Ringrazio Chibi, come al solito, per aver letto questo capitolo.
Ringrazio i Rammstein, Nirvana, Gorillaz e i The Cure per aver creato delle così belle canzoni.
La mia creatività vi è debitrice.
E... ringrazio chi ha letto questa storia, anche se
non la considera degna di una recensione. ç_ç
(_/-*+è_é+*-_)
Nel corso degli anni le città erano cambiate. Si tentava di
risparmiare quanto più spazio possibile per mantenere intatto la maggior parte
dell’ecosistema: gli edifici erano quindi sviluppati in altezza, tanto che il
cielo era spesso ridotto ad essere soltanto un piccolo quadrato azzurro sopra le teste delle persone.
Le piante che erano state salvate in quel modo sarebbero
però sicuramente morte perché perennemente all’ombra- o almeno, avrebbero rischiato, se
le strade non fossero state realizzate in una strana materia scoperta dalla
Sehen inc. qualcosa come duecento anni prima.
La materia sembrava liquida, ma in realtà diveniva compatta
dopo due ore di contatto con l’aria: facile da lavorare e notevolmente leggera,
era rialzata rispetto il livello del terreno grazie a dei sostegni ai lati.
Caratteristica più importante era che assorbiva luce solare e la liberava a
poco a poco: così facendo dava alle piante il nutrimento necessario e allo
stesso tempo emetteva una luce costante, il cui colore poteva variare
dall’azzurrino all’arancio vivo.
Perché ciò fosse possibile la sostanza, nelle prime fasi di
lavorazione, veniva costantemente tenuta sotto il sole: la carica non era però
eterna, così quando la luce cominciava ad affievolirsi – solitamente dopo un
anno – la materia doveva essere presa e riportata in un luogo assolato.
Per quanto non avesse particolari preferenze in fatto di
colori, ad Isaac piaceva la luce azzurrina che emanava la strada.
L’azzurro era un colore non troppo forte, che non gli dava
fitte alla testa, ed in un qualche modo gli ispirava calma: senza contare che,
con gli effetti che creava la luce sui muri degli edifici, dava l’illusione di
essere sott’acqua.
Forse fu per quello che si bloccò per qualche secondo quando
si rese conto di avere i capelli bagnati: per pochi attimi prese seriamente in
considerazione la possibilità di trovarsi sott’acqua, ma ben presto la sua mente logica
riprese il controllo e realizzò che stava semplicemente piovendo.
Lo scienziato si strinse nel cappotto, cercando di ricordare
perché non aveva portato l’ombrello quando sapeva che in quella stagione la
sera non faceva altro che piovere, soltanto per ricordarsi che il motivo erano
stati i suoi due colleghi: il pomeriggio gli avevano promesso che l'intervista sarebbe stata
questione di cinque minuti, cosa che ovviamente non era stata. Isaac borbottò
fra se e se, ficcando le mani in tasca nel vano tentativo di scaldarle: quando
Nora ed Andrè l’avevano detto lui se l’era sentito che non avrebbe dovuto
fidarsi di loro, ma si era lasciato ingannare dal fatto che nel pomeriggio
c’era la telenovela preferita dei due e che per nulla al mondo se la sarebbero
persa- almeno, così pensava.
Cominciò a camminare, tentando di ignorare che il suo
cappotto era ormai diventato una spugna pregna d’acqua. Non aveva nemmeno la
macchina perché a portarlo era stato Andrè.
L'idea di aspettare i due colleghi per farsi
accompagnare a casa stuzzicò Isaac per qualcosa come una
frazione di secondo, alla fine del quale optò per camminare
quanto più velocemente possibile verso casa. Lui sapeva che i
due sarebbero stati
lieti di accompagnarlo a casa, ma era riuscito a nascondere ai colleghi
il
proprio indirizzo e avrebbe preferito continuare in quel modo- senza
contare che
prima di poter rivedere l’ascensore del grattacielo in cui
abitava l’avrebbero
sicuramente costretto a fare un giro per qualsiasi locale ancora aperto.
“Non avete inventato
qualcosa per coprirvi dalla pioggia, voi del Coma?”
Isaac si fermò, sgranando gli occhi prima di girare la testa
verso lo sconosciuto. Colto alla sprovvista, tentava di mostrare meno panico di
quanto ne provasse in realtà: se stava però mantenendo un buon controllo sul
suo fisico, lo stesso non si poteva dire sulla sua mente. Non riusciva a
trovare una logica risposta circa il perché una persona che non conosceva gli
stesse parlando, ma in compenso stava analizzando qualsiasi suo particolare.
I vestiti, troppo di classe per essere indossati in una sera
di pioggia, la cicatrice che tagliava la guancia, ovvio segno di una lotta
finita male, i guanti di pelle nera e quel fazzoletto viola (un orrendo pugno
in un occhio), tutto portava ad una sola logica conclusione.
Isaac emise un gemito, portandosi le mani alla fronte.
Fu forse per quello che non decise di fare la cosa più
logica, in altre parole lasciar correre, ma preferì invece rispondere.
Esaurito quindi qualsiasi altro argomento di conversazione
Isaac semplicemente s’irrigidì, tornando ad analizzare qualsiasi movimento
dell’uomo nel tentativo di capire se e quando era meglio scappare: l’aprire e
il chiudere la bocca a mo di pesce era, ad esempio, segno che stava pensando a
qualcosa da dire, ma la mano stringeva troppo forte l’asta dell’ombrello- il che
non faceva sentire particolarmente a suo agio Isaac.
Alla fine, però, l’uomo si limitò ad uno sbuffo e ad una
scrollata di spalle, come a dire che era solo una seccatura di poco conto.
E a parte il rientrare a casa una sera e trovarsi cinque
uomini con passamontagna che setacciavano il salotto, non era successo molto
altro.
Qualcuno avrebbe dovuto parlare di una misteriosa scomparsa,
se davvero qualcosa non fosse andata come doveva. Isaac ripassò mentalmente
qualsiasi discussione aveva sentito negli ultimi tempi, cercando di ricordare
se gli era sfuggita una ‘scomparsa’ in cui poteva centrare
Ben presto si tranquillizzò abbastanza da tornare a
ragionare normalmente: subito cercò nuovamente nella propria memoria se nell’agitazione non avesse
magari saltato qualcosa, dimenticato un discorso che potesse provare che alla
Coma avevano fatto un errore, ma di nuovo non gli venne in mente niente.
Era ovvio che fosse infuriato, ma Isaac si stupì di se
stesso quando comprese che la cosa non lo impauriva: quando poi capì che non
era turbato perché stava pensando all’informazione – il nome di quella ridicola
spada- che l’uomo gli aveva appena dato cominciò persino ad essere impaurito da
se stesso.
Alla fine, però, scrollò semplicemente le spalle.
“Capita.”
Socchiuse gli occhi, portando la mano libera – ormai gelida per
colpa della pioggia – alla fronte e cominciando a massaggiarsi le tempie nel
tentativo di placare il mal di testa che, se lo sentiva, tutta quella situazione
gli stava provocando.
Mai come quel momento avrebbe preferito essere a casa sua.