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Autore: hirondelle_    13/12/2013    2 recensioni
- È davvero un bambino bellissimo. - lo sentì sussurrare, e lo vide stringere il ferro della culla ospedaliera fino a farsi sbiancare le nocche. - Posso toccarlo?
Kidou trattenne il fiato a quella richiesta: posso toccarlo, come se sfiorare pelle della sua pelle e far sbocciare quei rossi rubini che erano i suoi, loro occhi fosse un peccato, un gesto proibito, una cosa troppo grande per essere alla sua portata. Come se volesse dargli un addio.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Axel/Shuuya, Bryce Whitingale/Suzuno Fuusuke, Jude/Yuuto, Shuu
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Paranormal'
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"La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quale ti capita."
[Forrest Gump]
 



Un piccolo uccellino tardivo volteggiava pigro sopra la sua testa accompagnato dalla solita brezza invernale. Freddi attacchi di vento facevano alzare il suo cappotto grigio, costringendolo ad abbracciarsi affondando il viso nella sciarpa di lana. Tra le dita la sigaretta si consumava velocemente, spargendo la cenere, una scia biancastra che si perdeva nella prima neve.
Non amava il freddo. Lo sentiva fin dentro le ossa, ne rabbrividiva. Lo percepiva ostile, artigli affilati come rasoi che si insinuavano sotto i vestiti, sfiorando la pelle con carezze languide e maligne.
Percorse l'acciottolato fissando indifferente le sporadiche gocce di pioggia: esse s'infrangevano nello specchio immobile del parco, rompendo la superficie del laghetto con violenza aggraziata. C'era malinconia nell'aria serale, seppur oscenamente coperta da una coltre di allegria priva di colore.
Era Natale. Il giorno dei regali, delle luci e delle risate. Un piccolo salto nel vuoto, l'illusione di essere felici. Era una bella sensazione, essere felici, quasi come l'innamorarsi comporta i nostri pensieri più desiderati.
Pochi pensieri affollavano Gouenji quella sera di dicembre. Una notte normale. Un sogno corrotto. Nulla sarebbe stato più semplice di una buona cioccolata calda davanti alla stufa elettrica del suo appartamento, un piccolo rifugio dalle spire del freddo. Non pensava a nulla, semplicemente si avviava puntuale verso l'ospedale.
La metro era affollata da coloro che si ritrovavano sempre all'ultimo minuto. Caos, grida, corpi premuti l'uno sull'altro. Era quasi preferibile una passeggiata di ghiaccio, a tutto il resto.
Entrò attraverso il cancello soffiando piano nuvole di condensa, e si unì al gruppo dei familiari in visita ai pazienti. Strinse maggiormente al petto il piccolo pacchetto regalo che si era portato dietro, quasi uno di loro avesse potuto strapparglielo dalle mani, o forse per evitare che il gelo giungesse anche nel suo cuore. Rimase per ultimo, a rimuginare tra sé un pensiero idiota, abbandonando la sigaretta sull'asfalto ruvido. Entrò attraverso le porte scorrevoli senza vederle, e la luce riflessa dalle pareti bianchissime quasi lo accecò con il suo tremendo bagliore.
Salì i gradini delle scale due a due, fissando distrattamente i cartelli posti alle pareti: il reparto pediatria si trovava al primo piano, nell'ala ovest dell'ospedale. Ormai conosceva la direzione da prendere, e la percorreva quasi senza accorgersene. Era strano pensare a come tutti quei passi equivalessero in un certo senso a un viaggio verso una meta indefinita, ogni singolo giovedì. Passi che non lasciavano traccia, eterni come il tempo.
Eppure, sebbene percorresse gli stessi corridoi da anni, quella volta affrettò il passo. No, forse non tutto era perduto, non tutto era finito.
Quando spalancò la porta della sua stanza un sorriso gli era già nato in volto, un piccolo e dolce accenno di chiarezza rincuorante.
Non disse una parola mentre si avvicinava al letto, e non cercò l'interruttore della luce. Lo osservò accarezzandolo lievemente con lo sguardo, e per un attimo desiderò non svegliarlo per il semplice gusto di guardarlo dormire.
Fu proprio il paziente il primo a destarsi, sentendo il rumore dei suoi passi.
- Non dirmi che stavi dormendo sul serio. - Abbozzò una risata, guardandolo mentre si stropicciava gli occhi assonati e si metteva seduto.
-  Stavo riposando. - ridacchiò l'altro, mentre un sorriso di ciliegia si dipingeva sul marmo della sua pelle.
Gouenji sorrise e gli si sedette accanto. Lo sfiorò con le dita, con tanta delicatezza da avere l'impressione che con un gesto più rude avrebbe potuto scalfire la superficie nivea della guancia. Eppure l'altro gli prese la mano e la premette con dolcezza più consistente sul suo viso, baciandola poi piano. Socchiudeva gli occhi, sorridendo. A Gouenji non era mai sembrato tanto felice. - Mi sei mancato. Ti aspettavo, sai?
- Anche tu. - sussurrò lui sovrappensiero. Sentiva il curioso bisogno di fare meno rumore possibile. - Ti ho portato un regalo per la notte di Natale. So che è poco…
Non finì la frase e abbandonò il pacchetto sulle gambe pietrificate del ragazzo. Lì rimase, lui non si mosse per scartarlo. - Grazie. - disse solo, sinceramente. - Vorrei scartarlo dopo. Quando andrai via, prima di addormentarmi.
Gli sorrise rassicurante, senza lasciar andare la sua mano e sfiorandola col pollice. - Come vanno gli affari? Ho sentito che avete molti clienti ultimamente. Siete molto conosciuti nel quartiere.
- Merito di Haruna, è lei che  ha il timone della nave. - ridacchiò imbarazzato il biondo: lui più che portare i vassoi e ammiccare alle giovani clienti con fare civettuolo non faceva proprio niente. Non gli interessavano i conti e poco gli importava dell'afflusso di persone che entravano e uscivano dalla porta a vetri.
Il paziente si stese, sospirando, mettendosi comodo tra le lenzuola bianchissime. Gouenji aveva sempre pensato che non ci fosse colore più triste del bianco: la sua pelle, le pareti della stanza, il letto di ferro. Tutto riportava a una gelida angoscia.
- Le infermiere sono pazze di te.
- Geloso? - ghignò accattivato, sporgendosi su di lui e baciandogli una guancia.
- No.
Shuuya sbatté le palpebre nel notare l'assoluta pacatezza di quegli occhi ocra, lucidi come se fosse sul punto di piangere. Era sempre stato di un animo assolutamente sensibile, eppure forte. Un'immagine carina sarebbe stata una spiga di grano scossa violentemente dal vento, fragile e sottomessa ma sempre pronta a rialzarsi al cessare della brezza.
Egli socchiuse gli occhi, abbandonandosi al morbido delle lenzuola. - Sai, non sei costretto ad amarmi. - sussurrò in un soffio. - Mi sento egoista solo a desiderare la tua presenza.
Shuuya corrugò la fronte e rimase in silenzio, il tempo necessario per sporgersi su di lui maggiormente e baciarlo sulle labbra. - Stai zitto. - disse, e poi basta.
Si rialzò e gli sorrise, cambiando subito discorso. D'un tratto le parole dell'altro vennero cancellate, come un errore. Uno sbaglio segnato con la penna rossa.
- Vorrei tanto sapere quando si decideranno a spostarti in un altro reparto. Mi sento sempre un pedofilo ad aggirarmi per questi corridoi. - confessò ridendo, ogni pensiero triste svanito.
Egli rise con lui, di un'ilarità pura e veritiera. - Ora non lo sei più, non sei contento?
Shuuya alzò le spalle e non rispose, tenendo sempre la mano stretta nella sua.
- Scade l'orario delle visite. - sussurrò piano, senza aver bisogno dell'orologio. D'un tratto, il silenzio si impossessò di loro e il freddo penetrò lungo le maniche del pigiama del paziente, il quale rabbrividì socchiudendo gli occhi.
- Vai.
- Vado.
- Il bacio, il bacio della buonanotte.
- Ti amo, Yuuichi.
- Non me lo dimenticherò.
 
Piangeva sempre dopo quella mezz'ora. Le lacrime scivolavano sul suo viso appena veniva a contatto col gelo lasciato dalla neve, e arrivando a casa si ritrovava sempre con gli occhi gonfi di ciò che si ripeteva ogni volta senza che lui ci potesse fare qualcosa.
Anche quella sera entrò nell'appartamento con gli occhi che gli bruciavano e le mani gelate, seppur coperte dai guanti che gli aveva comprato Haruna.
Si avvicinò senza un suono verso la stufa della cucina, e lì rimase, fin quando non sentì il tipico rumore della porta che si apriva.
- Ciao Kidou.
- Ciao Shuuya.
Non si voltò per guardare il coinquilino: rimase con gli occhi puntati verso le fiamme della piccola stufa, senza una parola. Però fu costretto a girarsi subito dopo, solo per riuscire a incontrare quegli occhi rossi. Era un bel colore, il rosso, soprattutto se associato a quelle fiamme vermiglie che saettavano voraci dietro quegli occhiali da vista.
Yuuto era rimasto sull'entrata, assorto nei suoi pensieri. I rasta erano, come sempre, raccolti in una coda che tuttavia non li rendeva meno ribelli. Teneva il giubbotto fra le mani tremanti, senza una parola. - Haruna è già arrivata?
- No. - soffiò fuori Gouenji, sbattendo le palpebre assonnate. - Credevo fosse con te. Perché non vi ho incrociati?
- Abbiamo preso la metro.
- Ah.
Il discorso cadde con quell'ultima sillaba, prima che la porta si aprisse di nuovo e una piccola figura, più piccola e gracile di quella del fratello, scivolasse nell'atrio e lo guardasse come se fosse la prima volta. Percorse il corridoio con la busta dei risultati in mano e l'espressione tacita, senza salutare. Kidou la seguì con lo sguardo.
Per un attimo Shuuya non trovò nulla di anomalo in quel silenzio teso. E come poteva essere altrimenti? Facevano così da mesi, ormai, senza che nessuno dei due desse cenno di cedimento.
Yuuto prese una sedia e si sedette accanto a lui, gli occhi lucidi e il volto raggrinzito. Si teneva le mani, tanto screpolate dal freddo da sembrare quelle di un vecchio.
- E' incinta. - disse solo, e nulla di più.
 
Angolino di Macareux
Salve a tutti!
Quella che vi sto presentando è una piccola mini-long (al massimo sei capitoli, credo) su un piccolo progettino che mi è passato per la mente.
E' stato un periodo abbastanza duro per me, specialmente riguardo la considerazione del mio modo di scrivere. Perciò ho pensato che fosse una cosa carina prendermi una piccola pausa e lavorare su qualcosa di mio senza avere l'ansia per ogni dettaglio. Eccola qui, infine, semplice semplice.  Non ho voluto pensare a niente di particolare scrivendo… né alle recensioni, né al mio modo di scrivere. Certo, ho cercato di correggere gli errori, ma solo fino ad un certo punto.
Vi ringrazio per la vostra pazienza: spero di aggiornare qualcosa al più presto. Forse con le vacanze di Natale mi tirerò un po' su c:
Au revoir!
 
Fay
   
 
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