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Autore: 31luglio    15/12/2013    7 recensioni
Cosa succede quando una ragazza viene scoperta dentro la lussuosa villa del suo cantante preferito proprio da lui stesso?
Tratto da un capitolo:
Mi sdraiai sul divanetto e guardai il cielo. «Secondo te, le stelle quante sono?» chiesi, cercando di contarle tenendo il segno con le dita. Una, due, tre, quattro, cinque... Mi persi a cercare di individuare le costellazioni, quindi ricominciai. Dopo aver fallito una mezza dozzina di volte rinunciai, e tornai a guardare con aria sognante.
Mi rivolse uno sguardo divertito. «Sei proprio fuori.»
«Rispondi.»
«Non so che cosa dirti, Audrey.»
«Spara un numero.»
«L'infinito...»
«Come io e te in questo momento?»
Mi guardò nuovamente, sorpreso. «Sì» sorrise, «come noi due in questo momento.»

another Justin & Miley fanfiction
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(cap 8)  same mistakes

 

Justin restò fermo sulla soglia in silenzio per quasi cinque minuti. Mi guardava con quelle iridi chiare in cui erano dipinti il dolore e la confusione, facendomi sentire a disagio e di tanto in tanto spostava l'attenzione sull'interno della casa in attesa che parlassi.

Il problema era che non avevo idea di cosa dire, perché nell'esatto momento in cui avevo incrociato il suo sguardo mi ero pentita di avergli mandato il messaggio che lo aveva portato lì. Però ero anche convinta di avere fatto la cosa giusta: la fase è-tutta-colpa-mia era passata ed adesso ero convinta che se avevo tradito Aaron era stato esclusivamente a causa sua. Lui ci aveva provato con me per due settimane, lui mi aveva invitata alla festa, lui mi aveva portata in camera sua.

«Mi fai entrare?» domandò.

Gli rivolsi un'occhiata gelida, poi mi spostai per farlo passare. Quando fu dentro chiusi la porta e mi voltai verso di lui. «Cosa vuoi?»

Sul suo viso comparve un sorriso nervoso. «Non sono mai stato qui» osservò, guardandosi intorno. «È carino.» Entrò in cucina, emise un verso di approvazione e ne uscì, dirigendosi verso un'altra stanza a caso con una naturalezza irritante. Passò dal bagno alla sala da biliardo alla camera dei giochi di mia sorella come se fosse a casa sua e questo non fece che incrementare la mia ira. Infine entrò in sala e si fermò ad osservare sbalordito la piscina ben visibile dalla parete in vetro che dava sull'esterno.

Sospirai irritata, appoggiandomi alla soglia della porta della stanza. «Che cosa vuoi?» ripetei. «E mi aspetto una risposta, subito

Si voltò di scatto e mi guardò con un'espressione a metà tra il triste e l'arrabbiato. «Cosa significa quel messaggio?»

«Significa esattamente quello che c'è scritto, Bieber.»

Finse di ridere. «Non dire cazzate, Audrey.» Si lasciò cadere su uno dei divani neri di fronte al caminetto e alzò un sopracciglio. «Se non volessi più avere nulla a che fare con me non mi avresti fatto entrare. Mi basta assumere un'espressione triste per farti dubitare delle tue scelte.»

Scossi la testa incredula. «Sei proprio uno stronzo.»

«Non è vero» obiettò deciso. «So imparare a conoscere velocemente le persone.»

«Alza il culo da quel divano e vattene prima che mi incazzi sul serio.»

«Hai sedici anni» mi ricordò, «pensi di spaventarmi?»

«Non mi interessa spaventarti!» gridai. «Mi interessa solo che tu te ne vada, perché da quando sei entrato nella mia vita è andato tutto a puttane, per colpa tua!»

«Sei tu che mi hai baciato!» Si alzò dal divano e guardò il camino mentre si passava una mano tra i capelli color grano. «Non è stata solo colpa mia se la tua cazzo di relazione è finita, Audrey! Smettila di giustificarti dicendo che sono io il responsabile!»

«Ma lo sei!»

Strinse i pugni e mi fulminò con lo sguardo. Vidi i muscoli delle sue braccia contrarsi sotto la camicia di jeans che indossava, la vena del collo guizzare e la mascella irrigidirsi. Chiuse gli occhi e respirò a lungo prima di urlare: «Una ragazza, bella tra l'altro, mi salta addosso e io dovrei allontanarla? Secondo te ho pensato che eri impegnata? Che cazzo mi importava che lo fossi? In quel momento volevi essere mia, Audrey!» Serrò la bocca per qualche istante, poi parlò di nuovo abbassando leggermente il tono: «Se avessi saputo che saremmo arrivati a questo punto e che mi avresti addossato ogni colpa, non lo avrei fatto. È stato uno sbaglio farti entrare nella mia vita. Avrei dovuto semplicemente farti uscire da casa mia» disse freddamente.

Abbassai lo sguardo e sentii una lacrima rigarmi la guancia. Non riuscii a capire se mi avevano ferita maggiormente le parole che aveva pronunciato, o il modo in cui le aveva dette. Mi rimproverai mentalmente perché avevo lasciato che quelle frasi mi pugnalassero il cuore senza cercare di difendermi e provai a trattenere le altre lacrime che premevano per uscire, senza avere successo.

«Non parli più?» mi incalzò lui con finto buonismo. «E come mai?» Mi morsi il labbro più volte, con il viso rigato di lacrime e rivolto verso il pavimento di marmo e non gli risposi, quindi fu lui a parlare nuovamente. «Te lo dico io, il perché!» gridò, «Perché sai che ho ragione!»

Alzai il capo. «Perché sto piangendo, idiota!» replicai con la voce spezzata. «Sei felice, adesso? Vuoi sentirti dire che hai ragione? Bene: hai ragione! Ora smettila di parlare così, però.»

Si morse il labbro. «'Fanculo» mormorò. Si sedette nuovamente sul divano e si passò una mano tra i capelli. Mi guardò, poi spostò l'attenzione sul pavimento, poi sul tavolino davanti a sé; infine colpì il cuscino zebrato che gli stava di fianco con un pugno. Mentre uscivo dalla stanza per andare in camera mia, lo sentii alzarsi ed un attimo dopo mi cinse la vita da dietro.

«Lasciami!» Provai a liberarmi, ma io ero bassa e magra e lui era tutto muscoli, perciò ben presto fui costretta ad arrendermi. Mi voltai e lasciai che le sue braccia ricoperte di tatuaggi mi cullassero dolcemente.

«Mi dispiace» disse poco dopo. «Non volevo ferirti... cioè, sì, ma solo perché ero arrabbiato. E ora mi sono pentito» biascicò incerto.

«Va bene» mentii.

Afferrò le mie spalle e mi guardò negli occhi. «Sono serio» continuò, «Non penso davvero che tu sia uno sbaglio, Audrey...» Fece combaciare i nostri corpi premendo il mio contro il suo, poi si morse un labbro senza sapere cosa fare. Passò lentamente il pollice sotto i miei occhi e mi asciugò le lacrime esattamente come la notte precedente, dopodiché intrecciò le sue iridi color miele alle mie. Infine mi baciò la fronte, poi il naso, gli zigomi, le guance; quando arrivò alle labbra mi sentii come se avessi raggiunto una fonte d'acqua dopo aver trascorso un anno in un deserto arido.

Justin alternava gesti passionali ad altri più premurosi e dolci. Prima mi accarezzava la schiena, poi mi strizzava i seni, poi mi baciava teneramente e subito dopo infilava una mano nei miei slip.

Cercò la mia lingua con la sua, le fece intrecciare, e qualche secondo più tardi si staccò quasi come se fosse annoiato, quindi passò a slacciarmi il reggiseno con un movimento naturale. Mi sfilò la maglietta che avevo ancora addosso e le spalline, poi mi fece indietreggiare finché non mi trovai con la schiena contro la parete del corridoio.

Dovevo ammettere due cose: primo, sapeva decisamente come usare le mani. Le sue dita affusolate mi facevano fremere ad ogni minimo movimento. Percorrevano il mio petto lentamente, fino ad arrivare al ventre, per poi passare a slacciare gli shorts di jeans. Subito dopo erano tra i miei capelli, poi sul mio collo, poi tenevano la mia coscia. Quel ragazzo riusciva a farmi impazzire solo con le mani...

La seconda cosa da ammettere era che non sapevo cosa provavo per lui. Un secondo prima stavamo litigando, quello dopo eravamo incollati l'uno all'altra,. Non mi piaceva e di questo ero sicura, ma non mi era nemmeno totalmente indifferente. Era possibile che riuscissimo ad andare d'accordo solamente se finivamo a letto insieme? Anzi, non necessariamente a letto, perché adesso eravamo in piedi contro il muro.

Gli sfilai lentamente la camicia di jeans mentre lui cercava di baciarmi. Lo guardai e gli rivolsi un sorriso bastardo, al quale rispose con un'occhiata di disappunto. Infilai le mani sotto la maglietta a righe verticali bianche e nere e disegnai delle linee immaginarie sul suo ventre prima di lasciarlo a petto nudo. Mi prese in braccio e mi portò in cucina; mi fece sedere sul bancone in marmo nero al centro di essa ed io affondai le dita tra i suoi capelli biondi mentre gli baciavo il collo.

Justin chiuse gli occhi, si mordicchiò un labbro e portò la testa all'indietro. «Oddio» sussurrò. «Ti prego, muoviti... sto esplodendo.»

Ridacchiai divertita. «Povero cucciolo.» Il suo viso assunse un'espressione fintamente triste, mentre lui annuiva. Abbassai il capo per baciarlo con foga, poi continuò a premere le sue labbra sulla mia guancia destra e, quando arrivò al mio collo, cominciò a succhiare piano. Quando ebbe finito restò ad ammirare soddisfatto il suo lavoro per qualche istante, quindi mi baciò ancora.

Si sfilò velocemente i jeans neri, poi mi sfilò con altrettanta velocità gli slip. «Sei bellissima» mi sussurrò all'orecchio ed io sorrisi istintivamente. Un istante dopo si tolse i boxer, quindi mi prese di nuovo in braccio ed entrò in me. Affondai le unghie nelle sue braccia e lui urlò; mi lasciò andare quando mi trovai con la schiena contro la porta della cucina. Intrecciò le dita alle mie e velocizzò i movimenti, facendomi gemere di piacere.

Quando raggiunse il culmine uscì e mi baciò, facendomi capire che non era ancora soddisfatto. Lo presi per mano e lo condussi velocemente al piano superiore, in camera mia, dove diventammo una cosa sola per la seconda volta in pochi minuti e per la terza in due giorni. La sensazione di averlo mio, anche se per poche decine di minuti, era una delle migliori che avessi mai provato in tutta la vita.

Justin si addormentò con un braccio attorno alla mia vita, mentre io rimasi a pensare. Quando andavo a letto con lui mi sentivo assalire dalla felicità; mi sentivo catapultata in un mondo parallelo, in cui c'eravamo solo noi due e per gli altri non c'era spazio. Poi, però, la magia finiva e dovevo tornare alla realtà, la realtà in cui io avevo tradito il mio ragazzo con lui, la realtà in cui non c'era spazio per noi, la realtà in cui non andavamo bene l'uno per l'altra, la realtà in cui eravamo sbagliati.

E allora, come poteva qualcosa di sbagliato rendermi così felice da dimenticare di essere impegnata sentimentalmente? Come poteva quel ragazzo riuscire a farmi dire bugie al mio primo amore e alla mia migliore amica? E a proposito della mia migliore amica...

«Merda!» sussurrai. Prima che arrivasse Justin le avevo chiesto se potevo passare la notte da lei e ora erano ormai le due di notte. Allungai la mano verso il comodino di fianco al mio letto e tastai finché trovai il mio telefono. C'erano tre messaggi di Heather.

Il primo era la risposta alla mia domanda e diceva “Stanotte non riesco proprio, piccola. So che è un momento difficile, ma non posso. Scusami...” Mi lasciai uscire un sospiro di sollievo e passai al successivo, in cui mi aveva chiesto come stavo. Nell'ultimo mi aveva detto che sperava avessi smesso di essere triste e mi dava la buonanotte.

Sì, avevo decisamente smesso di essere triste. Se avesse saputo in che modo lo avevo fatto non ne sarebbe stata troppo felice, ma se non altro questa volta non avevo tradito nessuno. Era incoerente da parte mia piangere per Aaron, ricordare la nostra storia e poi andare di nuovo a letto con la persona con cui lo avevo tradito, ma Justin era davvero bravo a stregarmi. Oltre a farmi arrabbiare, ovviamente.

Guardai il biondo illuminato debolmente dalla luce della luna: il suo petto si alzava e si abbassava regolarmente e sul suo viso era dipinta un'espressione rilassata. Era di una bellezza mozzafiato anche quando dormiva con i capelli scompigliati per colpa mia. Sorrisi e mi avvicinai lentamente a lui, facendo attenzione a non svegliarlo. Premetti le labbra contro il suo collo; aprì gli occhi e mi guardò, ancora assonnato.

«Che cosa c'è?» La sua voce impastata e profonda era terribilmente dolce.

«Niente» dissi, appoggiando la testa al suo petto. «Volevo darti un bacino.»

Mi accarezzò i capelli, poi mi strinse a sé. «Buonanotte, Aud.»

Sorrisi nel buio, contenta di aver commesso lo stesso sbaglio di due notti precedenti altre due volte e mi addormentai con il suo profumo che mi inondava le narici.













"i can take you, oh, oh, where you wanna go"
Ciao amici :)
Sarò sincera con voi: oggi è un giorno triste, sto ascoltando le canzoni di Justin in riproduzione casuale dall'iPad e spero possiate capire il dolore che sto provando nel passare da canzoni tipo Born to Be Somebody, ad Overboard, ad As Long As You Love Me, ad All That Matters; perché deve crescere, perché, perché? Mi sta venendo voglia di piangere fino alla mia morte.
Sarò sincera con voi, parte 2: questo capitolo non mi piace. Non mi convince, è un altro capitolo di passaggio e questi non fanno altro che scopare e litigare, ma le idee che ho in testa e che voglio sviluppare, saranno nei capitoli a seguire (molto a seguire). Ve lo dico subito: siamo ancora lontani dal momento in cui si ameranno per sempre e vivranno felici e contenti con unicorni arcobaleno nel magico mondo delle fate e degli gnomi. 
Comunque spero che almeno a voi piaccia questa "cosa". Se così fosse, fatemelo sapere; se così non fosse, fatemelo sapere lo stesso. Voglio ringraziarvi comunque perché leggete e recensite e seguite la mia fan fiction; ne sono molto felice.
Vi chiedo scusa per il capitolo e anche per il ritardo.
Vi amo comunque,
Andrea :)

   
 
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