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Autore: kiku_san    03/05/2008    3 recensioni
E se Murtagh non fosse fuggito dal palazzo di Galbatorix, ma fosse cresciuto alla sua corte tra intrighi e giochi di potere, fino a diventare Cavaliere e a giurargli fedeltà di sua spontanea volontà..E se Brom e Ajihad non fossero morti ...E se L'Imperatore considerasse Nasuada una pedina essenziale per la vittoria contro i Varden...Un NasuadaxMurtagh che inizia con un inganno e si sviluppa tra odio e violenza, in un gioco crudele e perverso nel quale i ruoli di vittima e carnefice non sono così scontati.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Murtagh, Nasuada
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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L’OSTAGGIO (Parte Prima)

1.C’era caldo, molto caldo e lingue di fuoco ardevano accanto a lei, l’atmosfera era densa di vapori, davanti ai suoi occhi una sagoma prendeva sempre più consistenza: un drago rosseggiante l’aspettava immobile tra i fumi ardenti. Lo cavalcava un uomo coperto da un’armatura anch’essa rossa. Nasuada si avvicinò, con la sua spada sottile tra le mani. Eccolo! Finalmente avrebbe potuto trovare soddisfazione, placare quella sete di vendetta che la tormentava. Il Cavaliere l’aspettava immoto, quando lei fu vicina al punto tale da poterlo vedere in viso, alzò la celata dell’elmo e le sorrise, un sorriso beffardo che le fece venire la pelle d’oca…..
Nasuada si svegliò sudata e ansimante.
Era stato un sogno, ma sembrava che il sogno le fosse rimasto impigliato nella mente. Sentiva caldo come se avesse la febbre alta e contemporaneamente il suo corpo era scosso da brividi. Come in trance cercò le sue vesti e sopra di queste indossò l’armatura. In testa c’era un solo pensiero, doveva raggiungere Murtagh, sfidarlo e ucciderlo, solo in questo modo tutto si sarebbe sistemato.
Finalmente avrebbe pagato per tutto il male che aveva commesso, finalmente tanti suoi amici sarebbero stati vendicati e tra tutti il più caro: Kaled.
Lacrime le salirono agli occhi pensando a lui, erano cresciuti insieme nel Farthen-Dur, due bimbi della stessa età che avevano condiviso ogni momento della giornata: i giochi, gli scherzi, gli allenamenti. Si erano amati come fratelli, Kaled per lei era la persona più importante dopo suo padre. Lui era stato ucciso in uno scontro con i soldati dell’Imperatore. Murtagh avrebbe pagato anche per la sua morte.
Come spinta da una forza superiore uscì furtiva dalle sue stanze. Dalle stalle prese il suo destriero e si avviò verso l’ingresso custodito da due sentinelle. Quando queste la riconobbero, le lasciarono il passo senza fare domande.
Ed ora cavalcava nel vento della notte, la spada sulla sua schiena le dava un senso di freddo e nel contempo di forza. Non sapeva dove stava andando, cavalcava fidandosi del suo istinto, di una voce che la chiamava.
La notte passò e le stelle si spensero ad una ad una, anche la luna rimase opaca sospesa nell’alba. Nasuada non smise di galoppare, il cavallo mostrava segni di stanchezza, il mantello coperto di sudore, la schiuma alla bocca, ma lei non gli permetteva di rallentare l’andatura.
Si fermò solo quando il sole cominciò a dardeggiare a picco sul suo capo. Si sistemò tra una forra dove scorreva un rigagnolo fangoso. Fece dissetare il cavallo, lo lascio libero di pascolare, mentre lei in piedi scrutava l’orizzonte. Non vi era nessun pensiero nella sua mente, solo la smania di arrivare alla meta, qualunque essa fosse. La meta dove avrebbe incontrato Murtagh e lo avrebbe ucciso.
Nel pomeriggio riprese la corsa e fu solo verso sera che s’inoltrò in un bosco scuro di larici. Gli zoccoli del cavallo erano smorzati dal tappeto d’aghi secchi che si ammassavano sul terreno; ad un tratto in una radura rocciosa apparve il drago del sogno, Nasuada riconobbe Murtagh seduto sul dorso, che la osservava con un sogghigno.
“Ti aspettavo, hai fatto presto, meglio così”
Nasuada sguainò la spada e si avvicinò, la sensazione di calore crebbe.
“Scendi e combatti” gli urlò con la rabbia che aveva accumulato in tutti gli anni della sua vita.
Murtagh rise: “Non ho tempo per questi giochetti” e così dicendo pronunciò alcune parole nell’antica lingua. Fu come se le fosse inferto un colpo violento sulla testa, ebbe solo il tempo di scorgere il riso beffardo del Cavaliere e poi tutto fu oscurità.


2. Quando riprese i sensi si trovò in una cella buia e fredda. L’elmo e la spada chissà dov’erano finiti. Un dolore alla nuca, le ricordò il colpo che all’improvviso le aveva fatto perdere i sensi. Aveva i muscoli intorpiditi e la mente intontita, sospettò che l’avessero drogata.
Probabilmente si trovava a Uru-baen, nella dimora dell’Imperatore.
Rumori alla porta la distolsero da ogni pensiero. Due guardie entrarono e l’agguantarono malamente.
“Mettete giù le mani” imprecò rabbiosamente.
“Avete sentito Lady Nasuada” risuonò beffarda la voce di Murtagh. Era rimasto poco discosto dalla porta.
Si incamminarono lungo corridoi e rampe di scale. Alla fine entrarono in un ampia sala.
Tra un gruppo d’armati torreggiava un uomo. Alto, svettava sopra tutti gli altri, il fisico possente nonostante l’età, i capelli scuri con fili grigi lunghi fino alle spalle, un viso forte e virile con un naso diritto, labbra carnose, occhi magnetici, voce sonora e autorevole. Quell’uomo così affascinante poteva essere il nemico, poteva essere l’Imperatore?
Al suo ingresso le voci si spensero, i soldati fecero ala al suo passaggio. Murtagh posò un ginocchio a terra velocemente.
“Mio signore, ti ho portato la prigioniera che desideravi vedere”
“Voi dovete essere Galbatorix, vi riconosco dal fetore, lo stesso del vostro scagnozzo” disse con voce dura Nasuada, ma un manrovescio la colpì al lato destro della testa, così improvviso e violento da farla cadere a terra stordita.
Una mano ferma l’aiutò a rialzarsi, quella di Galbatorix.
L’orecchio destro le ronzava e la vista era sfocata.
“Murtagh non così, non è una serva ma la figlia di Ajihad, la principessa dei Varden”
Nasuada non potè fare a meno di notare l’evidente sarcasmo che impregnava quelle parole.
“Non sono una principessa lo so bene, ma so altrettanto bene che voi non siete un imperatore”
“Ma io ho un regno” rispose con bonaria pazienza Galbatorix.
“Cos’è un regno? Un regno è terre, palazzi, città, ricchezze? Allora è vero voi avete un regno e io no; ma se un regno è uomini e donne liberi, audaci, fieri, se un regno è formato da sudditi ubbidienti non per paura, allora siete voi a non avere un regno ed io a regnare sul migliore”
“Belle parole ragazza” l’Imperatore applaudì lievemente “Brava e bella ma assai sciocca, sei caduta nella trappola di Murtagh senza neppure rendertene conto”
“Trappola?”
“Ingenua! Non ti sei chiesta perché lo abbia mandato ad Aberon? Quale sia stata la causa del tuo comportamento incosciente, del tuo sogno assurdo di vendicarti di tutti i torti subiti, del tuo desiderio di affrontarlo?”
Nasuada era confusa: “Non capisco”
“Sapevo che saresti stata lì ad ascoltare il messaggio che portava, gli è bastato entrare un attimo nella tua mente ed usare le arti magiche, ricordati che è un Cavaliere”
Nasuada arrossì suo malgrado: “ Non sapete cosa state dicendo” mormorò.
“Oh sì certo. Sapevamo che l’odio ti avrebbe accecata, avrebbe offuscato la tua celebre chiarezza di mente. Sapevamo che avresti messo da parte la prudenza pur d’affrontarlo; Murtagh non ha dovuto far altro che alterare solo di un poco la tua mente, sovraccaricarla dell’odio che già provavi contro di noi, insomma gettarti in una situazione avventata, dalla quale non avresti avuto speranza di uscire viva”
“Allora il messaggio era tutta una scusa per avvicinarmi, per offuscarmi la mente e per farmi prigioniera?”
“Era il nostro scopo, appena Murtagh ti ha catturata, ti ha portato subito qui da me.”
Nasuada guardò Murtagh, il suo sorriso era beffardo e pieno di malizia.
Spostò lo sguardo sull’Imperatore, ora sì che lo vedeva per quello che era: un sorriso malvagio gli deturpava il bel volto, gli occhi erano diventati cupi ed oscuri, lascivi e biechi.
“Perché la mia cattura dovrebbe favorirvi? In battaglia mi sono sempre fatta onore, ma non sono insostituibile”
“Sei un ostaggio molto prezioso mia cara, sei l’unica figlia di Ajihad, accetterà le mie condizioni pur di riaverti indietro”
“Vi sbagliate” ribadì freddamente Nasuada “Lascerà che io muoia”
“Sì lo penso anch’io, ma io non voglio la tua morte. Lascerà che sua figlia divenga la baldracca dei suoi nemici?”
Nasuada sentì freddo, ma si sforzò di rispondere: “Mio padre non verrà mai a patti con voi”
“Vedremo. Sia che lo faccia oppure no, avrà sempre perso la stima dei suoi uomini. Quale padre lascia la figlia nelle mani del suo peggior nemico senza fare nulla? Murtagh voglio che tu custodisca questa ragazza con la massima cura possibile. Non le deve mancare nulla e…tu non la devi toccare neppure con un dito, ci siamo intesi? Non voglio che tu la perda di vista; quella stanzetta nei tuoi appartamenti potrebbe andare bene”
Murtagh l’afferrò per un braccio, la stretta era decisa, con il preciso intento di farle del male.
Salirono scale e percorsero corridoi, fino ad arrivare ad un portone sorvegliato da due guardie.
Murtagh l’aprì. Dentro, la stanza era ampia e confortevole.
“Ora ti comporterai bene e non ti succederà nulla”
“Il tuo padrone ti ha ordinato di non toccarmi, quindi non minacciarmi”
Murtagh la guardò con occhi socchiusi.
“A volte non resisto all’impulso di disobbedire” mormorò con voce carezzevole.
“E non temi che il tuo padrone ti punisca?”
“ A volte mi perdona, riconosce che ho disubbidito a ragion veduta, nel suo interesse; altre volte no…ma” rimase un attimo assorto, “Le sue punizioni spesso mi sono gradite quanto i suoi premi” il tono della sua voce era diventato sgradevole, pieno di sottintesi osceni.
Nasuada lo fissò freddamente con ribrezzo e per un attimo notò di nuovo nello sguardo di Murtagh un cedimento seppur brevissimo, che lasciò posto alla rabbia.
“Non fissarmi negli occhi, non mi piace”
Un rumore lo fece voltare, alcuni servi entrarono portando una tinozza che riempirono con acqua calda. Li seguiva un uomo molto alto, dalla corporatura muscolosa, con barba e baffi fluenti.
“Tornac” disse Murtagh “Lei è Nasuada. L’Imperatore me l’ha affidata. Tu sarai responsabile del suo benessere. Fai portare nella stanza” e così dicendo accennò con il capo ad una porticina nel muro di fronte, accanto all’enorme camino spento “Ciò di cui una donna può avere bisogno: coperte, cibo, vesti e fai preparare anche per lei un bagno”
Tornac abbassò il capo ed uscì. Murtagh dava le spalle alla ragazza e indifferente alla sua presenza cominciò a spogliarsi; si tolse per primi gli spallacci sbalzati e i bracciali di cuoio borchiati, si slacciò la pesante tunica di cuoio e fece cadere a terra con rumore la cotta di metallo, si sfilò infine una tunica leggera di lino.Sulla sua schiena biancheggiava una cicatrice, deturpandogliela.
Nasuada non riusciva a distogliere gli occhi da quel corpo alto e magro ma dai muscoli guizzanti.
Intuì che lui percepiva il suo sguardo e che n’era compiaciuto. Dopo essersi tolto i pantaloni, s’immerse nell’acqua della vasca.
Non si era girato, la ignorava volutamente.
In quel mentre entrò Tornac, seguito da servi che portavano coperte, un tavolo, vivande, vesti.
L’uomo aprì una porticina e fece entrare i servi. Dietro a tutti ciabattava una vecchia: piccola, sembrava una bambina infagottata in un vestito logoro e ruvido, la faccia rotonda come una mela avvizzita, gli occhi come spilli che si facevano strada tra mille ragnatele di rughe.
“La vecchia Cho sarà al tuo servizio” disse Tornac.
La vecchia sorrise a Nasuada con un sorriso sdentato e s’infilò nella porticina.
“Chiudila dentro, non la voglio tra i piedi” disse Murtagh senza neppure voltarsi.
Tornac indicò la porta, alla fanciulla.
Quando lei entrò si trovò in una stanza piccolissima, una vera e propria cella. Una feritoia in alto spandeva sul pavimento una lama di luce. Nella penombra vide un lettuccio che i servi stavano ricoprendo con delle coperte.Un tavolo e una sedia gli erano stati disposti accanto e alcune vivande spandevano un aroma fragrante, che però non riusciva a nascondere l’odore di cui era impregnata la stanza: un odore di paura e di sangue.
Quando tutti furono usciti, Nasuada sentì lo scatto di un catenaccio esterno.
La vecchia, rimasta con lei, guardava con avidità il cibo.
“Mangia mia signora, prima che si raffreddi”
“Mangia tu, io voglio riposare”
“I servi hanno portato una vasca piena d’acqua profumata, un bagno ti ristorerà”
Nasuada annuì, si spogliò aiutata dalla vecchia e cercò per un po’ di non pensare a nulla.
Pulita e rivestita, bevve del vino e si buttò sul letto.
“Vorrei restare sola”
“ Mi dispiace ma sono chiusa qui dentro come te, ma tu fai come se non ci fossi, la vecchia Cho non c’è mai per nessuno, nessuno si accorge di lei”
Nasuada sospirò, una lacrima le sfuggì.
“Dove dormirai?” le chiese.
“Sono abituata a dormire per terra”
“Tieni” le diede due coperte che la vecchia afferrò avidamente, quasi temesse che la ragazza la stesse prendendo in giro.
“Mangia” le ordinò Nasuada e Cho mangiò come chi ha dimenticato cosa sia mangiare.


3.Quando si svegliò, per un attimo non capì dove si trovasse. Il sonno era stato pesante e tenebroso, popolato da incubi di cui non ricordava nulla, ma che le avevano lasciato dentro un’angoscia persistente e profonda.
Sul tavolo Cho stava sistemando alcune vivande fresche: pane profumato, miele, dolci e latte.Il suo corpo aspirò prepotentemente il profumo del cibo, lo stomaco brontolò rumorosamente reclamando nutrimento, la sua bocca secca desiderò qualcosa di fresco e dissetante, ma nella sua anima c’era il vuoto ed era più forte di tutto ciò che il corpo reclamava; il vuoto s’impossessò di tutta se stessa, mise a tacere ogni esigenza, rimase solo e incontrastato.
Nasuada pensò che il vuoto era suo alleato, l’avrebbe aiutata a non nutrirsi, a farsi morire d’inedia, mandando così in fumo il piano dei suoi nemici. Se fosse morta, suo padre non avrebbe dovuto vivere con la colpa di aver deciso della sua sorte. Se fosse morta, suo padre avrebbe schiacciato l’Imperatore nel suo nome.
“Mangia mia signora” sussurrò Cho.
Nasuada scosse il capo.Bevve solo un bicchiere d’acqua. La vecchia non aspettò altro e cominciò a mangiare con voracità e mentre s’ingozzava, i suoi occhietti non smettevano di saettare dalla ragazza alla porta, per avere sotto controllo la situazione.
Le ore passarono lente.
Nasuada rimase con l’orecchio teso a captare qualsiasi rumore provenisse dalla camera di Murtagh, ma vi era solo silenzio come in una tomba.
“Cos’è questa stanza?” chiese ad un tratto.
La vecchia rincantucciata sul suo giaciglio di fortuna aveva gli occhi chiusi e sembrò non aver sentito.
“So che non dormi, rispondimi”
Gli occhietti a spillo della donna si aprirono immediatamente.
“E’ meglio non saperlo”
“Questo lo giudicherò io, dimmi quello che sai”
“Poco mia signora, non sono affari miei”
“Parla”
“Dicono che Murtagh ci porti le ragazze che gradisce”
“Qui? Ma è una prigione!”
Cho assentì.
Nasuada fu scossa da un brivido.
“Cosa fa alle ragazze?”
Cho scosse la testa: “E’meglio non saperlo mia signora”
“Non sono d’accordo, preferisco sapere con chi ho a che fare”
“Io non so, ma si dice che provi piacere nel far loro del male”
Nasuada provò un moto d’odio e ribrezzo.
“Cosa fa?”
“Non so, si sentono pianti e lamenti, gemiti, singhiozzi, a volte non si sente nulla e poi ad un tratto un urlo.Ti si ghiaccia il sangue”
“Dove le prende?”
“Sono prigioniere, serve, a volte i suoi uomini portano dalle loro scorrerie le ragazze più belle. I genitori pregano d’avere figlie brutte, molte ragazze vorrebbero essere come la vecchia Cho”
“Nessuno si ribella?”
“E’ un onore finire nell’harem dell’Imperatore e del suo Cavaliere. Come ci si potrebbe ribellare. I genitori ringraziano quando le loro figlie piangenti sono portate via”
“E’ assurdo”
“No, se non ringraziassero sarebbero considerati ribelli e allora loro e tutta la famiglia sarebbero sterminati”
Quando la porta si aprì, due servi tolsero i vassoi che avevano portato il mattino e li sostituirono con nuove vivande.
Doveva essere pomeriggio inoltrato. Nasuada non toccava cibo dal giorno in cui aveva lasciato Aberon, ma gli unici sintomi erano la bocca arida e la testa intontita. A volte i crampi allo stomaco riuscivano a prendere il sopravvento sul vuoto, ma poi tutto tornava come prima.
Quando Cho capì che neppure questa volta la ragazza avrebbe toccato cibo, bussò alla porta.Un rumore metallico e si stagliò davanti all’entrata la sagoma di Tornac. Cho uscì, il catenaccio si richiuse.
Solo dopo qualche ora l’uomo riaprì la porta ed entrò, Nasuada alzandosi ebbe un giramento di testa e si afferrò al braccio di Tornac. Si riebbe subito, alzò la testa fieramente ed uscì.
Era sera ma nella camera era stato acceso un solo candelabro, da un’alta finestra entrava una luce velata. Murtagh era lì accanto, in piedi.
Nasuada cercò di raccogliere tutte le sue forze, anche se si sentiva debole.
“E’ vero che non mangi da quando sei arrivata?”
“Sì”
“Hai deciso di farti morire di fame?”
“Sì”
Murtagh strinse le labbra per la collera.
“E’tutto inutile, ti costringerò”
“Vedremo”
“Sono un Cavaliere posso farti fare ciò che voglio, dovresti sapere come mi è facile entrare nella tua mente”
“Provaci di nuovo”
“Non sfidarmi principessa”
“E tu non vantarti Cavaliere”
C’era disprezzo e odio nella voce di entrambi.
“Come vuoi” la voce di Murtagh divenne ad un tratto vellutata.
La conoscenza dell’arte magica permetteva ai Cavalieri di penetrare nella mente altrui, di leggerne i pensieri e le intenzioni nascoste e di piegarle al loro volere.
Murtagh estese la sua mente come una ragnatela fino ad incontrare quella di Nasuada, ma con sua sorpresa, si trovò di fronte una fortificazione potente: cercò di aggirarla, di trovare un pertugio, una spaccatura, cercò di colpirla con potenza, di aprirsi un varco con la forza, ma nulla, le mura non cedevano.
Quando aprì gli occhi vide la fanciulla davanti a se: lo sguardo fisso, un pallore estremo sul volto solitamente dorato, le labbra bianche, il sudore che le imperlava la fronte.
Murtagh fu travolto dalla collera, allungò il braccio e strinse il collo sottile della ragazza in una morsa. Nasuada cercò di sottrarsi alla stretta, ma più si divincolava più Murtagh stringeva.
Alla fine con l’ultimo fiato lei sussurrò: “Stringi più forte, risparmiami la fatica di morire di fame”
Murtagh sembrò accorgersi solo in quel momento che stava rischiando di strangolarla, tolse la mano dal collo, la prese per i capelli e la colpì più volte. Nasuada non era una damigella delicata, fin da piccola era stata addestrata come un uomo: era, anche se piccola di statura, forte e agile, sapeva usare la spada,con l’arco era infallibile, nella lotta sfuggente e decisa. Cercò di ribellarsi, di ribattere ai colpi, ma era debole e Murtagh sembrava godere della sua resistenza, dei suoi tentativi di colpirlo a sua volta.
Alla fine la scaraventò contro una cassapanca, nelle mani gli erano rimaste alcune ciocche dei capelli della ragazza. Nasuada batté contro uno spigolo del mobile e rimase stordita, sentendo il sangue scorrergli dai capelli lungo il collo.
Quando la vista si schiarì, vide Murtagh accanto a lei, ansimante.
La sollevò come si solleva un pupazzo, le strinse il viso tra le dita: “Ora mangerai”
Nasuada si sentiva intontita e dolorante, ma si sforzò di sorridere mentre rispondeva flebilmente: “No”
Si preparò ad una nuova scarica di botte, ma Murtagh la lasciò.
“Riportala dentro” ordinò a Tornac.
Prima che la porta si richiudesse alle sue spalle, le mormorò con gelida rabbia: “Troverò il tuo punto debole, tutti hanno un punto debole, trovato quello il gioco è fatto, ognuno, anche il guerriero più eroico, diventa un agnellino; lo troverò brutta sgualdrina e allora farai tutto ciò che ti chiederò”
Finalmente la porta si chiuse, il tonfo fu un rumore grato alle sue orecchie. Si buttò sul letto, non si reggeva in piedi. Nel dormiveglia percepì Cho pulirgli la ferita alla testa e bagnarle con una pezzuola fresca il viso. Si sentiva fisicamente prostrata, senza forze, con il viso tumefatto, ma stranamente la mente acquistava sempre più chiarezza.
Brom diceva lo stesso a Eragon: “Ogni persona ha il suo punto debole, scoprilo e lo avrai in pugno”
Doveva scoprire qual era quello di Murtagh, prima che lui scoprisse il suo.
Si rese conto che la sua reazione alle botte lo aveva eccitato, come un gatto che si diverte solo se il topolino si dibatte tra i suoi artigli; probabilmente se il topo rimanesse immobile, il gatto smetterebbe di torturarlo.
Ancora le parole di Brom : “Non accettare le provocazioni, non farti dominare dalla rabbia, dall’odio, dalla paura; rimani concentrato su te stesso, tu sei il centro dei tuoi pensieri”
Era stato proprio lui ad insegnarle a schermare la mente. Lei era particolarmente predisposta e anche se non possedeva le abilità di un Cavaliere, aveva imparato a difendersi dagli assalti mentali. Lo stesso maestro era rimasto sorpreso dall’impenetrabilità delle sue difese.
Quello che era successo ad Aberon, quando Murtagh aveva influenzato i suoi pensieri, era potuto accadere perché lei non si aspettava nulla di simile, non era stata in guardia, nessuno sospettava che Murtagh conoscesse le arti magiche e fosse un Cavaliere e lui aveva potuto colpirla in un attimo, come un serpente che scatta per mordere la sua preda.
Murtagh era eccitato dai tentativi di ribellione della sua vittima così come dalla sua paura. Bene! Non avrebbe avuto più né una né l’altra da lei. Sarebbe stata come un bambù, si sarebbe piegata senza spezzarsi e dopo la bufera si sarebbe rialzata di nuovo.


Bilu_Emo: Grazie per l’attenzione.
Stefy_81: Spero che ti piaccia anche questo chap. Ho letto la ff What if ..( oltre a Il battito del cuore,come sai) e ti ho lasciato una recensione.A breve leggerò anche le altre, vedo che sei una scrittrice molto prolifica.
  
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