Gone with the sin
*I
love your skin, oh, so
white
I love your touch, cold as ice
And I love every single tear you cry
I just love the way you’re losing your life
Il tempo scorre troppo velocemente.
È un formidabile corridore che non ha mai bisogno di fermarsi, che se
ne frega
delle esigenze dei suoi compagni e continua, va sempre avanti. Corre
per
vincere.
E io non sono riuscito a fermarlo, no. Come tutti non sono riuscito a
parargli
davanti un ostacolo abbastanza grande da farlo frenare, da rallentarlo.
Mi ha
allegramente fottuto, ridendo di me, della mia stupidità.
Della mia ingordigia.
È un peccato che il tempo non sappia provare sentimenti, che non sappia
amare,
che non sappia cosa voglia dire ritrovarsi tra le mani un cuore che
sanguina e
urla di dolore. Magari se sapesse cosa significa essere umani ci
darebbe
tregua, non persevererebbe con quel ritmo così perfetto e cadenzato.
Avrebbe pietà, forse.
Ma tutti questi fottuti se sono inutili. Noi
mortali siamo nati per
perdere, soffrire e morire. E io non sono diverso dagli altri.
Credevo di esserlo. Ho sempre pensato di essere il meglio, solo perché
ero
pieno di soldi, con un sangue immacolato a corrodermi le vene.
Più coglione non avrei potuto esserlo.
Forse la mia bellezza d’angelo decaduto meritava, ma era decisamente
l’unica
mia cosa degna di nota.
Ero un grandissimo stronzo, un maledetto figlio di puttana, uno
spregevole Mangiamorte.
Introverso, freddo, scostante anche nel bel mezzo di un orgasmo. Non
sapevo
amare, ero capace solamente di odiare.
Detestavo i miei genitori, i miei compagni, la mia ragazza. Odiavo me
stesso...
e su questo punto devo ancora lavorarci.
È passato tanto di quel tempo... troppo, oserei dire.
Sono cambiato molto, anche se appaio sempre lo stesso uomo viziato e
vuoto,
arido, incapace di provare emozioni che non siano il disprezzo e la
rabbia.
Faccio pensieri strani, rifletto su interrogativi che non avrei mai
creduto mi
sarei posto.
Chissà perché me ne innamorai. Chissà perché soffrii come un cane e
chissà
perché lei mi lasciò.
Perché diavolo la amo ancora?
Aveva una pelle bianchissima, sempre gelida come ghiaccio se non di
più. Due
occhi d’oro che mi laceravano l’anima ad ogni occhiata e le sue lacrime
sapevano di buono. Aveva un modo di deprimersi, di lasciarsi andare, di
voler
morire, squisito. Glielo leggevo in quello sguardo fiero, oltre che
negli
squarci che portava come braccialetti.
Dovrei detestarla, schifarla. Avrebbe potuto essere mia e non ha voluto
esserlo, ha deliberatamente preferito una strada diversa a quella che
le avevo
offerto. Beh, in fondo lei ha sempre potuto scegliere.
Lei era forte, indomita, bella come un angelo dell’apocalisse –
lo stesso
fascino devastante, gli stessi occhi ardenti, lo stesso sguardo ambiguo.
Era una sangue sporco, ma sapeva il fatto suo.
Mi piacque subito, in fondo.
La sua intelligenza mi colpiva profondamente, ogni volta di più, anche
se non
lo davo mai a vedere; il suo coraggio mi spiazzava e mi sconvolgeva; le
sue
parole taglienti mi facevano riflettere sul perché mi lasciassi
manipolare come
un giocattolo. Era la mia filosofia di vita, la mia coscienza. Mi
regalava un
po’ di pace e, sempre quando le facevo male, sapeva rendermi felice.
Era brava a farmi sentire uno schifo e, altrettanto sapientemente,
riusciva a
darmi la forza di andare avanti.
Non l’ha mai saputo, pensava soltanto di riuscire a ferirmi, non capiva
di
provocarmi l’estasi con ogni insulto.
Se non avessi giocato sporco, se non avessi aspettato un suo momento di
debolezza, lei non mi avrebbe odiato. Sono stato infinitamente stupido
a
provarci quando sapevo ci sarebbe stata, quando col suo tanto amato
ragazzo era
agli sgoccioli.
Avevo paura che mi rifiutasse e ho fatto il codardo.
Come
sempre, d’altronde.
Ohohohohoh
my baby, how
beautiful you are
Ohohohohoh my darling, completely torn apart
You’re gone with the sin, my baby, and beautiful you are
You’re gone with the sin, my darling
La ragazza
se
ne stava raggomitolata sul pavimento del bagno, in lacrime, distrutta.
Piangeva, ignorando i tagli che le ricoprivano le braccia e spargevano
il suo
sangue sporco dappertutto. Mille frammenti di specchio riflettevano la
sua
immagine patetica, sparsi attorno a lei come una gabbia invisibile e
affilata.
Di nuovo fatta a pezzi da un uomo che non sapeva apprezzarla davvero,
di nuovo
ferita da qualcuno che non capiva, ma avrebbe dovuto saperlo fare.
Lacerata dal
solito idiota.
La porta si aprì con un lento cigolio portatore di morte e disgrazie,
gratuito
distributore di dolore.
Alzò lo sguardo speranzoso all’istante, sperando di vedere due occhioni
verdi e
tristi, comprensivi una volta tanto. Ma non era Harry, era soltanto...
lui.
Quel lui che avrebbe completato divinamente l’opera e l’avrebbe uccisa
senza
pietà o rimorsi.
Strinse i denti e gli lanciò un’occhiata ostile, torva, che lo scaldò
come uno
sbuffo di vento tiepido.
“Vattene” sibilò rabbiosa.
Lui non si scompose minimamente, perfetto nella sua algida
indifferenza.
Immobile nella sua abulia mefistofelica, era in piedi davanti a lei, le
mani
nelle tasche e un’espressione indecifrabile che gli condizionava i
lineamenti
perfetti.
Gli occhi grigi brillavano contriti, persi in chissà quali ricordi.
“Hai spaccato tu lo specchio?”.
Una domanda assurda, dettata da una curiosità che non era quello che
sembrava.
Voglia di far conversazione con una donna sempre reputata intelligente
e poco
alla propria portata.
La Grifondoro non rispose, ma si limitò a scrutarlo rabbiosamente.
Lui si chinò a raccogliere un pezzetto di vetro, osservando la sua
immagine
riflessa e divina. Una stilla cremisi macchiò il pavimento sporco, le
sue dita
tagliate si tinsero presto del sangue perso e vennero portate alle
labbra per
saziare la sua sete.
“Attento a quello che fai.”
Poche parole per avvisarlo che stava per attaccare, che avrebbe vinto
la battaglia,
ma non la guerra. Per fargli sapere che doveva erigere delle barriere
se non
voleva essere ferito.
Labili proteste del lato leale e orgoglioso di una donna meschina come
tutte le
donne.
Un bacio gli chiuse quella bocca insanguinata e ogni cosa sparì dalla
sua
testa.
Persi nel peccato.
Piccoli ricordi, sprazzi di vita quotidiana che sconfinavano
nell’osceno... Lei
mi manca così tanto che a volte mi sento svanire il respiro, la mia
mente si
svuota e non so più nemmeno il mio nome.
Tesoro, io non ti ho mai dimenticata.
Le ho fatto del male, lo so, ma non me ne pento. So che era inebriata
dalla
sofferenza ch’ero capace di provocarle, ripenso spesso al brillio
frenetico
delle sue iridi auree quando la ferivo a parole.
Ma anche un mio bacio sapeva spezzarla in due.
L’ho portata all’esasperazione, all’odio verso se stessa... non avrebbe
mai
voluto cedermi e quando l’ha fatto non l’ho più lasciata andare via, è
stata
mia per sempre. Lo rimarrà per l’eternità, per i secoli dei secoli.
Sono stato cattivo? Probabile. Sono stato meschino? Sicuramente.
Ma l’amore scusa la crudeltà? Non lo so.
Ero un ragazzino viziato, stupido ed idiota. Mi piaceva l’idea di poter
avere
Mi innamorai di lei.
E cosa può esserci di peggio che perdere la testa per qualcuno che
disprezzi e
che ti odia? Cosa può fare più danni di un affetto non ricambiato e a
cui non
si può dar voce se non si vuole essere insultati, derisi?
Nulla, credo. Ne sono certo.
E comunque lei non mi avrebbe mai creduto, non mi pensava capace di
amare.
I
adore the despair in
your eyes
I workship your lips once red as wine
I crave for your scent sending shivers down my spine
I just love the way you’re running out of life
Respiri
veloci, affrettati; spasmi al petto, tocchi febbrili, baci dati in
troppo poco
tempo. Occhi brucianti puntati in quelli dell’altro, labbra aggressive
che si
scontravano fameliche, fin troppo consapevoli di non avere più che una
manciata
di minuti.
I due ragazzi si scrutavano torvi, passando le mani sui vestiti che li
coprivano, anelando segretamente di poterli togliere con un battito di
ciglia.
“Odio fare le cose di fretta” mormorò lui attaccandole il collo con i
denti.
Guardò il viso diafano della ragazza lasciarsi andare estasiato
all’indietro,
le labbra rosse come vino e altrettanto alcoliche leggermente
dischiuse, i
riccioli bruni che le scendevano sinuosi sulle spalle e piombavano nel
vuoto.
Un brivido lo percosse con violenza mentre assaggiava la pelle della
sua gola,
mordendo, incidendo, succhiando. Facendo male.
E quel profumo... quel profumo di peccato che era una componente
intrinseca del
suo corpo, della sua anima. Sapeva di rose e sangue, di odio e amore.
Odorava
della disperazione che le infiammava lo sguardo ogni notte.
Fu lei a mettere fine a quel gioco pericoloso, troppo lungo e
tormentato per
poter essere consumato in un magazzino delle scope.
“Devo andare...”.
Basso mormorio che voleva apparire di scusa, ma suonava come un
rammarico
ipocrita.
Lo scostò da sé e si riassettò la camicetta candida, senza guardarlo in
faccia,
quasi il peso della colpa incombesse sul suo capo come una spada di
Damocle.
Si voltò solo un’ultima volta.
Lui era lì, appoggiato al muro. Il petto marmoreo splendeva nel buio, i
capelli
di platino ricadevano scomposti sul viso affilato e sulle labbra storte
in una
smorfia di desiderio. Le iridi cerulee sfavillavano di torbida rabbia.
“Tornerai da me.”
Non una domanda, non una richiesta. Pura constatazione, maledizione che
la
rende sua schiava ogni santo giorno.
Un aranciato raggio di sole entrò nel buio stanzino accecandolo per un
momento
e costringendolo a socchiudere le palpebre, osservando quella figurina
piccola
e scossa dai singulti sparire in un inferno di luce.
Poi le tenebre tornarono sovrane e lui ne fu di nuovo il Principe.
Si lasciò scivolare a terra, incurante dei brividi di freddo che la sua
pelle a
contatto con la pietra gelida gli procurava, indifferente alle lacrime
che
avevano preso a rigare il suo volto statuario.
La sua espressione rimase imperturbabile, nemmeno un briciolo di
emozione
riusciva a trasparire.
E lentamente cessò anche quel pianto liberatorio che si era portato via
tutto
ciò che gli era rimasto, lasciandolo vuoto e incompleto come sempre.
Ma sapeva cosa l’avrebbe curato e riscaldato. La sua medicina sarebbe
tornata
con il calar della notte e lui... lui avrebbe assunto la sua
giornaliera dose d’ossessione,
la droga che l’avrebbe riempito di gioia per strappargli un pezzetto
d’anima
quando l’effetto fosse terminato.
Come sempre.
Preferirei che queste scomode memorie non mi tormentassero così,
facendomi
sentire in colpa quanto la prima volta. Preferirei investire i miei
secondi per
maledire il tempo.
Quel tempo che me la portò via.
Via per sempre... se la prese, me la rubò quando mi sarebbe bastata una
settimana in più per convincerla a restare con me, pochi giorni per
dirle che l’amavo
davvero e farle fare altrettanto.
Qualche minuto in più per non perderla.
Era stregata da me, da come la toccavo e la facevo sentire speciale,
sussurrandole all’orecchio che era una dannata sangue sporco. La
umiliavo, ma
me n’era grata. La ferivo, ma mi chiedeva di farlo ancora con sguardi
essenziali.
L’attraevo morbosamente, alla stessa maniera di come avrebbe potuto
farlo un veleno
che provoca atroci dolori e a lungo andare la morte. Come qualcosa di
perverso
e oscuro, sbagliato, con cui lei non avrebbe mai dovuto sporcarsi.
Per questo aveva crisi isteriche e si tagliava: io la conducevo alla
follia.
Mentre... di me cosa posso dire? Non provavo nulla, nessuna pietà per
lei e
tanto meno per me. Desiderio e voglia che mi amasse, che per una volta
capisse.
Tanto brava e comprensiva con gli altri, così meschina con il suo
nemico numero
uno.
Stronza, si rifiutava di capirmi, ma a letto ci stava.
Ma non è giusto nemmeno pensarla così.
Sono io che l’ho ingannata, che l’ho intrappolata in un abbraccio di
ferro
quando questi dovrebbero essere di velluto. Soprattutto per una
principessa
dorata, una strega impura che meritava il lusso di una reggia, uno
sfarzo che
non avrebbe mai trovato nel mio cuore deserto.
La amavo, questo è ciò che conta. Me ne illudo ancora.
Basta deliri, riviviamoci l’ultimo momento di sofferenza e non se ne
parli più.
Poi chiuderò a chiave la mia mente, mi impedirò di tornarci su, ci
metterò una
pietra sopra e andrò avanti.
O almeno... ci proverò.
Ohohohohoh
my baby, how
beautiful you are
Ohohohohoh my darling, completely torn apart
You’re gone with the sin, my baby and beautiful you are
You’re gone with the sin, my darling
Due corpi immobili, fermi in una posizione apparentemente non studiata,
ma
favorevole all’attacco.
Si squadravano, gelidi e insieme infervorati, calmi ma furiosi. La loro
era una
rabbia di vetro, che si limita a riempirti la carne di schegge finché
non
decidi di liberartene con un’esplosione atomica che farà male a molti,
ma ti
donerà la pace.
Effimera, certo. Però pace.
Senza accorgersene presero a muoversi in cerchio, felini e pericolosi,
cercando
di non perdersi mai di vista.
Labbra piegate in ghigni amareggiati, fili di disperazione che legavano
i loro
occhi pesti e carichi di sentimento distruttore.
“Sei tornata da lui.”
Poco più d’un sibilo sinistro sputato tra i denti, che risuonò tonante
nelle
orecchie sensibili della donna.
Assottigliò lo sguardo dorato e si preparò ad attaccare, a ferire.
“Hai mai creduto in questo? Avanti, nessuno dei due l’ha fatto”
sussurrò dura,
lasciando che quella sentenza vibrasse a lungo nell’aria per poi
autodistruggersi e piombare su di loro in minuscoli cristalli d’odio.
Una morsa d’acciaio la inchiodò al muro, i polsi le dolevano per quanto
glieli
stringeva, quasi non respirava.
Eppure nessuna supplica sfiorò i timpani del ragazzo, la cui
espressione era
delicatamente celata dai fini capelli aurei, così chiari da sembrar
fatti da
raggi di luce stellare.
“Non mentirmi, purosangue, è un insulto alla mia intelligenza.”
Fragili provocazioni che non ottennero altro se non un incontro
ravvicinato con
la dura parete e con la sua bocca aggressiva.
Si rivolsero uno sguardo ostile, staccandosi ferocemente da un bacio di
troppo.
La liberò e si diresse verso la porta, senza accorgersi di star
perdendo pezzi
della sua anima ad ogni passo. E lei naturalmente non lo avvisò, benché
sapesse,
come sempre.
Si fermò davanti all’uscio socchiuso, ma non si voltò. Parlò
lentamente, a
bassa voce e con un tono indecifrabile, ben sapendo che cosa ci avrebbe
guadagnato dallo stupido gesto che stava per commettere.
“Ti amo, mezzosangue.”
E l’unica risposta fu una sarcastica, perversa risata.
Ma, in fondo, non ci aveva mai creduto.
Non vincerai mai se non ci credi.
E io non riesco a fidarmi, a sperarci. Sono un disilluso, vivo solo
biologicamente, nella mia testa non c’è niente se non il dolore e
l’amarezza
che i sogni portano.
Ho pregato chiedendo di non diventare quello che sono, e puntualmente
lo sono
diventato. Ho supplicato Dio perché lei non mi lasciasse, e ovviamente
è
successo.
Una dopo l’altra queste menzogne di vita si sono portate via un
pezzetto di me,
lasciandomi vuoto e solo.
Lei avrebbe potuto salvarmi, ma... non l’ha voluto fare. Mi ha spezzato
il
cuore.
Beh... capita, no?
Può succedere, sì. Incontri una donna che sembra perfetta e in effetti
si
rivela esserlo, ma per altri. Tu con lei non hai nulla in comune, se
non la
sofferenza di un rapporto promiscuo nato dall’inganno, dalla vendetta e
dal
silenzio.
E così non può funzionare.
Draco Lucius Malfoy.
Il mio nome presto sarà cenere.
Hermione Jean Granger.
Ma la mia anima vivrà per sempre.