All’incirca
un anno prima…
“Sempre
con quei
pantaloncini corti…” pensò Kevin Mask,
appena uscito di casa a prendere il
giornale, guardando la moretta che da un paio di settimane passava
correndo
proprio davanti a casa sua. Cuffiette nelle orecchie, strani capelli
neri
sfumati di verde smeraldo raccolti in un ciuffo, e sguardo
costantemente rivolto davanti a sé.
“E
tra dieci
metri…nove…otto…”
Eccola
lì, come sempre, a
fermarsi e tirare fuori dal piccolo marsupio grigio perla un pacchetto
di
Marlboro rosse, niente meno.
Kevin Mask aveva pensato spesso che sarebbe morta
di cancro ai polmoni tra massimo una diecina d’anni, se non
avesse smesso.
Posò
nuovamente il giornale
a terra, aveva deciso: quella mattina le avrebbe rivolto la parola.
Poco
importava se fino a quel momento lei non lo aveva mai neppure degnato
di
un’occhiata.
L’inglese
aveva pensato
spesso e volentieri che quello fosse un fatto piuttosto strano,
considerando
che al suo arrivo in qualunque luogo gli occhi di tutte le ragazze
finivano
inevitabilmente su di lui; a volte ciò era anche piuttosto
seccante perché,
sciaguratamente, le sue coetanee sembravano incapaci di articolare
discorsi
compiuti o comunque interessanti.
Uscì
rapidamente dal
cancello, camminando come se nulla fosse verso la ragazza che stava
scegliendo
la canzone sull’I-Pod.
«Sai
che quel che fai è una
pura e semplice contraddizione, vero?»
Sentendosi
interpellare la
ragazza alzò lo sguardo e sollevò leggermente un
sopracciglio. «Immagino che tu
sia anche ansioso di dirmi perché».
Non
sembrava importarle di
stare parlando con una star del wrestling, né di arrivargli
a malapena al
petto. Anzi, sembrava perfino un po’scocciata, come se non si
rendesse conto di
che grande onore fosse il fatto che lui le avesse rivolto la parola.
Kevin la vide aspirare un’altra boccata di fumo, dopo aver portato la sigaretta tra le labbra sottili.
«Allora?
Intendi dirmelo o hai raggiunto il limite di parole
giornaliero?» gli disse,
con uno sguardo quasi divertito negli occhi verde smeraldo.
Smeraldo,
smeraldo…quel
colore doveva piacerle molto, pensò Kevin, visto che anche
l’I-Pod, le meches
sui capelli e la maglietta che indossava avevano la stessa tinta.
«Devo ridere?» le domandò l’inglese, un po’seccato.
Lei
fece spallucce.
Fu
a quel punto che Kevin
notò il suo accento londinese, più leggero del
proprio ma comunque presente.
Che fosse inglese anche lei, allora? Certo che la galassia era
piccola…
«Corri
per mantenerti in
forma, quindi tieni alla tua salute. Poi però fumi Marlboro
rosse, che ti
uccidono i polmoni. Questo è il controsenso».
Per
tutta risposta la
ragazza tirò un’altra lunga boccata.
«Ok. Adesso però mi verrebbe da domandarti
una cosa».
«Ossia?»
«A
te, che ti frega?»
Kevin
ammutolì. Non era
abituato a sentire qualcuno rivolgerglisi così, tantomeno
una ragazza.
«Niente».
«Allora
perché ci tenevi
tanto a dirmelo?»
Con
quell’aria noncurante
la ragazza aveva l’inquietante capacità di farlo
sentire un perfetto idiota, e
lui non era un idiota. Non si chiamava mica Kid Muscle o quasi peggio
ancora
-almeno a parer suo- Jeager Broken.
«Comunque…
niente più
commenti sulle Marlboro» lo avvisò lei
«In fin dei conti io non ne ho fatti
sulla quantità di birra che bevi».
Ecco,
lo aveva nuovamente
preso in contropiede. «La quantità di?…
Ma che c’entra?»
“Ma
più che altro, lei che
ne sa di quanta birra bevo?!” pensò.
«fumare
fa male, ma se non
lo sai nemmeno sbronzarsi fa tutto questo gran bene alla
salute».
«Tu
cosa ne sai di quanto
bevo? Mi spii?»
Kevin
sapeva che non viveva
troppo lontano da dove viveva lui, pur non sapendo in quale casa
abitasse di
preciso; la vedeva tornare dalla corsa e svoltare in una via - che lui
sapeva
essere chiusa - ad un paio di case di distanza.
«Non
ne ho bisogno. Il portone
che, prima di capire che era quello sbagliato, hai tentato in tutti i
modi di
aprire due notti fa era quello di casa mia» fece un
sorrisetto ironico
guardandolo dritto in faccia «Per la cronaca, attraversandolo
non avresti
trovato il mondo di Narnia».
Quelli
erano i rari momenti
in cui Kevin si sentiva fortunato a portare una maschera di ferro sul
volto,
visto quanto era arrossito. Aveva il brutto difetto di ricordare ogni
dettaglio
delle proprie sbronze, infatti si era domandato di chi fosse quella
casa, ed ecco la risposta. Era
proprio la sua, maledetta la birra e chi
l’aveva inventata.
«Magari
provando
nell’armadio di casa tua avresti avuto più
fortuna» concluse lei.
Kevin
Mask non rispose
neanche, limitandosi a girare sui tacchi e battere in ritirata verso
casa.
Aveva fatto una serie di pessime figure e, se fosse rimasto
lì un altro po’,
probabilmente avrebbe finito per tramortirla con un pugno in testa
purché
smettesse di prenderlo in giro. Come si permetteva?! E il
brutto era che,
dopo Narnia, non poteva nemmeno dirle di chiudere la bocca.
«Batti
in ritirata? Non ti
facevo un vigliacco».
A
quelle parole l’inglese
smise bruscamente di camminare, voltandosi nuovamente verso di lei.
«Io non
sono un vigliacco».
«Buon
per te».
«È
«Ma
tu guarda, è lo stesso
motivo per cui io non ti avevo mai calcolato finora: sapevo che sarebbe
stata
una perdita di tempo…dai, uno che ancora crede
all’esistenza di Narnia…» la
ragazza fece schioccare la lingua contro il palato «È
«Vedi di smetterla» la intimò l’inglese, riavvicinandosi lentamente.
Lei
spense la sigaretta e la
gettò nel cestino per poi, quasi come fosse stata una sfida,
riaccenderne di
seguito un’altra.
«Mettila
così, Kevin Mask,
la prossima volta che vorrai avvicinare una ragazza di’
semplicemente “Ciao”
invece che sputare sentenze sui suoi vizi» gli stava
sorridendo leggermente,
adesso «Non tutte le ragazze le accettano, anche se
provengono da una specie di
star».
Oh,
perlomeno quello lo
aveva riconosciuto. «Me ne ricorderò. Assodato che
conosci il mio nome, sarebbe
il caso che mi dicessi il tuo».
La
ragazza fece degli
anelli di fumo, avendo comunque la cortesia di non soffiarglieli in
viso. «Se
fossi stato meno ubriaco magari due sere fa l’avresti visto
scritto sul
campanello».
«Mi
è sembrato di averti
detto di smetterla! Guarda che altrimenti…»
«…batterai
ancora in
ritirata?» disse lei con espressione alquanto divertita per
poi, notando
l’occhiataccia, porgergli velocemente la mano destra
«Mi chiamo Emerald J. V.
P. Lancaster ».
Indeciso
se stritolarle le
dita o meno, alla fine l’inglese scelse la seconda opzione.
«Kevin Mask. Ma
questo lo sapevi già» commentò
«J.V.P.?»
«Janice
Verbena Phoebe»
Emerald alzò gli occhi al cielo «Rispettivamente
mia madre, mia nonna materna e
mia nonna paterna, lascia perdere».
«Verbena
è un nome strano»
commentò Kevin.
Eccolo
di nuovo, quel sorrisetto ironico. «È
«Senti
un po’…» avviò a
protestare l’inglese, immediatamente interrotto da Emerald
che sollevò il dito
indice davanti al viso.
«Ascolterò
eventuali
rimostranze solo se riuscirai a prendermi» disse rapidamente
lei «Cosa, come ti
dimostrerò, niente affatto facile da farsi, my dear».
«Londinese,
eh?» le domandò
il lottatore, ottenendo in risposta un’alzata di spalle.
«Forse
si, forse no…perché
dovrei dare tutte queste informazioni ad uno sconosciuto?»
Kevin
incrociò le braccia
davanti al petto. «Non sono uno sconosciuto. Il mio nome lo
conosci».
Lei
alzò gli occhi al
cielo e fischiò ad un uomo che passava dall’altra
parte della strada. «Ehi tu!
Come ti chiami?»
«Eeehm…Frank?»
«Lo
domandi a
me?...tutto a posto, continua pure a camminare» disse Emerald
con un cenno, per
poi tornare a rivolgersi a Kevin «Ecco, conosco anche il suo
nome, quindi
adesso andando secondo il tuo ragionamento Frank è il mio
nuovo amichetto del
cuore?»
Stavolta
fu l’inglese ad
alzare gli occhi al cielo. «Stai iniziando a
seccarmi».
«Problemi
tuoi. Comunque,
perché non saresti uno sconosciuto?»
«Perché
ti vedo correre
ogni mattina» avviò a rispondere, accorgendosi che
come motivazione
effettivamente era alquanto debole.
«Considerando
che ti passo
davanti ad un metro e mezzo massimo di distanza se non mi avessi vista
avresti
avuto seri problemi agli occhi» commentò Emerald «Cooooomunque,
la sfida è
ancora valida. Se riuscirai a prendermi ti dirò tutto quello
che vuoi sapere»
si appoggiò al palo della luce con la schiena e gli sorrise
ancora «Andata?»
«Non
faremmo prima se
rispondessi e basta?»
«Hai
paura di non prendermi
o sei troppo pigro per fare una corsetta? Bada che tra l’ozio
e la birra metterai
su un rotolo di ciccia tale che potrò nascondermici
sotto».
Mask
lanciò l’impermeabile
blu scuro nel proprio giardino. «Non mi sono mai tirato
indietro davanti a una
sfida, quindi perché cominciare adesso? Sarò
gentile, Lancaster» fece
scrocchiare le dita delle mani «Ti concederò
cinque secondi di vantaggio».
“Lancaster…ho
come l’idea
di averlo già sentito, ma dove?”
pensò.
«A
partire da…?»
«Adesso».
Un
ultimo sorrisetto ed in
un attimo la ragazza aveva già percorso un centinaio di
metri.
Ma quanto
accidenti correva, quella?!
«Comincia
a correre, Mask!»
ebbe perfino la sfacciataggine di urlargli arrivata al terzo secondo di
vantaggio e,
pur non essendo il tipo d’uomo che corre dietro ad una donna,
per una volta
Kevin Mask obbedì senza stare a discutere.
Correndo e correndo ebbe la conferma di quel che aveva già largamente intuito: non l’avrebbe presa. Lei era sempre duecento metri avanti, per quanto lui potesse correre forte, per quanti ostacoli potessero trovare sulla loro strada.
Saltarono
steccati, saltarono
persone, finirono addirittura correre sui tetti dei palazzi del centro;
sembrava la classica scena tra Willy il Coyote e Mimì lo
Struzzo.
“Sono
certo che non abbia
la mia stessa resistenza. La prenderò, la
pren…dov’è finita?!” Kevin si
guardò
attorno, ma sul tetto di quel palazzo non c’era
più nessuno.
Fece correre lo
sguardo sulla strada…
Lei, prima di sparire in un
vicolo, lo
salutò perfino.
“Non
finisce qui”
pensò Kevin Mask “Passi davanti a casa mia tutte
le mattine, arriverà quella in
cui ti prenderò”.
«Lassù, sul tetto! È Kevin Mask!» urlò qualcuno da sotto.
Il
Cavaliere Mascherato pensò che fosse meglio
dileguarsi prima di essere assediato da una torma di ragazze
urlanti…nella
quale, di certo, Emerald Lancaster non sarebbe stata presente.
“È
Kid
Muscle…quello
sciocco…era da non credersi che ad avere il titolo di
wrestlers più forti della
galassia fossero i Kinniku, le cui teste di generazione in generazione
diventavano sempre più vuote. Ma sarebbe venuto il momento
di vendicare il nome
dei Mask, era per quel motivo che lui si allenava in
solitaria da una
vita.
Il
pensiero tornò alla
ragazza. Chissà, forse con Emerald a cui correre dietro ogni
mattina il lupo
solitario avrebbe finito per diventare un po’meno solitario.
Non si riteneva un misantropo, solo qualcuno che non sopportava le persone frivole e stupide com’erano Kid Muscle e compagnia. Se trovava qualcuno con cui valeva la pena “perdere tempo”, perché non avrebbe dovuto farlo? Certo, la ragazza non sembrava un tipino facile. Ma non pensava nemmeno che gli fosse ostile, non per come gli aveva sorriso…
***
È
un capitolo breve, lo so, ma pensavo che il loro primo incontro ne
meritasse
uno tutto per sé. Adesso la questione è una sola:
ne volete uno che parli di
quando Kevin riuscirà finalmente ad acchiappare la nostra
sfuggente londinese
cercando di farsi rivelare quel che gli interessa, oppure preferite un
piccolo
salto in avanti nel tempo? Dite, dite…
Grazie
a giuliaxace e
all’immancabile Cyberluna per
aver
recensito il prologo :)
creata
con Dolldivine. Un po'le somiglia.