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Autore: Pandacoffee    15/12/2013    6 recensioni
Larry - [2.162 caratteri]
Ok, era mattina presto ma non importava. Doveva parlargli e doveva farlo in quel preciso istante.
“Buongiorno Harry siediti sul divano devo parlarti e non ho portato le brioches ma possiamo uscire a prenderle dopo. Hai dormito bene? Siediti.”
Aveva gli occhi socchiusi, le guance rosse e il segno del cuscino che gli segnava la fronte.
I ricci erano sconvolti e spettinati, sparati in tutte le direzioni. Aveva addosso solo i pantaloni azzurri del pigiama in pile, orribile.
Aveva i piedi nudi e stava sulle punte per tenere sul pavimento la minor quantità di pelle possibile.
“Louis ma...”
“Ora Harry... devi stare zitto, zittissimo qualsiasi cosa io dica. Non devi interrompermi mai per nessuna ragione al mondo, nemmeno se ti faccio una domanda, ok? Non devi rispondere, non devi parlare e non devi alzarti, muoverti o fare un qualsivoglia tipo di espressione facciale che possa indurmi a credere che tu stia pensando una cosa anziché l’altra”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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My winding wheel
 
Dedicata alla Modest!


Louis Tomlinson è un tipo pratico, alla mano. Un tipo che odia perdere tempo e i giri inutili di parole.
Per questo quella mattina si era alzato presto, prestissimo. Si era lavato la faccia, le ascelle, si era lavato i denti con il dentifricio alla menta forte senza pensare minimamente a cosa avrebbe detto una volta arrivato.
Si era vestito di fretta, senza pensare. Una maglia anonima, senza scritte, una felpa unicolor e un paio di jeans chiari. Più le vans. Niente calze.
Non si era pettinato, non importava essere belli o in ordine.
Aveva mangiato due biscotti prima di uscire, prima di prendere le chiavi di casa e chiudere con doppia mandata il proprio appartamento. Aveva chiamato l’ascensore canticchiando una canzone che cantava spesso da bambino. Doveva distrarsi, non doveva pensare a cosa avrebbe detto una volta arrivato davanti a quella porta, davanti a quella casa, davanti a lui. Non doveva pensarci, non doveva programmare nemmeno una parola.
Tutto doveva andare e basta, tutto doveva capitare senza il minimo piano. Doveva dire le prime parole che gli capitavano in mente, le prime che gli sarebbero inciampate sulla lingua. Doveva parlare senza pensare, senza cambiare nemmeno una virgola di tutta la questione.
La casa verso la quale si stava dirigendo era ad appena un isolato dalla sua. Nemmeno cinque minuti di camminata.
Doveva distrarsi però, non doveva pensare.
Per questo... 1, 2, 3, 4, 5... contava ogni passo, ogni volta che un piede toccava l’asfalto mentre l’altro si sollevava 12, 13, 14, 15, 16.
Contava i passi e i respiri, contava persino i battiti del cuore, doveva contare, contare e non pensare alle parole.
36, 37, 38, 39 , 40.
E contava, senza sosta, senza pensare ai baci che si scambiavano sulla panchina che aveva alla sua destra, senza pensare alla volta che attaccati a quel lampione lui aveva fatto scivolare una mano nei pantaloni dell’altro... doveva contare, cazzo. Doveva contare.
50, 51, 52, 53... non doveva pensare a tutto l’amore che provava per ogni singola centimetro di strada che aveva ospitato la loro complicità, di ogni singola centimetro di pelle che lui aveva toccato.
73, 74, 75.
E poi come un fiume, come una diga che cede, si distrugge, un’onda di ricordi gli aveva attraversato il cuore, il cervello e aveva iniziato contare ad alta voce allora.
“91, 92, 93, 94, 95...”
E la gente era probabile lo credesse pazzo ma a lui alla fine non è che importasse molto perché c’erano solo le loro mani intrecciate nella sua mente, i respiri sincronizzati e il rumore dei corpi che si appiccicano durante il sesso.
“123, 124, 125, 126” contava, contava, ma ormai era chiaro che non servisse, contava ad alta voce ma i ricordi, le parole che voleva dirgli erano sempre più vive, più chiare, più presenti nella sua mente.
Per questo, ben 236 passi dopo era giunto davanti alla sua porta con almeno metà discorso già fatto in testa. Aveva provato a non pianificare le parole ma non ci era riuscito. Tutte le parole che voleva dirgli era impossibile ignorarle, far finta di non saperle.
Lui sapeva esattamente ogni parola che voleva dirgli e sapeva addirittura dove prendere fiato, quando guardarlo negli occhi o dove lasciargli il tempo per dirgli: “Louis ma...”
Perché lo avrebbe detto avrebbe detto: “Louis ma...” ma lui gli avrebbe impedito di aggiungere altro perché lui si era rotto il cazzo dei ma.
Aveva bussato e suonato il campanello, giusto per essere certi che si sarebbe svegliato.
Niente.
Così aveva bussato e suonato ancora e poi ancora fin quando non aveva sentito un “arrivo” impastato di sonno.
A quel punto aveva guardato l’orologio: 7.03
Ok, era mattina presto ma non importava. Doveva parlargli e doveva farlo in quel preciso istante.
“Buongiorno Harry siediti sul divano devo parlarti e non ho portato le brioches ma possiamo uscire a prenderle dopo. Hai dormito bene? Siediti.”
Aveva gli occhi socchiusi, le guance rosse e il segno del cuscino che gli segnava la fronte.
I ricci erano sconvolti e spettinati, sparati in tutte le direzioni. Aveva addosso solo i pantaloni azzurri del pigiama in pile, orribile.
Aveva i piedi nudi e stava sulle punte per tenere sul pavimento la minor quantità di pelle possibile.
“Louis ma...”
“AH!”
Così Louis aveva preso Harry per un braccio facendo praticamente irruzione in casa. Aveva chiuso la porta e sempre trascinandoselo dietro lo aveva fatto sedere sul divano. Si era tolto la felpa, anche, e gliela aveva passata perché non voleva prendesse freddo.
Harry si era semplicemente abbandonato tra i cuscini, si era infilato nella felpa calda di Louis e aveva provato a vedere che ora segnava il videoregistratore ma aveva ancora la vista appannata dal sonno.
Ci aveva anche riprovato ad un certo punto, prima che Louis si piazzasse davanti a lui al centro del tappeto.
Aveva riprovato a dire “Louis... cosa?” ma era stato bloccato da un perentorio indice alzato per zittirlo che gli ondeggiava davanti mimando un no.
Così si era rassegnato, aveva puntato gli occhi su Louis ed era stato in silenzio.
“Ora Harry... devi stare zitto, zittissimo qualsiasi cosa io dica. Non devi interrompermi mai per nessuna ragione al mondo, nemmeno se ti faccio una domanda, ok? Non devi rispondere, non devi parlare e non devi alzarti, muoverti o fare un qualsivoglia tipo di espressione facciale che possa indurmi a credere che tu stia pensando una cosa anziché l’altra”
Harry era stato immobile. Non era completamente certo di seguire il discorso di Louis ma se aveva capito qualcosa era che doveva rimanere immobile. Così Louis aveva sorriso e annuito.
Aveva preso fiato e poi aveva iniziato a parlare.
“Ti amo.”
Aveva preso fiato ancora mentre Harry aveva appena iniziato a smettere di ricordarsi come si respira.
“Volevo dirti che baciarti nei bagni della scuola o in giro per la città, di sera, quando ancora facevamo il liceo, per me non era un passatempo. Volevo baciarti ad ogni ora del giorno e della notte ma ti facevo credere che per me era solo un gioco. Abbiamo fatto sesso una sola volta non perché volevo giusto provare a scoparti e una volta raggiunto il mio scopo mi sono sentito appagato. Lo abbiamo fatto una volta sola perché non ho mai avuto il coraggio di ipotizzare come sarei stato durante la seconda. Sarei morto Harry, sarei morto di infarto se avessi avuto l’opportunità di vederti nudo una seconda volta. Sei bello, bello da impazzire, da far morire l’aria nei polmoni, da far gelare il sangue e da far venire mal di testa. Sarei morto, mi segui? Sarei impazzito di gioia e il mio cuore non avrebbe retto.
Quella volta che ti ho preso la mano mentre facevo il tatuaggio l’ho fatto non perché sentissi male e aveva bisogno di conforto... anche... ma principalmente l’ho fatto per ricordarmi che il dolore di un ago che incide la pelle non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello che provo quando la mia mano non stringe la tua.
Il giorno in cui ti ho detto che tu per me sei solo un amico l’ho fatto perché volevo sentirti dire qualcosa, qualsiasi cosa che mi facesse credere che per te invece non era così.
E vorrei dei figli con te. È spaventoso, lo so, me ne rendo conto... la tipica frase che può far scappare chiunque ma, vedi? Ti amo talmente tanto che il fatto che siamo due uomini passa del tutto in secondo piano e non penso al fatto che è impossibile per entrambi concepire un figlio. Immagino me, te e un bambino praticamente ogni minuto di ogni giornata. Vorrei un figlio con te, vorrei un matrimonio classico. Vorrei poter dire al mondo intero che tu sei mio marito perché ti amo talmente tanto che nessuno Stato al mondo potrebbe mai dirmi di No mentre chiedo: “possiamo sposarci qui?”
Nessuna legge al mondo avrebbe il coraggio di dire di no a qualcuno che ama come io amo te.
Ti amo come non avessi altra scelta al mondo, come io fossi nato per quello. Ti amo in modo così viscerale, assoluto e totalizzante che la risposta “sì lo amo” per me è quella giusta a qualsiasi domanda.
Ti amo così tanto che la trama di qualsiasi film d’amore mi annoia. Mi annoia persino Titanic, mi annoia mortalmente perché io ti amo molto di più.
E ti amo, lo so che ti amo perché non c’è niente di quello che posseggo che io non ti darei. E non parlo solo di cose materiali... non voglio dirti che ti darei la mia vita perché sarebbe davvero retorico o melenso però ti prego di non chiedermelo mai. Non chiedermi: “Louis, donami la tua vita” perché ho davvero paura ti direi di sì.
Direi di sì a qualsiasi tua richiesta Harry. Qualsiasi.
E adoro dire il tuo nome. Mi piace dirlo anche senza un verbo dopo, anche fuori dalle frasi, fuori dalla logica.
Mi piace dire il tuo nome e sapere che se lo dico un po’ più ad alta voce mi rispondi: “dimmi Lou”.
Mi piace ogni cosa di te, ogni tua fissazione, ogni tua mania. Mi piace che ti gratti il naso quando sei in imbarazzo e adoro sapere esattamente cosa dire per imbarazzarti.
Ah, e ti amo così tanto che Romeo e Giulietta non mi vengano a dire cazzate, io ti amo di più e... oddio ecco... hai sorriso, mi stavo dimenticando di dirti che quando sorridi non c’è nessun altro luogo al mondo dove vorrei andare Harry.
Ti amo così schifosamente tanto che quando sono in una stanza mi basta sapere che lì ci sei anche tu per orientarmi. Mi basta sapere dove sei  per far diventare quel preciso luogo il Nord, il punto verso il quale orientare l’ago di una bussola.
Ti amo così tanto che non vorrei presentarti a nessuno perché non voglio qualcuno creda che tutti possano trovare un amore come te. Nessuno può. Nessuno può permettersi di credere che tutti gli amori al mondo siano come quello che io provo per te perché nessuno lo è.
Io ti amo molto più di qualsiasi amore ci sia mai stato e di qualunque altro amore che devo ancora nascere. Ti amo più di quanto ti amavo quando ho iniziato questo discorso, sai? Molto di più.
Mi basta guardarti con la mia felpa addosso per sapere per certo che sei l’immagine che vorrei incorniciare e mettere sulle mensole di casa mia. Sei la foto più bella che potrei mai fare.
Sei persino il miglior libro che ho letto e il miglior film che ho guardato.
Il mio colore preferito, la mia canzone speciale, quella che ascolterei a nastro per tutta la vita.
Sei il tempo che segue il mio orologio e sei il motivo ultimo di ogni mia scelta.
E poi... cazzo, ti amo così tanto che non mi importa di rendermi ridicolo, non mi importa se il mio discorso non ha senso o se invece tu non provi nulla.
Perché Harry, ti prego, credimi, ti amo così tanto che non mi importa se tu non mi ami. Mi importa solo che tu mi dia la possibilità di presentarmi alla porta di casa tua, ovunque andrai ad abitare in futuro. Vorrei solo tu mi dessi la possibilità di poterti vedere appena sveglio, con gli occhi socchiusi e i capelli spettinati.
Dammi la possibilità di darti il buongiorno per sempre, finché sarò in vita. Dammi il permesso di ripeterti questo discorso all’infinito o almeno dammi la possibilità di concludere questo fiume di parole con qualcosa che forse ancora non ti ho detto: ti amo Harry”.
Harry si era alzato in piedi. Ad un certo punto durante quel discorso si era alzato in piedi. Quando? Non si ricordava e Louis non aveva opposto resistenza, non gli aveva detto siediti o altro.
Aveva semplicemente continuato a parlare mentre Harry, davanti a lui, era ben lieto che i suoi piedi toccassero il pavimento. Non stava più sulle punte dei piedi come poco prima davanti alla porta. Voleva anzi essere ben piantato a terra, voleva essere certo di essere stabile mentre tutte le parole di Louis gli crollavano addosso quasi dolorosamente.
“Ora puoi parlare... se vuoi dire qualcosa... O possiamo andare a prendere la colazione, se hai fame. Hai fame?”
Harry aveva scosso la testa mentre ogni singola parola pronunciata da Louis continuava a martellargli nella testa.
“Lou...” aveva iniziato “non so se la mia risposta abbia senso ma... anche io”.
Poi aveva preso fiato, più o meno mentre Louis smetteva di sapere controllare il proprio respiro.
“Anche io. Tutto quello che hai detto Lou, anche io...”.
E si era messo a piangere anche mentre allungava le braccia verso di lui e chiedeva, come fanno i bambini: “ora mi abbracci però?”.
Così Louis lo aveva fatto perché a qualsiasi richiesta di Harry, la risposta di Louis, era sì.
 
 

 
  
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