Una
piccola dedica a tutti quelli che hanno seguito con affetto questa storia. J
Ticket to Paris
Capitolo 15: “No nights by myself”
Quando John si svegliò si accorse subito che non era
mattina, forse era ancora piena notte. Si ritrovò con il naso sepolto in una
massa di capelli scuri e il braccio avvolto alla vita del giovane ragazzo
stretto a lui.
Batté le palpebre per mettere meglio a fuoco la
situazione, con la speranza di rendersi conto di non essere davvero abbracciato
a Paul, di non averlo cercato nel sonno per l’ennesima notte, di non sentirsi
così felice di essersi risvegliato con il suo calore e il suo odore che lo
avvolgevano delicatamente.
Ma tutto questo era vero ed era accaduto e ora, con la
mente ancora mezza assonnata, tutto ciò che John desiderava era stringersi a
lui, baciarlo dietro l’orecchio e sul collo e far scivolare la sua mano sul suo
fianco, fino alla coscia, per afferrarla e avvicinarlo ancor di più a sé.
Ben presto, però, John si rese conto che non poteva
comportarsi in questo modo con Paul e pur desiderando godere ancora di quel
tepore, si costrinse ad allontanarsi, rigirandosi sulla schiena.
Erano passati solo un paio di giorni da quando, dopo
quella folle corsa sotto il diluvio universale, aveva capito di desiderare Paul
e fargli cose che... porca puttana, cose che ora lo facevano arrossire e
diventare impacciato ogni volta che lo guardava negli occhi, cose che
normalmente avrebbe fatto senza tanti problemi, senza tanti ma, forse,
se, perché.
Era tutta colpa di Paul ovviamente. Il giorno prima John
l'aveva sorpreso a guardare malinconicamente la Senna che scorreva davanti a
loro. John si era allontanato brevemente per poter comprare qualcosa da
mangiare e quando era tornato l'aveva trovato in quello stato. E dannazione, se
ogni volta non annegava in quegli occhi. Poteva anche tuffarsi in quello stupido
fiume parigino, ma il risultato non sarebbe stato lo stesso: una dolce, lenta
morte, che lo colpiva a partire dal suo cuore, lo agitava, poi stringeva, lo
schiacciava fin quando non restava più nulla di lui. E John sapeva che solo
Paul poteva salvarlo in quel caso, solo lui, con il calore del suo sorriso, il
tocco forte della sua mano, la dolcezza dei suoi baci...ecco, i suoi baci. John
aveva voluto baciarlo così disperatamente in quel momento, che fece uno sforzo
immane per non lasciarsi andare lì, davanti a tutti, come al contrario facevano
tutte le coppiette felici che incontravano nel loro cammino.
Non era giusto, ma era così che andavano le cose nel
mondo.
E se l'avesse toccato, non avrebbe saputo trattenersi.
Per questo aveva deciso che essere tanto vicino a Paul da sfiorarlo era una
cosa da evitare assolutamente. Almeno, se voleva mantenere un certo controllo
su di sé e John lo voleva eccome! Sapeva per certo, anche se non l'aveva ancora
provato davvero sulla sua pelle, che Paul l'avrebbe mandato in visibilio, gli
avrebbe fatto perdere ogni resistenza, avrebbe fottuto i suoi freni inibitori e
John l'avrebbe amato moltissimo.
Tuttavia aveva paura, paura di perdere così tanto
controllo che neanche Paul, il paziente Paul avrebbe più saputo come sopportarlo.
Paul se ne sarebbe pentito, di tutto ciò che era successo in quel viaggio se
John avesse esagerato con lui.
Così fino alla fine della loro vacanza, John si era
ripromesso di non toccarlo più. Sarebbe stato difficile, non abbracciarlo, non
baciarlo, per non parlare del fatto che Paul se ne sarebbe accorto, gli avrebbe
posto delle domande e John non avrebbe saputo come rispondergli. “Mi fai
impazzire” non era certamente una giustificazione, perlomeno una accettabile.
Tuttavia era necessario, comportarsi in questo modo, per proteggere Paul e loro
stessi, e John doveva resistere solo un altro giorno.
Solo un altro giorno e poi sarebbero tornati a Liverpool,
a casa, a… a come stavano prima le cose? Prima di tutto questo, prima del
viaggio, prima di loro?
Ma c’era stato effettivamente un prima? Oppure
erano sempre stati così, solo che non se n’erano mai accorti o non avevano
voluto accorgersene? In tal caso, le cose non sarebbero potute tornare come
prima, perché non c’era un prima.
Questo spiegava tanti aspetti della loro relazione, il
modo in cui John cercava costantemente lo sguardo di Paul, il suo supporto, la
felicità che John provava quando intravedeva Paul per caso, l’euforia all’idea
di passare del tempo con lui, sperando che quel momento non finisse mai…
Tante cose che passarono una per una nella mente di John
durante quelle ore che lo separavano dal nuovo giorno. Passarono in fretta,
nonostante lui stesse odiando il non poter chiudere occhio e riposare. Ma
d’altro canto, amava restare in quella posizione a guardare la schiena di Paul,
i suoi capelli sul cuscino, il modo in cui il suo respiro faceva alzare e
abbassare il suo petto.
Era così assorto nelle sue riflessioni che non si accorse
dei raggi del sole che fecero capolino dalle persiane della finestra,
annunciando l’arrivo di quella che sarebbe stata una splendida mattina, e solo
un movimento accanto a lui riuscì a destarlo. John cercò di allontanare, più
che poteva, quei pensieri su Paul, mentre il giovane si voltava e gli dava il
buongiorno con un sorriso.
“Buongiorno.” rispose John e la parola quasi gli morì in
gola.
Diamine, non aveva fatto un bel lavoro nello sbarazzarsi
dei suoi pensieri, perché ora non voleva fare altro che afferrargli il viso con
poca grazia e baciarlo per dargli un buongiorno degno di questo nome. E poi,
magari, avrebbe potuto farlo sdraiare sulla schiena per ritrovarsi fra le sue
gambe e sbarazzarsi della sua maglietta in modo da poter accarezzare il suo
petto e ancora-
NO!
Cazzo, no! Non poteva.
Non poteva pensare queste cose, mentre era a letto,
mentre era a letto con Paul, mentre Paul lo guardava in quel modo, come se
fosse la cosa più bella che gli fosse capitata in tutta la sua vita.
“Oggi è l’ultimo giorno, vero?” domandò Paul, sul suo
viso un’ombra di tristezza si stava lentamente facendo spazio.
“Sì.”
Dio, non sopportava vederlo così abbattuto. Avrebbe fatto
qualunque cosa per spazzare via quel sentimento spiacevole che lo stava
sopraffacendo, non solo Paul, ma anche John, perché sì, nonostante tutto John
non voleva andarsene, se avesse potuto sarebbe rimasto lì con Paul per tutta la
vita.
“Hai già pensato cosa visitare oggi?” domandò Paul e John
sbatté le palpebre incredulo, accorgendosi che si era pericolosamente
avvicinato a lui.
Come mai non se n’era accorto? Come aveva fatto a non
percepire il materasso che si muoveva appena sotto di lui o la mano di Paul che
si appoggiava sul suo petto o ancora, il suo respiro accarezzargli il viso?
Paul stava diventando una continua distrazione per lui e
questo non andava bene.
“Sì, e a questo proposito…” iniziò a dire, scostandosi da
Paul e balzando in piedi, “Dobbiamo sbrigarci per sfruttare al meglio
quest’ultima giornata, non trovi?”
Doveva mettere più spazio possibile tra lui e Paul e
farsi una bella doccia, possibilmente fredda, congelata, per svegliarsi e
calmare i suoi bollenti spiriti che erano già di per loro pericolosi. Se
contava anche l’effetto aggiunto da Paul, era la fine.
Paul lo osservò mentre gli sfuggiva tra le mani, e
assunse un’espressione solo lievemente corrucciata.
“Sì, va bene, John.” mormorò con un filo di voce.
“Perfetto. Ma stavolta la doccia tocca prima a me, eh?”
****
Naturalmente Paul aveva capito. Aveva intuito che John
avesse qualche problema e sapeva per certo che questo problema avesse a che fare
con lui. Non ci voleva chissà quale grande mente e John non faceva neanche lo
sforzo di nasconderlo, perché sapeva che Paul avrebbe capito e non sarebbe
servito a nulla far finta che fosse tutto a posto.
Paul doveva solo scoprire cosa lo turbasse. In normali
circostanze avrebbe mantenuto la calma, per affrontare meglio la situazione. Ma
ormai mancava un giorno al loro rientro a Liverpool, aveva solo ventiquattro
ore per capire e sistemare le cose con John, perché tornati a casa, non avrebbe
più potuto farlo in modo appropriato, ovvero osservando a lungo negli occhi di
John, cercando degli indizi nel più piccolo particolare del suo viso, della sua
postura, stringendo la sua mano e chiedendogli dolcemente, “Cosa c’è che non
va?”
Fare le cose di fretta non l’avrebbe aiutato, Paul odiava
avere fretta. Ma ce l’avrebbe fatta. Doveva
farcela a qualunque costo.
La giornata era limpida, il sole era piacevole e
riscaldava dolcemente l’aria. Dal momento che dopo una settimana di camminate
infinite ed emozioni decisamente sconvolgenti, erano entrambi piuttosto
provati, John aveva proposto di prendere qualcosa da mangiare e andare in uno
dei numerosi parchi di Parigi a crogiolarsi al sole. Paul, ben consapevole che
le sue gambe non avrebbero resistito ancora per molto tempo, fu d’accordo e
insieme raggiunsero il Parc Monceau,
il più vicino alla collina di Montmartre.
Era sicuramente uno dei parchi più belli che avessero
visto in tutta Parigi. I raggi del sole baciavano il verde del prato, delle
aiuole ordinate in cui spiccavano i vivaci colori dei roseti, il verde che,
insieme all’azzurro del cielo, si rispecchiava nell’acqua del piccolo ruscello
artificiale che attraversava il parco.
Inoltrandosi sempre di più in quella natura perfettamente
curata, John e Paul si ritrovarono di fronte a una vasca ovale, circondata da
un imponente colonnato semicircolare e per un istante Paul si dimenticò di
tutti i suoi problemi. Si avvicinò a quel paesaggio suggestivo, sporgendosi un
po’ dalla ringhiera che lo separava dalla vasca e fu immediatamente catapultato
nel bel mezzo di un mito greco, di quelli che aveva studiato a scuola, con le
ninfee che danzavano, i satiri e i fauni che suonavano la loro musica
celestiale con piccoli strumenti, e gli dei e gli uomini e lo loro storie tormentate.
Paul scosse il capo vigorosamente: non era nell’Antica Grecia, era a Parigi,
nel 1961, in compagnia del suo migliore amico, del suo… di colui che
rappresentava la parte migliore di sé, lo stesso che però ora, lo stava
evitando di proposito.
John si avvicinò a lui, assicurandosi di mantenere una
certa distanza da Paul, e gli rivolse solo l’accenno di un sorriso, prima di
proseguire la sua passeggiata nel parco. Paul lo seguì, mantenendo lo sguardo
ben fisso su di lui e sullo spazio che lo separava da John. E quello fu il
momento in cui capì.
Capì che il problema di John aveva a che fare con
l’essere troppo vicino a Paul. Sembrava che John non volesse più toccarlo.
Andava bene stargli vicino, ma con almeno un centimetro a separarlo da lui. Ma
per Paul, qualunque fosse stata la distanza, sarebbe stata sempre troppa.
Soprattutto ora, ora che sapeva di volergli stare vicino, molto vicino. Vicino
come nessun altro ragazzo avrebbe potuto fare.
Tutto tornava ora, anche il comportamento di John di
quella notte. Paul era sveglio, era sveglio quando John si era ritrovato
abbracciato a lui e si era poi allontanato improvvisamente, e come John non
aveva più dormito. Ma al contrario del ragazzo più grande di lui, Paul era
rimasto immobile per quei pochi istanti, con gli occhi chiusi, tutto intento a
godere del calore di quel corpo accoccolato contro di lui, che si adattava così
perfettamente al suo; e poi il calore era sparito e tutto ciò che Paul aveva
potuto sentire era freddo, un’improvvisa ondata di freddo che aveva
attraversato la sua schiena e lo aveva fatto rabbrividire. Ora quel freddo
stava tornando a impossessarsi delle sue membra, nonostante i raggi dorati che
propagavano il loro calore nell’aria profumata del parco; era il freddo della
solitudine, lo stesso di tutte le notti passate da solo, come se John non fosse
mai stato presente su quel letto, insieme a lui.
Trovarono un piccolo spazio per loro nel bel mezzo di una
distesa verde: non erano stati gli unici ad aver avuto l’idea di un rapido
pic-nic al parco. Solo che a differenza degli altri visitatori, John e Paul
avevano solo due panini e due birre con sé. Niente tovaglie a quadri bianchi e
rossi, niente cestini di vimini, niente bicchieri, né tovaglioli, niente di tutte
quelle cose che per John erano solo, “Cianfrusaglie inutili”.
Paul lo guardò abbandonarsi languidamente
sull'erba, stiracchiandosi e lasciando che il suo corpo venisse rigenerato dal
riposo e riscaldato dal sole. Voleva vedere, ora che sapeva, voleva vedere
l'effetto che aveva su John se lo sfiorava, voleva vedere la reazione
direttamente nei suoi occhi.
Così quando la fame cominciò a farsi sentire,
Paul prese un panino dal loro sacchetto delle cibarie, che si erano procurati
quella mattina, e allungò una mano per afferrare quella di John e sistemare il
panino nel suo palmo con un "Tieni".
John, per tutta risposta, spalancò gli occhi
e sembrò irrigidirsi improvvisamente, come se il suo corpo non avesse affatto
tratto beneficio dal rilassamento dell'ultima mezz'ora su quel prato. Quasi
istintivamente ritrasse la mano con il risultato che il panino cadde nell'erba.
Fortunatamente era ricoperto ancora dal suo involucro.
Paul guardò John con espressione non
particolarmente sorpresa, eppure, dentro di sé, era scosso da quanto grave
fosse il suo problema. John non poteva toccarlo, in nessun modo. Altrimenti
reagiva così, in modo assolutamente imbarazzato, impacciato e insensato.
John notò il turbamento nei suoi occhi e
questo gli strinse il cuore. Non era giusto, comportarsi in quel modo senza che
Paul sapesse davvero quale fosse il motivo, ma John non sapeva proprio come
dirglielo. Perciò cercò di salvare la situazione per quanto potesse fare.
"Scusa. Ho preso la scossa."
Paul annuì vagamente e si dedicò al suo
panino. Non che avesse particolarmente fame, ma almeno gli offriva qualcosa con
cui poter distogliere l’attenzione da John e dalle sue domande sul perché il
ragazzo si stesse comportando così: Paul aveva fatto o detto qualcosa di
sbagliato? Cosa era successo che aveva causato un tale comportamento da parte
di John?
John invece, sembrava provare tutto
l’opposto. Nessun panino era al momento più interessante di Paul che evitava il
suo sguardo e mangiava distrattamente e senza voglia. John avrebbe tanto voluto
avvicinarsi per abbracciarlo e rassicurarlo sul fatto che lui non avesse fatto
niente di male. Era evidente per John, che Paul stesse tormentandosi per il suo
cambiamento improvviso, pensando che fosse colpa sua. Paul aveva la natura da
eterno ottimista, ma talvolta questa prevedeva anche punte di pessimismo
estremo, molto più di John. Ed era questo il caso. John avrebbe tanto voluto
fare qualcosa, ma si ritrovò incapace di muoversi per sfiorargli anche solo una
mano. Se l’avesse toccato, ora, non avrebbe resistito, non l’avrebbe più lasciato
andare e non poteva permetterselo.
Tuttavia, forse c’era un modo per arrivare a
lui, senza toccarlo fisicamente.
“Che ne dici di una canzone?” gli chiese
all’improvviso, abbandonando il panino per terra.
Paul sollevò lo sguardo e lo fissò con un’espressione
sorpresa.
“Eh?”
John ridacchiò di fronte al suo tono
incredulo, poi infilò una mano nella tasca interna della giacca, estraendo la
sua armonica a bocca: era molto più comoda da portare con sé rispetto a una
chitarra, era decisamente meno ingombrante e faceva musica allo stesso modo.
“Sì, che ne dici se ti canto una canzone?”
“Qui? Davanti a tutti?” chiese Paul,
guardandosi intorno turbato.
Il parco non era molto affollato quel giorno,
ma c’era comunque un po’ di gente, sdraiata al sole, ancora intenta a mangiare.
“Sì, tanto neanche capiranno il testo.”
“Ma John-”
Niente da fare, John aveva già portato
l’armonica alla bocca e cominciato a suonare. La melodia era tipicamente blues,
triste, malinconica, e Paul la riconobbe prima che John cominciasse a cantare.
“I'm not going to
spend another night by myself.”
Le persone sedute poco più in là si voltarono verso di
lui, sembrava che stessero ascoltando e apprezzando John che suonava l’armonica
e cantava.
“If I don't find
my baby, I'll have to carry somebody else.”
Ma lui non vi prestò molta attenzione. Era troppo
impegnato a osservare il volto di Paul e la sua reazione, il suo sorriso che si
allargava lentamente sulle labbra e un lieve rossore che si appropriava delle
sue guance.
“I set up all
last night, haven't slept a wink today.”
Paul stava apprezzando la sua idea e John non poteva
esserne più lieto. Era l’unico modo in cui, al momento, potesse arrivare a lui,
tramite la sua musica: la melodia creata da John, dalle sue mani, dalla sua
bocca giungeva a Paul e lo sfiorava, lo accarezzava, come se fosse proprio John
a farlo, con la differenza che la sua musica poteva giungere dentro Paul, fino
al suo cuore per alleviare i suoi dubbi, le sue paure, tutto ciò che
stupidamente era collegato e causato da John.
“Lord, I'm not
going to spend any night by myself.”
La melodia svanì nell’aria, le ultime note sfumarono
delicatamente mescolandosi al leggero chiacchiericcio delle persone presenti
nel parco. Paul gli sorrise e si sdraiò sull’erba e John lo imitò, stendendosi
su un fianco per poterlo guardare.
“Allora? Ti è piaciuta?” chiese trepidante.
“Certo, come può non piacermi il buon vecchio Sonny Boy?”
John mise il broncio: “Ma l’ho suonata e cantata io. Per te!”
Paul ridacchiò, poi gli rivolse un dolce sguardo.
“E’ per questo che l’ho amata.”
Ed era vero. L’aveva amata perché era stato John a
suonare per lui, perché lui aveva ancora una volta notato la sua tristezza e
cercato di spazzarla via con tutto ciò che era in suo potere. E anche se una
sua carezza, o un suo bacio sarebbe stato più efficace e avrebbe risolto tutto,
Paul si era sentito decisamente rincuorato, si era sentito toccato
delicatamente, nel più profondo del suo essere.
E questo per il momento andava bene. Era il modo di John
di dire che sapeva che Paul aveva capito e nello stesso momento che non aveva
bisogno di preoccuparsi, perché tutto si sarebbe risolto prima o poi, come
sempre, come tutto ciò che riguardava lui e Paul.
Il resto della giornata fu gradevole. Cenarono fuori e
quando la stanchezza cominciò a essere davvero insopportabile, tornarono nella
piccola pensione. Per il momento non erano ancora pronti a dire addio a Parigi.
In fondo c’era una notte di tempo e non c’era bisogno di aver fretta di
salutarla.
Quando furono alla pensione, John si intrattenne con la proprietaria per
saldare il conto, così il giorno dopo non avrebbe dovuto preoccuparsi di questo
impiccio, mentre Paul decise di andare ad aspettarlo in camera. Si tolse la
giacca, gettandola sulla poltrona e si sedette sul letto, osservando con
attenzione quella stanza che li aveva accolti, quella stanza che aveva visto
nascere la parte migliore di entrambi, quella che dal giorno seguente sarebbe
stata vuota, vuota come ora si sentiva anche Paul.
Nonostante tutti i sentimenti che erano sempre presenti
in lui, c’era una sensazione che ancora mancava, il sentire John più vicino
possibile a lui e doleva, ora, sapere che John non volesse toccarlo. Per quanto
la sua canzone l’avesse rincuorato, Paul lo trovava comunque sbagliato. Era
sbagliato non approfittare di quel momento, di quell’ultima notte a loro
disposizione e lui non poteva costringere John a fare qualcosa che lo mettesse
a disagio.
Sospirò, mentre si
avvicinava alla piccola finestra della loro camera, per godere per l’ultima
volta del panorama notturno di Parigi e forse, per chiedere consiglio a quella
città che fu galeotta del loro amore.
****
John salì le scale,
borbottando nervosamente fra sé. L’anziana proprietaria della pensione gli
aveva chiesto una piccola quota in più perché qualche giorno prima lui e Paul
avevano allagato l’ingresso, causando il distacco della moquette dal pavimento.
John avrebbe voluto risponderle che non era fottutamente colpa sua se lei si
fosse rivolta a gente incompetente per rivestire quel pavimento, ma non sapeva
come dirlo in francese, per cui dovette semplicemente accettare la questione e
sganciare altri contanti. Per fortuna, gli restavano ancora soldi per poter
prendere il treno e risparmiare loro la fatica di fare l’autostop. Era stato
divertente all’andata, quando erano tutti eccitati per il viaggio e
soprattutto, ben riposati. Ma ora sarebbe stato un suicidio, dal momento che erano stanchi morti.
Quando John rientrò in
camera, notò che Paul era affacciato alla finestra, ben chino in avanti, con le
braccia appoggiate sul davanzale. Incuriosito dalla sua posizione, John si
avvicinò, facendo molta attenzione a mantenere una certa distanza da Paul.
“Cosa stai facendo?”
“Assistendo a uno spettacolo interessante.” rispose Paul,
sorridendo.
“Ovvero?”
Paul ridacchiò e indicò un punto sul marciapiede di
fronte alla loro pensione: “Due fidanzatini che stanno litigando.”
John seguì l’indicazione e vide un ragazzo e una ragazza coinvolti
in una vivace discussione, rigorosamente in francese, il che rendeva tutta la
scena più melodrammatica. Lei inveiva contro di lui, poi cercava di
allontanarsi, ma lui la rincorreva e la fermava, implorandola probabilmente di
restare.
“Secondo me, lui si è dimenticato del loro anniversario.”
commentò Paul, divertito.
“Stai scherzando? Guardali, è evidente che lui l’abbia
tradita, lei l’ha appena scoperto e ora fa tutta la difficile.” esclamò John,
“Tipico.”
“Come fai a esserne così sicuro?”
“Beh, vedi come alza il suo nasino alla francese? Deve
comportarsi da snob per fargli capire che l’ha fatta grossa, così ora lui farà
di tutto per non perderla.” spiegò John, “Ma alla fine lei cederà, perché lui
la rincorrerebbe per tutta Parigi pur di farsi perdonare.”
Paul scoppiò a ridere e si portò una mano sulla bocca per
evitare di richiamare l’attenzione dei due piccioncini, i quali erano ancora
presi dal loro battibecco.
Questi francesi sapevano litigare davvero bene!
Infine lui la fermò per l’ennesima volta e lei gli rifilò
un gran bel ceffone che echeggiò nella via.
“Quello sì che era uno schiaffo!” commentò John
entusiasta.
Si sporse un po’ di più e la sua spalla sfiorò quella di
Paul, ma lui non sembrò accorgersene. Poi la ragazza cedette alle preghiere di
perdono del suo ragazzo e lo baciò proprio lì, per strada, con i passanti che
si limitavano a guardarli rapidamente. Il bacio divenne ben presto
appassionato, molto appassionato, il
che fece sbuffare apertamente John.
“Ora capisco perché lo chiamano bacio alla francese.”
esclamò, ridacchiando fra sé.
Ma la risata morì presto in gola, quando infine John si
rese conto che la sua spalla stesse toccando quella di Paul e subito si
ritrasse, con grande sconcerto del ragazzo più giovane.
Paul sospirò e si ritirò, allontanandosi dalla finestra,
allontanandosi da John. Quest’ultimo lo seguì con lo sguardo e non poté fare a
meno di mordersi il labbro, mentre imprecava mentalmente e si dava dell’idiota.
Non era una novità, perché continuava a sorprendersi quando faceva qualcosa di
stupido?
“Hai visto? Te l’avevo detto che lei avrebbe ceduto alla
fine.” disse, cercando di mantenere l'atmosfera leggera.
“John, si può sapere cos’hai?”
L'interesse di Paul per la giovane coppia per strada,
però, era improvvisamente sparito.
“Niente.” rispose John, ma
sentì che il suo sguardo, la sua voce, tutto di lui stava tremando sotto lo
sguardo di Paul.
Sguardo che ora si fece più
affilato e sofferente, come la voce di Paul che lo rimproverò con decisione: “John!”
“Paul, non è niente.”
“No, non è vero. È il motivo per cui non riesci più a
starmi vicino e io non lo sopporto.”
“Cosa? No!” protestò John, avvicinandosi a lui quasi
senza accorgersene, “Io riesco a starti vicino. Vedi?”
“Non come vorrei io.” mormorò arrossendo violentemente.
“E come vorresti?”
Paul guardò un istante verso il basso, prima di afferrare
con determinazione la mano di John e a quel tocco il corpo di John reagì,
accendendosi in un istante.
“Come se…” iniziò lui, mentre lasciava che le loro mani
si intrecciassero, “Come se volessi fare l’amore con te.”
Il cuore di John mancò un battito e lui cominciò a
sentire una strana sensazione alla bocca dello stomaco, sensazione di
leggerezza, delicata e sconvolgente eccitazione.
“Paul…”
“Voglio fare l'amore con te, John.”
“Paul, noi non-“
Ma Paul non sembrava proprio avere intenzione di
lasciarlo parlare.
“È questa, la mia frase per te. Ricordi qualche giorno
fa, sull’Arco di Trionfo? Ti avevo assicurato che ne avrei trovata una anche
per te. Ebbene, voglio sentirti così, John, come nessun altro ragazzo abbia mai
fatto prima d’ora, voglio mostrarti quello che provo perché è qualcosa di così
grande che le parole non basterebbero e io ho bisogno di questo.” gli disse
Paul, la voce strozzata, quasi un sussurro che accarezzava il viso di John, “È
abbastanza sdolcinata?"
John sorrise fra sé e scosse gentilmente il capo: "Sei
un coglione. Non è affatto sdolcinata."
“E allora?”
“Paul, noi non possiamo, insomma, noi-“
“Perché? E non dire perché siamo due ragazzi.”
“Perché noi…" iniziò lui, cercando disperatamente
una scusa nella sua lunga lista, ma si rese conto che questa era stata
cancellata nel momento in cui Paul l'aveva preso per mano, "Perché io…”
Paul scosse il capo fra sé, come se non volesse più
sentire alcuna stupida giustificazione da parte di John; gli afferrò il viso e
lo baciò appassionatamente e John, d’istinto, si aggrappò ai suoi fianchi.
Era questo, che John voleva evitare, pensare a quanto
fosse perfetto Paul con la bocca sulla sua e il corpo stretto al suo, stretto
in un modo che John non voleva mai più lasciarlo andare. Era questo, John non
avrebbe sopportato sentirlo così vicino e poi, un giorno, perderlo ed essere
costretto ad allontanarsi da lui e restare solo.
“Paul…”
Il giovane si allontanò leggermente, sorridendo, e appoggiò
la fronte a quella di John.
“Lo so che mi vuoi, John, come io voglio te.”
“Non ne hai idea.” sospirò John, gli occhi ancora chiusi
e le mani ben salde sui fianchi di Paul.
“Vedi? Non hai motivo per respingermi.”
“Paul?” esclamò John, guardandolo e sentendo tutte le sue
difese crollare una dopo l’altra, come un castello di carte distrutto dalla più
lieve ventata.
“John?” ribatté Paul, facendo scivolare le braccia
intorno al suo collo.
“Paul, ne sei sicuro?” domandò John, titubante, “Perché,
sai, una volta che provi John Lennon, non potrai più liberarti di lui.”
“Oh, è una minaccia?” chiese lui divertito, mordendosi il
labbro.
“E’ quello che ti pare. Una minaccia… o una promessa.”
“Mm, promessa…” mormorò Paul
sulla guancia di John, “Mi piacciono le promesse.”
E quando Paul si riappropriò
delle sue labbra, John capì perché avesse così paura di toccare Paul, perché
tornati a Liverpool, John avrebbe sentito la sua mancanza, dal momento che non
avrebbe più dormito ogni notte con lui. Ormai si era così abituato a
risvegliarsi al suo fianco ogni mattina, ad addormentarsi con il suo odore a un
soffio dal suo naso, che la sola idea di passare la notte da solo era terribile
e lo faceva impazzire, impazzire come Paul, che ora si dava da fare per
sbarazzarsi della giacca di John e abbandonarla per terra.
“Dio, Paul…” sospirò John,
mentre Paul lo conduceva lentamente e nello stesso momento, urgentemente verso
il letto, “Mi fai impazzire.”
“Non impazzire per me, John.” gli disse, facendolo
sdraiare gentilmente sul materasso che molte volte li aveva visti addormentarsi
insieme.
John si fece guidare da Paul, lasciando che lui prendesse
il controllo della situazione, perché i suoi occhi determinati gli sussurravano
che sarebbe andato tutto bene, che non sarebbe più stato da solo, né questa
notte, né quelle future, né mai e poi mai.
“Impazzisci con me.”
Note
dell’autrice: ebbene, siamo a -1 dalla fine.
Il titolo del capitolo è il titolo della canzone che
canta John, “No nights by myself”,
di Sonny Boy Williamson II.
Spero che il capitolo non sia troppo incasinato. È sempre
il mio dannato timore.
Ma kiki mi ha assicurato che
non è così, quindi sono più tranquilla. Grazie a lei per la correzione.
Ci sentiamo domenica prossima per l’ultimo capitolo.
A presto
Kia85