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Autore: misScarlett    15/12/2013    0 recensioni
Jane è Jane. Will è Will. Jane è stronza, ma è debole. Will è accondiscendente, ma è forte. Jane non sa cosa vuole. Will invece lo sa benissimo. Jane e Will erano due strade parallele, che non si erano mai accorti della leggerissima inclinazione che li avrebbe portati a incrociarsi. Inevitabilmente.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO II.

Novembre 2012.
- Non va tutto come vuoi tu, Jane! Cazzo, impara a scendere a compromessi! Per una dannata volta!
- Non l’ho mai fatto e non ho intenzione di iniziare adesso. Se non ti sta bene quella è la porta.
Il dito indice di Jane si mosse a indicare la porta dell’alloggio 213 del college, il suo. Will la guardava sfinito, come se cercasse con tutto se stesso di capirla ma non ci riuscisse comunque. Jane si stringeva con disperazione al suo orgoglio, terrorizzata dall'idea di abbandonarlo. Di perdere quella parvenza di forza che ancora le rimaneva. Non ci aveva mai rinunciato tanto prima, e quando si accorse che la maschera della Jane indistruttibile e fiera stava per caderle, fece mille passi indietro per recuperarla. Il costo era solo uno: Will. Ed era sicura (lei se lo ripeteva e ripeteva ancora, ancora all'infinito) di non averne bisogno. Un sacrificio dovuto e fattibile per la conservazione di sé.
- Ma ti senti almeno? Senti che ciò che dici non ha un fottuto senso?
- CE L’HA INVECE! Non ti sta bene, ciao. Perché è ovvio che non ti sta bene! Non sta bene a te e non sta bene a me, quindi basta.
Basta con le debolezze, basta con la vulnerabilità. Chi vuole apparire forte non riesce ad accettare che qualcuno lo indebolisca. Lotta per la sopravvivenza. Egoismo.

Febbraio 2012. Sabato. Jane quel sabato aveva da fare. Jane quel sabato aveva abbandonato i suoi amici storici, quelli che c’erano ogni maledetto weekend e con cui c’era sempre qualcosa di cui parlare, per dei compagni d’università. Per una serata diversa, una di quelle che Jane faceva molto raramente perché sì. Non c’era un reale perché. Solo non aveva mai avuto bisogno di dimenticare dietro mezzo litro di vodka chi era e chi sarebbe stata, ogni fine settimana. Adesso però ne aveva disperatamente bisogno. E’ sempre una tristezza di fondo che ti porta a perderti: a perderti in qualunque cosa. Il lavoro, lo studio, l’alcol, la droga. Non fa differenza, l’importante è perdersi. Jane non sapeva nemmeno ricondurre a una sola ragione quella tristezza, era solo un’insieme di cose. Infinite cose. Così per festeggiare l’ennesimo esame superato, quello famoso per essere il più difficile di tutto il corso di Legge, erano andati in uno di quei locali esclusivi in cui se non sei un riccone puoi sperarci di entrare solo poche volte nella vita, e solo insieme a qualcuno che ti raccomandi. Il loro garante, quella sera, era Jack Lewis, figlio di papà dalla discutibile simpatia, sopportabile solo se in presenza di altre persone. Molte altre persone. Jane, occhi blu risaltati dal trucco scuro e capelli neri resi eccezionalmente in morbide onde, era più notabile del solito. Entrò nel locale illuminato solo da luci soffuse aranciate e raggi multi colore, come se l’avesse fatto altre mille volte. La musica diventava più alta ad ogni passo.
- Ehi Jane, dici che se ci provo con il barman ci guadagniamo un drink gratis?
Rise Jane, insieme alla minuta Margot, mentre si dirigevano subito al bancone del bar interno. Martini, Cosmopolitan e Daiquiri a fiumi, senza che ci fosse un domani. Non c’era davvero. Lì era tutto un perdersi, pensare al qui e all'ora o – ancor meglio – non pensare affatto. E più l’alcol le bruciava la gola, più i pensieri si spegnevano, come lampioni di una strada immensa a cui si fulminavano improvvisamente le lampadine. Buio totale.

Jane quel sabato aveva da fare. Jane quel sabato aveva abbandonato i suoi amici storici, quelli che c’erano ogni maledetto weekend e con cui c’era sempre qualcosa di cui parlare, per non si sa chi. Probabilmente nuovi amici o pseudo-tali o, forse, un ragazzo. Un ragazzo nel senso che ci stanno provando con lei. Un ragazzo nel senso che qualcuno sta avendo l’onore di non ricevere insulti da lei, ma ben altro. Quell'altro che a Will viene difficile da assegnare a lei. Un ossimoro. O due poli uguali. Si respingono.
- Ma perché quella là non c’è?
- Sì, effettivamente manca quell’aura nera…
Le domande erano rivolte sostanzialmente a Madeleine e Gwen, le migliori amiche di Jane. Quando erano tutte e tre insieme, erano la cosa più perfida e crudele del mondo. Stronze. E non c’era un capo, non c’era una più pungente delle altre. Erano uguali, andavano a colpire gli stessi personaggi e gli stessi difetti. Ma non lo facevano per male. Era innocente, per assurdo.
- Sarà con…
- Mad, non fare supposizioni tanto per dire qualcosa.
Di tutto quanto, Will ci aveva capito ben poco. E alla sua domanda non aveva comunque avuto risposta. Con. Era questa l’unica cosa che sapeva. Era con qualcuno di sicuro, ma forse non lo sapevano nemmeno quelle due; e inutile dire che quella segretezza lo rendeva molto sospettoso. E non sapeva perché gli importasse.
- Grazie per le risposte esaustive, ora so proprio tutto.
- Non fare il sarcastico, Will. E dicci piuttosto come è andata con Samantha!
Gwen sembrava che non vedesse l’ora di spettegolare sul suo ennesimo appuntamento fallimentare, tanto che Will non poté fare a meno di sospirare. Samantha. Come era andata con Samantha? Bella domanda. Non era andata, forse.

Venerdì.
- Ciao Will! Scusa il ritardo, la mia compagna di stanza ha…
Bla bla bla, Will aveva già sconnesso il cervello. La sua capacità di attenzione, in certi casi, è veramente minima. Una cosa dovrebbe interessargli davvero tanto per far sì che lui ascolti per più di un minuto. La guarda, con un sorriso che si accorge che non è altro che cortese circostanza, e annuisce.
- Tranquilla, non ero qui da molto.
Lei sorride, sorride veramente tanto. Ha un sorriso bello, ma non è niente di che. E’ solo bello. Non è disarmante, non è ipnotico, non è contagioso. Si incamminano verso il bar più vicino al campus, quello nella strada più vicina, quello in cui ti fanno un cappuccino come non ne hai mai assaggiato nella tua vita. Quello in cui ci va una marea di gente, e la metà sono del tuo corso, perché quando non vuoi vedere nessuno di conosciuto, vedi sempre tutti. Si siedono i due, che parlano del più e del meno. Veramente è Samantha che parla, Will si limita ad ascoltare. O fare finta.
- Credi che la cioccolata sia troppo pesante a quest’ora?
Lei sta guardando il menù e ha la faccia di chi non ha altro problema al mondo se non i numeri sulla sua bilancia.
- Uhm, no, perché dovrebbe? Anzi, la prendo anche io!
La prende anche lui perché non ha molta voglia di impazzire dietro un menù che conosce a memoria, la prende anche lui perché una cosa vale l’altra. E lei sorride, sorride anche troppo. Si ravviva i capelli biondi e quelli brillano come se ti volessero costringere a guardarla. Medusa. Solo che non ti trasforma in pietra. Si avvicina a lui, come se volesse vederlo da vicino, al microscopio.
- Sai, di solito sono molto diffidente nei confronti dei ragazzi, ma tu…
Bla bla bla. Cervello sconnesso di nuovo. Bella, ma non interessante. Bella, niente di più. Non disarmante, non ipnotica, non stronza. Non Jane.

Sabato.
- Come vuoi che sia andata… bene.
C’era molto sconcerto intorno a Will. Di solito i suoi appuntamenti non andavano bene. Di solito erano una totale merda, di solito c’erano aneddoti divertenti da raccontare, di solito c’erano figure imbarazzanti da dimenticare, parole sbagliate dette al momento sbagliato e azioni giuste fatte al momento giusto, ma con la persona sbagliata. Di solito non andava bene. Di solito andava male. Molto male.
- …quindi… Ci uscirai di nuovo?
- Non lo so.

Le lampadine iniziavano a riaccendersi, qua e là. Dimenticarsi di se stessi fa veramente schifo, se non lo si sa fare. Jane odia perdere il controllo di sé, e quello era l’obiettivo della serata. Solo in quel momento si accorgeva di quanto non avesse senso. Era tardi, troppo tardi per sperare di poter salvare la serata. Si guardava intorno e vedeva solo gente che ora possedeva due lingue dentro la bocca, ma per il resto non ci pensava neanche. Gli altri si erano persi chissà dove, come lei fino a quel momento. Divertente la serata, molto divertente. Specie perché non ricordava bene. E ogni ragazzo che ci aveva provato con lei era inutile. Alcuni carini, ma niente di più. Si alzò, traballante ma fingendo piena lucidità. Se ne andò in silenzio, non salutò perché nessuno se ne sarebbe ricordato, fuori da quel locale esclusivo che di esclusivo aveva solo la fama, e poi un taxi, e poi il 213. Casa, più o meno. Quel sabato aveva altro da fare, non aveva di meglio da fare. Quel sabato doveva essere diverso e lo era stato. Diverso, niente di più. Non indimenticabile, non divertente, non da rifare.
Non da rifare.
  
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