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Autore: Leslie    11/12/2013    1 recensioni
Storia prima classificata al contest La ragazza e il soldato indetto da darllenwr sul forum di EFP.
« Al Nord, però, una persona su due era un Ribelle, e fin dall'inizio dell'addestramento, rosso significava morte. Rosso era quello che dovevi uccidere, perché rosso aveva ogni intenzione di uccidere te, e non c'erano eccezioni, secondo quanto dicevano loro. E lui non ne aveva viste di eccezioni, per tre lunghi anni.
Ed ora era seduto accanto ad una ragazza in rosso, e non solo non l'aveva uccisa, ma lei lo aveva trascinato verso la salvezza, ed entrambe le fazioni li avrebbero voluti morti, se li avessero scoperti rannicchiati l'uno accanto all'altra, senza cercare di ammazzarsi a vicenda.
»
Storia in tre capitoli. In un mondo in guerra, un soldato in nero e una ribelle in rosso scelgono di infrangere le regole per salvarsi e finiscono presto per realizzare di essere stanchi di combattere in una realtà dove perfino gli ideali più nobili possono essere corrotti dalla violenza.
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hola.

Sono tornata, questa volta con una storia in tre capitoli (esiste il termine three-shot?) che si svolge in una specie di mondo parallelo / post apocalittico, come preferite. Partecipa al contest "La ragazza e il soldato" indetto da darllenwr sul forum di EFP, perciò dita incrociate! In ogni caso apprezzerei moltissimo recensioni o feedback di ogni tipo. Non scrivo spesso in italiano, perdonate espressioni bizzarre o errori eventuali, ma fatemi sapere: sbagliando si impara. Che altro? I prossimo due capitoli arriveranno uno questa sera e uno domani, a prescindere dalla presenza o meno di recensioni (anche perché il contest scade il 12/12... oops.)

Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale. La canzone che ho citato all'inizio di ogni capitolo è Radioactive degli Imagine Dragons.

 


I

 

I'm waking up to ash and dust

I wipe my brow and I sweat my rust

I'm breathing in the chemicals

 

 

 

La neve sporca scricchiolava sotto le suole dure degli stivali, neri come il resto della divisa. Non c'era un dettaglio colorato nel paesaggio, niente che potesse in qualche modo indicare la presenza di vite estranee alle loro. Le vette dei palazzi di vetro scomparivano oltre le nubi spesse e basse, scure e cariche di fuliggine. Nessuna distinzione tra il sotto e il sopra, tanto che l'unica cosa che li assicurava di avanzare sulla terra era l'ovvia certezza che la gravità resiste anche alle bombe più violente, e camminare sulle nuvole è impossibile.

Finn era cosciente di poco se non del peso di Stevens sulle sue spalle, e del fatto che i respiri che arrivavano rantolanti alle sue orecchie si facevano sempre più discontinui. I muscoli delle gambe dolevano dallo sforzo di arrancare nella neve ghiacciata, e un velo sottile di sudore gli ricopriva la fronte nonostante la temperatura gelida. Memorie della battaglia del giorno precedente invadevano la sua mente e offuscavano la vista, riportando alla vita il sangue e le fiamme che avevano cancellato ogni traccia di bianco. Parte di lui lo costringeva a ripetere a se stesso quanto fosse fortunato ad essere ancora vivo, in un mantra disperato che forse avrebbe ritardato l'avvento dell'inevitabile follia.

Perché se c'era qualcosa che aveva imparato nei tre anni passati al servizio della Capitale, era che la guerra non distruggeva solo il tuo corpo, ma ti faceva impazzire come nemmeno le peggiori malattie riuscivano a fare.

A venticinque anni, Finn aveva già da tempo perso il conto dei Ribelli che aveva ammazzato, e non ricordava cosa significasse riposare senza essere tormentato dai peggiori incubi. Non rammentava come fosse svegliarsi e non sentire il sapore del sangue in bocca e l'odore acre di fumo e gas pungerti il naso.

Si fermò per prendere fiato, e osservando il proprio respiro che si condensava lasciando affannoso le sue labbra, si rese conto del silenzio del compagno che stava portando in spalla.

« Capitano! » chiamò, voce rotta dalla fatica mentre, con delicatezza, faceva scivolare Stevens sul terreno ghiacciato per controllare le sue condizioni.

Il viso del soldato era di un pallore spettrale, e una morsa dolorosa accorciò i respiri di Finn, con i denti liberò la mano destra dal guanto pesante e slacciò quel che bastava del cappotto per posare due dita sul collo dell'amico.

« È morto » sentenziò il Capitano freddamente, chinandosi a sua volta accanto al corpo inanimato.

« Come fa ad esserne sicuro? »

« Solleva il passamontagna e guardagli la bocca. È morto soffocato. »

Finn fece come gli era stato detto. Le labbra del compagno erano spezzate dal freddo e di un blu caliginoso, esanime.

« Come--? »

« Ne ho visti centinaia di morti così » disse il Capitano alzandosi in piedi, poi sputò a terra. « Dannati Ribelli, troppo codardi per prendere in mano un fucile. Preferiscono lanciarci addosso i loro veleni. »

Finn si alzò a sua volta, le armi e lo zaino di Stevens caricati in spalla.

« Come se gettarci addosso le loro fottute bombe chimiche sia una soluzione più nobile a quella di farci saltare le budella » sputò un'altra volta, per enfatizzare il suo disgusto, poi sollevò di nuovo il cappuccio sopra gli occhi, e riprese a camminare senza aggiungere altro. Finn si affrettò ad imitarlo, sforzandosi di non guardare indietro, di non pensare al corpo che avevano appena abbandonato in mezzo alla strada. Cercando di ignorare il tormento dell'idea che il suo compagno era appena morto sulle sue spalle, in una città dimenticata da Dio, senza nemmeno avere la possibilità di lasciare una parola per sua moglie, o fumarsi un'ultima fottutissima sigaretta. Singhiozzi premevano contro il suo palato, ma non poteva fare altro che inghiottirli dolorosamente, accontentandosi di una smorfia sofferente.

Durante l'addestramento avevano cercato di insegnargli ad essere indifferente, ma si erano dovuti accontentare che imparasse a nasconderli, quei dannati sentimenti.

 

La luce calava lentamente, ma il paesaggio restava lo stesso nonostante le ore passate ad avanzare, quasi stessero girando in tondo. La temperatura calava assieme alla luce, il freddo irrigidiva la pelle e lentamente addormentava piedi e mani. Nessuno dei due diceva nulla da quando avevano lasciato il corpo sulla strada, e a rompere il silenzio ovattato erano solamente i loro passi e respiri lenti. Fiocchi di neve cominciarono a scendere radi e minuscoli, indugiando sui loro cappucci e stivali, annebbiando ancora di più il paesaggio monotono, tanto che presto gli stessi profili dei palazzi si fecero pallidi e sfocati. Finn stringeva i denti perché non battessero, schiena curva e sguardo incollato sui suoi stessi stivali, e per non ricominciare a pensare agli amici e ai morti, si ritrovò a ricordare casa. Al Sud, dove era nato e cresciuto, dove della neve aveva solo sentito parlare nelle fiabe. Ripensò alla sabbia fra le dita, il profumo dell'oceano e tutti gli infiniti colori del tramonto. A sua madre, suo fratello. A Helena, e le sue trecce morbide. Sembrano tutti non più reali di un sogno fatto anni prima, e la realizzazione di ciò lo avrebbe spaventato un tempo. Adesso, in quella valle grigia e infinita, l'unica cosa che poteva davvero temere era la morte, e perfino quella stava acquistando un fascino proibito sempre più ad ogni passo nella neve ghiacciata.

 

Quando vide una macchia rossa nella neve a qualche metro di distanza, la prima cosa che pensò fu che si trattasse di un miraggio. Eppure anche il Capitano si era fermato a guardarla, occhi scuri e la fronte corrugata nascosta dal cappuccio.

« Dobbiamo cambiare direzione » sbottò, nervoso, « procedere non è più sicuro. »

Finn tornò a guardare l'oggetto, e un bisogno assurdo di identificarlo lo spinse un passo avanti. Non avrebbe mai saputo spiegare perché quella macchia anomala in un paesaggio altresì perfetto lo attirò tanto. Forse la vana speranza di cambiamento, un'illogica idea che la macchia rossa, che presto riuscì ad identificare come un lembo di tessuto, liso e bruciacchiato, li avrebbe portati su una strada diversa, in un mondo differente e lontano dalla tundra gelata in cui si trovavano.

« Hogan, torna qui! » abbaiò il Capitano.

Ma Finn non fece in tempo a fare nulla, un boato ruppe il silenzio, e per un lungo istante non riuscì a vedere nulla se non un bianco accecante, mentre l'aria si faceva improvvisamente bollente. Il sapore di fumo gli riempì la bocca e irritò la gola, poi il suo corpo colpì il terreno e il dolore si espanse dalla schiena al resto del corpo. Ironicamente, perse i sensi proprio mentre la vista cominciava a tornare, e l'ultima cosa di cui fu cosciente fu la figura sottile di una ragazza.

Poi, di nuovo silenzio.

 

Riprese coscienza e l'odore di fumo si era quasi del tutto dissolto, ma la ragazza era ancora lì, china su di lui, due dita che gli premevano sotto il mento. Finn agì d'istinto, come gli avevano insegnato durante l'addestramento. Afferrò la pistola ancora allacciata alla sua cintura e con un colpo di reni ribaltò la situazione, bloccandola sotto di lui e assicurandosi di premerle la pistola contro il collo. Lei si lasciò scappare poco più che un sussulto, poi lo guardò con occhi freddi ed inaspettatamente calmi.

« Che aspetti? Ammazzami. »

C'era un qualcosa di folle nella sua voce, una nota al quale non era più abituato. Non era il suo accento nordico, né il disprezzo che trapelava da ogni sillaba. No, ironicamente era vita che vibrava nella sua richiesta di morte, come era vita quella nei suoi occhi scuri.

Uno spasmo scosse la sua mano e li fece sussultare entrambi, e per la prima volta Finn si rese conto di aver trovato qualcosa che valesse di più del giuramento che aveva fatto anni prima, che fosse più importante dell'onore e di una causa ormai dimenticata. Quel qualcosa scorreva nelle vene della ragazza che respirava ansimante sdraiata sulla neve, occhi chiusi in attesa della sua fine. Pulsava contro la canna della sua pistola, e premere il grilletto cessò di essere una via d'uscita. Gettò l'arma a terra e si alzò in piedi, sapendo perfettamente che lei avrebbe potuto decidere di non essere altrettanto magnanima, e che salvarle la vita sarebbe potuta essere l'ultima cosa che avrebbe mai fatto.

La ragazza impiegò qualche secondo a realizzare che non c'era più pericolo. Aprì un'occhio alla volta e si tirò su a sedere, guardandosi attorno e fissandolo con occhi grandi e increduli quando lo vide davanti a lei. Finn le porse una mano per aiutarla ad alzarsi, e lei la guardò confusa, smarrita come se appena svegliatasi da un lungo sogno fin troppo realistico. Però accettò la sua offerta d'aiuto, e si rimise in piedi per continuare a guardarlo con la medesima espressione.

Finn la fissò a sua volta, cogliendo l'opportunità per catturare qualche dettaglio in più del suo viso. Aveva la pelle chiara degli abitanti del Nord, il naso incipriato di lentiggini sbiadite. Sopracciglia spesse e occhi dal taglio quasi orientale, di un marrone torbido e spento, ma brillanti, infervorati e curiosi. Zigomi alti, naso lungo e appuntito, labbra leggermente troppo sottili. Riccioli neri che certamente non vedevano un pettine da anni le circondavano il viso, costellati di fiocchi di neve candidi. Aveva qualche graffio sullo zigomo sinistro e guance e fronte macchiate di grigio, i suoi vestiti erano rosso fuoco: il colore dei Ribelli.

Avrebbe dovuto dirle qualcosa. Spiegarsi, o semplicemente intimarle di scappare. Aprì la bocca, ma fu come se il fumo che aveva inalato avesse cancellato la sua voce, insieme alla sua abilità di emettere qualsiasi suono. O forse era il suo sguardo vivo a togliergli il fiato. Forse semplicemente il fatto che fosse una donna, e che le sue lentiggini gli ricordassero tremendamente quelle di Helena.

Risate e voci lontane catturarono l'attenzione di lei, che si voltò di scatto, paura improvvisamente apparsa nei suoi lineamenti.

« Merda » sibilò, poi afferrò la mano di Finn e lo trascinò verso uno dei grattacieli, e lui si lasciò condurre, ancora muto, anche se non aveva bisogno di chiedere chi stesse arrivando.

Che fossero dell'esercito o dei Ribelli non avrebbe fatto importanza, uno dei due sarebbe morto in ogni caso, e se l'altro avesse provato ad intervenire, sarebbero state entrambe le loro vite ad andare perdute.

E improvvisamente, la sua mano stretta in quella di lei, morire non era più un pensiero tanto allettante.


(PS-- buon 11/12/13 a tutti! ^^)

   
 
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