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Autore: 13Sonne    11/05/2008    1 recensioni
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"Tecnicamente parlando, in questo mondo gli esseri umani sono solo parassiti."
"Tu sei di parte."
"Io sono realista. Noi facciamo ciò che la Natura ci ha detto di fare, ovvero distruggere il mondo. Per quanto, nella Storia, vi sono state volte in cui abbiamo pensato con la nostra testa, fondalmentalmente la gente è stupida e tende a fare ciò per cui è stata creata."
Genere: Generale, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Shamelos

Ringrazio Chibi, come al solito, per aver letto questo capitolo.
Ringrazio i Rammstein, Nirvana, Gorillaz e i The Cure per aver creato delle così belle canzoni.
La mia creatività vi è debitrice.
E... ringrazio chi ha letto questa storia, anche se
non la considera degna di una recensione.
ç_ç

(_/-*+è_é+*-_)

Nel corso degli anni le città erano cambiate. Si tentava di risparmiare quanto più spazio possibile per mantenere intatto la maggior parte dell’ecosistema: gli edifici erano quindi sviluppati in altezza, tanto che il cielo era spesso ridotto ad essere soltanto un piccolo quadrato azzurro sopra le teste delle persone.
Le piante che erano state salvate in quel modo sarebbero però sicuramente morte perché perennemente all’ombra- o almeno, avrebbero rischiato, se le strade non fossero state realizzate in una strana materia scoperta dalla Sehen inc. qualcosa come duecento anni prima.
La materia sembrava liquida, ma in realtà diveniva compatta dopo due ore di contatto con l’aria: facile da lavorare e notevolmente leggera, era rialzata rispetto il livello del terreno grazie a dei sostegni ai lati. Caratteristica più importante era che assorbiva luce solare e la liberava a poco a poco: così facendo dava alle piante il nutrimento necessario e allo stesso tempo emetteva una luce costante, il cui colore poteva variare dall’azzurrino all’arancio vivo.
Perché ciò fosse possibile la sostanza, nelle prime fasi di lavorazione, veniva costantemente tenuta sotto il sole: la carica non era però eterna, così quando la luce cominciava ad affievolirsi – solitamente dopo un anno – la materia doveva essere presa e riportata in un luogo assolato.

 ---*---

Per quanto non avesse particolari preferenze in fatto di colori, ad Isaac piaceva la luce azzurrina che emanava la strada.
L’azzurro era un colore non troppo forte, che non gli dava fitte alla testa, ed in un qualche modo gli ispirava calma: senza contare che, con gli effetti che creava la luce sui muri degli edifici, dava l’illusione di essere sott’acqua.
Forse fu per quello che si bloccò per qualche secondo quando si rese conto di avere i capelli bagnati: per pochi attimi prese seriamente in considerazione la possibilità di trovarsi sott’acqua, ma ben presto la sua mente logica riprese il controllo e realizzò che stava semplicemente piovendo.
Lo scienziato si strinse nel cappotto, cercando di ricordare perché non aveva portato l’ombrello quando sapeva che in quella stagione la sera non faceva altro che piovere, soltanto per ricordarsi che il motivo erano stati i suoi due colleghi: il pomeriggio gli avevano promesso che l'intervista sarebbe stata questione di cinque minuti, cosa che ovviamente non era stata. Isaac borbottò fra se e se, ficcando le mani in tasca nel vano tentativo di scaldarle: quando Nora ed Andrè l’avevano detto lui se l’era sentito che non avrebbe dovuto fidarsi di loro, ma si era lasciato ingannare dal fatto che nel pomeriggio c’era la telenovela preferita dei due e che per nulla al mondo se la sarebbero persa- almeno, così pensava.
Cominciò a camminare, tentando di ignorare che il suo cappotto era ormai diventato una spugna pregna d’acqua. Non aveva nemmeno la macchina perché a portarlo era stato Andrè. 
L'idea di aspettare i due colleghi per farsi accompagnare a casa stuzzicò Isaac per qualcosa come una frazione di secondo, alla fine del quale optò per camminare quanto più velocemente possibile verso casa. Lui sapeva che i due sarebbero stati lieti di accompagnarlo a casa, ma era riuscito a nascondere ai colleghi il proprio indirizzo e avrebbe preferito continuare in quel modo- senza contare che prima di poter rivedere l’ascensore del grattacielo in cui abitava l’avrebbero sicuramente costretto a fare un giro per qualsiasi locale ancora aperto.

“Non avete inventato qualcosa per coprirvi dalla pioggia, voi del Coma?”

Per pochi attimi la sua mente registrò quella voce – maschile, decisamente ironica e a lui sconosciuta – come qualcosa di normale, nulla di più dello scrosciare della pioggia in quella spossante serata: fu solo dopo che si rese conto di avere vicino qualcuno che non conosceva.
Isaac si fermò, sgranando gli occhi prima di girare la testa verso lo sconosciuto. Colto alla sprovvista, tentava di mostrare meno panico di quanto ne provasse in realtà: se stava però mantenendo un buon controllo sul suo fisico, lo stesso non si poteva dire sulla sua mente. Non riusciva a trovare una logica risposta circa il perché una persona che non conosceva gli stesse parlando, ma in compenso stava analizzando qualsiasi suo particolare.
I vestiti, troppo di classe per essere indossati in una sera di pioggia, la cicatrice che tagliava la guancia, ovvio segno di una lotta finita male, i guanti di pelle nera e quel fazzoletto viola (un orrendo pugno in un occhio), tutto portava ad una sola logica conclusione.
Isaac emise un gemito, portandosi le mani alla fronte.

“Voi- avete di nuovo setacciato casa mia?!”

Isaac non riuscì a controllare il proprio tono di voce nel dire quella frase, che era quindi uscita stridula: se in un altro momento però lo scienziato si sarebbe disgustato di se stesso, in quel preciso istante non poteva fare altro che provare un brivido lungo la schiena nel rendersi conto che l’uomo aveva ristretto il sorriso d’alcuni denti.

“Lavori troppo, scienziato. Sei diventato paranoico.”

Il panico faceva agire Isaac in un modo strano: ad esempio non registrava minimamente il tono seccato nella voce dell’uomo perchè faceva troppa fatica nel tentare di nascondere qualsiasi prova fosse effettivamente in ansia- cosa che lo portava a scoppiare su cose da niente.
Fu forse per quello che non decise di fare la cosa più logica, in altre parole lasciar correre, ma preferì invece rispondere.

“Io vi ho visti! Eravate nel mio salotto!”

L’uomo sgranò gli occhi, colto alla sprovvista, e Isaac recuperò abbastanza autocontrollo da trattenersi dall’aggiungere che il disordine che avevano lasciato non li aveva aiutati a passare in incognito- un particolare inutile che sapeva sarebbe stato solo dannoso nominare.
Esaurito quindi qualsiasi altro argomento di conversazione Isaac semplicemente s’irrigidì, tornando ad analizzare qualsiasi movimento dell’uomo nel tentativo di capire se e quando era meglio scappare: l’aprire e il chiudere la bocca a mo di pesce era, ad esempio, segno che stava pensando a qualcosa da dire, ma la mano stringeva troppo forte l’asta dell’ombrello- il che non faceva sentire particolarmente a suo agio Isaac.
Alla fine, però, l’uomo si limitò ad uno sbuffo e ad una scrollata di spalle, come a dire che era solo una seccatura di poco conto.

“D’accordo. Non fa niente.” L’uomo borbottò qualcosa sottovoce, scuro in volto, poi riprese a parlare. “Voi scienziati avete fatto un errore nell’ultimo carico.”

Isaac ripercorse mentalmente il lavoro degli ultimi mesi, cercando qualcosa che fosse effettivamente fuori posto nelle cavie che avevano ricevuto: per quanto ricordava – e non era granché, contando che non gli importava di conoscere la vita personale di chi aveva attorno – erano per la maggior parte soggetti provenienti dalla prigione, solitamente degli assassini. La mafia non aveva portato nessuno.
E a parte il rientrare a casa una sera e trovarsi cinque uomini con passamontagna che setacciavano il salotto, non era successo molto altro.

“Voi credete che i miei datori di lavoro abbiano commesso un errore…” Isaac stava ancora cercando di ricordare se era successo qualcosa di strano quando, con tono scettico, aveva cominciato a parlare. “…E cercate a casa mia?”

L’uomo serrò la mascella, riducendo gli occhi a due fessure, in un’espressione che fece capire ad Isaac che era meglio lasciar perdere: tuttavia più ci pensava e meno capiva quale fosse il fantomatico errore.
Qualcuno avrebbe dovuto parlare di una misteriosa scomparsa, se davvero qualcosa non fosse andata come doveva. Isaac ripassò mentalmente qualsiasi discussione aveva sentito negli ultimi tempi, cercando di ricordare se gli era sfuggita una ‘scomparsa’ in cui poteva centrare la Coma, senza però nessun risultato.

“No, nessun errore. Voi non ci avete inviato nulla ed il resto è andato secondo le regole.”

Per quanto fosse ovvio che la risposta non facesse per niente piacere all’uomo – si poteva notare da quanta forza ci stesse mettendo nello stringere l’ombrello – parlare del proprio lavoro rendeva Isaac più calmo. Non era più spaventato, o, se lo era, almeno lo nascondeva molto meglio di prima.
Ben presto si tranquillizzò abbastanza da tornare a ragionare normalmente: subito cercò nuovamente nella propria memoria se nell’agitazione non avesse magari saltato qualcosa, dimenticato un discorso che potesse provare che alla Coma avevano fatto un errore, ma di nuovo non gli venne in mente niente.

Ascoltami bene.” L’uomo era riuscito, in un qualche modo, a suonare minaccioso con solo due parole, assicurandosi la totale attenzione dello scienziato. “La mia non era una domanda. Voi macellai avete preso qualcuno che non dovevate prendere e ora dovete ridarcelo.”

Isaac non poté evitare di fare una smorfia quando si sentì paragonato ad un macellaio.

“Forse è semplicemente scomparso. Forse siete voi gangster amanti di quelle... spade lo scienziato si fermò per un secondo, sottolineando, senza volere, il disgusto che aveva messo nell’ultima parola. “ad aver sbagliato.”

Pochi secondi dopo aver detto ciò Isaac si ritrovò contro un muro con una spada premuta sulla gola senza avere la minima idea di cosa fosse successo in quel brevissimo lasso di tempo.

“Si chiamano katane.”

Troppo confuso per tentare di scappare, con la schiena che urlava di dolore per il violento impatto contro il muro e una lama pericolosamente vicina al suo pomo d’Adamo, Isaac non riusciva a fare nient’altro che fissare l’uomo che, continuando a reggere l’ombrello, teneva in mano la spada: la rabbia lo aveva fatto diventare rigido come una statua, ad eccezione del braccio che, per via della forza con cui stava stringendo l’elsa, aveva cominciato a tremare impercettibilmente.
Era ovvio che fosse infuriato, ma Isaac si stupì di se stesso quando comprese che la cosa non lo impauriva: quando poi capì che non era turbato perché stava pensando all’informazione – il nome di quella ridicola spada- che l’uomo gli aveva appena dato cominciò persino ad essere impaurito da se stesso.
Alla fine, però, scrollò semplicemente le spalle. 

“Capita.”

L’uomo aggrottò la fronte, sorpreso dalla reazione di Isaac, e sembrò ammorbidirsi leggermente: rinfoderò la katana e prima che lo scienziato potesse tirare un respiro di sollievo lo afferrò per un braccio. Isaac fece appena in tempo ad emettere un gemito per il dolore che subito l’altro cominciò a camminare, trascinandolo con se.

“Forse sono stato un po’ troppo duro con te.” Isaac fece per rispondere, ma l’uomo lo fermò con uno strattone prima di continuare. “Continuiamo la discussione al caldo, d’accordo? Perfetto.”

Isaac aprì e richiuse la bocca, cercando qualcosa da dire: alla fine decise di rimanere in silenzio.
Socchiuse gli occhi, portando la mano libera – ormai gelida per colpa della pioggia – alla fronte e cominciando a massaggiarsi le tempie nel tentativo di placare il mal di testa che, se lo sentiva, tutta quella situazione gli stava provocando.
Mai come quel momento avrebbe preferito essere a casa sua.

  
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