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Autore: Mariam Kasinaga    15/12/2013    2 recensioni
La voglia di sangue la divorava dall'interno e, con il tempo, aveva imparato che resistere non sarebbe servito a niente
Genere: Dark, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Rising of Evil

 
 
 
 
Inspirò profondamente l’odore acre del sangue, camminando lentamente tra le montagne dei cadaveri. Ogni cellula del suo corpo fremeva, spingendola ad uccidere ancora ed ancora, sentendo le ossa dei suoi nemici spezzarsi e frantumarsi sotto i colpi possenti della sua spada, mentre l’assordante clamore della battaglia gli rimbombava nelle orecchie.
I raggi del sole riflettevano sulla sua armatura di acciaio delle sfumature rossastre che andavano a confondersi con il sangue secco che aveva versato quel giorno. Contemplò la distruzione che la circondava: guardò le pile di corpi senza vita che i suoi uomini stavano bruciando, ascoltò le grida dei feriti che imploravano i loro assassini di porre fine a quelle atroci sofferenze, trovò qualcosa di magnifico nei corpi che si avventavano sui morti, strappando e lacerando loro la pelle nel tentativo di nutrirsi.
Sì, c’era qualcosa di perfetto in tutto quello. Un crescendo di dolore e disperazione che le riempiva il cervello, una sinfonia di morte che le solleticava la mente, spingendola ogni giorno a ballare quella frenetica e pazza danse macabre.
Guardò la propria immagine riflessa in uno scudo spezzato che giaceva di fianco a lei: sfiorò con la mano i sottili capelli bianchi che aveva raccolto in uno chignon, fece scorrere l’indice vicino ai suoi felini occhi gialli e seguì il contorno della mandibola, fermandosi vicino alle labbra.
Vi era qualcosa di oscuro nei meandri più nascosti della sua anima, un demone che trascorreva gli anni rodendole l’anima e consumandola in ogni singolo giorno della sua esistenza su quella terra che le aveva affibbiato un nome talmente diabolico da far rabbrividire persino lei: Moloch.
Era quello il nome che veniva sussurrato dai suoi nemici quando guardavano la furia omicida nei suoi occhi prima di soccombere ai suoi piedi, la parola bisbigliata nell’oscurità dagli anziani per spaventare i bambini nelle notti di temporale e da chi la vedeva avanzare a capo del suo esercito.
Aveva mosso guerra ad un numero infinito di Nazioni per porre fine alla sua sete di sangue, guardando re ed imperatori supplicarla per avere salva la vita, un attimo prima di distruggerli assieme ai loro stendardi. L’avevano pregata di non annientare i loro regni, ma la voce dentro di sé le ordinava di distruggere ogni cosa incontrasse sul suo cammino: non aveva pietà per le madri che urlavano stringendo i propri figli al petto, né per gli stupidi ragazzini che la guardavano con un misto di orrore e curiosità.    
 
“Freya, cosa hai fatto?” urla una voce. Guarda le sue piccole mani imbrattate di un liquido rosso vischioso, che comincia a gocciolare al suolo. Con la mano sinistra stringe ancora il pugnale che ha fatto affondare nel petto di suo fratello.
Uccidi.
Uccidi ancora…
 
Era iniziato tutto quella mattina, senza che se ne rendesse conto. Aveva presto scoperto che non aveva senso combattere ciò che si era annidato dentro di lei, insinuandosi nel suo cervello ed infettandole il cuore e la mente: era molto più facile scivolare dentro di esso, lasciandosi cullare da quella voce talmente invitante da lasciarla ogni volta in un tale stato di beatitudine da portarla a desiderarne sempre di più.
Continuò a camminare nella terra riarsa del canyon, intrisa del sangue di centinaia di uomini. I suoi passi rimbombavano amplificati dall’eco, mentre osservava i suoi prepararsi nuovamente per la marcia. Le labbra le si piegarono in un sorriso sghembo, mentre gli occhi guizzavano sui corpi senza vita che giacevano tutt’intorno a lei, inzozzati di sangue rappreso.
Non aveva bisogno di dormire, non sentiva necessità alcuna di bere e mangiare, non era fiaccata dalla fatica. Aveva abbandonato da tempo quello stupido involucro di carne che l’aveva trattenuta crudelmente come una gabbia, rendendola vulnerabile ad ogni ferita le venisse procurata. Era diventata un qualcosa di superiore e magnifico, un’entità arcana superiore a qualsiasi altro essere umano. In lei risiedeva il concetto puro della Distruzione, un liquido vischioso che le percorreva le vene e le riempiva gli organi, la ubriacava con la sua Potenza e Potere e la rendeva come nessuno era mai stato. Ciò che tutti avevano definito morbo l’aveva trasformata in un essere grandioso, contagiando pian piano tutti coloro che si trovavano vicino e lei.
 
Si guarda allo specchio nella stanza dove è stata rinchiusa, ascoltando delle grida provenire dal corridoio.
Osserva l’iride dei suoi occhi castani costellarsi di pagliuzze dorate, mentre la pupilla si restringe come quella di un gatto.
Contempla i suoi capelli neri scolorire senza sosta, fino a trasformarsi in un’indomita chioma bianca.
Si avvicina alla porta, dove sembra che dall’altra parte possano esserci decine di persone accalcate nel corridoio. La apre sfiorandola con un dito e, mentre si spalanca, sorride agli inservienti di corte ricoperti di sangue.
 
Si voltò a guardare la sua fedele armata che combatteva al suo fianco da anni: ammirò come, nonostante le armature si stessero arrugginendo e i loro stivali fossero ormai consunti, in loro bruciasse ancora quella fiamma che gli spingeva, giorno dopo giorno, a riversarsi su tutto ciò che incontravano. Solo lei sembrava immune al tempo che passava, mentre notava come molti dei suoi soldati ormai non fossero altro che mucchi d’ossa.
Incrociò gli occhi di un cavallo morente e si inginocchiò davanti a lui, passando il dito indice sul suo collo e percependo gli ultimi spasmi del suo corpo. Guardò la vita abbandonare il corpo dell’animale ed osservò con attenzione le zampe contorcersi in un ultimo impeto di vitalità prima di irrigidirsi.
Talvolta, in quei rari momenti in cui la bestia dentro di sé sembrava allentare la morsa attorno ad i suoi pensieri, si chiedeva cosa sarebbe successo quando tutto il mondo non sarebbe stato altro  che una landa incolta ricoperta dagli scheletri di ogni singolo essere umano avesse avuto lo sventurato destino di incontrarla. Forse, alla fine, lei e la sua armata avrebbero combattuto l’un l’altro in eterno o, così come aveva donato loro l’immortalità, li avrebbe visti morire uno ad uno davanti ai suoi occhi. Sarebbe rimasta solo lei e l’essere che l’aveva corrosa dall’interno, anno dopo anno, rendendole difficile scindere i suoi pensieri dalla bramosia insaziabile di morte dell’ospite che l’aveva resa così.
Si alzò, ritornando sui suoi passi. Tutte le persone attorno a lei attendevano solo un suo cenno, un’indicazione di dove dirigersi. Li avrebbe portati nelle fredde distese del ghiaccio del Nord o avrebbero prima sterminato le popolazioni che vivevano nei villaggi ad Est, nelle praterie dove da piccola si divertiva a correre con suo fratello?
 
Lui corre davanti a lei, i vestiti completamente rossi. Si gira e la chiama per nome, tendendo una mano incrostata di sangue. Lei vede il buco che ha nel petto, nero come la notte e sente qualcosa palpitarle in mano.
 
Scacciò quell’immagine con un gesto della mano ed afferrò il bastone del suo stendardo: il panno rosso si agitò mosso dal vento, che spirava verso est. Estrasse la spada dal fodero e la guardò luccicare mentre, urlando, la alzava con decisione in alto. Il suo esercitò la imitò, quasi tentando di ferire il cielo con migliaia di spade e lance arrugginite.
Non sapeva quale sarebbe stato il suo destino, né si era mai chiesta se la sua sorte sarebbe stata diversa, se da bambina l’avessero portata da uno di quei sacerdoti che sembravano saper scacciare le entità malefiche con la semplice imposizione delle mani. Urlò con quanto fiato aveva in gola e sentì qualcosa agitarsi nelle sue viscere, preparandosi ad un’imminente battaglia. 
   
 
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