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Autore: Laninthesky    14/12/2013    1 recensioni
Katniss Everdeen, la Ragazza di Fuoco, il volto della ribellione.
Peeta Mellark, il ragazzo in grado, con poche parole, di accendere gli animi di tutto Panem.
Gale Hawthorne, il braccio armato della rivolta.
Finnick Odair, il martire, il cui sangue ha redento il Paese.
Sono loro gli unici autori del cambiamento? Sì, secondo i libri di storia.
Ma sono tanti gli eroi che si sono mossi nelle retrovie: rimasti nell'ombra dell'oblio, dimenticati dai più. Questa è la storia di uno di loro: Blight Lannister, il Golden Devil del Distretto 1.
Genere: Angst, Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri tributi, Annie Cresta, Finnick Odair, Johanna Mason, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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From yesterday, it's coming. From yesterday, the fear!


Qualcosa si spezza, dentro me, e poi nulla: è come se tutte le sensazioni della serata – rabbia, esitazione, determinazione, sollievo e, nonostante tutto, persino un po’ di divertimento – siano svanite nel nulla, catturate da un buco nero che, al centro del petto, mi schiaccia i polmoni, togliendomi il respiro.

«Blight, tesoro, non preoccuparti, è solo un Senza Voce! Senza offesa, sono sinceramente dispiaciuta per ciò che ti è accaduto!» dice Nikki sorridendo, frapponendosi fra me e l’uomo che, serrando ancora di più la mascella, mi guarda negli occhi. La sua espressione deve essere così diversa dalla mia: se mi guardassi allo specchio, sono sicuro che nel mio sguardo riuscirei a leggere solo paura e confusione.

Lui – perché è molto più facile pensare a mio padre semplicemente come lui -, invece, non sembra affatto intimorito: non so perché, ma mi sembra un leone vecchio. Stanco, ormai prossimo alla rovina, disconosciuto da coloro che prima lo adoravano e lo rispettavano: un’animale tragicamente solo e disperato. Eppure, nel luccichio del suo sguardo, avrei giurato di vedere anche dell’altro: rimpianto, dolore, affetto… «Nikki, puoi lasciarci soli, per favore?» chiedo, cercando di modulare la voce nel tono più neutro e indifferente che riesco ad assumere. «Ci vediamo domattina.»

La stilista, a quel punto, smette di osservare quello che, per lei, è solo un banale Senza Voce e torna a fissare tutta la sua attenzione su di me. «Cosa? Ma non pensarci neanche! Tu devi finire di raccontarmi tutto quello che Finnick…» «Nikki, ti prego, vattene. Ora!» la interrompo, cercando di sembrare maleducato e scortese: detesto doverlo fare, ma ho bisogno di capire perché mio padre, il grande Vincitore che se ne è sempre fregato di me, è diventato il mio Senza Voce. Non che abbia molta importanza, comunque: quello che doveva sembrare un ordine imperioso mi esce dalla gola come un mugolio strozzato e disperato.

«Come vuoi, Blight.» dice lei, improvvisamente accondiscendente: mi fissa interrogativa, cerca di capire cosa mi abbia sconvolto tanto, per poi rivolgere il suo sguardo guardingo e freddo sull’uomo che mi sta di fronte. «Per qualsiasi cosa, sono nella camera qui di fronte. Non disturbarti nemmeno ad uscire dalla tua stanza: urla e io verrò subito.» dice, mentre apre la porta e, in modo estremamente silenzioso, esce dalla stanza. Ora io e mio padre siamo soli.

«Perché sei qui? È una specie di scherzo? Una trovata pubblicitaria di Wes? Il tragico ritrovamento del padre poco prima della mia morte, suppongo che a Capitol City lo adoreranno.» Sputo fuori tutto il rancore che per quasi sedici anni ho nutrito verso di lui, con un cinismo di cui nemmeno io mi credevo capace. L’uomo stringe ancora di più i denti, come a mordersi la lingua che evidentemente non ha. In effetti, questo è un indizio piuttosto chiaro del fatto che mio padre non è qui per sua volontà, che se fosse per lui, in questo sarebbe lontano anni luce dalla mia stanza.

In qualche strano modo, la cosa riesce a rendermi ancora più furioso. «Beh, paparino, sappi che sì, ti ho riconosciuto e che no, non ti abbraccerò ora. Vorresti rimproverarmi, adesso, vero? Dire qualcosa di molto paterno, tipo “Hey, ragazzino, devi portarmi rispetto!”» Fisso nuovamente i suoi occhi e sento il mio volto rilassarsi in un sorriso serafico e velenoso. «Un vero peccato che tu non possa parlare, non trovi?»

So che è piuttosto stupido, ma mi pento di quelle parole nell’esatto istante in cui le pronuncio. Perché fondamentalmente è vero, ho voglia di litigare. Sono un adolescente: nessuno mi capisce, sono l’essere più sofferente del mondo e sfogo la mia aggressività contro chiunque mi capiti a tiro. Come qualsiasi adolescente. Il mio unico desiderio, in questo momento, è di spingere mio padre alla rabbia. Magari anche di rimediare una sberla, come è capitato ad ogni figlio del mondo.

Ma la smorfia di puro dolore che gli attraversa il viso non più giovane, beh, non l’ho mai desiderata. Non distoglie il suo sguardo dal mio, ma un'unica, grande e silenziosa lacrima gli attraversa la guancia destra, per sparire velocemente nell’incavo del collo.

Distolgo il mio sguardo dal suo senza proferire parola: mi spoglio con lentezza, piegando con accuratezza i vestiti sulla sedia. Compito che in realtà spetterebbe a lui, ma che mi assumo volentieri, visto che mi da l’occasione perfetta per non guardarlo. Mi infilo il pigiama velocemente e mi stendo sul letto. Un tacito invito implicito nel gesto: vattene e lasciami in pace.

Ma il Senza Voce questo invito non lo coglie: si siede sul letto, al mio fianco, e mi rimbocca le coperte. E lì capisco: mio padre sa che avrei tutto il diritto di urlargli contro ogni insulto possibile ed immaginabile. Sa che potrei persino farlo fustigare per la sua invadenza. Eppure è qui, tranquillo, che mi rimbocca le coperte come farebbe un normalissimo papà con suo figlio piccolo. Sento gli occhi pizzicarmi perché sì, nonostante tutto, nelle fredde notti di inverno del Distretto 1, ho sempre immaginato che lui sarebbe tornato a fare una cosa del genere. Fisso la forte luce del lampadario sopra di me per ricacciare indietro le lacrime. Cerco i suoi occhi alla ricerca di qualcosa che mi riporti indietro dai miei viaggi mentali: rabbia, risentimento, voglia di soffocarmi con un cuscino, ma trovo solo affetto disinteressato. Di quello di cui sei capace solo con qualcuno a cui vuoi veramente bene e a cui pensi ogni giorno: qualcuno per cui sei disposto a sopportare qualunque tipo di ingiustizia, se questo servirà a farlo stare meglio.

Lui si accorge che lo sto guardando e solleva gli angoli della bocca, in un sorriso quasi imbarazzato. Ma improvvisamente, abbassa gli occhi e fa per alzarsi. Se ne sta per andarsene, realizzo, come avrebbe già dovuto fare da tempo. Sorprendentemente, mi accorgo di non volere che lo faccia. «Puoi rimanere ancora un po’? Sono troppo su di giri, non credo che riuscirei a dormire. Ti prego…» La mia voce è tremante e supplichevole e, udite udite, non me ne frega assolutamente niente. È tutto il giorno che fingo una sicurezza che in realtà non possiedo e, improvvisamente, mi sento veramente distrutto. A pezzi. Mio padre sorride, questa volta per davvero: ha i denti perfetti, bianchi e scintillanti, sigillati ad impedire qualsiasi sguardo sull’orribile mutilazione che gli hanno inferto. Ormai sono passati parecchi anni dai suoi Hunger Games, eppure con quel sorriso è evidente: se avessi ereditato solo la metà di quella che deve essere stata la sua avvenenza, non avrei niente da invidiare a Finnick Odair.

Si avvicina al letto e io mi sposto sul lato sinistro, in modo da lasciare libero per lui quello destro. Quando sento che si è disteso accanto a me, appoggiando la sua mano sulla mia spalla, chiudo gli occhi. Sento le lacrime che trattengo da due giorni farsi vicine, ancora una volta, ma mi trattengo. Il suo respiro, tranquillo e lento, è rilassante e cerco di modulare il battito del mio cuore su quel ritmo. Uno strano pensiero si fa largo nella mia testa, mentre mio padre continua a stringermi il braccio come per darmi forza. Nonno non avrebbe mai giustificato il mio atteggiamento di prima. Non sarebbero valse scuse, ne giustificazioni, ne spiegazioni per una crudeltà così gratuita. Nonostante il pensiero mi stringa il cuore, sento il mio corpo rilassarsi e i miei ragionamenti farsi sempre più nebulosi. Così, quando sento la mia voce, lenta e impastata, dire «Perdonami per essere stato assolutamente detestabile, papà.», non riesco a capire se è la realtà oppure sto sognando.

 

Mi sveglio dopo qualche ora di sonno tranquillo, senza sogni: il sole è già sorto, abbastanza alto nel cielo da farmi capire che non manca molto prima che Wes venga a svegliarmi per il primo giorno di allenamento. Le emozioni della serata precedente sono confuse, indistinte e qualcosa mi spinge ad evitare di cercare di riportarle a galla: non avrei le forze di alzarmi da questo letto se perdessi tempo a rievocare lo stupore, la tristezza, la rabbia e, mi costa caro ammetterlo, pure la gioia che ho provato nel vedere mio padre. Non ho bisogno di perlustrare la stanza per sapere che lui non c’è: non si sarebbe potuto trattenere, in ogni caso. Non senza finire nei guai e, diciamocelo chiaramente, lui ha passato la sua intera vita a fuggire dalle sue responsabilità e questo non può essere cancellato da pochi minuti di conforto.

Piuttosto che cominciare ad autocommiserarmi, decido di andare a farmi una doccia caldissima. Spingo qualche bottone a caso fino a che non vengo ricoperto da soffici volute di schiuma azzurra e inondato da un potente getto d’acqua calda e riporto la mente alla sera precedente, a quanto Finnick mi ha detto.

Includere i suoi tributi nei miei piani: cosa gli aveva esattamente fatto pensare che io avessi un piano per uscire vivo dall'Arena? Certo, ho passato tutta la mia vita ad allenarmi in vista di questo oscuro momento. Benchè non sia un Favorito in senso stretto, sono molto più preparato di quanto potrà mai esserlo qualsiasi ragazzino del 12: sono forte, allenato e, per di più, ho visto le registrazioni di tutte le sessantacinque edizioni degli Hunger Games che si sono tenute fino ad oggi. Sessantacinque stili di combattimento diversi, uno più letale dell’altro, fusi insieme per creare qualcosa di nuovo: l’abilità da spadaccino di Gloss e di arciere di Cashmere, del mio Distretto; la furbizia di Blight Grey, mio omonimo del Distretto 7; l’astuzia dei morfaminomani del Distretto 6 e, auspicabilmente, una presa sul pubblico che sia almeno la metà di quella esercitata dall’ultimo vincitore, Finnick. Quindi sì, so cosa mi aspetta e so come affrontarlo. Ma questo non mi da nessuna garanzia del fatto che sopravviverò: quanto mi conviene allearmi con gente che, alla fine, sarò comunque costretto ad uccidere? Senza considerare che questa è la più rosea delle ipotesi: dopotutto, chi mi garantisce che i miei alleati non mi uccideranno nel sonno?

Razionalmente, capisco una cosa: farei meglio ad infischiarmene di Odair e ad uccidere quanta più gente possibile durante il bagno di sangue. Ma irrazionalmente, il pensiero di quella luce così particolare che abbandona gli occhi verde mare di Aria Cresta, la ragazza del 4 che Finnick mi ha chiesto di proteggere, mi provoca una strana fitta allo stomaco.

 

«Errra orrra Blight! Crrredevo volessi saltarrre il tuo prrrimo giorrrno di allenamento!» Mi passo una mano sui capelli rossi ancora bagnati, leggermente a disagio: l’allenamento non comincerà prima di un’ora, ma Wes e Amber stanno già facendo colazione: lei è già vestita di tutto punto, con l’uniforme destinata all’addestramento. «Non biasimarlo, Wes!» sorride lei, amabile. «Ieri sera si è fatto Finnick Odair, deve essere ancora giù di tono. Meglio per me, no?» Mi guarda con leggerezza, mascherando ottimamente la sua acidità. «Oh, per la miseria.» esclamo, alzando le mani al cielo. «Basta con questa storia! Non sono interessato a Finnick Odair, ne a nessun altro ragazzo. Ma si può sapere perché tutti pensino male di due ragazzi che si sono appena conosciuti ad una festa e che vanno in una camera da letto per parlare un po’?»

Aggrotto un sopracciglio non appena smetto di parlare: in effetti sì, ammetto che okay, avrei potuto essere molto più convincente di così. Ma che cavolo. «Parlare? Si dice così, adesso?» dice Amber, sorseggiando tranquilla il suo succo di frutta. «Dimmi una cosa: tu stavi sopra sotto? Sembrate tutti e due così poco virili, non riesco proprio ad immaginare chi dei due possa sco…» Non riesce a finire la frase, Amber. Troppo occupata a schivare il contenuto di un piatto di uova. Lanciato con l’unico intento di colpirla in faccia. Da me.

Wes è terrorizzato, mentre le uova strapazzate mollicce si infrangono contro il muro e Amber mi fissa, con un’espressione a metà tra l’inferocito e il terrorizzato. Nonno non sarebbe troppo fiero, se sapesse che ho cercato di colpire una ragazza. Ma quella non è una ragazza: è una piccola strega bugiarda che cercherà di uccidermi, se non la faccio prima fuori io. «Vuoi litigare, alleata? Perfetto, litighiamo. Non è colpa mia, se faccio più colpo di te sulla gente, biondina. Sai, Gloss ha ragione: io posso anche sembrare un bambino. Ma i bambini crescono, Amber, anche molto in fretta, se necessario. Diventano adulti e combattono. Di te cosa hanno detto, Amber? Ah, giusto, che sei debole. Ma questo non puoi cambiarlo, Amber.» Mi avvicino a lei, respirando contro il suo collo bianco. «Sei nata debole, Amber, e debole resterai. Saprai anche tirare i coltelli, dolcezza, ma chi nasce tondo non muore quadrato.» le soffio all’orecchio, sogghignando. Sento i suoi muscoli irrigidirsi e, ancora una volta, capisco di essere riuscito a ferire il mio bersaglio, nel profondo. E ancora una volta, la reazione della mia vittima mi lascia di sasso: Amber si volta, senza nemmeno guardarmi, e si dirige in camera sua senza dire una parola. Persino Wes mi fissa sconcertato. Wes, che adora gli psicodrammi e le uscite di scena teatrali. Wes, che ora mi fissa intimorito, come se avesse paura di essere fatto a pezzi. E puoi forse negare che non ti tema a ragione? Negli occhi di Wes, spalancati, vedo il mio riflesso, ma non mi riconosco. Non vedo più il ragazzino un po’ impacciato che si lamentava troppo per le attenzioni del nonno con il suo migliore amico. No: l’individuo che sto guardando è un essere senza scrupoli, pronto a sfruttare qualunque cosa a proprio vantaggio. La popolarità di Finnick. La condizione di mio padre. La sensibilità di Amber. Amber, la temibile Favorita che solo con me aveva mostrato il suo lato più umano. La targhetta che mi ha regalato Jamie, ancora appesa al mio collo, sembra fatta incandescente. Stay strong, c’è inciso sul metallo. Ma fino a che punto si può rimanere forti senza perdere se stessi?

 

Sono nervoso, quando scendo alla Sala di Addestramento. Teso, come una corda di violino. Amber è scesa senza di me, senza dire una parola e io vorrei non averla offesa in quel modo. Ho paura dei Favoriti, paura di quello che Capitol City mi sta facendo e vorrei avere lei al mio fianco. La vedo, quando le porte dell’ascensore si spalancano, conversare con i Tributi del Distretto 2: ieri erano vestiti da statue, ma oggi non sembrano troppo diversi, entrambi alti e possenti. Quando mi vedono, Amber e la femmina distolgono lo sguardo, mentre il maschio sembra scoprire leggermente i denti. La bionda deve sicuramente aver detto loro qualcosa su di me e, improvvisamente, mi sento con le spalle scoperte. «Ciao!» trilla una voce femminile alla mia destra: impiego circa una decina di secondi per capire che il saluto era rivolto a me e a voltarmi. Panico: due occhi verdi, accompagnati da un enorme sorriso, mi stanno fissando. «C-ciao!» balbetto, poco convinto: la mia capacità di trasformarmi da uno schiacciasassi privo di cuore in un ragazzino imbranato non finirà mai di stupirmi. Ragazzino imbranato. Sono un ragazzino imbranato. È questo quello che penso, mentre un sorriso sincero mi contrae i muscoli delle guance: forse non sono ancora così perso, così marcio, dopotutto.

«Voglio dire, ciao! Scusami, mi hai colto di sorpresa!» esclamo ridacchiando, mentre la ragazza al mio fianco fa lo stesso: il suono che emette è puro e argentino, da bambina. «Sono Blight, comunque. Tu devi essere Anya, se non sbaglio…» dico, fingendo indifferenza. Lei sembra vagamente offesa: si porta entrambe le mani, sottili e minute, ai fianchi, gonfiando il petto. «Veramente mi chiamo Aria.» dice, cercando di darsi un contegno che, evidentemente, non è abituata ad assumere con nessuno. È a dir poco bellissima, con i suoi lineamenti delicati, il suo nasino all’insù e le sue labbra sottili.

«Oh, lo so!» dico, sperando di nascondere in un ghigno strafottente il rossore delle mie guance. «Finnick mi ha parlato di te. Ti stavo mettendo alla prova.» sussurro, come se le stessi confidando un segreto di vitale importanza. «Alla prova per cosa?» mi chiede lei, modulando il suo tono di voce per portarlo alla stessa altezza del mio. «Per essere sicuro che tu non fossi una spia, è ovvio.» La mia risposta non ha assolutamente alcun senso, ma Aria scoppia a ridere, dopo essere rimasta interdetta per un paio di secondi. Ha una risata contagiosa, penso, mentre mi sfiora il braccio con la mano. «Finnick aveva ragione, sei veramente un tipo forte. Lance, vieni qui, che ti presento una persona!» urla Aria in direzione di un ragazzo alto e biondo che sta cercando – senza troppi risultati – di roteare un’ascia. Questa gli cade di mano mentre la ragazza del 2, alta e bella come un’amazzone, gli fa un occhiolino. Lui sembra imbarazzato, mentre raccoglie l’arma e si dirige verso di noi grattandosi la testa.

«Sei un disastro, Lancey caro. Comunque, questo è Blight Lannister. Blight, questo è un mio compagno di scuola, Lance Donovan!» Annuncia Aria, solare. Stringo la mano al ragazzo con un sorrisetto di circostanza, stupendomi di quanto la sua stretta sia molle, rispetto alla mia. Ieri, alla parata, mi era sembrato molto meno insicuro. Lance sembra in imbarazzo e, nel giro di due secondi, si è nuovamente dileguato: fa roteare l’ascia un paio di volte, prima che questa gli scivoli di nuovo di mano, mancandogli il piede di un paio di centimetri. «Oh, per Poseidone, quel ragazzo è un vero disastro!» dice Aria sospirando, ma non riuscendo a nascondere un sorriso divertito mentre, scuotendo la testa, guarda il suo compagno di Distretto. La cosa più stupefacente è che Aria non sembra soddisfatta dell’inettitudine del suo compagno, come ci si aspetterebbe da un comune Tributo: semplicemente, nel suo viso sembra esserci più affetto che compiacimento. Una parte non ben precisata del mio corpo fra i polmoni e lo stomaco ha un sussulto: cosa sarei disposto a dare perchè lei guardi anche me in quel modo?

«Allora, Blight, prima di andare ad allenarci, vorrei parlare con te di una cosa…» butta lì, lei, riportandomi alla realtà, grazie al cielo. Sembra imbarazzata, Aria: quell’imbarazzo contenuto che provano le persone moderatamente orgogliose quando le circostanze le obbligano a dover chiedere un favore a qualcuno. Fisso i suoi occhi e valuto l’ipotesi di tenerla un po’ sulle spine, così, tanto per il gusto di farlo. Stranamente, l’idea risulta estremamente poco allettante. «Finnick mi ha detto che, beh, insomma, ieri sera…» La sua esitazione è a dir poco adorabile, penso. Penso anche che sono uno stupido a fare certi pensieri in situazioni del genere. Ma, soprattutto, penso che Aria sia adorabile.

«Sì, abbiamo parlato. E sì, sono assolutamente interessato ad allearmi con te. E con Lance.» dico, gonfiando il petto, come ad assumere un atteggiamento da vero supereroe. Gli occhi di Aria sembrano illuminarsi. «Anche con Lance, sul serio?» La sua sorpresa sembra assolutamente eccessiva. «Sì. Insomma, se lo vuoi e se lo vuole anche lui!» Lei apre i palmi di fronte a sé, come se volesse intimarmi di non dire altro. «No. Cioè, sì, lo voglio. Cioè, lo vogliamo, assolutamente!» dice, tutto d’un fiato, prima che entrambi scoppiamo a ridere. «Aria?» la chiamo, non appena ho abbastanza fiato per parlare. «Sai, tutti qua sembrano crederlo, ma ci tengo a precisare che, tanto per dire, eh, a me piacciono le ragazze e che fra me e Finnick, ieri sera, non è successo assolutamente niente. Cioè, ci siamo solo parlati. Cioè, abbiamo… Oh, cavolo.» sbuffo, prima di scoppiare a ridere di nuovo, insieme a lei. «Tranquillo, ne sono più che certa! Quella scimmia di Finnick me l’avrebbe detto, suppongo, se fosse successo qualcosa fra voi.» dice lei, ancora ridendo, dandomi delle pacche sulle spalle. «E, scusa se te lo dico, ma il fatto che così non sia stato mi rende piuttosto felice, ora che ti conosco.» Non faccio in tempo a capire per quale motivo Aria sia contenta – se per Finnick o, cosa molto improbabile, per me – che l’Istruttrice, appena entrata in sala, ci richiama all’ordine.

Dopo un discorso di un quarto d’ora sul fatto che, praticamente, siamo tutti carne morta, qualunque cosa facciamo durante l’addestramento, la donna se ne va impettita, lasciando ai Tributi l’onere di decidere quale Addestramento affrontare. Io, Aria e Lance – ricomparso al nostro fianco da poco, dopo aver appreso da Aria che sì, anche lui era stato scelto per la squadra – decidiamo, di comune accordo di dedicarci alle tecniche di sopravvivenza quella mattina. Ci dividiamo: io devo andare alla sezione trappole e nodi – sono il più carente nell’argomento, visto che sia Aria che Lance hanno una certa esperienza, visti i loro trascorsi con reti e pescherecci -, mentre i ragazzi del 4 si dedicheranno, rispettivamente, a bacche velenose e tecniche di sopravvivenza. Entro un’ora, nuovo appuntamento al centro della sala per ruotare le posizioni. Ma ho appena capito come si fa un cappio quando sollevo gli occhi: la scena che ho davanti mi congela il sangue. Lance, coi pugni stretti ma con la faccia terrorizzata, fissa il massiccio Tributo del 2, che sorride minaccioso. Non fraintendetemi, Lance sembra veramente simpatico, ma non è lui a preoccuparmi, quanto piuttosto la piccola ragazzina che si frappone fra lui e il ragazzo nerboruto del 2, urlando insulti ed imprecazioni a raffica. Sembra così piccola e indifesa: sento di dover intervenire, pur essendo perfettamente consapevole che, da qui a poco, saranno i Pacificatori a calmare la scaramuccia. «Qualche problema, ragazzi?» chiedo, freddo, mentre con passi ampi e lenti mi avvicino al gruppetto. «Suvvia, non sei un po’ troppo grosso per prendertela con lei?» lo schernisco, mentre mi porto sotto al suo viso, al fianco di Aria. Ma quanto cavolo è grosso?

«Eccolo qui, il grande uomo, il cavaliere senza macchia giunto a salvare i suoi amichetti. Ma dimmi, Blight, sai fare qualcosa, oltre che blaterare? Parli, parli, parli, ma non è che, sotto sotto, sei solo una montatura?» Una voce femminile, acida e squillante, attira l’attenzione verso un punto imprecisato alle mie spalle. Accompagnata dalla ragazza del 2, Amber mi passa a fianco, posizionandosi, dopo una piroetta felina, al fianco dell’armadio umano. Mi guarda con odio, scintillante nei suoi chiari occhi verdi e, improvvisamente, ricordo quanto mi fossi sentito vicino a lei, solo ieri: non posso dire che questo cambiamento mi faccia piacere, ma non sono stato io a cominciare a comportarmi da psicopatico.

Non rispondo: fisso i miei occhi su Amber prima di girare i tacchi e andarmene, mollando Aria e Lance lì. «Bravo, scappa!» dice la bionda, in una risata roca. Ma io non sto scappando: mi dirigo verso la rastrelliera e afferro uno degli archi appesi ed una faretra carica di frecce. Ritorno verso di loro, mentre Aria mi guarda confusa; Lance sembra ancora troppo spaventato per capirci qualcosa. Arrivato a un paio di passi da Amber, le do le spalle. Prendo un ampio respiro, mentre incocco una freccia e, senza pensarci troppo, la lancio, mirando alla giuntura fra due piastre di metallo che rivestono la parete della Sala. La freccia si conficca in un punto un po’ più a sinistra. Proprio come pensavo: l’arco è bilanciato un po’ diversamente da quello che usavo al Distretto. Ma ruotando un po’ il busto…

«Assolutamente stupefacente.» dice Amber, con un convincente tono stupito che poco toglie al suo sarcasmo. «Hai colpito un muro. Impressionante, dovremmo ritirarci tutti e, non so, organizzare un suicidio di massa, perché con te nell’Arena siamo spacciati.» I ragazzi del 2 scoppiano a ridere, seguiti a ruota da Amber. Mi volto verso di lei, rivolgendole un sorrisetto amaro: so che è stupido, ma mi trovo a desiderare sul serio di aver cercato di chiarire con lei, poche ore fa, piuttosto che assalirla. Non lo ammetto ad alta voce, ma mi sarebbe veramente piaciuto averla come alleata. Invece non dico nulla, mentre mi allontano nuovamente: questa volta, posiziono sette manichini completamente bianchi sul fondo della sala, per poi dirigermi sul lato opposto, quello in cui si trovano Aria, Lance, Amber e i tributi del 2. Faccio tutto con estrema lentezza, mentre sento gli sguardi dell’intera sala poggiarsi con discrezione su di me e il resto dei Tributi farsi da parte.

Faccio un respiro profondo, mentre rilasso i muscoli di spalle e braccia: Aria mi sta guardando, non posso deluderla. Fletto leggermente le ginocchia, mentre la faretra si fonde alla mia schiena e l’arco, che continuo a tendere e distendere per saggiarne l’elasticità, diventa un prolungamento delle mie braccia. Cerco di immaginare una sorta di oscurità che mi avvolge, isolando immagini e suoni intorno a me. Ora siamo solo io, l’arco e, venti metri più avanti, i manichini: potenziali nemici, ostacoli che si frappongono fra me e la libertà. E il mio corpo si muove, quasi senza che razionalmente me ne renda conto. Ruoto un po’ il busto, incocco la freccia e la scocco, afferrando poi un secondo dardo senza nemmeno aspettare di aver visto la traiettoria del primo. Poi ne afferro un terzo, quindi un quarto. I miei movimenti sono fluidi e veloci: due giorni di inattività, fortunatamente, non hanno cancellato dieci anni di preparazione. Quando l’ultima freccia è scoccata, nella sala regna il silenzio.

Ora, gli uomini di plastica presentano qualche accessorio che prima non c’era: frecce, per lo più. Due manichini hanno un dardo conficcato al centro del petto, tre alla testa e due sulla coscia. Un colpo apparentemente sbagliato, questo, ma che reciderebbe l’arteria femorale del mio obiettivo. Se anche riuscisse a fuggire, morirebbe dissanguato nel giro di dieci minuti. Tutti sono piuttosto stupiti dalla performance, tranne Amber e i ragazzi del 2, che sembrano, piuttosto infastiditi. Aria, invece, sorride divertita. «Punteggio pieno, passa al livello successivo. Lancey caro, non poteva andarci meglio di così!»

 

Durante il resto della sessione d’allenamento, decido di mantenere un basso profilo: sopravvivenza, nodi, trappole, fuochi e botanica sono le attività a cui mi dedico dopo il mio piccolo show. Attività poco impegnative, che, per quanto utili e assolutamente degne di attenzione – generalmente, la prima causa di morte di un Favorito che si rispetti e l’assoluta ignoranza in materia di caccia o di bacche velenose -, ma che non mi impediscono di dare un’occhiata agli altri Tributi. Aria, come mi era stato anticipato, se la cava alla grande con le armi da lancio: ha una forza incredibile per essere così minuta e, sospetto, non si sta nemmeno impegnando sul serio. Lance si sta dedicando senza troppo successo all’apprendimento delle tecniche di corpo a corpo, mentre i Favoriti lanciano coltelli a turno contro dei bersagli. Amber sembra particolarmente agguerrita: lancia le armi con aggressività, non mancando nemmeno un bersaglio. Il maschio del 2 non ha una mira così impeccabile, benché la sua forza sia assolutamente evidente: quando colpiscono il bersaglio, le sue lame si conficcano nella plastica fino all’impugnatura. Dopo dieci minuti, il suo manichino è talmente malridotto da dover essere sostituito. La femmina, invece, se ne sta imbronciata in un angolo, non prestando molta attenzione a nessuno. Per il resto, sono pochi i tributi che mi colpiscono sul serio: quelli del 10 e del 12 sono talmente magri ed evidentemente malnutriti da non avere chance. Quelli dell’11 sembrano essere in condizioni migliori, così come il maschio dell’8 e le femmine del 5 e del 7. Gli altri sembrano tutti troppo confusi per mostrare realmente di cosa sono capaci: niente di eccessivamente pericoloso, a prima vista. Anche se, ovviamente, mi appunto mentalmente di rinviare il giudizio sui tributi del 3. Nessuno avrebbe dato un soldo di cacio a quel Beetee, all’epoca dei suoi Hunger Games, eppure ha fatto fuori tre Favoriti in un colpo solo, con quella stramaledetta trappola elettrica.

Per quanto mi riguarda, non ho idea di come comportarmi di preciso: cosa mi conviene fare? Comportarmi da normale Tributo e cercare di formare una squadra abbastanza grande da contrastare Amber e quelli che, evidentemente, sono i suoi nuovi alleati del Distretto 2? Oppure atteggiarmi da Favorito e cercare, in qualche modo, di inserirmi nel gruppo della mia ex alleata, mandando al diavolo il patto con Odair? Inutile prendersi in giro: novantanove volte su cento i branchi di Favoriti sono il pericolo più grande dell’Arena. Ma i Tributi del 4? Aria potrebbe comodamente diventare una Favorita: da quello che dicono tutti, è piuttosto pericolosa. E da come mi strizza l’occhio ogni volta che manca un bersaglio, capisco che, praticamente, ora sta praticamente solo giocando. Ma Lance? A meno che non sia un grande stratega e ci stia prendendo tutti in giro, è un vero disastro. I Favoriti non lo accetterebbero mai nel gruppo, a meno che…

Sospiro rumorosamente. Ho assolutamente bisogno di parlare con Amber.

«Hey, alleato, la finisci di rigirarti quella cordicella fra le mani fingendo di fare nodi?» scuoto leggermente la testa, sorridendo, mentre mi volto verso la ragazzina minuta dagli occhi verde brillante. «Finito con le lance, Aria?» le chiedo, guardandola di traverso. Lei assume un’espressione contrariata. «La mia arma è il tridente, non la lancia. Hanno un bilanciamento diverso, non ci sono abituata.» dice, sbuffando. «La migliore amica di Finnick Odair che gioca con i tridenti? Non l’avrei proprio mai detto, originale!» la rimbecco sorridendo.

È rilassante parlare con lei: Aria sembra una bambina piccola, per come si comporta, eppure è evidente che non è delicata come lascia trasparire. Basta guardare le sue mani rovinate e screpolate a causa del duro lavoro per accorgersene. «Oh, Blight, proprio tu parli di giocare con i tridenti di Finnick?» dice in tono basso e seducente, prima di scoppiare a ridere. «Dai, non fare quella faccia, sto scherzando!» dice, dandomi un cazzotto sul braccio con forza. Devo trattenermi dal massaggiarmi il punto colpito.

«Piuttosto, direi che se l’incompatibilità con i tridenti è l’indice dell’eterosessualità di un ragazzo, direi che Lance è molto più virile di quello che sembra!» borbotto, a denti stretti, guardando il ragazzo biondo che, clamorosamente, manca il bersaglio del proprio tiro di quasi un metro. Aria si gira verso di lui e, improvvisamente, la sua espressione si fa triste. Idiota, stupido, deficiente ragazzino, vuoi chiudere quella bocca oppure no?

«Lance è un ragazzo così buono. Non è fatto per tutto questo. Lui è geniale, sai? Sarebbe potuto diventare chiunque avesse voluto, se fosse nato qui a Capitol City. Un medico, un avvocato, persino un attore!» il sorrisetto triste di Aria è, allo stesso tempo, rassicurante e angosciante. Rassicurante perché sì, non ha fatto troppo caso alla mia acidità e non ho rovinato tutto. Angosciante perché siamo tutti sulla stessa barca, no? Ad eccezione dei Favoriti, che sono nati per questo, tutti noi avevamo aspirazioni diverse, prima di essere mietuti. Aspirazioni che, anche nel caso di vittoria, ormai sono assolutamente infrante: siamo solo bestie da macello, dopotutto. Anche il più fortunato, il più forte, il migliore fra noi non riuscirà mai ad uscire completamente da quell’Arena – non con la mente e col cuore, per lo meno - e mi basta pensare a Finnick per rendermene conto.

«Dimmi la verità, ci hai ripensato?» chiede Aria, in tono neutro. Ma i suoi occhi enormi la tradiscono: tristezza e aspettativa, ecco cosa si legge nel luccichio nelle sue iridi. «Riguardo alla nostra Alleanza, dico. Tu sei fenomenale e sono più che convinta che Finnick ti abbia spinto ad allearti con me, piuttosto che con me e Lance. Fregatene di qualunque cosa tu gli abbia promesso: lui non andrà in quell’Arena, tu invece sì. Pongo un’unica condizione: se vuoi me, prendi anche Lance. Siamo un pacchetto unico, quindi decidi. Senza rancori, dopo saremo più amici di prima!» conclude, sorridendo. Ma ancora una volta, è il suo sguardo a mostrare il suo vero stato d’animo, tutt’altro che allegro: devo stringere le braccia al petto per resistere all’impulso di abbracciarla e di consolarla, mentre inalo il suo profumo a pieni polmoni. Sorrido strafottente, cercando di non mostrare quello che realmente sto pensando. «Wow, sei proprio partita in quarta, eh? Comunque, c’è una cosa che non sai di me: non ritorno mai due volte sulle mie scelte. Ho deciso che voglio voi due, e voi due avrò!» sussurro, con un tono di voce roco e sensuale e un accento molto più duro di quello del Distretto 1. Aria mi fissa per un secondo con la bocca leggermente socchiusa, prima di scoppiare in una risata così cristallina e dolce da scaldarti il cuore. «Era l’imitazione del tono da pesce lesso di Finn, non è vero?» chiede lei, prima di scoppiare nuovamente a ridere. Ridacchio anche io. «Sì, grazie, grazie, lo so di essere uno showman!» esclamo, facendo due piccoli inchini. Quando ci accorgiamo che tutti ci stanno guardando, ci ricomponiamo, riuscendo a malapena ad evitare di scoppiare a ridere di nuovo. «Aria?» la chiamo, tornando immediatamente serio. Ma prima che faccia in tempo a parlare, Finnick irrompe nella stanza: mi fa un veloce cenno con il capo sorridendo, prima di richiamare i suoi Tributi e di trascinarli via a forza. Io e la ragazza facciamo appena in tempo a salutarci: tutta la rilassatezza ora è svanita, sostituita da un vago imbarazzo.

 

Sono passate cinque ore, da quando Aria se ne è andata. Il sole è tramontato da un pezzo e la palestra è deserta, ora, ma io non mi sento stanco come dovrei. Sono teso, sovreccitato e troppo nervoso per pensare di riposarmi: conosco troppo bene il mio corpo per non capire che, se stanotte voglio dormire, ho bisogno di ridurre i miei muscoli a pezzi. Per questo, ho impugnato la spada corta e la roteo in aria come facevo con mio nonno, alternando le sequenze di affondi e parate a scarti laterali e salti acrobatici. Il ripetere quegli esercizi che per anni hanno costituito il mio pane quotidiano è rassicurante: mi permette di staccare completamente il cervello, perché nei brevi istanti in cui sono in volo, durante un salto mortale, contano solo l’aria fra i capelli e la velocità. Dell’espressione delusa di mio padre, della rabbia di Amber e degli occhi verdi di Aria non c’è traccia, nella mia mente. «Hey, canguro, è ora di cena, Wes reclama la tua presenza.» Per poco non mi ammazzo durante un flic, quando uno dei miei pensieri si materializza alle mie spalle e parla, con voce irata e concisa. Amber. Mi volto verso di lei e la vedo: non indossa più la tuta di addestramento, ma un vestito da cocktail azzurro. I capelli sono semplicemente sciolti e le formano delle morbide onde dorate sulle spalle: nonostante l’acidità di Cashmere, Amber è bellissima e giovane come lei non potrà essere mai più.

La ragazza gira i tacchi e si dirige verso la porta immediatamente e io sospiro. Questo astio fra noi va avanti da più di un giorno e, sebbene in situazioni normali avrei aspettato un po’ prima di tastare il terreno, non posso attendere un minuto di più. «Amber, aspetta, voglio parlarti!» le dico, correndo verso di lei. Lei si volta, rivolgendomi uno sguardo diffidente. «Oh, davvero? Vuoi farmi notare quanto tu sia migliore di me dopo il tuo piccolo show con le frecce? Non ho voglia di starti a sentire, Blight, e…» Le porto l’indice alle labbra, in un gesto istintivo, ma lo ritraggo subito: temo che me lo stacchi a morsi, dallo sguardo in cagnesco che mi rivolge. «Dammi solo un minuto. Se non vuoi starmi a sentire, sarai libera di andartene, dopo. Ma fammi parlare, ti prego!» Il mio tono è supplichevole, infantile e assolutamente inadatto per rivolgersi ad una Favorita. Ma Amber è molto di più di una stupida ragazzina bionda con un inquietante fetish per i coltelli e questo avrei dovuto ricordarmelo sempre.

«Hai trenta secondi.» annuncia lei, secca, incrociando le braccia al petto. «Okay, basteranno. Volevo solo dirti che mi dispiace. Qualunque cosa pensassi, non giustifica quello che ti ho detto stamattina. Ero arrabbiato e avevo troppa paura, quindi ho agito d’istinto, senza pensare, come un animale ferito che si sente in trappola. Non penso veramente che tu sia debole: anzi, ieri sono stato io ad essere debole, alla parata, e tu mi hai dato la forza di non mollare. Sei stata una grande Alleata e io ho fatto qualcosa che ti ha fatto arrabbiare. Mi dispiace, non volevo. Spero che vorrai essere ancora mia amica. Lo so, è stupido, visto che fra venti giorni dovremo ammazzarci a vicenda, ma spero che, fino a che la cosa sarà impossibile, potremo veramente essere amici. Poi si vedrà.» Le parole si accavallano una sopra l’altra, rendendo quasi incomprensibile il mio discorso: quando smetto di parlare, ho il fiatone. In compenso, Amber mi guarda con un’espressione quasi spiritata, prima di scoppiare in una risata amara.

«Cioè, fammi capire. Tu mi stai chiedendo scusa?» Lì capisco: ho un’occasione per tirarmi fuori da quella situazione. Con una battuta caustica, potrei farle credere che, ancora una volta, sto cercando di farla affondare psicologicamente. «Sì, ti sto chiedendo scusa.» rispondo, invece, semplicemente. Lei scuote la testa, contrariata. «Blight, ti rendi conto che ho cominciato io a metterti i bastoni fra le ruote per prima, vero? Tipo, ieri sera, alla festa, quando ti ho evitato e ho fatto tutto il possibile per farmi notare più di te. E tu mi chiedi scusa?» Sbuffo, annoiato. «Ti ho già detto di sì, la smetti di farmelo ripetere?» le chiedo, recuperando un po’ della verve irriverente che mi ha caratterizzato negli ultimi due giorni. Lei questa volta sorride.

«Ti sei solo difeso stamattina, Blight. Sono io a dovermi scusare e lo sai. È solo che… Io mi alleno da una vita a questo. Sii carina, sorridi, compiaci tutti. All’Accademia ci insegnano pure questo. E poi arrivi tu. Non sei un Favorito, non ti sei allenato neppure la metà di quanto abbia fatto io, eppure fai tutto meglio di me. Ero invidiosa e volevo ferirti come tu hai ferito il mio ego. Pensavo che te lo meritassi. Ma non sono stupida: se anche gli sguardi che le hai lanciato alla parata non fossero stati abbastanza eloquenti, direi che oggi sei stato abbastanza svenevole da dimostrare di essere molto più interessato all’amica di Odair che a Odair in sé e per sé.» Le sue parole mi colpiscono come un secchio d’acqua gelata. «Cosa? No! Cioè, non dico che tu abbia torto a proposito di Odair, ma non ho fatto lo svenevole! Non troppo, dai!»

Amber mi guarda, scuotendo la testa. «Non c’è problema, okay? Solo, sta attento.» dice, seria. Ti ha dato un consiglio. Ottimo, ottimo segnale. «Va bene, mamma, hai ragione!» le dico, prendendola in giro. Lei ridacchia divertita e chiama l’ascensore che ci condurrà al primo piano. Io mi passo un asciugamano intorno al collo e la raggiungo. «Quindi, dopo questo momento catartico siamo di nuovo una squadra? Perché se la risposta è sì, dobbiamo darci un abbraccio da orso da super-Alleati, sappilo.» le dico, seriamente, nonostante mi renda pienamente conto di aver detto una cavolata di quelle che, solitamente, avrei detto solo al mio amico Ross. Questa volta è Amber a ghignare, mentre le porte dell’ascensore si aprono di fronte a noi. «Tesoro, saremo una squadra quando ti sarai fatto una doccia. Senza offesa, ma puzzi in modo improponibile!» «Zitta, che lo so che ti piace il mio intenso odore di uomo!» Scoppiamo a ridere tutti e due, quando mi ricordo del cosa mi avesse convinto a fare il primo passo per riappacificarmi con Amber.

«Ravenwood, abbiamo un grosso problema.» dico, facendo tornare lei seria. «Mentre eravamo troppo impegnati a fare i mocciosi e a non parlarci – e, concedimi l’ultimo sprazzo di immaturità, hai cominciato tu – abbiamo stretto nuove alleanze. Tu con quelli del 2, io con quelli del 4. Come facciamo?» Lei socchiude gli occhi, come se fosse improvvisamente stanchissima. «Ci stavo pensando, infatti. Rayleigh e Katherine non sono proprio due tipi che ti piacerebbe inimicarti, soprattutto in situazioni del genere. Non credo che sia saggio che sia io a rompere l’Alleanza con loro. Te come sei messo?»

Mi porto il pollice fra i denti, come faccio sempre quando sono nervoso. «Aria è fenomenale. Non credo che si sia impegnata a fondo, oggi, e l’hai visto anche te che, nonostante questo, non era affatto male.» Le porte metalliche si aprono nuovamente: io e Amber usciamo dal cubicolo senza quasi rendercene conto, vista la nostra concentrazione. «Errrra orrra. Ma dove errrrrravate? Io ho cenato. Non sono il vostrrro serrrvo, non ho intenzione di starrrre ai vostrrrri com…» «WES, STA ZITTO!» esclamiamo in coro io e Amber, facendo sollevare un sopracciglio persino ai fratelli Meraviglia che si spacciano per nostri Mentori, intenti a spolparsi una mucca a testa, praticamente. Io e Amber ci guardiamo e, quasi fossimo uno nella mente dell’altro, ci capiamo: stiamo per affrontare la morte e loro sono stati tremendamente antipatici con noi. Vendetta, dolce vendetta. «Cashmere, dolcezza, non ti hanno mai detto che se mangi tutte quelle patatine fritte ti viene la pelle grassa? Oh mio Dio, ti prego, permettimi di strizzarti quel coso enorme che hai sulla guancia, prima che prenda vita e ci inondi tutti di pus!» dice lei, apparentemente terrorizzata. Quando smette di parlare, capisco che è il mio turno. «Ah, e tu, Gloss, capisco che tu ti senta in pace con te stesso e che adori il tuo corpo. Ti ammiro per questo. Ma sai, credo che i tuoi addominali non siano così fragili da aver bisogno dei sette strati di grasso da cui sarà ricoperto, dopo questa frugale cenetta. No, anzi, aspetta, ci sono: mi ricordo, ora è tutto chiaro. Tu hai vinto gli Hunger Games schiacciando tutti gli altri Tributi sotto il tuo grasso sedere da ippopotamo. Geniale, mi chiedo come abbia fatto a non pensarci prima.» Amber si porta una mano alle labbra con fare teatrale, mentre Wes e i Mentori ci fissano shockati. Borbottano tutti qualcosa di indistinto, prima di alzarsi dal tavolo e sparire nelle loro stanze, sbattendo le porte una dopo l’altra. Io e Amber ridiamo e ci diamo il cinque: siamo veramente una bella squadra. «Okay, al diavolo quelli del 2, tu mi servi come Alleato, assolutamente. Ma, prima che quella plebaglia ci interrompesse, stavamo parlando dei tuoi, di nuovi amichetti. Su, continua!» mi incita lei, mentre l’entusiasmo per la nostra piccola vittoria scema velocemente. «Me ne ero quasi dimenticato. Beh, Aria è decisamente forte. E non fare quella faccia!» la addito, mentre lei finge di sbaciucchiare una misteriosa entità invisibile. «È oggettivamente brava con la lancia, l’hai vista anche tu oggi. E ho le mie ragioni per sospettare che nell’Arena sarà ancora meglio. Lance, invece, è un disastro. Ma Aria dice che è un genio, o una cosa del genere. » Lei sembra pensarci un po’ su: fra le due coppie, direi che è la sua quella più simile agli standard dei Favoriti. «E se quest’anno formassimo un branco? Distretti 1, 2 e 4, al completo. Devi ammettere che risolverebbe ogni problema. Pensi che per Aria e Lance andrà bene?»

Nella penombra della sala da pranzo, i suoi occhi verdi scintillano, furbi. «Non ne ho idea, sono due tipi strani, ma farò del mio meglio per convincerli. Ma per i tuoi? Riley e Katniss?» «Rayleigh e Katherine!» mi rimbecca lei, sorridendo. «Ma chissenefrega di come si chiamano, Amber!» esclamo, teso: lei non sembra farci caso. «Non credo. Ma troverò un modo per farglielo andar bene. Per Aria dovrebbe essere relativamente semplice, tutti la danno già per Favorita. Per Lance… Ci lavorerò su. E fidati, nessuno dice mai di no ad Amber Ravenwood. Mai.» Lei è seria, risoluta: capisco che si sta auto motivando e, a dir la verità, la trovo una cosa abbastanza carina, quindi evito di prenderla in giro. «Come mai così determinata ad allearti con Lance?» le chiedo, invece.

Lei sgrana gli occhi, come se le avessi detto che sembra uno spaventapasseri con quei capelli – che, per inciso, è una cosa da non dire mai e poi mai ad una ragazza, ricordatevelo sempre -. «Ma no, cioè, dico, l’hai visto? È un figo da paura! Se proprio devo andare in un posto in cui il rischio di morire è altissimo, almeno fammi stare con quello lì per un po’ senza che nessuno cerchi di uccidere l’altra!»

Ladies and gentlemen, eccoci qua per voi. Siamo Blight ed Amber, del Distretto 1. Oddio, dove andremo a finire.

 

 

Lan's corner.

Conclusione un po' più leggera della precedente, ma non si può sempre finire con un colpo di scena, vi pare? Qualche volta è anche bello finire con due dei Favoriti che mostrano al mondo la loro stupidità! Nient'altro da aggiungere, se non che l'Arena è sempre più vicina. Avete qualche suggerimento, per caso? Io ho già qualche idea su un'Arena poco convenzionale, ma ogni consiglio è assolutamente bene accetto. A presto! Come al solito, se la storia vi piace, anche solo un pochino, oppure vi fa totalmente schifo, fatemelo sapere in una rencesione anche piccolissima che è sempre ben accetta! Hasta la vista!

  
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