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Autore: kiku_san    13/05/2008    2 recensioni
E se Murtagh non fosse fuggito dal palazzo di Galbatorix, ma fosse cresciuto alla sua corte tra intrighi e giochi di potere, fino a diventare Cavaliere e a giurargli fedeltà di sua spontanea volontà..E se Brom e Ajihad non fossero morti ...E se L'Imperatore considerasse Nasuada una pedina essenziale per la vittoria contro i Varden...Un NasuadaxMurtagh che inizia con un inganno e si sviluppa tra odio e violenza, in un gioco crudele e perverso nel quale i ruoli di vittima e carnefice non sono così scontati.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Murtagh, Nasuada
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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L’OSTAGGIO (Parte Seconda)

4. Quando si ridestò si trovò immersa nella penombra.
Quanto tempo era passato?
La sera prima lei e Murtagh avevano avuto il loro primo scontro. Quanto tempo aveva dormito? Avrebbe dovuto essere mattino, ma in quella cella, con quella flebile luce era difficile capire l’ora. Si guardò attorno: il tavolo era vuoto, nessuno aveva più portato del cibo. Chiamò Cho con voce sottile, ma non le rispose nessuno.
Era sola, anche le candele erano scomparse.
Si alzò a fatica, prese uno specchio di metallo lucidato posato sul tavolo e si mise sotto la feritoia da dove pioveva l’unica fonte di luce, rimanendo a guardarsi a lungo. Si ravviò alla meglio i capelli bruni che le scendevano lisci fino alle spalle, ma che ora apparivano spenti e secchi. Se li acconciò in una treccia. La pelle un tempo dorata, ora era pallida e grigiastra. I grandi occhi nerissimi e profondi, dalle ciglia lunghe e arcuate erano velati, quello destro era tumefatto come le labbra. I segni delle dita di Murtagh, avevano lasciato lividi violacei sul collo. Dopo poco il suono del chiavistello che scorreva la fece alzare dalla sedia nonostante la debolezza.
Tornac le ordinò di uscire.
La camera era vuota, la tavola imbandita. Era buio, la pioggia scrosciava lungo i vetri, lampi azzurrini illuminavano la stanza seguiti da boati lontani.
Lui entrò come evocato dal suo pensiero, le si avvicinò; era straordinariamente ben vestito e mostrava un contegno degno di un signore, solo negli occhi chiari brillava una selvaggia sfrenatezza.
“Ho finalmente capito il tuo punto debole principessa” gli sussurrò accostandosi ancora di più.
“Anch’io” rispose lei.
Quella risposta sembrò far vacillare la sicurezza di Murtagh, la guardò con uno sguardo pieno di sospetto, ma dietro a questo, Nasuada percepì un sentimento strano che non riuscì a identificare. Lui si soffermò ad osservare il suo viso deturpato dalle botte e per un attimo sembrò dimenticarsi di tutto il resto. Poi si riscosse.
“Siedi, mettiti comoda”
Lei si sedette al tavolo automaticamente, rigida e severa.
Lui la imitò, sedendosi di fronte a lei.
“Ed ora mangiamo”
“Non mangerò lo sai, puoi picchiarmi finché vuoi ma non cambierò idea”
“ Per nulla al mondo?” la canzonò Murtagh.
Lei non rispose.
Murtagh sussurrò qualche parola a Tornac, che uscì e rientrò poco dopo seguito da una fanciulla. Era poco più di una bambina, forse di dodici, tredici anni. Era graziosa con capelli lunghi biondi, occhi celesti, pelle delicata. Tremava, gli occhi erano spalancati e pieni di lacrime.
Nasuada rimase immobile guardando la giovanetta, poi spostò lo sguardo su Murtagh.
Lui si rivolse alla ragazzina.
“Come ti chiami?”
“ Teha” rispose lei con voce incrinata dal pianto.
Chiaramente la piccola era terrorizzata e di fronte a lui aveva assunto la postura di una schiava: testa bassa, occhi fissi a terra, spalle reclinate.
“Vedi Teha” continuò Murtagh con voce carezzevole “Lady Nasuada non vuole mangiare, il cibo che ti ho chiesto di preparare non è di suo gusto e questo è una grave mancanza da parte tua. Ogni servo deve saper accontentare il suo padrone, lo sai?”
La piccola non seppe far altro che annuire debolmente senza neppure sollevare la testa.
“Saprai anche che i servi che non soddisfano il loro padrone vengono puniti, vero?”
Thea cominciò a piangere, un pianto silenzioso che le scuoteva le spalle, non provò neppure a difendersi, sapeva che era inutile.
“Così piccola Thea verrai punita, qui ed ora”
Si alzò veloce, si avvicinò alla fanciulla e con una mossa decisa le strappò di dosso la tunica che indossava. La ragazza rimase nuda e cercò con goffo pudore di coprirsi con le mani.
Murtagh la osservò divertito: “Sei carina, mi dispiace rovinare la tua pelle così delicata” e così dicendo le accarezzò la schiena provocando un brivido di terrore nella fanciulla.
“Mi voglio divertire questa sera Teha, spero che sarai all’altezza della situazione; quale punizione ti meriti?”
Finse di pensare e intanto di sottecchi guardava il terrore dilagare nella mente di Thea.
Nasuada era impietrita, non riusciva a pensare lucidamente, non riusciva ad urlargli di smetterla, ne riusciva a rendersi conto fino in fondo che tutto ciò che accadeva era reale, le sembrava di essere capitata in un incubo orribile.
Murtagh aprì una cassapanca e ne tolse una verga, saggiandone l’elasticità.
“Dieci colpi potranno essere sufficienti, Tornac tienila ferma”
Il servo prese la piccola come se fosse una bambola, la gettò sul tavolo con la schiena rivolta in alto e passando dall’altro lato le afferrò le braccia in una morsa.
Nasuada vide il volto di Thea accanto al suo, gli occhi colmi di pianto, lo sguardo terrorizzato, il corpo tremante di terrore.
Non poteva credere che Murtagh lo avrebbe fatto.
Quando il primo colpo calò sulla schiena della ragazza lasciando una striscia rossa su quella pelle lattea e lei sentì l’urlo straziato uscirle dalla bocca insieme con un rantolo, capì che non era un bluff.
“Fermati basta, mangerò” riuscì a pronunciare con la voce flebile e la gola secca.
Murtagh sorrise di un sorriso maligno.
Fece un cenno a Tornac, che prese la ragazza e la condusse fuori della stanza.
“Non le farai più del male?”
“No, non per causa tua per lo meno” sorrise lui.


5. La mattina dopo Tornac aprì di nuovo la porticina e la fece passare nella camera di Murtagh. Lui era calmo e freddo. Ciò che in lui spaventava di più Nasuada, era proprio la sua freddezza.
“Siediti, mangia con me”
Nasuada ubbidì in silenzio.
Lui sorrise malevolo: “Hai visto? Ho trovato il tuo punto debole e non c’è voluto neppure molto”
“Anch’io l’ho trovato”
Murtagh la guardò con occhi duri, poi rise beffardo: “Non si direbbe: ti ho io nelle mie mani”
“Non hai nulla nelle tue mani”
“Ho la tua vita”
“Hai la mia morte, la mia vita è mia e non l’avrai mai”
“La tua morte è già sufficiente per me”
Lei non rispose, concentrò la sua attenzione sul piatto e sul cibo che masticava adagio; ad ogni boccone il suo corpo esultava, il vuoto si ritirava. Ma ora non n’aveva più bisogno e così lo lasciò andare.
“L’Imperatore questa sera ha organizzato un banchetto in tuo onore, sarai l’ospite di riguardo”
Nasuada lo guardò fisso negli occhi, provava odio nei suoi confronti e ribrezzo, ma oltre l’odio, oltre il ribrezzo c’era qualcos’altro che non riusciva a definire, cui non riusciva ad assegnare un nome.
“Cosa significa quello sguardo?” chiese lui.
“Sto cercando di capire cosa suscita dentro di me la tua presenza”
Murtagh sogghignò, ma Nasuada colse una nota stonata in quel sogghigno, poi si alzò di scatto e si avviò alla porta: “Sii pronta per questa sera, ti scorterò io al banchetto”
Si recò alla Torre dei Draghi. Lì erano collocate le dimore di Shruikan e di Castigo.
Trovò Castigo sdraiato sul suo giaciglio. La sella e i ricchi finimenti erano appesi ad una parete, accanto alla splendida armatura color rubino.
“Che cosa c’è?” gli chiese il drago appena entrò.
“Nulla, hai voglia di sgranchirti un po’ i muscoli?”
“Certo, mi sto annoiando”
“Bene, facciamoci un giretto”

Cavalcare Castigo era l’unico modo per rilassarsi quando era teso o preoccupato. Era uno dei momenti in cui stava meglio in assoluto, libero e pieno d’energie.
Perché in quegli ultimi giorni si sentiva invece nervoso e irrequieto? Tutto stava andando per il meglio: avrebbero vinto la guerra e il potere dell’Imperatore non sarebbe più stato messo in discussione, nessuno avrebbe più osato alzare la testa. Anche lui di conseguenza sarebbe diventato ancora più potente e temuto.
In realtà sapeva benissimo che la ragione della sua inquietudine era quella dannata ragazza. Lo sapeva perché aveva cominciato a sentirsi così dalla prima volta che l’aveva incontrata ad Aberon, da quando l’aveva guardata negli occhi e aveva appena sfiorato la sua mente per istigarla all’odio e alla violenza. In quel momento non aveva avuto il tempo di sondare in profondità i suoi pensieri, ma aveva ricevuto una sensazione che l’aveva sorpreso: era stato come immergersi, in una giornata di calura estiva, nell’acqua di un ruscello: cristallina, limpida, fresca. Quando aveva incontrato il suo sguardo era successo qualcosa dentro di lui che non sapeva spiegarsi e questo lo aveva spaventato: era come se gli occhi di Nasuada gli avessero fatto emergere sensazioni che lui non ricordava di aver mai provato; come se avesse ritrovato qualcuno d’importante che però non sapeva chi fosse. Da quando la teneva prigioniera era capitato di nuovo.
Due sere prima si era arrabbiato e aveva perso il controllo, quando cercando di sondarle di nuovo la mente, aveva trovato un muro a difenderla. Non avrebbe mai sospettato che lei avesse quell’abilità, ma non era per questo che si era infuriato, era stata piuttosto la frustrazione per non poter più rivivere quelle sensazioni che aveva provato la prima volta.
Mai nessuno prima d’allora l’aveva fatto sentire in quel modo: non gli piaceva, sentiva di non essere più completamente padrone di se stesso, ma soprattutto quello che lo mandava su tutte le furie, era la consapevolezza che per la prima volta qualcuno non era completamente in suo potere. La voleva a tutti i costi, ma era costretto a frenare i suoi impulsi per ubbidire all’Imperatore e questo lo rendeva nervoso e irascibile. Se avesse potuto disporre di lei liberamente avrebbe saputo come umiliarla e farle ingoiare quel suo stupido orgoglio, quella sua aria di superiorità con cui lo guardava. Sperò che Ajihad non accettasse la proposta dell’Imperatore, sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma quello era l’unico modo per poterla avere. Allora sì che si sarebbe divertito, si dilettò a pensare a lei in suo potere, a lei che lo supplicava di non farle del male, a lei che si dibatteva e cercava di difendersi con tutte le sue forze; il solo pensiero lo eccitava. Si costrinse ad allontanarlo dalla mente; ancora un po’ di pazienza e poi tutto sarebbe tornato come prima!
“Cos’ha quella ragazza di così speciale?” la voce di Castigo che risuonava nella sua mente, lo riscosse dai suoi pensieri.
“Niente”
“Niente? E’ un’ora che m’ignori e la tua mente è piena delle sue immagini e hai il coraggio di dirmi niente?”

Murtagh rise: “ Mi eccita molto, tutto qui”
Castigo per tutta risposta, emise un brontolio.
Era sera, Nasuada aveva indossato un abito di seta e broccato che la vecchia Cho le aveva portato.
Murtagh aprì la porta della sua prigione, anch’egli era vestito con ricercatezza, non aveva armi alla cintura, solo un pugnale con il manico d’oro tempestato di gemme e l’anello che rosseggiava al suo dito.
Scesero fino a trovarsi in un’ampia stanza arredata con fasto. Lunghi tavoli imbanditi erano disposti a ferro di cavallo. I fedeli dell’Imperatore erano riuniti al banchetto: uomini d’intrighi e politica, uomini d’armi, ricchi commercianti. Tra tanti uomini, risaltavano alcune dame: avvolte in sete cangianti e broccati preziosi, acconciate in modi fantasiosi e bizzarri, con trucchi pesanti che nascondevano le loro vere fattezze.
Le ampie e generose scollature, le loro risate sguaiate, i modi troppo confidenziali e volgari fecero capire a Nasuada di quali donne si trattasse. Murtagh, ad un cenno dell’Imperatore, la spinse al suo cospetto. Visto così, seduto su di un trono, pareva veramente degno degli antichi re del passato: possente e severo.
Lui la guardò con attenzione.
“Che cosa sono quei segni sul volto?”
La domanda era rivolta a Murtagh, la voce era dura.
“Si rifiutava di mangiare” si giustificò lui, ma senza tradire emozione.
“E per risolvere la situazione hai pensato bene di ucciderla di botte?”
“Non è morta mio signore e il problema si è risolto” rispose lui con l’espressione di un monello colto in fallo, che fa la faccia di circostanza contrita, ma in realtà non è per nulla pentito.
“Murtagh ha sempre la risposta pronta, ma in questo caso ti ha disubbidito” rimbeccò all’improvviso una voce alla sinistra dell’Imperatore.
Nasuada vide quasi emergere dalla stazza di Galbatorix, un ombra che prese le sembianze di un uomo, se così lo si poteva definire: alto, magro, viso scheletrico, pelle tesa e tirata, pallidissima, labbra quasi inesistenti, capelli rossi come gli occhi: Durza lo Spettro.
Murtagh gli rivolse uno sguardo d’odio profondo, che non sfuggì a Nasuada.
“L’Imperatore non ha chiesto il tuo parere Durza” disse aspro.
“Finitela voi due” tuonò Galbatorix.
“Se lasci che il tuo allievo ti disubbidisca cosa penseranno i tuoi sudditi? Si sentiranno autorizzati a fare altrettanto” bisbigliò Durza.
“L’Imperatore non ha bisogno di qualcuno che gli consigli cosa fare” ribadì sicuro di se, Murtagh.
“ Vi ho detto di finirla, mi state seccando. Mia signora siedi al mio tavolo, spero ti divertirai”
Fu fatta accomodare poco lontano dall’Imperatore, mentre Murtagh occupava posto alla sua destra.
Mano a mano che il banchetto procedeva, gli animi si accendevano riscaldati dal cibo e dal vino che scorreva a volontà. Al centro della stanza si esibivano buffoni, giocolieri, ballerine. Le donne diventavano sempre più audaci, gli uomini sempre più lascivi.
Due donne stavano intrattenendo l’Imperatore e il suo Cavaliere, che se le scambiavano ridendo. Il banchetto si era ormai trasformato in un’orgia. Nessuno aveva più ritegno o pudore, corpi nudi si agitavano sopra e sotto il tavolo in ogni accoppiamento possibile. Nasuada si guardò attorno disgustata e impaurita, sembrava però che nessuno facesse caso a lei e voltandosi si accorse che Tornac torreggiava dietro alla sua sedia, come un monito per chi si fosse avvicinato troppo. Poteva stare tranquilla, per ora perlomeno!
Cercò di non staccare gli occhi dal piatto e di rinchiudersi in se stessa, ma era difficile trovare il proprio centro in quella situazione. Di sottecchi non le sfuggirono gli sguardi che l’Imperatore e Murtagh si lanciavano. Sembrava che per entrambi le due ragazze fossero un trastullo senza importanza, qualcosa di temporaneo che servisse ad arrivare a ciò che era veramente importante. Ad un tratto l’Imperatore con uno schiocco delle dita fece allontanare la donna seminuda che lo baciava, seduta sulle sue ginocchia; anche Murtagh si alzò, spingendo bruscamente lontano da se la propria compagna. L’Imperatore gli si avvicinò scompigliandogli con un gesto affettuoso i capelli, poi entrambi uscirono dalla stanza.
Tornac si accostò all’orecchio di Nasuada: “Possiamo andare ora”
Lei si alzò non sapendo cosa l’aspettasse. Si tranquillizzò solo quando entrando nella camera di Murtagh la trovò vuota: la cosa peggiore era non sapere mai cosa potesse accadere, ogni istante era in balia d’individui per i quali la vita umana non aveva nessun significato, anzi per i quali la sofferenza altrui era motivo di divertimento.
Cosa c’era tra Murtagh e l’Imperatore? Nasuada intuiva che i due se n’erano andati per godere un’intimità che in pubblico ad entrambi non era consentita. L’intimità con Galbatorix era la punizione che Murtagh doveva scontare o un premio? Chiuse gli occhi, nauseata.
Tornac si era seduto davanti a lei impassibile, il suo sguardo non la perdeva di vista un istante.
“Servi il tuo padrone da molto?” gli domandò lei, non aspettandosi una risposta.
Con meraviglia l’uomo parlò: “Sono stato il suo maestro d’armi e la sua guardia del corpo da quando è nato. E’ stata sua madre ad affidarmi quest’incarico”
Nasuada notò un’incrinatura delicata nella voce, quando Tornac nominò la madre di Murtagh.
“Dov’è sua madre?”
“Era una donna molto bella e…triste, è morta da molti anni”
C’era nostalgia e dolore nella voce dell’uomo, ma anche la chiara volontà di non aggiungere altro.
“Non mi porti di là?” e fece un cenno alla porticina con il catenaccio.
“Il padrone non mi ha dato ordini in proposito, puoi stare qui finché non torna”
Nasuada si distese sul divano dove sedeva e chiuse gli occhi.
Furono delle voci a farla svegliare.
Murtagh era rientrato, si era tolto la giubba preziosa rimanendo con una tunica sottile, era disteso sul letto e gemeva tenendosi la testa tra le mani. Tornac lì accanto, teneva un secchio dove Murtagh vomitava ad intervalli brevissimi.
Si mise seduta, si accorse che la vecchia Cho era accanto a lei, rannicchiata contro il muro.
“Cosa succede?” le bisbigliò.
“Il signore sta male, non è la prima volta, soffre per crisi di mal di testa e vomito, di solito va avanti così per ore”
“Non avete rimedi?”
“Non c’è nulla che gli faccia cessare la crisi”
Nasuada si avvicinò, Murtagh aveva gli occhi chiusi e non si accorse di lei.
“Avete provato con un infuso d’erba stella?” bisbigliò.
Tornac la guardò inespressivo, Cho gracchiò: “Mai sentita”
“Non è possibile, è comunissima, si usa anche in cucina per insaporire la carne, assomiglia ad una mano”
“Vuoi dire la cinquina?”
“Mi pare la chiamino anche così”
“Non è un’erba medica”
“Portamene una manciata di foglie fresche e dell’acqua bollente”
Cho guardò interrogativamente Tornac, che le fece un cenno d’assenso.
Murtagh sembrava quasi incosciente; poco dopo Cho tornò con l’occorrente. Nasuada preparò la tisana.
Un profumo fresco e gradevole si sparse per la stanza, sembrava che una folata d’aria d’alta montagna fosse entrata dalla finestra.
Tornac abbozzò un leggero sorriso tra la folta barba, come se un dolore si fosse sciolto. Cho si sentì più giovane, una sensazione che neppure più ricordava.
“Dagliela da bere a piccoli sorsi” disse Nasuada porgendo la tazza a Tornac.
Lui la guardava sospettoso.
“Mio signore, la prigioniera ti ha preparato questo rimedio, dice che ti farà stare meglio”
Murtagh aprì gli occhi: “Vuoi avvelenarmi?” disse rauco.
Nasuada prese la tazza e ne bevve un sorsata: “Ti farà stare meglio”
Muratgh la soppesò lungamente, poi senza una parola ne bevve un goccio e poco dopo un altro, finché la finì. Sentì un calore diffondersi nello stomaco calmandone i crampi e poco per volta attenuarsi anche quel dolore martellante alla testa. Ma c’era dell’altro: una tranquillità che non ricordava d’aver mai provato e una sonnolenza dolce e pesante che lo avvolgeva con il suo tepore.
“Cambiagli la tunica e asciugagli il sudore, poi coprilo” suggerì Nasuada a Tornac.
Quando l’uomo gli tolse la tunica, Nasuada vide sulla schiena e sulle braccia di Murtagh lividi estesi che stavano diventando bluastri.
  
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