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Autore: S t r a n g e G i r l    16/12/2013    1 recensioni
Tutti i bambini hanno paura di qualcosa, che solitamente poi si nasconde sotto il letto.
L'uomo nero, mostri, rapinatori...
Quel che spaventava me, ad esempio, era verde e aveva i tentacoli.
Ma quello da cui Isaac era terrorizzato, da cui si nascondeva e fuggiva non era nulla di simile; il suo, di mostro, aveva le fattezze di suo padre.
Quando me lo aveva raccontato, io avevo riso come se fosse stata una barzelletta e lui non mi aveva rivolto parola per mesi, fino a quando non ero andata a casa sua con un dolce fatto da mia madre per farmi perdonare e, dalla finestra, l'avevo intravisto anche io, il suo incubo.
E da allora in me era nato l'istinto di proteggerlo.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isaac Lahey, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pioggia Di Vetro

10. Pioggia di parole.

- Did I do something wrong? -
- I dont' have anyone -


« Violet! Violet, non correre! »
Mery annaspa alle mie spalle, il respiro così pesante che risulta spezzato.
Io corro fra i corridoi, incurante delle occhiatacce che ricevo dagli infermieri, il cuore in ansia che non si disturba neppure a battere: una sua pulsazione equivarrebbe ad una timida speranza e non posso concedermene.
Lo scenario dipinto da Mery al telefono -condito poi di dettagli nel tragitto dall'aeroporto all'ospedale di Beacon Hills- ha solo suscitato terrore e panico in me, che ora scorrono prepotenti nelle mie vene mischiati col sangue.
Devo trovarlo, devo assicurarmi che stia bene.
E' l'unico pensiero che mi rimbomba in testa e nelle orecchie e in gola e nella cassa toracica.
Sposto malamente una signora in carrozzella e sguscio fra due dottori, che indossano un camice da sala operatoria, dirigendomi verso la reception con gli occhi che bruciano e le labbra che a stento trattengono il suo nome.
Isaac.
Mery mi raggiunge, incespicando sui lacci sciolti delle scarpe, e mi blocca per una spalla, spingendomi contro un muro.
E' senza fiato e ha il viso scavato e pallido, occhiaie rossastre sotto gli occhi e sudore fra i capelli. A fatica la riconosco. E, di sicuro, a fatica lei riconosce me.
Io non so chi sono, senza di lui.
« Mi spieghi perchè hai voluto precipitarti qui non appena atterrata? Credi che un... » si guarda attorno con circospezione e deglutisce sonoramente prima di proseguire, abbassando ulteriormente il tono di voce « ... un licantropo abbia bisogno di un'iniezione per rimettersi in sesto? Non so neppure se l'ago riuscirebbe a bucare la sua pelle! » strepita in un sibilo strozzato, gesticolando e scuotendomi per un braccio.
Atona, mi sento risponderle:
« Ti stai confondendo con Clark Kent. »
Poi mi libero della sua stretta e mi sporgo oltre il bancone dell'atrio, dove diverse infermiere parlano in modo concitato al telefono o battono frettolosamente sulle tastiere dei computer.
Nessuna mi presta attenzione e, in breve tempo, vengo spintonata via da pazienti lamentosi, che gemono di dolore con fasciature improvvisate, e medici agitati, che rispondono al cercapersone.
« Violet, maledizione! Dimmi che cosa facciamo qui! » Mery mi ghermisce per un gomito e mi fa voltare, gli occhi accesi d'irritazione.
« Io... io non lo so bene, ok? E' l'unico posto che mi è venuto in mente. L'unico dove una persona dovrebbe essere se viene portata via in barella. L'unico dove possono aver portato Jackson Whittermore, anche se non ho idea di come sia invischiato in tutta questa... Aspetta! » esclamo di colpo, indicando una porticina sulla destra che si è appena chiusa.
Muovo qualche passo in quella direzione, ma lei mi blocca ancora.
« Cosa? Che hai visto? Oddio, non so se lo voglio sapere. La tua faccia non è affatto rassicurante. »
« Vieni con me, devo controllare una cosa. » l'afferro per un polso e me la trascino dietro, incurante delle sue proteste e dei suoi tentativi di frenarmi.
Nella confusione generale nessuno bada a noi, così riusciamo ad intrufolarci indisturbate dentro la stanzetta che reca il cartello "Obitorio".
« Perchè siamo qui? Non mi piace, non mi piace per nie... » Mery scuote energicamente la testa e la treccia, con cui ha legato i lunghi capelli, le frusta le guance.
La sua lamentela viene interrotta da una voce femminile, tesa e sorpresa al contempo.
« Ragazze! Cosa pensate di fare? » Melissa McCall compare davanti a noi, tirando una tenda per coprire un sacco nero adagiato su un tavolo operatorio d'alluminio.
Era stata lei ad attirare la mia attenzione: mi aveva incuriosito con i suoi sguardi attenti e preoccupati lanciati a destra e sinistra prima di sgattaiolare lì dentro, pensando di non essere vista.
« E' il corpo di Jackson Whittermore quello che ha nascosto, vero? Gesù, credo che mi stia venendo da vomitare. » Mery ci volta le spalle e si appoggia alla porta con i maniglioni antipanico, respirando profondamente.
Io le lancio un'occhiata preoccupata, poi torno a fissare decisa in viso la madre di Scott e, infine, mi decido a parlare.
« Lei sa che fine ha fatto Isaac? E' con Scott? Sta bene? Lo può rintracciare? » chiedo in rapida successione, come se le mie domande fossero proiettili di un mitra. E Melissa arretra, colpita e sgomenta, con una mano sulla bocca socchiusa.
« I-io non lo so. E voi non potete rimanere qui. Andate via, ragazze. Non voglio che ... »
« ...veniamo coinvolte? Lo siamo già, signora McCall. » Mery, ripreso un po' di colore, interviene ed estirpa sul nascere i tentativi della donna di farci uscire dall'obitorio.
Incrocio le dita dietro la schiena, sperando che lei sappia esattamente di cosa stiamo parlando e non ne sia, invece all'oscuro.
Come potrebbe reagire venendo a sapere, da due ragazzine viste solamente per le medicazioni di qualche frattura saltuaria, che suo figlio è un licantropo?
Un mostro. Come Isaac. Come suo padre.
No, un eroe in realtà. Come Isaac. Come solo chi ha un cuore può essere.
Mery, venuta a conoscenza dell'identità di Scott da Stiles Stilinski -che l'ha aveva anche ragguagliata su Boyd e Derek Hale, l'alpha-, mi aveva raccontato quell'episodio mentre venivamo in ospedale dall'aeroporto in taxi.
Lui l'aveva avvicinata perchè aveva notato lo sguardo smarrito e confuso che aveva anche lui all'inizio di tutta quella vicenda, ma non si era preparato una scusa in anticipo. Così aveva attaccato bottone con lei chiedendole in prestito la pochette che svettava in cima ad una pila di libri, che la mia amica aveva in mano, credendo contenesse penne e matite; lei, invece, ci teneva gli assorbenti...
« Oddio, ragazze mi dispiace. E' che io... Oh, accidenti, venite a dare un'occhiata! » Melissa si volta e sposta di nuovo la tenda che ci impediva di vedere il cadavere del capitano della squadra di Lacrosse della nostra scuola.
Giace immobile, chiuso in una sacca nera sigillata da una cerniera appena aperta, illuminato da una lampada dalla fredda luce azzurrina; a terra, dalle fessure, gocciola quella che ha tutta l'aria di essere gelatina.
« Che cos'è? » domando, indicando il liquido trasparente e denso che continua a colare.
« Non lo so. Cercavo di scoprirlo. Mi date una mano? Non credo di farcela da sola. Io... è tutto nuovo per me e non vorrei per nulla al mondo sbirciare, ma devo farlo! » esclama lei risoluta, sollevando i lembi di plastica nera per far scorrere meglio la zip.
Mery emette un singulto poco rassicurante e corre di nuovo dall'altro lato della stanza con il palmo della mano schiacciato sulle labbra.
Io getto uno sguardo incuriosito ed intimorito alle dita tremanti della signora McCall e poi mi unisco a lei con un assenso.
« Bene, pronta? Al tre. » dichiara con poca convinzione.
« Uno. » mormoro, spostandomi appena perchè quel liquido non mi cada sulle scarpe.
« Due. » fa eco lei.
« Tre. » esclamiamo insieme.


Arrivano pochi minuti dopo la chiamata agitata di Melissa, lui e Scott.
Lui, Isaac.
Riconosco il rumore della suola delle sue scarpe da ginnastica, che stride sul pavimento del corridoio a cui hanno dato la cera, ed il modo affannoso in cui respira. Come se volesse prendere sufficiente aria per poi andare in apnea; faceva lo stesso, quando ci baciavamo. Lo sento mormorare qualcosa al suo amico ed infine la porta si socchiude e loro sgusciano dentro in maniera accorta e quasi felina.
« Mamma! »
Scott McCall corre ad abbracciare sua madre per tranquillizzarla e lei tenta d'imitare il suo gesto.
Fra i due, non riesco a definire bene chi abbia più bisogno di conforto.
« Cosa... cosa? » si sporge oltre le spalle di lei e scorge Jackson Whittermore, avvolto in un bozzolo gelatinoso.
« Che gli succede? » chiede Scott, avvicinandosi lentamente, come un predatore che studia la sua preda per capire se sia davvero morta o stia solo fingendo ed aspetti un attimo di distrazione per fuggire.
« Speravo che me lo dicessi tu. » replica lei e poi è Mery a parlare, uscendo dall'ombra in cui si era appartata.
Si mangiucchia le unghie nervosamente e trema senza controllo.
« Credete che sia grave? » sussurra appena.
Il ragazzo passa lo sguardo dalla mia amica a sua madre, che fa spallucce come a dire "Non guardare me, io non c'entro" ed infine sospira, rassegnato.
« Che ci fa lei qui? » chiede a nessuno in particolare, ma Isaac lo scavalca e si para davanti a Mery, che intimidita, arretra e va a sbattere contro un altro tavolo operatorio.
« Dov'è? Dov'è Violet? »
Il mio nome, pronunciato dalle sue labbra, ha un retrogusto che sa di disperazione e preoccupazione.
« E'... è colpa mia. Mi ha aiutato ad aprire la cerniera del sacco di Jackson Whittermore e... »
Isaac non la lascia finire: si precipita nell'angolo buio in cui mi trovo e mi stringe a sé. Sa, che anche volendo, non potrei respingerlo.
« Cosa credevi di fare, maledizione?! Dovevi rimanere a Sacramento! Io... io non sono sicuro di poterti proteggere da questo. » sbotta con un'irritazione che è più per se stesso che per me.
Mi accarezza il viso ansioso, cercando segni evidenti di percosse o qualsiasi altra cosa possa incentivare -e giustificare- la sua ansia, ma non ne trova.
« Non posso... lascia...rti solo due minuti che... che ti cacci...nei pasticci. » biascico a fatica, come se avessi quella roba gelatinosa anche in bocca a rendere appiccicose le mie parole.
Isaac sgrana gli occhi chiari -ridotti a specchi d'acqua torbidi- e pare aver ricevuto un destro in pieno viso.
« Sei venuta per me? » si soffoca con quell'esclamazione sorpresa e non sembra affatto contento.
« Tu non...non sei un...mostro. Non...sei...tuo padre. Non potrei m-mai ritenerti tale. » sussurro, con la voce tagliata da quelle lacrime che non riesco a versare.
Vorrei poterlo abbracciare e baciare, rassicurandolo così di non aver paura di lui, ma non sento braccia, gambe, piedi, mani né un qualunque muscolo. E' come essere immersa in una vasca di ghiaccio fino al collo e avere il corpo interamente intorpidito.
« Non dovresti, non dovresti essere qui. Guarda cosa ti è successo. Se non ti avessi coinvolta... » s'interrompe, le mani calde sulle mie guance, la tristezza a piegargli le labbra e a disegnargli ombre scure sul viso « Ti metto sempre in pericolo, anche quando non vorrei che proteggerti. »
D'improvviso si sporge in avanti, o meglio si sbilancia, e mi cade addosso, bocca su bocca. Dopo il primo attimo di sbigottimento, addolcisce quel bacio casuale facendolo diventare quasi una carezza.
Scorgo Mery, dietro di lui, che fa spallucce e strizza l'occhiolino a Melissa e Scott McCall: ha dato -letteralmente- la spinta che serviva ad Isaac per oltrepassare la linea invisibile fra "sono un pericolo" e "posso essere salvezza".
« Perdonami. » soffia lui sulle mie labbra.
« Non hai...nulla di cui...scus-arti. » cerco di sorridergli, ma non credo di riuscirci granché bene con i muscoli facciali semi paralizzati. Lui pare capire e accontentarsi, ricambiando la mia smorfia con il sorriso più luminoso che gli abbia mai visto fare: la sua faccia è, per la prima volta, un cielo sereno e sgombro da nuvole minacciose.
« Non ha una buona cera. » osserva Mery d'un tratto, riferendosi a Jackson Whittermore, ancora immobile e imprigionato come una mummia nel suo sarcofago di gelatina.
Isaac mi solleva fra le braccia, passando una mano sotto le mie ginocchia e l'altra dietro la schiena, e si avvicina al capitano della squadra di Lacrosse con curiosità, permettendo anche a me di osservare la situazione.
« Cosa facciamo? » chiede a Scott e le sue dita si stringono sulla mia pelle, come se avesse bisogno di sentirmi, di convincersi che sono io, che sono accanto a lui e che ci resterò, anche se da quest’incubo non dovessimo più svegliarci.
« La domanda è un'altra: cosa diavolo è questo ragazzo? Non ditemi che anche lui è una specie di licantropo! Cioè voi avete quella... quella schifezza addosso? E perchè Violet si è paralizzata sporcandosi le mani? E' tossico? Ha un effetto temporaneo, spero! » Mery solleva ad alta voce i suoi dubbi ma, ottenendo in risposta solo occhiate confuse, sospira: «Scusate, tendo a blaterare come una mitragliatrice quando sono nervosa e... ODDIO! » fa un salto indietro, fissando inorridita il cadavere di Jackson che ha uno spasmo.
Isaac s'allontana, mettendosi di profilo per farmi da scudo col suo corpo.
« Non dovrebbe essere morto? » squittisce Melissa, con occhi stralunati.
« Sì. No. Che ne so. E' un kanima e... » Scott viene interrotto da un nuovo scatto di Whittermore, che spalanca la bocca per mostrare una dentatura mostruosa e all'apparenza letale.
« Cosa accidenti è un kanima? » interviene Mery tremando, aggrappandosi al gomito dell'altro capitano della squadra di Lacrosse. Per tutta risposta lui da una pacca sulla schiena di sua madre, facendole fare un passo avanti.
« Mamma, puoi chiuderlo per favore? »
Melissa lo scruta sconcertata e poi emette un sospiro rassegnato.
« D'accordo... Va bene, va bene, va bene. » si avvicina esitante e cerca di tirare su svelta la zip, che però s'incastra appena sotto il mento di Jackson, che sibila e schiocca la mascella.
« Mamma, sbrigati. »
« D'accordo. D'accordo. » replica lei agitata, forzando la cerniera.
L'essere, che perde sempre più le fattezze di Whittermore, si agita compulsivamente e quasi affonda i denti nella mano di Melissa.
« Muoviti! Mamma, mamma forza, chiudi! » grida Scott, senza tuttavia muoversi.
Ed allora, inaspettatamente, è Mery ad andare in soccorso della donna con una prontezza di riflessi ed una calma sconcertante: le sue dita ferme si sovrappongono a quelle dell'altra ed insieme riescono a sbloccare la zip, tirandola interamente su.
« E tu saresti un uomo? Bella dimostrazione di coraggio! » sbuffa canzonatoria la mia amica, in direzione del figlio di Melissa.
« E ora? » gracchio io, inerme fra le braccia di Isaac, guardando orripilata il cadavere agitarsi, intrappolato nella plastica nera.
Scott deglutisce e ci osserva uno ad uno in viso: sembriamo tutti appena usciti dalla peggiore casa degli orrori mai costruita.
« Chiamiamo Derek e risolviamo questa faccenda. » asserisce lugubre, tirando fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni.


Chris Argent trasuda controllo e sicurezza -nonostante abbia la mascella tesa e le nocche livide per la forza con cui stringe il volante- mentre sfreccia fra le stradine di Beacon Hills senza mai sfiorare il pedale del freno.
Scott è al suo fianco, sul sedile del passeggero, e fischietta una canzoncina che non conosco probabilmente solo per tentare di smorzare le tinte vivaci della tensione.
Isaac continua a stringermi fra le braccia calde, sciogliendo poco a poco la rigidità dei miei arti. All'orecchio mi sussurra parole rassicuranti e tenta di definire i contorni ancora in ombra di quel quadro: la famiglia Argent che caccia i licantropi da generazioni, Jackson Whittermore che rigetta il morso e si trasforma in kanima -una creatura mitologica serpentiforme controllata dal nuovo preside della scuola e nonno di Allison-, il suo suicidio sul campo di Lacrosse...
Ascolto quel racconto rapita e terrorizzata al tempo stesso, fissando Mery, pallida e provata, appoggiata al finestrino in cerca di refrigerio: dopo aver mollato i piedi del cadavere -trasportato con l'aiuto di Melissa e Scott- nel bagagliaio della Jeep di Chris Argent, si è trincerata dietro un silenzio denso di ansie e paure e non ha più guardato in faccia nessuno.
La follia concreta di questa notte demolisce tutti i giorni di psicoterapia a cui si è sottoposta, cercando di convincersi di non aver davvero rischiato di morire per mano di un'Erica Reyes trasformata in una bestia.
Vorrei abbracciarla, ma le dita ancora non mi rispondono ed il gelo non ne vuole sapere di abbandonarmi del tutto: resta incastrato fra le fibre dei miei muscoli come tanti piccoli cristalli di neve.
Isaac, che continua a sfregare i palmi delle mani sulle mie braccia, è la mia unica fonte di calore.
« Sono stato uno stupido, pulcino. Volevo essere una persona migliore, una di cui tu potessi andare fiera e che sapesse proteggerti... ma il morso non era la soluzione giusta. » mormora fra i miei capelli, tenendo gli occhi chiusi.
Ha la voce carica di dolore e rimorso ed io mi odio perchè in parte è colpa mia.
Prende fiato e coraggio e continua a parlare sottovoce, senza accorgersi di star raccogliendo, con ogni nuova ammissione, un pezzo del mio cuore, rinsaldandolo con gli altri fino a ricomporre il puzzle originale.
« Ti ho persa. Non potevo starti vicino, non sapevo controllarmi e la sola idea di essere una minaccia per la tua incolumità mi uccideva. Sono morto ad ogni chiamata senza risposta, ad ogni messaggio ignorato... »
« Is-aac... » farfuglio, ma lui non mi lascia dire nulla. Vuole espellere i sensi di colpa, la frustrazione e i rimpianti che lo soffocano fino a quando riuscirà a respirare di nuovo.
« E quando ti ho vista nel mio seminterrato io... io non c'ho capito più niente. Ti ho spinta via con tanta forza da buttarti a terra e farti male, così sono andato nel panico ed ho fatto l'unica cosa che mi sembrava giusta: allontanarti per tenerti al sicuro. Il pericolo più grande per te ero io, non il kanima. »
« Sme-tt-ila. » ansimo, intimandogli con gli occhi di chiudere quel rubinetto di scuse. Non ne ho bisogno, so già tutto senza lui che me lo spieghi nei dettagli.
Cercava di proteggermi, così come io ho sempre voluto proteggere lui, pur non avendone i mezzi.
« No, ti prego. Ti prego fammi finire, Violet. » sospira e le sue parole sembrano gocce di pioggia fredda sulla pelle « Credevo che facendomi odiare sarebbe stato più semplice per entrambi, ma... »
Non riesce a terminare la frase, poiché proprio in quel momento Chris Argent inchioda davanti la stazione abbandonata e scende dalla vettura con Scott.
« Jackson ha smesso di muoversi. » constata Mery sovrappensiero, senza neppure spostare lo sguardo su di noi.
Sento diverse voci che parlottano fitto a pochi passi di distanza e mi pare d'intravedere anche una figura nera che s'avvicina correndo a quattro zampe come un lupo.
Non ho il tempo di chiedere chi sia, che Scott e il padre di Allison rientrano in macchina e portano la Jeep nella stazione, scaricando il cadavere di Whittermore con poca grazia come fosse un sacco di patate marce.
« Mery, ti affido Violet. Rimanete qui dentro e non fate niente d'avventato. Sarete al sicuro. » afferma deciso Isaac, depositandomi sul sedile accanto alla mia amica con un bacio leggero sulla fronte.
« Non ci tengo a farmi aggredire di nuovo, grazie tante. » replica secca lei, cercando di mascherare il tremore delle mani ficcandole nelle tasche del giacchetto blu.
Il ricordo di quella sera maledetta è ancora vivido in lei, tanto da paralizzarla come lo sono io, sebbene per altri motivi.
« N-on lasciarmi...qui. Io so...difendermi! » obietto, sentendo formicolare le dita dei piedi e i polsi, come se finalmente il mio corpo si stesse svegliando.
Non riesco a credere di essere considerata ancora alla stregua di una bambola di porcellana o di un burattino con i fili tranciati, ormai inservibile; mi ero allenata tanto per non esserlo più e, invece, a quanto pare le situazioni cambiano, le persone no.
Isaac è solo, solo con l'unica compagnia delle sue ansie fameliche, che lo rosicchiano dall'interno a piccoli morsi senza fretta.
Prima sua madre, poi Camden, suo padre...
« Se ti succedesse qualcosa... » lui tace e scuote la testa, con gli occhi che sembrano affogare nel buio della paura di perdere anche me.
Non riesco neppure a replicare che, con uno scatto secco, chiude la portiera della Jeep e fa scattare la sicura, accarezzando infine il finestrino con le dita senza neppure vedermi davvero a causa dei vetri oscurati.
Sospiro e guardo Mery, abbracciandola con gli occhi: se ne sta tutta accartocciata in un angolo, stretta a se stessa perchè è tutto quel che ha, sperando di sfuggire ai suoi demoni personali così come avevo fatto anche io per oltre un mese e mezzo. Ma se c'è una cosa che ho imparato è che non importa quanto veloce corri: loro sono sempre due passi avanti a te e ti guardando sogghignando. L'unica cosa da fare, quindi, è puntare i piedi a terra e prepararsi alla battaglia.
« Parlami. » la incoraggio con un sussurro, tentando di captare anche qualche suono proveniente dall'esterno.
« Non credo di esserne in grado. » mormora, gli occhi sgranati fissi sul parabrezza e il labbro inferiore fra i denti.
« Dì qualunque cosa. Tu-tutto que...llo che ti passa per la t-esta. » inspiro e mi pare che la lingua si scongeli appena nella mia bocca, dandomi modo di articolare meglio le frasi.
Mery singhiozza in silenzio e lascia che un paio di lacrime rotolino giù sulle sue guance di perla senza asciugarle: le sue mani sono serrate convulsamente a pugno ed aprirle significherebbe lasciarsi andare. E' un lusso, quello, che la mia amica non vuole concedersi.
« Il mio psichiatra mi ha ripetuto incessantemente per settimane che ho avuto delle allucinazioni. Ho visto qualcosa che non esiste, mi sono immaginata tutto. "Ripeti dopo di me, Mery: i mostri non sono reali", diceva con voce cantilenante. » rantola e si fa uscire del sangue dal labbro inferiore « E cercavo di convincermene, sebbene il viso animalesco di Erica non ne volesse sapere di uscire mia testa. Io... » la sua voce va in frantumi e lei viene scossa da spasmi atroci, tanto da farmi temere che stia avendo un attacco epilettico « Io volevo solo stare bene, capisci? Sentirmi di nuovo al sicuro, normale, padrona della mia banalissima vita. Non volevo essere coinvolta, non ne volevo sapere nulla di tutta questa follia! » grida ancora ed è inarrestabile.
Mery è un fiume trattenuto troppo a lungo da una diga costruita maldestramente in fretta, ora finalmente libero di scorrere e portare a valle tutta la sporcizia accumulata nelle sue acque per poter essere di nuovo cristallino.
« Ti odio, Violet. Odio te e Isaac e suo padre e Derek e chiunque altro sia implicato nella vicenda. Io sono umana e voglio nella mia vita persone come me, che non rischiano di essere uccise ad ogni respiro. »
Acqua che scroscia, dirompe, spacca gli argini, inonda la terra e la disseta.
« Io sono umana e ogni inspirazione potrebbe essere l'ultima per me. Così come per te. Non posso vivere con l'ansia costante nelle ossa. Non posso salutare qualcuno ogni volta chiedendomi se mai lo rivedrò, non ce la faccio. Io non ce la faccio, Violet. » singhiozza e poi si getta addosso a me e piange come una bambina spaventata da un fruscio sinistro di notte fuori la finestra.
Con uno sforzo immane muovo le dita e le accarezzo piano i capelli sfuggiti alla treccia, che odorano del disinfettante dell'ospedale.
Lei si aggrappa alla mia giacca di pelle e la strattona, fra un lamento e l'altro.
« Volevo fregarmene. Ci ho provato sul serio ad alzarmi con indifferenza dalla panchina a bordo del campo di Lacrosse e a tornare a casa, fingendo che nessuno di quegli avvenimenti strani mi avesse toccata. Non ne sono capace. Ho pensato a te, ad Isaac, a cosa poteva essere successo, a Lydia Martin in lacrime, a Stiles che era scomparso e sono andata nel panico: ho iniziato a misurare la stanza con passi lunghi e concitati, ripetendo la litania del mio psichiatra, ma non funzionava. Non funzionava più. »
Ha il tono, Mery, di chi sta confessando un segreto.
Non piange più: si è calmata quel tanto che le basta per tornare a respirare.
Tra le due ero sempre io la vittima dell'apnea da lacrime -così la chiama lei- ed è strano esserci scambiate i ruoli. Strano ma piacevole: mi sento utile, mi sento più forte di quanto sia mai stata.
« Alla fine, non sapendo più che pesci prendere, ti ho chiamato correndo anche il rischio di essere mandata a quel paese o di farti venire un infarto precoce... »
« Hai fatto la scelta più giusta, nonché la più coraggiosa, Mery. » la rassicuro, cullandola ancora.
« Mi sento tutto tranne che coraggiosa, al momento. Cosa credi stia succedendo lì fuori? » domanda sottovoce, gettando un'occhiata circospetta ai finestrini da cui non s'intravede nulla.
Giro il collo e con sollievo sento i muscoli del corpo rispondere agli impulsi del cervello. Sebbene con ancora qualche difficoltà, sono di nuovo padrona di me.
« Non era uno sparo, vero? Oddio Violet, era uno sparo quello! » esclama la mia amica concitata, scrollandomi con un tono pregno d'ansia.
« L'ho sentito. Non ti muovere da qui, vado a dare un'occhiata. » mi sporgo verso la maniglia della portiera, ma lei mi trattiene per un polso, gli occhi cioccolato mescolati alla paura più buia e amara: la stessa che avevo visto anche nelle iridi di Isaac.
« Non ti lascerò uscire. Qui siamo al sicuro, fuori no. Sono licantropi: se la sanno cavare anche senza di noi e sicuramente meglio. Ti prego, Violet. Ti prego, non posso perderti. » mi supplica ed è di nuovo sull'orlo delle lacrime, che le si incastrano fra le ciglia senza tuttavia cadere.
Un altro colpo di pistola la fa tremare, ma scuote definitivamente me. L'abbraccio con slancio e cerco d'imprimerci dentro tutto il mio affetto.
« E io non posso perdere lui, Mery. Devo andare, capisci? »
Dopo una piccola esitazione, lei annuisce tetra e allenta la presa su di me continuando a torturarsi le labbra.
Apro la portiera di uno spiraglio e proprio in quel momento il parabrezza esplode.
Mery grida e si accuccia, mentre altri due proiettili si conficcano nella lamiera della Jeep.
« Sta’ giù! Mettiti dietro un sedile e resta a terra! » le ordino, sgusciando fuori veloce e riparandomi dietro un pilastro di cemento armato per studiare la situazione.
Sul tettuccio dell'auto un essere -che sembra un incrocio fra una lucertola, un alligatore ed un serpente- sibila in direzione di Chris Argent, che gli punta contro una pistola dal caricatore ormai vuoto.
Il kanima avviluppa la sua coda al braccio del padre di Allison e gli toglie l'arma di mano con facilità, mettendosi poi all'inseguimento della sua preda che è corsa via per temporeggiare ed estrarre un coltello.
Non appena Chris Argent finisce a terra, fra pile di tubi in ferro e cataste di legna, un licantropo che non riconosco –Derek, forse?- si fa sotto, ringhiando, ed a lui si aggiungono Isaac e Scott a zanne sguainate.
Attaccano il mostro -l'unico vero, fra tutti quelli presenti- a turno senza successo, venendo sbalzati lontano, chi contro un muro, chi addosso ad un cancello o ad uno scaffale.
Trattengo il fiato ad ogni fendente, ad ogni pugno e calcio andato a vuoto o parato dal kanima e poi, prima ancora che possa dire a me stessa "Violet, non andare, è un suicidio" sto già sgattaiolando cauta verso l'arena dello scontro, cercando di passare inosservata.
Isaac è accasciato al suolo e raschia a terra con i suoi artigli, cercando di rialzarsi. Ansima e fissa orripilato Jackson e poi i suoi compagni, a terra come lui, risollevandosi con smorfie di dolore.
Corro nella sua direzione senza curarmi di esporre me stessa -girando bene alla larga dal kanima- ma Allison giunge prima e gli si para davanti con delle intenzioni che mi paiono tutt'altro che pacifiche.
Con incredulità, la vedo affondare due pugnali nel petto di Isaac fino a trapassarlo più volte.
Annaspo, l’aria nei polmoni evaporata, e mi chiedo in quale dozzinale film dell’orrore siamo finiti tutti quanti e quali sono i ruoli assegnati: le persone che più sembrano innocue dentro l’addome celano mostri e quelli dall’aria minacciosa in realtà sono eroi.
Il mondo –il mio mondo colmo di angoli sicuri e strade tranquille- precipita, così come Isaac.
Grido muta il suo nome e quando il suo corpo finisce nella polvere, la rabbia e la sete di vendetta mi danno una forza che non sapevo di avere: con una calma glaciale mi guardo intorno e afferro un tubo di piombo alla mia destra.
Poi, con uno scatto, raggiungo Allison di spalle e la colpisco al fianco con così tanta violenza da farla accasciare di lato.
Le armi volano lontano dalle sue dita protese e lei si volta a fissarmi con astio, sputando arrabbiata.
« Piccola stronza... » borbotta a denti stretti, premendo la mano sul fianco colpito.
Mi paro davanti ad Isaac con un ghigno di trionfo e l'aria protettiva, ascoltando il suono del suo respiro spezzato dalla sofferenza.
E’ vivo. Ed allora lo sono anch’io.
« Non ti conosco se non di vista e non so quale è il tuo ruolo in tutta questa vicenda... ma avvicinati di nuovo a lui e ti spedisco all'ospedale. » minaccio furente.
Allison si rialza con un sorrisino derisorio che è tutto per me e sembra tentata di raccogliere la sfida.
Poi, invece, si limita a scrollare le spalle e a sorpassarci, girando i pugnali fra le mani con la sicurezza di un giocoliere del circo. O di un assassino ben addestrato.
M'inginocchio accanto ad Isaac, che perde sangue copiosamente, e dopo aver esaminato le ferite -nessuna delle quali esageratamente grave- gli prendo il viso fra le mani e lo bacio con disperazione.
Sei qui, sei qui. Potevo perderti, ma sei rimasto con me.
« Pazza incosciente! Dovevi restare in macchina! » mi rimprovera lui rabbioso, tossendo sangue.
« E perdermi tutto il divertimento? » provo a scherzare, strappandomi un pezzo di t-shirt per tamponare i suoi tagli e fermare eventuali emorragie.
« Allison! » grida qualcuno, che forse è Scott, nel frattempo e, alzando gli occhi, la vedo dinnanzi a me, la gola strette fra gli artigli del kanima.
Isaac impreca e si mette seduto, il sangue che non scorre più e le ferite già coperte da una crosta.
Mi stringe a sé e arretra piano piano, jeans che strusciano sul cemento grezzo.
« E adesso? » sussurro debolmente, senza riuscire a staccare lo sguardo dalla scena.
« Stiamo a vedere. » mormora lui di rimando.






Dite la verità: avevate perso le speranze di avere ancora mie notizie...o forse ci avevate sperato, chissà.
However, I'm back.
Ci ho messo un casino di tempo a partorire questo capitolo perchè dovevo necessariamente ricollegarmi alla storyline della seconda stagione ed ero terrorizzata all'idea di far interagire Violet con i personaggi originali della serie e infilarla in scene che si conosco e amano già così come sono.
Mi auguro di non aver fatto un pastrocchio ed essere, al contempo, riuscita a costruire una storia altrettanto realistica e possibile.
Mi dispiace lasciare Isaac e Violet, ma questo è il capitolo finale. Aggiungerò un epilogo per darvi un senso di compiuto ed un'idea di quel che verrà dopo, ma salterò a piè pari il modo in cui Jackson viene salvato, tanto lo sapete tutte, no?
Non credo neppure che mi lascerò convincere a scrivere un sequel, ma qualche OS ogni tanto aspettatevela perchè questi due mi sono entrati nel sangue.
Li amo alla follia ed è anche merito di chi mi ha sempre supportato.
Perciò grazie di cuore.
"Pioggia di Vetro" è nata per merito vostro ed è proseguita per lo stesso motivo.
Un forte abbraccio.


Strange.
   
 
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