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Autore: Mary Black    11/05/2008    9 recensioni
Lei avrebbe potuto salvarmi, ma... non l' ha voluto fare. Mi ha spezzato il cuore.
Beh... capita, no?
Può succedere, sì. Incontri una donna che sembra perfetta e in effetti si rivela esserlo, ma per altri. Tu con lei non hai nulla in comune, se non la sofferenza di un rapporto promiscuo nato dall'inganno, dalla vendetta e dal silenzio.
E così non può funzionare.
2° classificata al concorso One-Shot, one Emotion indetto dal forum La Mitica Beauxbatons.
Genere: Malinconico, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Gone with the sin

*I love your skin, oh, so white
I love your touch, cold as ice
And I love every single tear you cry
I just love the way you’re losing your life



Il tempo scorre troppo velocemente.
È un formidabile corridore che non ha mai bisogno di fermarsi, che se ne frega delle esigenze dei suoi compagni e continua, va sempre avanti. Corre per vincere.
E io non sono riuscito a fermarlo, no. Come tutti non sono riuscito a parargli davanti un ostacolo abbastanza grande da farlo frenare, da rallentarlo. Mi ha allegramente fottuto, ridendo di me, della mia stupidità.
Della mia ingordigia.
È un peccato che il tempo non sappia provare sentimenti, che non sappia amare, che non sappia cosa voglia dire ritrovarsi tra le mani un cuore che sanguina e urla di dolore. Magari se sapesse cosa significa essere umani ci darebbe tregua, non persevererebbe con quel ritmo così perfetto e cadenzato.
Avrebbe pietà, forse.
Ma tutti questi fottuti se sono inutili. Noi mortali siamo nati per perdere, soffrire e morire. E io non sono diverso dagli altri.
Credevo di esserlo. Ho sempre pensato di essere il meglio, solo perché ero pieno di soldi, con un sangue immacolato a corrodermi le vene.
Più coglione non avrei potuto esserlo.
Forse la mia bellezza d’angelo decaduto meritava, ma era decisamente l’unica mia cosa degna di nota.
Ero un grandissimo stronzo, un maledetto figlio di puttana, uno spregevole Mangiamorte. Introverso, freddo, scostante anche nel bel mezzo di un orgasmo. Non sapevo amare, ero capace solamente di odiare.
Detestavo i miei genitori, i miei compagni, la mia ragazza. Odiavo me stesso... e su questo punto devo ancora lavorarci.
È passato tanto di quel tempo... troppo, oserei dire.
Sono cambiato molto, anche se appaio sempre lo stesso uomo viziato e vuoto, arido, incapace di provare emozioni che non siano il disprezzo e la rabbia. Faccio pensieri strani, rifletto su interrogativi che non avrei mai creduto mi sarei posto.
Chissà perché me ne innamorai. Chissà perché soffrii come un cane e chissà perché lei mi lasciò.
Perché diavolo la amo ancora?
Aveva una pelle bianchissima, sempre gelida come ghiaccio se non di più. Due occhi d’oro che mi laceravano l’anima ad ogni occhiata e le sue lacrime sapevano di buono. Aveva un modo di deprimersi, di lasciarsi andare, di voler morire, squisito. Glielo leggevo in quello sguardo fiero, oltre che negli squarci che portava come braccialetti.
Dovrei detestarla, schifarla. Avrebbe potuto essere mia e non ha voluto esserlo, ha deliberatamente preferito una strada diversa a quella che le avevo offerto. Beh, in fondo lei ha sempre potuto scegliere.
Lei era forte, indomita, bella come un angelo dell’apocalisse – lo stesso fascino devastante, gli stessi occhi ardenti, lo stesso sguardo ambiguo.
Era una sangue sporco, ma sapeva il fatto suo.
Mi piacque subito, in fondo.
La sua intelligenza mi colpiva profondamente, ogni volta di più, anche se non lo davo mai a vedere; il suo coraggio mi spiazzava e mi sconvolgeva; le sue parole taglienti mi facevano riflettere sul perché mi lasciassi manipolare come un giocattolo. Era la mia filosofia di vita, la mia coscienza. Mi regalava un po’ di pace e, sempre quando le facevo male, sapeva rendermi felice.
Era brava a farmi sentire uno schifo e, altrettanto sapientemente, riusciva a darmi la forza di andare avanti.
Non l’ha mai saputo, pensava soltanto di riuscire a ferirmi, non capiva di provocarmi l’estasi con ogni insulto.
Se non avessi giocato sporco, se non avessi aspettato un suo momento di debolezza, lei non mi avrebbe odiato. Sono stato infinitamente stupido a provarci quando sapevo ci sarebbe stata, quando col suo tanto amato ragazzo era agli sgoccioli.
Avevo paura che mi rifiutasse e ho fatto il codardo.
Come sempre, d’altronde.

Ohohohohoh my baby, how beautiful you are
Ohohohohoh my darling, completely torn apart
You’re gone with the sin, my baby, and beautiful you are
You’re gone with the sin, my darling



La ragazza se ne stava raggomitolata sul pavimento del bagno, in lacrime, distrutta. Piangeva, ignorando i tagli che le ricoprivano le braccia e spargevano il suo sangue sporco dappertutto. Mille frammenti di specchio riflettevano la sua immagine patetica, sparsi attorno a lei come una gabbia invisibile e affilata.
Di nuovo fatta a pezzi da un uomo che non sapeva apprezzarla davvero, di nuovo ferita da qualcuno che non capiva, ma avrebbe dovuto saperlo fare. Lacerata dal solito idiota.
La porta si aprì con un lento cigolio portatore di morte e disgrazie, gratuito distributore di dolore.
Alzò lo sguardo speranzoso all’istante, sperando di vedere due occhioni verdi e tristi, comprensivi una volta tanto. Ma non era Harry, era soltanto... lui. Quel lui che avrebbe completato divinamente l’opera e l’avrebbe uccisa senza pietà o rimorsi.
Strinse i denti e gli lanciò un’occhiata ostile, torva, che lo scaldò come uno sbuffo di vento tiepido.
“Vattene” sibilò rabbiosa.
Lui non si scompose minimamente, perfetto nella sua algida indifferenza. Immobile nella sua abulia mefistofelica, era in piedi davanti a lei, le mani nelle tasche e un’espressione indecifrabile che gli condizionava i lineamenti perfetti.
Gli occhi grigi brillavano contriti, persi in chissà quali ricordi.
“Hai spaccato tu lo specchio?”.
Una domanda assurda, dettata da una curiosità che non era quello che sembrava. Voglia di far conversazione con una donna sempre reputata intelligente e poco alla propria portata.
La Grifondoro non rispose, ma si limitò a scrutarlo rabbiosamente.
Lui si chinò a raccogliere un pezzetto di vetro, osservando la sua immagine riflessa e divina. Una stilla cremisi macchiò il pavimento sporco, le sue dita tagliate si tinsero presto del sangue perso e vennero portate alle labbra per saziare la sua sete.
“Attento a quello che fai.”
Poche parole per avvisarlo che stava per attaccare, che avrebbe vinto la battaglia, ma non la guerra. Per fargli sapere che doveva erigere delle barriere se non voleva essere ferito.
Labili proteste del lato leale e orgoglioso di una donna meschina come tutte le donne.
Un bacio gli chiuse quella bocca insanguinata e ogni cosa sparì dalla sua testa.
Persi nel peccato.


Piccoli ricordi, sprazzi di vita quotidiana che sconfinavano nell’osceno... Lei mi manca così tanto che a volte mi sento svanire il respiro, la mia mente si svuota e non so più nemmeno il mio nome.
Tesoro, io non ti ho mai dimenticata.
Le ho fatto del male, lo so, ma non me ne pento. So che era inebriata dalla sofferenza ch’ero capace di provocarle, ripenso spesso al brillio frenetico delle sue iridi auree quando la ferivo a parole.
Ma anche un mio bacio sapeva spezzarla in due.
L’ho portata all’esasperazione, all’odio verso se stessa... non avrebbe mai voluto cedermi e quando l’ha fatto non l’ho più lasciata andare via, è stata mia per sempre. Lo rimarrà per l’eternità, per i secoli dei secoli.
Sono stato cattivo? Probabile. Sono stato meschino? Sicuramente.
Ma l’amore scusa la crudeltà? Non lo so.
Ero un ragazzino viziato, stupido ed idiota. Mi piaceva l’idea di poter avere la Dea di Grifondoro, mi stimolava il pensiero che scaldando quelle lenzuola con lei ammazzassi Potter di dolore. Sì, tutto di lei mi attirava, ma la verità era che io lo facevo soltanto per vendicarmi della mia nemesi. Avevo trovato il modo più perfido, più brutale, peccato che infine sarei diventato vittima del mio stesso gioco.
Mi innamorai di lei.
E cosa può esserci di peggio che perdere la testa per qualcuno che disprezzi e che ti odia? Cosa può fare più danni di un affetto non ricambiato e a cui non si può dar voce se non si vuole essere insultati, derisi?
Nulla, credo. Ne sono certo.
E comunque lei non mi avrebbe mai creduto, non mi pensava capace di amare.

I adore the despair in your eyes
I workship your lips once red as wine
I crave for your scent sending shivers down my spine
I just love the way you’re running out of life



Respiri veloci, affrettati; spasmi al petto, tocchi febbrili, baci dati in troppo poco tempo. Occhi brucianti puntati in quelli dell’altro, labbra aggressive che si scontravano fameliche, fin troppo consapevoli di non avere più che una manciata di minuti.
I due ragazzi si scrutavano torvi, passando le mani sui vestiti che li coprivano, anelando segretamente di poterli togliere con un battito di ciglia.
“Odio fare le cose di fretta” mormorò lui attaccandole il collo con i denti.
Guardò il viso diafano della ragazza lasciarsi andare estasiato all’indietro, le labbra rosse come vino e altrettanto alcoliche leggermente dischiuse, i riccioli bruni che le scendevano sinuosi sulle spalle e piombavano nel vuoto.
Un brivido lo percosse con violenza mentre assaggiava la pelle della sua gola, mordendo, incidendo, succhiando. Facendo male.
E quel profumo... quel profumo di peccato che era una componente intrinseca del suo corpo, della sua anima. Sapeva di rose e sangue, di odio e amore. Odorava della disperazione che le infiammava lo sguardo ogni notte.
Fu lei a mettere fine a quel gioco pericoloso, troppo lungo e tormentato per poter essere consumato in un magazzino delle scope.
“Devo andare...”.
Basso mormorio che voleva apparire di scusa, ma suonava come un rammarico ipocrita.
Lo scostò da sé e si riassettò la camicetta candida, senza guardarlo in faccia, quasi il peso della colpa incombesse sul suo capo come una spada di Damocle.
Si voltò solo un’ultima volta.
Lui era lì, appoggiato al muro. Il petto marmoreo splendeva nel buio, i capelli di platino ricadevano scomposti sul viso affilato e sulle labbra storte in una smorfia di desiderio. Le iridi cerulee sfavillavano di torbida rabbia.
“Tornerai da me.”
Non una domanda, non una richiesta. Pura constatazione, maledizione che la rende sua schiava ogni santo giorno.
Un aranciato raggio di sole entrò nel buio stanzino accecandolo per un momento e costringendolo a socchiudere le palpebre, osservando quella figurina piccola e scossa dai singulti sparire in un inferno di luce.
Poi le tenebre tornarono sovrane e lui ne fu di nuovo il Principe.
Si lasciò scivolare a terra, incurante dei brividi di freddo che la sua pelle a contatto con la pietra gelida gli procurava, indifferente alle lacrime che avevano preso a rigare il suo volto statuario.
La sua espressione rimase imperturbabile, nemmeno un briciolo di emozione riusciva a trasparire.
E lentamente cessò anche quel pianto liberatorio che si era portato via tutto ciò che gli era rimasto, lasciandolo vuoto e incompleto come sempre.
Ma sapeva cosa l’avrebbe curato e riscaldato. La sua medicina sarebbe tornata con il calar della notte e lui... lui avrebbe assunto la sua giornaliera dose d’ossessione, la droga che l’avrebbe riempito di gioia per strappargli un pezzetto d’anima quando l’effetto fosse terminato.
Come sempre.


Preferirei che queste scomode memorie non mi tormentassero così, facendomi sentire in colpa quanto la prima volta. Preferirei investire i miei secondi per maledire il tempo.
Quel tempo che me la portò via.
Via per sempre... se la prese, me la rubò quando mi sarebbe bastata una settimana in più per convincerla a restare con me, pochi giorni per dirle che l’amavo davvero e farle fare altrettanto.
Qualche minuto in più per non perderla.
Era stregata da me, da come la toccavo e la facevo sentire speciale, sussurrandole all’orecchio che era una dannata sangue sporco. La umiliavo, ma me n’era grata. La ferivo, ma mi chiedeva di farlo ancora con sguardi essenziali.
L’attraevo morbosamente, alla stessa maniera di come avrebbe potuto farlo un veleno che provoca atroci dolori e a lungo andare la morte. Come qualcosa di perverso e oscuro, sbagliato, con cui lei non avrebbe mai dovuto sporcarsi.
Per questo aveva crisi isteriche e si tagliava: io la conducevo alla follia.
Mentre... di me cosa posso dire? Non provavo nulla, nessuna pietà per lei e tanto meno per me. Desiderio e voglia che mi amasse, che per una volta capisse. Tanto brava e comprensiva con gli altri, così meschina con il suo nemico numero uno.
Stronza, si rifiutava di capirmi, ma a letto ci stava.
Ma non è giusto nemmeno pensarla così.
Sono io che l’ho ingannata, che l’ho intrappolata in un abbraccio di ferro quando questi dovrebbero essere di velluto. Soprattutto per una principessa dorata, una strega impura che meritava il lusso di una reggia, uno sfarzo che non avrebbe mai trovato nel mio cuore deserto.
La amavo, questo è ciò che conta. Me ne illudo ancora.
Basta deliri, riviviamoci l’ultimo momento di sofferenza e non se ne parli più. Poi chiuderò a chiave la mia mente, mi impedirò di tornarci su, ci metterò una pietra sopra e andrò avanti.
O almeno... ci proverò.

Ohohohohoh my baby, how beautiful you are
Ohohohohoh my darling, completely torn apart
You’re gone with the sin, my baby and beautiful you are
You’re gone with the sin, my darling



Due corpi immobili, fermi in una posizione apparentemente non studiata, ma favorevole all’attacco.
Si squadravano, gelidi e insieme infervorati, calmi ma furiosi. La loro era una rabbia di vetro, che si limita a riempirti la carne di schegge finché non decidi di liberartene con un’esplosione atomica che farà male a molti, ma ti donerà la pace.
Effimera, certo. Però pace.
Senza accorgersene presero a muoversi in cerchio, felini e pericolosi, cercando di non perdersi mai di vista.
Labbra piegate in ghigni amareggiati, fili di disperazione che legavano i loro occhi pesti e carichi di sentimento distruttore.
“Sei tornata da lui.”
Poco più d’un sibilo sinistro sputato tra i denti, che risuonò tonante nelle orecchie sensibili della donna.
Assottigliò lo sguardo dorato e si preparò ad attaccare, a ferire.
“Hai mai creduto in questo? Avanti, nessuno dei due l’ha fatto” sussurrò dura, lasciando che quella sentenza vibrasse a lungo nell’aria per poi autodistruggersi e piombare su di loro in minuscoli cristalli d’odio.
Una morsa d’acciaio la inchiodò al muro, i polsi le dolevano per quanto glieli stringeva, quasi non respirava.
Eppure nessuna supplica sfiorò i timpani del ragazzo, la cui espressione era delicatamente celata dai fini capelli aurei, così chiari da sembrar fatti da raggi di luce stellare.
“Non mentirmi, purosangue, è un insulto alla mia intelligenza.”
Fragili provocazioni che non ottennero altro se non un incontro ravvicinato con la dura parete e con la sua bocca aggressiva.
Si rivolsero uno sguardo ostile, staccandosi ferocemente da un bacio di troppo.
La liberò e si diresse verso la porta, senza accorgersi di star perdendo pezzi della sua anima ad ogni passo. E lei naturalmente non lo avvisò, benché sapesse, come sempre.
Si fermò davanti all’uscio socchiuso, ma non si voltò. Parlò lentamente, a bassa voce e con un tono indecifrabile, ben sapendo che cosa ci avrebbe guadagnato dallo stupido gesto che stava per commettere.
“Ti amo, mezzosangue.”
E l’unica risposta fu una sarcastica, perversa risata.
Ma, in fondo, non ci aveva mai creduto.


Non vincerai mai se non ci credi.
E io non riesco a fidarmi, a sperarci. Sono un disilluso, vivo solo biologicamente, nella mia testa non c’è niente se non il dolore e l’amarezza che i sogni portano.
Ho pregato chiedendo di non diventare quello che sono, e puntualmente lo sono diventato. Ho supplicato Dio perché lei non mi lasciasse, e ovviamente è successo.
Una dopo l’altra queste menzogne di vita si sono portate via un pezzetto di me, lasciandomi vuoto e solo.
Lei avrebbe potuto salvarmi, ma... non l’ha voluto fare. Mi ha spezzato il cuore.
Beh... capita, no?
Può succedere, sì. Incontri una donna che sembra perfetta e in effetti si rivela esserlo, ma per altri. Tu con lei non hai nulla in comune, se non la sofferenza di un rapporto promiscuo nato dall’inganno, dalla vendetta e dal silenzio.
E così non può funzionare.

Draco Lucius Malfoy.
Il mio nome presto sarà cenere.
Hermione Jean Granger.
Ma la mia anima vivrà per sempre.

 

  
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