoi dire?»
«Che ho cambiato idea.»

 

Estate 1988


I giorni successivi al litigio nel vicoletto di fronte al Sottomarino, non vidi Janis. Non mi aspettavo che sarebbe venuto da me a chiarire quella situazione, anzi, quindi non mi stupì il fatto che non mi avesse cercata. La cosa che mi stupì di più fu la totale assenza di Febri. Come in quei giorni che mi ero chiusa in casa, troppo angosciata e triste per uscire, lui semplicemente sparì.
«Hai visto Febri in questi giorni?» chiesi, spezzando in tante piccole parti il fusto di un fiore che avevo staccato dal terreno.
Erano le nove e mezza di una soleggiata mattina di fine agosto e c'era un caldo asfissiante. Sul retro dell'officina in cui lavoravano Freddie e Janis c'era un po' d'ombra data dalla struttura, e io ero andata lì per cercare di far trascorrere più velocemente quelle ore che altrimenti sarebbero state vuote. Da quando io e mio cugino avevamo avuto quella discussione, passavo le giornate aspettando che finissero e questo lo facevo soprattutto perché, anche se non me ne rendevo totalmente conto, non potevo più contare neanche sulla compagnia di Febri, che era diventato una specie di fantasma in quell'ultimo mese.
Freddie si era fatto scivolare con una specie di carrello sotto un'auto dall'aria decisamente malconcia e in quel momento stava armeggiando con degli attrezzi, sudato e sporco d'olio.
«No» disse, con un tono alto e affaticato. «Non lo vedo da quattro giorni. Ho provato a chiamarlo tre giorni fa, ma sua madre mi ha detto che erano appena andati due ragazzi a prenderlo. Pensava fossimo io e Janis.»
«E chi diavolo erano?» chiesi, dubbiosa. «Non mi risulta che di solito esca con persone che non siamo noi.»
«Infatti mi è sembrato un po' strano. Appena lo vedo glielo chiedo.»
«Forse erano amici di quella ragazza?» azzardai.
Freddie si fece scivolare col carrello da sotto l'auto, appoggiando gli strumenti per terra e togliendosi gli occhialini.
Rimase lì seduto e si tolse i guanti lentamente, dopodiché strofinò le mani sui suoi jeans già abbastanza sudici.
«Lenticchia, non credo che Febri stia vedendo una ragazza» rivelò, serio.
Io alzai un sopracciglio, dubbiosa. «E perché mai allora avrebbe dovuto raccontarci una storia del genere? Non ha senso. Non è da Febri.»
«Negli ultimi giorni ci ho pensato molto. Verso maggio spariva di continuo e quando abbiamo cominciato a fare domande ha tirato fuori questa storia della ragazza. Ti sembra normale che siano passati tutti questi mesi e noi, i suoi migliori amici, di questa tizia non conosciamo neanche il nome?»
«No, non è normale» ammisi, cominciando ad agitarmi un po'. «Ma che senso ha?»
«Credo che ci stia nascondendo qualcosa» disse. «Ma non fare quella faccia! Sto già cercando di scoprire di cosa si tratta, e poi sicuramente è solo un periodo nero per lui... appena lo vedo gli faccio un bel discorsetto.»
«Una di quelle paternali che ti piacciono tanto?» chiesi, cercando di smorzare la tensione che sentivo crescere.
«Esatto!» esclamò, sorridendo. 
In quel momento si era pentito di avermi confessato i suoi sospetti e stava cercando di deviare la mia attenzione, solo che all'epoca non potevo saperlo. Non potevo sapere che da un paio di giorni era riuscito a fare due più due come io e Janis non avevamo fatto per quattro mesi. Presa com'ero dai miei problemi e da quella situazione con mio cugino che ormai andava avanti dall'inizio di luglio, non avevo prestato sufficiente attenzione al mio amico che si era calato in quel baratro infernale. Freddie, invece, da quando aveva scoperto che Febri vedeva altre persone, aveva cominciato ad associare tutti i suoi strani comportamenti con quelli di cui tanto spesso avevamo sentito parlare quando andavamo in città. In un piccolo paese di seimila persone, quelle cose non succedevano. Non c'erano spacciatori nei vicoli e nemmeno ragazzi che chiedevano spiccioli per strada con le scuse più assurde. Non eravamo preparati perché, da quelle cose, ci eravamo sempre tenuti lontani.
«Tu come stai, Lenticchia?» mi chiese, alzandosi e appoggiandosi al muro vicino a me.
«Ti riferisci a Janis?» domandai, sapendo perfettamente che il momento delle spiegazioni sarebbe arrivato, prima o poi.
«Beh, sì» ammise.
«Non l'ho più visto né sentito» confessai. «E nemmeno Gaia.»
«Gaia è molto arrabbiata.»
«Lo sospettavo.»
«C'è qualcosa che posso fare per farti tornare il sorriso?»
Freddie non si schierava quasi mai. Solitamente parlava con entrambe le parti per farle riappacificare, quindi da lì a poco mi aspettavo uno dei suoi discorsi molto pacati e gentili su come secondo lui avrei dovuto cercare di parlare con Gaia. Lo guardai di traverso, accorgendomi che mi stava osservando con l'espressione di un padre che deve consolare il figlio perché ha perso una partita di pallone. Istintivamente sorrisi, facendolo scoppiare a ridere.
«Ecco, intendevo proprio questo» disse.
Improvvisamente la porta sul retro dell'officina si aprì e cominciammo a sentire delle voci, due maschili e una femminile. Freddie, mormorando un'imprecazione, si rimise velocemente un guanto per non farsi trovare con le mani in mano dal suo titolare. Quando però sentì quello che stavano dicendo, gli attrezzi che aveva appena preso gli caddero per terra.
«Un incidente d'auto...»
«Sì, il figlio del Signor Galea, il giardiniere, gli altri non erano di qui...»
«Tutti e tre i ragazzi avevano assunto massicce dosi di stupefacenti.»
«Fabrizio Galea era un così bravo ragazzo... ma si sa cosa succede con le cattive compagnie.»
Proprio in quel momento, vedemmo Janis, che aveva il giorno libero, girare l'angolo di corsa e venire verso di noi.
«Siete qui» disse solamente, fermandosi.
Gli uomini stavano continuando a parlare, ma io ormai non li ascoltavo più. Stavo osservando attentamente il viso di Janis e contemporaneamente pensavo a qualcosa che potesse giustificare il fatto che quelle persone stavano dicendo il falso.
Quando mi accorsi però che mio cugino si avvicinava a noi con l'espressione peggiore che gli avessi mai visto, capii che era vero, anche se lui non aveva ancora detto niente.
Freddie si alzò e si avvicinò lentamente a lui, con la fronte corrugata e i pugni stretti. Janis aprì la bocca un paio di volte, ma poi la richiuse immediatamente, non riuscendo a dirci quello per cui era venuto. Distolse lo sguardo e prese fiato, ma quando fece di nuovo per parlare, Freddie tirò un pugno talmente forte al muro di cemento che si ritrovò per terra con tutta la mano insanguinata. Janis allora si rese conto che in qualche modo l'avevamo capito.
Febri era morto.

 

Estate 1989

Guardavo insistentemente la foto appoggiata sul mio comodino, mentre Lenticchia Due respirava lentamente con la testa appoggiata sulla mia pancia. Quella foto ci ritraeva allegri e sorridenti al compleanno di Febri di due anni prima. In quel momento mi stupii pensando che fosse passato così poco tempo eppure nella mia mente sembravano trascorsi mille anni. Ormai avevo imparato ad accettare che niente sarebbe tornato più come prima, che i rapporti che erano nati e poi si erano distrutti sarebbero stati persi per sempre insieme agli occhi di Febri, alle sue battute sarcastiche e al suo sorriso storto. Ma c'era ancora qualcosa che potevo recuperare.
Se avevo passato tutta la vita lasciando che gli avvenimenti mi scivolassero addosso come olio, affrontando i problemi apaticamente e senza provare neanche una volta a reagire, quello era il momento giusto per svegliarmi. Nonostante avessi un carattere fondamentalmente passivo, in quegli ultimi tempi qualcosa dentro di me si era svegliato; era una piccola fiammella, una luce in fondo al tunnel, era la speranza che forse qualcosa poteva essere salvato. E quel qualcosa era Janis.
Ci misi un'infinità di tempo a svegliare Lenticchia Due, alzarmi dal letto e scendere le scale. Erano le sette del pomeriggio, quindi i miei genitori erano impegnati al ristorante e non mi avrebbero chiesto come mai avevo deciso di andare a casa dei miei zii proprio a quell'ora. Mi affacciai alla finestra e mi accorsi che l'apriscatole di mio cugino c'era, mentre l'Alfa 90 di mio zio non era nei paraggi. Feci un profondo sospiro e uscii di casa procedendo lentamente verso quella di Janis.
Durante il brevissimo tragitto mi guardavo intorno controllando che non ci fosse nessuno. Mi sentivo ancora colpevole nonostante ore di riflessioni incessanti mi avessero convinto che tutte le mie paure erano in parte stupide e infondate, mentre per quanto riguarda quelle giustificabili, avevo deciso che le avrei accantonate.
“Se l'avessi fatto un anno fa adesso sarebbe tutto diverso”, mi ritrovai a pensare, maledicendomi un po'. Ancora non sapevo quanto avessi ragione.
Janis mi aprì la porta un po' perplesso.
«Ciao» dissi, guardandomi la punta delle scarpe di tela.
«Ciao» mi disse lui, abbassando la testa abbastanza perché io potessi guardarlo in faccia. Era confuso ma allo stesso tempo un po' divertito. «Che ci fai qui, Lenticchia?» chiese, con un sorriso.
«Ti disturbo?» chiesi, alzando la testa. «Cosa stavi facendo? Sei da solo?»
«Una domanda alla volta» rise lui, spostandosi dall'ingresso per lasciarmi passare. Entrai e lo seguii in cucina.
«Sono solo» riprese lui, sedendosi su una sedia. «Stavo per prepararmi la cena e non mi disturbi. Vuoi mangiare?»
Scossi la testa, rendendomi conto di avere lo stomaco chiuso. Mi guardai intorno e notai che sul ripiano della cucina c'era ancora la boccia con uno dei pesci rossi che avevamo comprato anni prima alla festa del paese. Mi avvicinai ad osservarlo attraverso il vetro.
«Dove sono gli altri pesci?» chiesi, ricordando che si chiamavano Doc, Lif e Tritti.
«Morti» disse mio cugino. «Mi piace pensare che sia rimasto Tritti. Era il mio preferito, anche se non lo distinguevo dagli altri.»
Annuii, voltandomi verso di lui. Era in attesa che io dicessi qualcosa o che quantomeno gli spiegassi il motivo per cui ero andata a casa sua. Quel silenzio cominciava a diventare un po' imbarazzante, specialmente perché erano finiti i tempi in cui ci cercavamo l'un l'altra senza motivo, e l'insistenza con cui mi stava fissando non contribuva ad abbassare il mio livello di agitazione. Cominciai a torturarmi le mani, cosa che facevo sempre quando ero profondamente nervosa, e lui si alzò dalla sedia sospirando e si avvicinò a me.
«Che cosa c'è, Lenticchia?»
“Ora o mai più”, mi dissi. Presi fiato e parlai. «Ho cambiato idea.»
«Riguardo cosa?» chiese, perplesso.
«Riguardo...» tentai di dire, rendendomi conto che la pelle del mio viso stava sicuramente prendendo una pericolosa sfumatura rossa. «Riguardo la cosa dell'anno scorso.»
«La cosa dell'anno scorso» ripeté lui, annuendo scettico. «Vieni qui a dirmi che hai cambiato idea, ma contemporaneamente chiami il nostro rapporto “la cosa dell'anno scorso”.»
Aveva ragione. Ero stata decisamente orribile. Però non potevo farci nulla: è una cosa comune nelle persone che come me sono bloccate, timide, timorose e deboli. A volte certe cose proprio non riusciamo a dirle. Ci richiede più sforzo questo che sollevare cento chili di pesi.
Ma io dovevo riuscirci, perché dopotutto ero lì per questo. Liberarmi e finalmente cominciare a vivere.
«Forse è meglio che torni sui tuoi passi» mormorò Janis, appoggiandosi con le mani al ripiano della cucina.
«Perché?» chiesi, in un sussurro.
«Lascia le cose come stanno» rispose. «Non dire niente. Se parlassi adesso caricheresti entrambi di un peso che non riusciremmo a sopportare.»
«Non sembri tu mentre dici queste cose.»
Janis sollevò poco la testa e mi guardò negli occhi. Riuscivo a capire dal suo sguardo che dentro di sé viveva una profonda tristezza e desiderai con tutte le mie forze di poterlo liberare.
«Non stiamo più seduti e in silenzio» mormorai, ripetendo ciò che lui mi aveva detto un anno prima. «Io ho capito quello che voglio.»
«Io ho sempre saputo quello che volevamo entrambi. Ma non sono mai riuscito a fartelo capire. Adesso non posso più ascoltarti parlare.»
Janis si mise in posizione eretta e tolse le mani dal ripiano della cucina, guardandomi.
Sgranai un po' gli occhi, non capendo cosa volesse dirmi con quelle parole. Decisi di non arrendermi e di continuare quello per cui ero andata da lui.
«Smettila. Non è da te fare così» mormorai. «Tu non ti arrendi mai ed è anche per questo che sono così legata a te. L’importante è questo: accettarti totalmente ed incondizionatamente. E io lo faccio già, però non devo più pensare che così facendo e che stando vicino a te finirai per assorbirmi.»
«Mara, sei tu che non sei così. Se ti dico di lasciar perdere devi lasciar perdere. Mi hai sempre dato retta, perché ora non lo fai? Non riesco a capirti.»
«Neanche io riesco a capirti a volte. Non posso più sopportare di saperti lontano, Janis. Il solo pensiero mi distrugge... Prima ci riuscivo, ma era comunque straziante... prima avevo paura.»
«Adesso hai paura?»
«Non ho più paura.»
«Ma adesso è troppo tardi.»
Mio cugino mi lanciò uno sguardo pieno d’ira e d’odio, come se mi stesse incolpando per tutti i mali del mondo. Si passò una mano sulla fronte, sfinito, e poi incatenò i miei occhi ai suoi, facendomi perdere in quelle piccole sfumature verdognole, ma facendomi soprattutto desiderare di scomparire all’istante. Sospirò e distolse lo sguardo, come se stesse decidendo se fosse il caso di dirmi qualcos’altro o no. Quando sentii quello che aveva da dirmi, dopo attimi che parvero secoli, passai i successivi trenta secondi a guardarlo senza ricordarmi di dover respirare.
«Gaia è incinta.»





Bene, gente, dopo tutti questi bei colpi al cuore (non avete idea di quanto sia stato difficile scriverli...) vi informo che siamo in dirittura d'arrivo. L'ottavo capitolo, cioè l'ultimo, verrà pubblicato il 20 dicembre. Non posso pubblicarlo prima perché ho un esame il 18 e vorrei avere la mente abbastanza lucida per fare tutte le considerazioni del caso :) 
Ringrazio tutte le persone che leggono, che mettono la storia tra le preferite e tra le seguite! Siete degli angioletti!
Un ringraziamento speciale va ad Holls e ad ale93, che ad ogni capitolo mi fanno sapere sempre cosa ne pensano. Grazie, grazie, grazie.
Un abbraccio grandissimo a tutti!
 
   
 
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