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Autore: Kiki87    13/12/2013    4 recensioni
Ognuna di loro era una principessa e sapeva che le avrebbero insegnato qualcosa, seppur ancora non fosse abbastanza grande da considerarsi una di loro. Ma un giorno, le ripeteva la stessa melodica e soffusa voce, anche lei lo sarebbe stata e, finalmente, avrebbe compreso tutto.
Da sempre amante delle favole, Brittany deve affrontare una nuova realtà ben diversa da quella conosciuta e rassicurante. Con le presenze rassicuranti della madre e di Lord Tubbington, incontrerà nuove persone e inizierà una nuova vita. Sarà duro il cammino per sentirsi come le sue principesse preferite? Troverà, infine, quel principe di cui sognava da bambina?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brittany Pierce, Hunter Clarington, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo 7
«C'era una una volta un castello incantato, il suo padrone sembrava gelido come l'inverno. Nel profondo del suo cuore era intrappolata una rabbia incontenibile. Sebbene circondato da servitori, egli era del tutto solo e da un semplice atto di gentilezza, egli seppe che qualcuno si preoccupava che il Natale quell'anno trascorresse scambiandosi dei semplici doni. Ma il regalo più grande che ognuno ricevette fu il dono della speranza.»

Lumière: "C'è qualcosa nell'aria: potrebbe essere amore!"
Fife: "Amore?! Ah, ah, ah, ah, AHH, devo fermarli!".
[Citazioni da “La Bella e la Bestia: un magico Natale1 -Walt Disney]


Capitolo 7

Quando schiuse gli occhi non riconobbe la camera in cui si trovava: si rese conto, tuttavia, che non c'erano i soliti rumori che ne accompagnavano il risveglio come il russare di Lauren dall'altra parte della stanza o la presenza del braccio di Marley che penzolava dal letto superiore.
Sbatté le palpebre, strofinandosi la mano sul viso e realizzò che indossava ancora i panni del giorno precedente. Lord Tubbington le si accoccolò in grembo con tanto di fusa e Brittany sorrise nello sfiorarne il manto tigrato. Il ricordo del giorno precedente parve fulminarla sul posto e si sollevò con il torso. Nello stesso istante, la porta della camera fu schiusa ed Hunter ne valicò la soglia: era già vestito di tutto punto, aveva l'aria più che attiva e reggeva due tazze. Le rivolse un cenno del capo e la ragazza cercò di dissimulare l'imbarazzo che le sfiorò le gote a realizzare di aver trascorso l'intera notte nella sua camera, persino occupandone il letto, anche se era quasi certa di essersi appisolata sul divano, o almeno ciò era l'ultimo ricordo della serata precedente.
L'idea che l'aveva persino deposta sul letto, le procurò un singulto d'emozione e un nuovo batticuore ma il ragazzo sembrava perfettamente composto, come sempre. “Stavo per svegliarti”, le disse nell'avvicinarsi, il viso inclinato di un lato. “Hai tempo di sgattaiolare prima che le altre si sveglino”.
“I-Io, mi dispiace. Avresti dovuto svegliarmi: sarei tornata in camera mia”, si era morsicata il labbro. “Non dovevo dormire sul tuo letto, anche se è comodissimo”.
Aveva sorriso vagamente divertito il ragazzo. “Mi fa piacere”, convenne, ma scosse il capo. “In realtà ti ho spostata io: ti eri addormentata sul divano”.
Brittany notò la coperta che era stata ripiegata e che doveva aver estratto dall'armadio per potersi coprire.
“Non avresti dovuto disturbarti tanto, fai già molto per me”, aveva ammesso, le guance ancora colorate.
Si strinse nelle spalle Hunter. “Non hai motivo di scusarti: se mi fossi stata di disturbo, ti avrei svegliato o avrei chiamato Kitty. Buttarti giù dal letto credo sia una sua specialità”, aveva aggiunto con aria complice e persino Brittany si concesse di sorridere, seppure la sola idea che li scorgesse in quel momento era sufficiente a procurarle un singulto terrorizzato.
Prese la tazza che lui le porgeva con un sussurrato ringraziamento, immaginando del caffè o del the ma sorrise con aria meravigliata dopo averne sorseggiato un sorso. “Cioccolata?”.
“Mi sembravi il tipo da cioccolata”, rispose lui con una scrollata di spalle.
“Perché sono una ragazza?”, aveva chiesto d'impulso.
“Perché sei dolce,” fu l'istintiva risposta, ma parve sussultare lui stesso l'attimo dopo, perché si affrettò a correggersi. “e da quanto ho notato con le merendine, sei piuttosto golosa”.
Aveva annuito, Brittany, malgrado il rossore, ma gli aveva nuovamente sorriso. “E' perfetta, rischio di passere l'intera giornata a ringraziarti”, aveva aggiunto in tono divertito.
Si crogiolarono in quel lieve silenzio sceso tra loro, si era accomodato sul bordo del suo stesso letto a sorseggiare la sua tazza – si era chiesta se lui fosse tipo da caffè amaro o se avesse fatto a sua volta uno strappo alla regola – e Brittany aveva lasciato vagare nuovamente lo sguardo sulla camera e i primi placidi segni di luce dall'esterno. Aveva notato, sulla scrivania del giovane, le fotografie che raccontavano della vita in Accademia, una foto con il padre, ma nessuna fotografia della donna che era scomparsa, quando era solo un bambino e neppure di Kitty (e ciò l'aveva fatta segretamente sorridere con aria soddisfatta).
Sussultarono al suono della sveglia del ragazzo e Brittany realizzò che da lì a pochi minuti sarebbe suonata la tromba e avrebbe dovuto trovarsi nella sua camerata per non destare sospetti. “Sarà meglio che vada”, si affrettò a sollevarsi dal letto, depose una carezza sulla testa dei felini e si affrettò ad avvicinarsi alla porta, accompagnata dal ragazzo.
Indugiò sulla soglia dell'uscio, tuttavia. “La migliore cioccolata di sempre”, sussurrò, dondolando appena le braccia strette in grembo.
“Sono certo che si tratti di una lode più che ponderata, farò in modo che Mrs Rose la riceva”, le trattenne l'uscio aperto. “E ora sparisci, prima che Kitty ti scopra”. Aveva parlato in tono leggero, l'intonazione canzonatoria e complice, ma Brittany aveva sussultato alla realizzazione di ciò che avrebbe potuto significare. E quanto la sua presenza potesse essere di troppo o dare adito ad equivoci. Si era morsicata il labbro, ma aveva annuito, cercando di ignorare quella sensazione sgradevole di un nodo a stringerle la gola.
“Brittany?”.
Si volse istantaneamente: Hunter sembrò indugiare, la figura che occupava totalmente la soglia della camera. Sembrava avere difficoltà a trovare qualcosa da dirle. O forse non erano le parole a mancare, ma vi era la consapevolezza che non era il momento giusto. Aveva scosso il capo, Hunter, che sembrava in dissidio con se stesso. “Spero tu abbia dormito bene”, concluse, le braccia strette al petto.
Aveva sbattuto le palpebre, Brittany, la vaga sensazione che ci fosse ben altro di sottinteso, seppure non capisse esattamente che cosa. Annuì, tuttavia, un sorriso nello scostarsi i capelli dal volto. “Mai così bene”, aveva sussurrato, infine, la voce più flebile.
Parve rilassarsi, Hunter, che si concesse un altro sorriso. “Bene, sarà meglio che ti lasci andare”.
“Bene”, aveva ribattuto lei, voltandosi dopo un ultimo cenno della mano.


~

Per quanto la vita in Accademia fosse ancora dura, soprattutto per grazia dell'inflessibilità di Kitty, il tutto sembrava essere compensato dalle ore trascorse al Glee Club. Era la prima volta che Brittany si trovava coinvolta in un progetto di gruppo, ma era non poco soddisfacente sentirsi gratificata per un'attività nella quale poteva totalmente investire se stessa e con ottimi risultati. Persino Kitty doveva rendersene conto perché sfogava le frustrazioni, concentrandosi su Marley, la vittima preferita, prima del suo arrivo in Accademia.
Era di gran lunga piacevole lasciare il campo d’allenamento e potersi dedicare ad un'attività fisica che avveniva in un luogo chiuso e al caldo, soprattutto con l'avvento dell'inverno e il freddo persino più pungente (Kitty avrebbe continuato a farle allenare anche con la neve?), e abbandonarsi ad un'atmosfera più distesa e meno formale. In quell'aula si potevano, entro certi limiti naturalmente, porre da parte persino le differenze di gradi ed essere uniti per un obiettivo in comune.
Era stata durante l'ultima prova prima della pausa natalizia e si era diretta all'aula di danza con un po' d’anticipo, nella speranza di un po' di tempo per esercitarsi prima dell'arrivo degli altri ma, ancora prima di varcare la soglia della camera, realizzò di non essere stata l'unica ad avere avuto quell'idea. Sentì una voce maschile che riconobbe con un sorriso, malgrado stesse intonando una canzone. Si avvicinò incuriosita, attratta dal timbro profondo e piacevole, tanto da farla letteralmente sospirare nell'avvicinarsi alla soglia, almeno fino a quando non scorse Kitty.
Poteva ben immaginare perché Hunter l'avesse definita la voce femminile del gruppo: dai suoi modi così autoritari e bizzosi, non avrebbe immaginato che potesse a sua volta avere una voce tanto incantevole nel canto, il timbro persino dolce.
Restò appollaiata all'uscio con un sospiro: doveva ammettere, con un nodo in gola, che non soltanto le loro voci erano perfettamente armonizzate ma che sembravano persino... perfetti insieme. Specialmente quando lei gli si avvicinò con quel sorriso più allusivo e smaliziato e sentì il respiro mancarle. Dovette scostarsi dalla porta, le guance arrossate e la contrazione dolorosa in petto. Guardarli in atteggiamenti da innamorati era decisamente insopportabile ma se ciò facesse di lei una persona meno buona, non poteva negarsi quella sensazione di puro fastidio.

“Brittany?”.
Non si era resa conto di aver letteralmente spezzato il bastoncino di zucchero che aveva tra le dita, mentre ripensava a quel momento.
Sua madre, ancora intenta a decorare la casetta di marzapane, le rivolse un'occhiata incuriosita. Parve illuminarsi alla vista del bastoncino troncato in due e ammiccò con fare complice e divertito.
“Qualche Hunter-pensiero?”, le chiese in tono accattivante. “... dubito si spezzi in quel modo, ma sono sicuro che tutta questa grinta sarebbe interessante per lui”.
“Mamma!”, protestò la ragazza con le guance infiammate, mordicchiando una delle estremità della caramella.
Si era pulita le mani con un canovaccio, Shirley. “Prima sospiri e poi ti rabbui”, si era sporta in sua direzione. “Sentiamo, che ha fatto quella strega?”.
Gemette scandalizzata: non tanto l'uso di quell'epiteto quanto la facilità con cui sembrava leggerle il pensiero. “Non è una strega: è il mio Capitano e mi odia”, aveva replicato con una scrollata di spalle che aveva fatto ridacchiare sua madre.
“Che strano!”, esclamò in tono evidentemente ironico.
“Non c'entra... lui.” di fronte al sopracciglio inarcato della madre, si affrettò ad aggiungere: “Ok, non soltanto lui”. Aveva abbassato la voce, sentendo Neal canticchiare in salotto. “E poi... forse stanno davvero insieme”.
Aveva inarcato le sopracciglia, Shirley, le mani sui fianchi. “Quindi quando sei nella sua camera, la nasconde sul soffitto?”, aveva replicato la madre, le labbra contratte a cercare di nascondere il sorriso. “Davvero un latin-Hunter2”.
“Potresti smetterla di ripetere il suo nome?”. L'aveva supplicata, la voce evidentemente più incerta ed insicura, gettando un'occhiata al soggiorno per sincerarsi che Neal non sentisse.
Hunter, Hunter, Hunter, Hunter, Hunter”. Aveva ridacchiato l'altra, prendendo l'altra metà del bastoncino di zucchero con la medesima passione per i dolci.
“Molto matura”. Aveva esibito un bel broncio, Brittany.
“Disse colei che si era sporcata il naso di glassa”.
“Non è ve-”, trasalì quando sua madre si sporse a toccarle il viso con un sorriso furbo.
“Magari vi rivedrete: Neal mi parla così tanto di Jonathan che potrei quasi sospettare stia cercando di darmelo in marito”.
Aveva ridacchiato, Brittany, ma aveva scosso il capo. “Magari”, ripeté.
“Sempre che tu possa sposare un fratellastro”, aggiunse l'altra in tono indolente, una vaga scrollata di spalle, quasi si stesse realmente ponendo la questione.

Era notte quando Brittany aveva bussato discretamente alla sua porta: il giorno dopo sarebbe tornata a casa per le vacanze natalizie che avrebbero passato in quella stessa città. Era il momento propizio per riprendersi Lord Tubbington. Evidentemente il ragazzo la stava attendendo perché schiuse subito l'uscio: teneva il gatto tra le braccia e Brittany lo prese con un sorriso, stringendolo a sé e gli rivolse un sorriso.
Grazie di tutto”, aveva sussurrato.
Scosse il capo, Hunter. “L'ho fatto con piacere”, le aveva detto con un sorriso.
Avevano indugiato qualche istante, probabilmente non lo avrebbe rivisto per due settimane e non poté evitare di sentire quel nodo in gola.
Buon Natale, Hunter”, si era sollevata istintivamente sulle punte per appoggiare appena le labbra contro la sua guancia, ma non aveva potuto impedirsi di sentire una scarica elettrica lungo la spina dorsale, soprattutto di fronte alla luce dello sguardo verde e l'incrinatura più dolce delle labbra.
Ci rivedremo presto, ma intanto…”, si era chinato appena e, una mano a scostarle i capelli con un gesto semplice e naturale, aveva appoggiato le labbra sulla sua fronte.
Aveva socchiuso gli occhi la ragazza, cercando di indugiare in quel momento, quasi potendone trarre quanto di meraviglioso celasse.
Buonanotte”.
Notte, notte”. Si era voltata, ma le era piaciuta l'idea che non avesse chiuso la porta fino a quando non aveva svoltato l'angolo ed era scomparsa dalla sua vista.

“Brittany?”.
Si riscosse nuovamente e sua madre le sorrise, il fidanzato alle sue spalle.“Neal ci stava chiedendo se volessimo andare con lui a cena fuori”, le fece presente.
“Certo, vado subito a cambiarmi”, aveva sorriso ad entrambi e si era affrettata a scendere dallo sgabello per non subire un nuovo interrogatorio.
“E' più distratta del solito o mi sbaglio?”, Neal che aveva cinto la vita della donna e appoggiato il mento alla sua spalla, ne stava studiando il profilo con le sopracciglia inarcate.
Sorrise, Shirley, volgendo appena il viso ad osservarlo. “Altroché!”, esclamò con voce squillante. “Una bella distrazione che si chiama-”.
“MAMMA!”, ne sentirono l'esclamazione rimbombare in tutta la casa e risero entrambi.
“In effetti, forse dovremmo continuare la conversazione tra donne”, Shirley aveva baciato la guancia dell'uomo per poi divincolarsi dolcemente.
“Immagino non ci sia alcuna probabilità che io sia incluso”, aveva domandato, un vago sorriso divertito e la donna si era voltata a guardarlo.
Inclinò il viso di un lato, le sopracciglia inarcate. “Pronto a preoccuparti di ragazzi e appuntamenti?”.
Aveva deglutito a fatica, Neal. “Decisamente no”.
Aveva scrollato le spalle, Shirley. “Allora prendo congedo, Signore”, aveva imitato il gesto militare con tono enfatico prima di sgattaiolare fuori della cucina. “Britty Woman, non abbiamo finito!”.
Sorrise, Neal e scosse il capo. Era tutto perfetto. Si sporse con il dito proteso verso il tetto della casetta di marzapane.
Almeno fino a quando non sentì un deciso: “Non provarci neppure!”. Scorse la donna appoggiata alla porta che lo guardava con aria minacciosa.
Rise e scosse il capo. Quasi perfetto.

~

Il Natale con mamma e Neal si era rivelato molto più piacevole di quanto si sarebbe potuta immaginare. Solo, Brittany aveva percepito un lungo momento d’apnea nel momento in cui, di fronte a quello sguardo raggiante, aveva scartato il regalo del suo patrigno, quasi quella busta gialla contenente i documenti relativi all'adozione, pesasse tra loro come un macigno.
Li aveva osservati a lungo, sua madre e Neal, seduta sulla rampa delle scale che conducevano al piano superiore, stringendosi le ginocchia al petto, avvolta nella sua camicia da notte.
Stavano lavando i piatti al lavello, giocando e sorridendosi come se la loro unione fosse nata da ben prima. Vi era una tale armonia e una sensazione di calore e di famiglia cui avrebbe voluto prendere parte, ma sembrava ancora non esser giunto il momento in cui ciò sarebbe stato naturale e spontaneo e Brittany cominciava a domandarsi, con crescente ansia, quando sarebbe accaduto. E se ci fosse qualcosa di sbagliato dentro di sé che lo stava impedendo.
Natale era presto passato e il nuovo anno sarebbe cominciato con la festa organizzata da Neal e che Shirley aveva appoggiato con il solito entusiasmo alla prospettiva di conoscere nuove persone ed includere quelle già incontrate in quei mesi.
Da parte propria, Brittany non aveva provato una simile fibrillazione neppure al ballo o tanto meno dedicato così tanto tempo (con correlativa trepidazione e timore) alla scelta dell'abito, del make up e dell'acconciatura. Ma non poteva negare che l'occasione che si stava presentando era più che allettante, seppur non proclamata (ma certa che sua madre lo avesse già capito, visto come lo sguardo azzurro scoccasse in sua direzione con aria saputa).
Era già in salotto, il drink in mano e gli occhi che saettavano tutto attorno, tra visi ed abiti diversi, trasalendo ogni volta che sentiva suonare alla porta e uno dei due adulti si affrettava ad andare ad aprire, immaginando di chi si trattasse per il modello dell'auto o la sagoma intravista dalla finestra con l'ausilio delle luci decorative disseminate anche nel giardino.
“E' l'auto di Jonathan”, sentì dire a Neal e fu spontaneo slanciarsi alla porta quando, qualche istante dopo, sentì il trillo del campanello. Finse di non accorgersi del sorrisetto che increspava le labbra della madre ma, lo sguardo entusiasta e carico d’aspettative, schiuse l'uscio.
Trovò Jonathan, in un elegante cappotto a doppiopetto, che le rivolse un sorriso. “Buonasera, Brittany”.
“Buonasera, Professore”, lo ricambiò.
L'uomo scosse il capo e le sorrise con fare bonario, il viso inclinato di un lato. “Jonathan,” precisò. “per stasera sono solo Jonathan”.
Entrò ma Brittany trattenne l'uscio aperto e gettò un'occhiata interrogativa verso il giardino. L'uomo, che stava togliendosi il cappotto, rivelando uno smoking scuro che ne fasciava perfettamente la statuaria figura, sembrò intuire il suo pensiero. “Purtroppo Hunter non è potuto venire”.
“Oh”. Sentì il cuore fermarsi in petto, ma cercò di mascherare la delusione. Dopotutto sarebbe stato più che naturale che avesse preferito trascorrere la serata con gli amici o... con Kitty, ed era stata una mera e sciocca illusione quella di poterlo avere con sé.
Jonathan la stava scrutando curiosamente, ma l'impaccio di trovare qualcosa da dire le fu risparmiato dall'arrivo di Neal che esortò l'amico ad unirsi alla compagnia.
Chiuse la porta alle sue spalle, Brittany, e si guardò mestamente attorno: persino nella sua nuova casa, in quel momento, faticava a sentirsi parte di quell'atmosfera. Abbandonò il proprio bicchiere su uno dei tavoli del buffet e salì le scale verso la propria camera. Cercava di non pensare a quanto si sentisse sciocca per avere immaginato che quella serata avrebbe avuto tutt'altra piega o quanto sarebbe stato bello constatare che anche lui avesse aspettato quel momento per rivederla.
Si accomodò sul pouf di fronte alla toletta e imbevette il cotone con dello struccante, pronta a detergere il viso, quando intravide la silhouette della madre dal riflesso dello specchio.
“Britty Woman, che stai facendo?”.
Sorrise appena del nomignolo ormai storico e sua madre si avvicinò, si appoggiò con le ginocchia al pavimento e ne scostò una ciocca di capelli dal viso. Brittany, tuttavia, ne evitò lo sguardo.
“Non avrei dovuto perdere tempo a truccarmi”, sussurrò con voce tremante e scosse il capo.
“Sono sicura che già si pente di non essere qui con noi”, fu la delicata risposta, ma Brittany scosse nuovamente la testa.
“Perché dovrebbe?”.
“Chiediglielo”, rispose prontamente. Era quasi divertente quel suo modo di fare sempre pragmatico e la schiettezza nel parlare di chiunque e con chiunque, senza la benché minima esitazione o imbarazzo.
“Se anche volessi, non ho il suo numero”.
“Potresti distrarre suo padre, io gli ruberò il telefono”, aveva proposto e in tono così serio e composto che le strappò una risata divertita, malgrado tutto. “Oppure, sua madre le aveva ripassato le labbra con il rossetto. “potresti scrivergli una lettera: sarà come parlargli di tutto ciò che senti e potrai decidere se dargliela o meno, prima o poi”.
“Una lettera”, parve rifletterci, le sopracciglia inarcate e lo sguardo perso in un punto indefinito.
“Intanto porta il tuo bel faccino di sotto: non ti permetterò di restare in camera e da sola. ”. Le aveva cinto la mano e si era rimessa in piedi, attendendo che la seguisse. “Suggerirei una fotografia con l'amichetto di Marley, tanto per testare la gelosia. O per vedere chi ha le spalle più ampie: me lo sto chiedendo da quando me lo hai presentato”, era parsa seriamente curiosa al quesito.
Scosse il capo, Brittany, ma già più serena. “Scenderò tra due minuti”, promise, stringendole la mano e sorridendole. “Grazie, mamma”.
“Buona fortuna: ho già detto che mi piace?”.
“Svariate volte, ma so anche leggere tra le righe”, fu l'ironica risposta.
Scrollò le spalle, Shirley, apparentemente indifferente a quell'evidenza. “Era per controllare, a dopo”.

Non era andata come aveva sperato, ma la serata era piacevole, soprattutto la compagnia di Marley e di Ryder, pur sentendo addosso lo sguardo della madre. Stava scegliendo uno stuzzichino con cui riempire lo stomaco dopo aver passato l'intera ora tra balli di gruppo, quando la sagoma di Jonathan si fermò al suo stesso tavolo. Aveva ancora un drink tra le mani e sembrava che stesse scegliendo a sua volta qualcosa da sgranocchiare.
“Ti stai divertendo?”, le chiese in tono pacato e curioso.
“E' una bella serata”, rispose la ragazza, reclinando appena il capo per osservarlo.
Aveva annuito, Jonathan, lo sguardo verde identico a quello del figlio e Brittany aveva cercato di non soffermarsi su quella somiglianza. Le stava ancora sorridendo, ma parve farsi pensieroso prima di inclinare il viso di un lato, dopo essersi inumidito le labbra con l'analcolico. “Io vorrei ringraziarti, Brittany”.
“Me?”, aveva chiesto confusa e spiazzata. Ma si predispose all'ascolto: sapeva naturalmente quanto Neal gli fosse affezionato e che non a caso ne sarebbe stato il testimone di nozze, ma era sempre sembrato poco ciarliero. O il tipo di persona che non era affatto avvezza a parlare a sproposito.
“Per una cosa, anzi due: la prima è perché non ti addormenti più durante le mie lezioni”. Sorrise dello strato d’imbarazzo che ne aveva imporporato le guance, ma vi era lo stesso alone complice dei sorrisi più divertiti di Hunter.
“La seconda,” continuò con lo stesso tono composto e lo sguardo era divenuto più intenso nell'osservarla attentamente. “è perché credo che la tua presenza sia stata la cosa più piacevole capitata a Hunter in questi ultimi mesi”.
Aveva sgranato gli occhi, Brittany e l'uomo aveva annuito con molto sussiego. “Lo fai sorridere come non accadeva da troppo tempo”.
Il ricordo delle parole di Neal alla festa la fece sospirare, ma aveva parlato con tono così solenne che non poteva che esserne lusingata, seppur timorosa che una propria domanda od osservazione potesse lederne la discrezione o essergli fonte di disagio. Ma c'era comunque qualcosa che poteva dirgli e che probabilmente gli era dovuto, visto la gentilezza che le aveva riservato. Gli sorrise, il viso inclinato di un lato e le gote colorate.
“Tengo molto a lui, vorrei anche io che sorridesse più spesso”.
Jonathan aveva annuito, prendendo un bicchiere di analcolico, dopo avergliene porto uno. “E lui a te”. Aveva cozzato il bicchiere contro quello della ragazza, ma si era dovuto congedare, un sorriso e una lieve pressione sulla sua spalla, quando Neal ne aveva reclamato la presenza.
Brittany rifletté a lungo su quelle parole: istintivamente sapeva che quella di Jonathan non era stata una formula di cortesia. Era stato uno degli ultimi a congedarsi dalla festa e Brittany non aveva mancato di indugiare nuovamente con lui sulla soglia. “Gli porti i miei saluti”, lo aveva pregato.
“Lo farò”, l'aveva rassicurata con un ultimo sorriso.


~

Quando rientrò in casa, trovò il figlio seduto sul divano, un libro tra le braccia e gli occhiali appoggiati sul naso. Non si era mosso, quando aveva riposto il cappotto, ma aveva appena sollevato lo sguardo dalle pagine del libro.
“Una bella serata?”, gli chiese.
Jonathan annuì, mossosi con incedere fluido verso la cucina, era tornato con due bicchieri e una bottiglia di spumante che aveva stappato con un movimento sicuro del polso, prima di porgerne uno al figlio. “Buon anno, figliolo”.
“Buon anno”, aveva ricambiato l'altro, abbandonando il proprio libro per un istante.
Stava ancora rigirando il liquido nel bicchiere, come un sommelier, Jonathan, mentre si abbandonava per un istante contro lo schienale del divano, osservandolo con la coda dell'occhio. “Una piacevole serata ma c'era una graziosa fanciulla che credo non stesse aspettando me sulla soglia dell'uscio”, aveva commentato con voce pacata, fissando il proprio bicchiere. “Anche se devo dire che lo specchio è stato molto generoso con me questa sera”.
Il fatto che non ci fosse alcuna intonazione scherzosa o maliziosa, non impedì al ragazzo di aggrottare le sopracciglia e boccheggiare appena.
“Ti manda i suoi saluti”, aggiunse il padre con la stessa flemma.
Annuì, Hunter, lo sguardo fisso sulle pagine del romanzo senza tuttavia leggerne le parole o comprenderne il significato. Provò ad immaginarla e un sospiro gli sfuggì dalle labbra.
Si era sollevato, Jonathan, evidentemente consapevole che non sarebbe riuscito a strappargli una maggiore confidenza, soprattutto se avesse provato a torchiarlo. Ma, dopotutto, certi fatti erano evidenti ad ogni buon osservatore, specie se palesati in modo spontaneo. “Credo che andrò a riposare: l'anno prossimo andrà bene, figliolo. Credo avrà in serbo molte novità”.
Annuì, Hunter, e parve davvero sperarlo.

~

Le vacanze di Natale erano scivolate via con inaudita velocità e, per quanto fosse piacevole trascorrere il tempo tra quelle che erano divenute le sue mura domestiche, cominciava persino a scalpitare all'idea che, da lì a poche ore, avrebbe nuovamente visto il giovane. Il pensiero si tradusse in una dolcissima aritmia e ciò che, nella sua mente, aveva preso a definire 'il mal di pancia da Hunter'.
Si soffermò ancora una volta: la valigia era piena solo a metà, ma esitò con un pullover tra le mani e lo sguardo corse alla scrivania. Una busta rosa era adagiata sulla stessa: la prima lettera che avesse mai composto. La stesura era avvenuta la sera di Capodanno: specchiarsi negli occhi di Jonathan Clarington e riceverne le parole di stima non aveva fatto che accrescere quel dolce batticuore e la nostalgia dell'altro viso altrettanto familiare. Aveva ripensato al consiglio della madre e si era accomodata di fronte alla scrivania: aveva preso fogli bianchi e la propria penna preferita dall'inchiostro rosa che risaltava come i petali di un fiore.
Aveva scoperto di non averne solo il bisogno, ma persino una predisposizione naturale per quanto lo stile ne rispecchiava la semplicità. Chissà se un giorno avrebbe avuto il coraggio di consegnargliela, si era chiesta spesso e volentieri quando il sonno faticava a giungere e carezzava Lord Tubbington addormentato sul suo grembo.
Sembrò indecisa, ma prese l'involucro nello stesso momento in cui, con un rapido guizzo, sua madre schizzò letteralmente nella stanza e fu lesta ad avvicinarsi alla finestra con la stessa agilità di una spia in un film d'azione.
La ragazza sbatté le palpebre con aria confusa. “Mamma, ma cosa-?”.
Si era abbassata bruscamente, Shirley, quasi avesse temuto di essere il bersaglio di un cecchino esperto. Si volse altrettanto rapidamente e le fu davanti, prendendole le spalle.
“Corri, corri di sotto: è lui!”
“Cosa? Di chi-?”.
“Presto! Ho distratto Neal con la torta!”, la stava letteralmente sospingendo fuori della porta.
Ancora stordita, la lettera in mano, Brittany scese rapidamente la scalinata: era a metà della stessa, quando sentì il campanello suonare.
“Apre Britty Woman!”, annunciò Shirley al piano di sopra e le fece cenno alla porta con aria esaltata, prima di nascondersi nella sua camera.
Scosse lievemente il capo, Brittany: d'accordo che il vicino non le piaceva per il vizio di sputare mentre parlava, ma sembrava un po' esagerato nascondersi addirittura.
Schiuse la porta, con aria rassegnata, ma il suo cuore si bloccò alla vista del giovane che, sull'ingresso del portico, la stava osservando. Quasi ispirato dai suoi stessi pensieri, eccolo lì.
Quasi due settimane erano passate dall'ultima volta che lo aveva scorto e il suo cuore iniziò a galoppare rapidamente nello scrutarlo. Se da un lato quel tempo di separazione era quasi parso infinitamente lungo ed insostenibile, dall'altro aveva la sensazione che il tempo si fosse persino fermato. Avrebbe potuto sporgersi di poco per poterlo sfiorare e appurare che tutto fosse reale.
“Ciao Brittany”, la salutò in un sussurro.
Lord Tubbington, sgattaiolato da sotto le gambe della padrona, miagolò in direzione del giovane quasi a mo' di saluto.
“Hunter”, sussurrò Brittany che deglutì prima di stropicciarsi i capelli, la mano appoggiata alla porta e il sorriso che ne addolciva l'espressione l'attimo dopo. Schiuse maggiormente l'uscio. “Vuoi entrare?”, chiese con voce rauca.
Sperò che fosse la sua immaginazione e, dal piano di sopra, sua madre non avesse realmente commentato a mezza voce un “trascinalo per la giacca!”.
Parve vacillare il ragazzo, ma scosse il capo e si umettò le labbra, una mano si sfiorò la nuca e se non lo avesse conosciuto a lungo nei panni del Capitano severo ed inflessibile (o quasi), avrebbe potuto pensare che fosse realmente nervoso in quel momento. “In realtà dovrei rientrare ma, visto che stavo passando di qua, stavo pensando...". Lo sguardo verde era adesso volto al micio e si schiarì la gola e alluse a lui con un cenno del mento. “... potrei prendere Lord Tubbington in anticipo: rientrerò presto domattina e sarà più facile portarlo nella mia camera”.
“Oh”, era parsa spiazzata la ragazza: aveva fatto quella deviazione soltanto per il suo gatto? Per quanto la sua cortesia fosse quasi... eccessiva, non poteva negare quella spiacevole sensazione. Delusione?
La cosa strana era che persino Hunter, in quel momento più corrucciato, non sembrava affatto contento.

Ma non era il caso di dimostrarsi poco riconoscenti, concluse tra sé, e gli sorrise. “Sei molto gentile”, aveva preso tra le braccia il felino che guardava dall'uno all'altra.
“Figurati, è un piacere”.
“Eccolo qua”, glielo aveva porto delicatamente e lo aveva osservato tra le braccia del ragazzo.
Lord Tubbington emise un miagolio ancora evidentemente confuso da quella nuova situazione.
Pareva il momento di lasciarlo andare: non c'era davvero altro da dirgli? Non che avesse sperato di sentirgli dire che era venuto per un saluto o con l'intenzione di vederla – se avesse voluto, in fondo, avrebbe potuto profittare di quelle due settimane di vacanza – ma... aveva almeno sentito un po' la sua mancanza? Anche solo una minima parte di quella che aveva provato lei? Sarebbe stato più che sufficiente. Indugiò nervosamente, morsicandosi il labbro, mentre Hunter sembrava soppesare di congedarsi, subito dopo aver estratto le chiavi dalla tasca della giacca.
“Hai passato delle belle vacanze?”, gli aveva chiesto d'impulso, simulando un altro sorriso allegro e spensierato, passandosi una mano tra i capelli, il viso inclinato di un lato. “Mi sei mancato”, si sentì dire con voce più flebile, ma tutto parve fermarsi nell'istante in cui l'autentico stupore sembrò alterare i lineamenti del ragazzo e Brittany sentì le guance ardere. “Alla festa”, aggiunse.
Era stata una sua impressione o, dal piano superiore, era giunto un verso d’esasperazione?
Che avesse sbagliato o meno, sapeva che non avrebbe comunque ritirato quelle parole, soprattutto quando il volto dell'altro si aprì in un sorriso che parve farne illuminare gli occhi. In modo repentino ed improvviso ma così spontaneo e naturale che le strappò un brivido lungo la spina dorsale.
“Mi dispiace essere mancato”, le disse, il viso inclinato di un lato nell'osservare gli occhi azzurri.
“Non dovevi sentirti obbligato”, aveva cercato di sminuire con un sorriso, scrollando le spalle. “E poi avrai avuto altri programmi con... altre persone”. Scosse il capo, quando l'immagine di Kitty le apparve di fronte con inaudita nitidezza.
Era parso pensieroso, Hunter ma, con sua sorpresa, aveva mosso un passo in avanti e si era chinato di modo che i loro occhi fossero alla stessa altezza. “E' stato bello ricevere i tuoi saluti: il modo migliore di cominciare il nuovo anno”, aveva proferito con voce profonda che le aveva fatto scalpitare più intensamente il cuore. Brividi caldi e freddi lungo la spina dorsale, le sue labbra s’incresparono in un sorriso, aveva insinuato la lettera nella tasca posteriore dei pantaloni, coperta dalla lunga blusa che indossava. Indugiò in quella posizione, ignorando Lord Tubbington il cui musetto si era sporto verso la padrona con un miagolio.
“Non è stato il modo migliore di concludere quello vecchio, non essere qui con te”.


~
Stava canticchiando in cucina, Neal, mentre apriva il frigorifero ed estraeva la torta gelato dallo stesso: un'espressione estatica sul volto che ne fece scintillare gli occhi e salire l'acquolina in bocca al pensiero di infierire su quella magnifica composizione con una forchetta da dessert.
Non resistette dall'allungare un dito a sfiorare la glassa decorativa per poi emettere un mugugno soddisfatto e appoggiare la teglia sulla tavola già munita di una spatola da cucina e di un piatto sul quale depositare una porzione particolarmente generosa.
Fece per intagliare la fetta, quando percepì il suono del campanello e sollevò appena gli occhi al cielo, l'aria sospirata e sofferta prima di sentire la voce della fidanzata. Evidentemente sollevato, scrollò le spalle e sedette con aria particolarmente compiaciuta. Si beò di lasciar mischiare il sapore del dolce sul palato.
Scosse il capo, cercò di concentrare la sua attenzione sui due piatti vuoti che si affrettò a riempire per portarli alle due donne ma, quando scostò l'uscio con un fianco per entrare in soggiorno, colse il movimento con cui Brittany si era avvicinata al gradino di ingresso, il grasso felino che le passava accanto.
Ma cosa?
Si avvicinò quatto quatto, in punta di piedi letteralmente e si appiattì contro l'uscio (Brittany l'aveva quasi chiuso, evidentemente essendosi avvicinata alla persona che aveva suonato: che si trattasse della recluta Rose?) e fu allora che sentì la voce di Hunter.
Un lampo di sorpresa ne fece baluginare lo sguardo primo di realizzare che la giovane si era letteralmente chiusa fuori con lui, senza che nessuno fosse presente e che stavano parlando in tono più sommesso. Si irrigidì: le immagini del loro unico ballo durante l'anniversario dell'Accademia gli baluginarono in mente e così le parole di Jonathan di evidentemente stima che aveva accolto con aria lusingata quanto quella di Shirley. Ma che il suo amico stesse celando un ben altro tipo di lode?
Si sentì letteralmente accasciare contro la porta.
No, non stava accadendo.
Non era neppure (ufficialmente) genitore di ruolo.
Calma, calma, si ammonì, il sudore freddo che scivolava lungo le tempie.
“Mi dispiace essere mancato”, aveva sentito dire dal ragazzo e aveva sgranato gli occhi, realizzando che stava parlando della festa del veglione.
“Non dovevi sentirti obbligato”.
Sorrise compiaciuto della risposta della ragazza: stava prendendo le giuste distanze, ottima mossa dopotutto.
Ma era del figlio del suo migliore amico che si stava parlando e non era stato lui stesso il primo a riporre totale fiducia, tanto da conferirgli la carica più alta della sezione maschile? Non era forse lui il primo a sentirsi rassicurato a sapere che ci sarebbe stato un altro sguardo vigile sulla figliastra, in caso di necessità.
Ma è stato lui a tradire la mia fiducia, gli suggerì una voce interiore.
Si avvicinò ulteriormente perché Brittany aveva nuovamente parlato, ma non era riuscito a cogliere il sussurro, evidentemente erano abbastanza vicini perché non occorresse parlare a voce alta.
Perché dovevano stare così vicini?
Brutto, brutto segno.
Ok, lui era il padrone di casa, il patrigno nonché il Preside e le tre “p” avrebbero dovuto significare qualcosa per quel traditore della patria.
Perché diavolo continuavano a parlare a voce così bassa?
Era il caso di prendere provvedimenti, ma di mettere la torta al sicuro per prima cosa.


~

Si era presa un lungo istante, Brittany, ad assaporare quel momento: il cuore nuovamente in gola e il respiro più rado ma era pura serenità quella che brillava nei suoi occhi in quel momento. Quella dolce aspettativa che sembrava nuovamente arrecarle una dolce vampata di calore e di speranza, di fibrillazione e di realizzazione che tutto fosse reale e quel momento fosse soltanto loro.
“Ma adesso sei qui”, aveva sussurrato con voce più tremula per poi schiarirsi la gola. “Per Lord Tubbington”, aggiunse con un sorriso più complice ad indicare che il patto tra loro era ancora in vigore.
Aveva sorriso, Hunter, lo stesso sorriso più divertito, ma aveva annuito, uno scintillio più dolce dello sguardo nell'inclinare il viso di un lato. “Sì, sono qui”, aveva sussurrato in risposta e nei loro sguardi sembrò esservi una comunicazione e comprensione che andasse ben oltre le parole espresse in un reciproco avvicinamento. Sembravano entrambi pensare che ci fosse un motivo ben diverso, pur senza necessità di esplicitarlo, quasi timorosi di infrangere quell'atmosfera.
Brittany estrasse la lettera dalla tasca posteriore e la strinse, quasi necessitando di quella pressione per placare quella nuova agitazione. La lettera, pensò, le dita che tremavano. “Hunter?”, aveva reclinato il capo per osservarlo.
“Sì?”.
“Io...”, sarebbe stato semplice allungare il braccio e porgergliela o lasciare che lui si avvicinasse senza parlare, rischiando così di dire qualcosa di sbagliato.
Sarebbe stato tutto molto più semplice se Neal non fosse apparso sulla soglia, facendoli trasalire entrambi e fu un movimento rapido quello con cui Brittany nascose nuovamente la lettera.
“Hunter!”, esclamò con voce più stentorea che sembrò letteralmente rimbombare nel cortile cosparso di ghiaccio. “Giusto in tempo per la torta”, sorrise ad una maniera quasi maniacale nel guardare dall'uno all'altra, aspettandosi che entrassero entrambi e sostassero laddove avrebbe potuto controllarli.
Hunter sbatté le palpebre, ma parve riprendersi abbastanza in fretta perché gli rivolse un cenno del capo. “Signore”.
“Vieni dentro: prendi la torta con Brittany, Shirley e me”, scandì bene le ultime parole, lo stesso sorriso gioviale malgrado uno strano tic all'altezza della palpebre.
“Ti senti bene, Neal?”, gli chiese Brittany con gli occhi sgranati. “Ti sta tremando l'occhio”, lo aveva additato, ma il patrigno aveva riso in una pessima imitazione dell'entusiasmo dei Babbo Natale dei centri commerciali nell'accogliere i bambini e farli sedere sulle proprie ginocchia.
“Non so di cosa tu stia parlando”, si schermì rapidamente. “Allora, Hunter?”, lo stava nuovamente guardando con lo stesso sorriso fin troppo gioviale che parve irrigidire il ragazzo, probabilmente dotato di qualche sesto senso.
“La ringrazio, ma io,” si schiarì la voce, quasi ricordando solo in quel momento di trattenere un felino obeso tra le braccia. “mi stavo congedando a dire il vero”.
“Che peccato”, Neal sospirò con aria fintamente rammaricata.
“Neal!”, era stato l'aspro rimprovero di Shirley che si era appoggiata alla sua spalla e adesso lo guardava con le sopracciglia corrugate. Ma quando tornò ad osservare i due, recuperò immediatamente il sorriso più allegro e spensierato, con quel luccichio più suadente dello sguardo. “Lasciamo che Brittany saluti il suo Capitano,” si era sporta verso di lui. “sempre che io non riesca a convincerlo ad entrare”.
Sembrò deglutire, Hunter, che si schiarì la gola. “Temo di essere già in ritardo e mio padre mi attende, quindi dovrei davvero andare”.
“Veramente”, Neal sembrò annaspare nel guardare dall'uno all'altra e cercare qualcos'altro da aggiungere ma Shirley lo trascinò dentro con un “Se non ti sbrighi finirò anche la tua porzione”.
Brittany si volse verso il giovane, vagamente confusa: che la torta avesse contenuto qualcosa di strano al suo interno?
Hunter sembrò recuperare la sua proverbiale compostezza e rilassarsi quando entrambi gli adulti furono rientrati. “Allora, ci vedremo domattina”.
Aveva annuito, Brittany, un vago sospiro nell'accompagnarlo verso l'auto: lo aveva osservato schiuderne la portiera dei sedili posteriori per appoggiarvi Lord Tubbington al quale aveva deposto un'ultima carezza, raccomandandogli d’essere obbediente. Aveva nuovamente sorriso al giovane che, tuttavia, sembrava indugiare dal circumnavigare l'auto per prendere posto dal lato guidatore e sentì i suoi battiti accelerare nuovamente.
Lanciò una vaga occhiata alla casa, Hunter, ma le aveva sorriso nuovamente, le mani affondate nelle tasche del lungo cappotto e si era chinato al suo volto a baciarne la guancia in un tocco appena accennato che era stato sufficiente a farle colorare e divampare un nuovo calore in petto.
“Anche tu mi sei mancata”, aveva sussurrato infine.
Sorrise, Brittany, e Hunter si volse nuovamente dopo un ultimo cenno di saluto ed entrò in auto.
Seguì il tragitto con lo sguardo, fin quando l'auto non svoltò e solo allora rilasciò il respiro, prima che la voce nuovamente alterata di Neal la richiamasse alla realtà e si affrettò a rientrare.

~

[...] Belle si domandò se non fosse stato l'effetto della neve e del suo candore che sembrava ingentilire ogni cosa. O se non fosse quella magica atmosfera che le scaldava il cuore fin da bambina nell'avvicinarsi al Natale e al grande albero decorativo sotto il quale avrebbe trovato tutti i suoi doni. Ma poi si diede della sciocca per averlo anche soltanto pensato: la reale gioia era scorgere il suo sguardo e vederne quel barlume di autentica serenità e di tenerezza a renderne i lineamenti meno mostruosi e rigidi, riuscendo a scorgere quello che sarebbe somigliato ad un Principe. Quell'animo puro e gentile che doveva ancora esistere e di cui lei era realmente persuasa, della gioia che avrebbe nuovamente potuto provare, scacciando la solitudine e tornando ad essere se stesso. Perché una parte di sé avrebbe continuato a credere che quel sorriso non fosse stato casuale ma che l'incantesimo potesse essere spezzato e lui stesso, in cuor suo, non attendesse altro. Che quel Natale gli aveva nuovamente recato la speranza che la sua vita non fosse finita. [...]

Aveva terminato il capitolo con un sorriso, Brittany, ripose anche la spazzola sul tavolino della toletta, insinuò il libro nel proprio trolley e si immerse nelle coperte. Ripensò alla lettera che aveva nascosto tra le pagine dello stesso libro.
Il momento giusto sarebbe arrivato, dopo quel giorno non aveva più il benché minimo dubbio.



To be continued...

Un capitolo di transizione, potremmo definirlo, ma prendetelo come un personale augurio in occasione delle festività natalizie che si stanno finalmente avvicinando.
Come sempre, ringrazio chiunque mi stia seguendo, in modo particolare le persone che allietano la pubblicazione lasciandomi loro commenti ed impressioni, siete le mie unicorn girls <3

Un'occhiata al prossimo capitolo:


Sarebbe un peccato se tu rinunciassi alla danza, anche se averti qui è... divertente”. “Ehi, di questo passo Finn sarà geloso”.
Ho fatto una cosa brutta”. “Lo hai fatto volontariamente?”. “No, cioè, non avrei dovuto farlo, ma non volevo ferirlo”.
Sono solo un peso”. “E' quello che dico da mesi”.

Mi dileguo e prendo congedo, prima di sentirmi addosso le proteste indignate, ma posso dire che stiamo giungendo ad un punto di svolta importante.
Di nuovo auguri a tutti voi di un sereno Natale per voi e le vostre famiglie :)
A presto,
Kiki87

1 Si tratta di uno spin off che si colloca nel periodo natalizio, quando l'incantesimo della Bestia ancora non è stato infranto e Belle vive nel castello con lui. Il testo che ho riportato è una favola che Belle ha scritto per la Bestia; l'altro è un dialogo in cui Lumière e gli altri servitori stanno spiando Belle e la Bestia mentre pattinano, nella speranza che i due si innamorano. Fife è un flauto (da umano un musicista) che è in combutta con il “cattivo” della storia per impedire che l'incantesimo venga spezzato, da lì il “devo fermarli” (ma sentirlo nel cartone è doppiamente divertente :D).
2 Latin Lover ad una maniera Hunteresca (?). Ma sì, penso si sia capito :D

   
 
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