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Autore: bic    13/05/2008    3 recensioni
"...Portavi un sacchetto di carta calato sulla faccia e scoppiai a ridere fra le lacrime..." Cosa ha portato George a ricominciare a vivere dopo la fine dell'ultima battaglia? Questa ff è una sorta di seguito di Don't cry.
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, George Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fan fiction è nata da un miscuglio di emozioni che sono saltate fuori un po’ così, neanche io so bene perché.

L’ho scritta e poi ho capito che mancava qualcosa, allora ho scelto il titolo Luce: mi sembrava che questa canzone si adattasse perfettamente per parole e sensazioni a ciò che volevo scrivere, fatemi sapere se ho visto giusto.

 

Messaggio personale:

Dragonball93 grazie per aver letto e scritto un commento così generoso, spero di non deluderti con questa storia.

 

Luce

Parlami come il vento fra gli alberi
Parlami come il cielo con la sua terra
Non ho difese ma
Ho scelto di essere libera
Adesso è la verità
L'unica cosa che conta
Dimmi se farai qualcosa
Se mi stai sentendo
Avrai cura di tutto quello che ti ho dato
Dimmi
Quando questa mattina sono uscita dal bagno dopo aver fatto mille prove e ti ho detto che sarebbe ora che ci sposassimo sei impallidito. Le lentiggini spiccavano sul tuo viso come non mai, hai finito lentamente di bere il tuo caffè ed io non ho aggiunto altro, sapevo bene che il tuo atteggiamento non era dettato dalla paura di compiere il “grande passo”.

L’equilibrio con te è sempre precario, lo so da un po’ ormai.

Ricordo come se fosse appena ieri quella mattina di luglio in cui incontrai Ron in giro per Diagon Alley, ricordo come mi trascinò nel negozio. Quando ti vidi mi caddero dalle mani le buste con tutti i miei acquisti. Eri appoggiato al bancone e stavi passando un pacchetto ad un ragazzino.

Non ressi e scappai in strada, era successo da poco tempo e ancora non mi ero ripresa dalla sua scomparsa.

Mi sedetti sul marciapiede, proprio davanti alla porta del negozio con il viso affondato fra le braccia appoggiate sulle ginocchia.

Tu mi appoggiasti una mano sulla spalla, mi facesti alzare e voltare.

Portavi un sacchetto di carta calato sulla faccia e scoppiai a ridere fra le lacrime.

- Posso toglierlo senza che tu scappi come se avessi una brutta malattia?

Annuii.

Andammo a prendere un gelato insieme, passammo un pomeriggio gradevole parlando di … nulla o meglio, nulla che valga la pena ricordare. Poi ce ne andammo ognuno per la sua strada.

La settimana dopo, senza nemmeno sapere perché, mi ritrovai a passare davanti al tuo negozio. Entrai perché avevo bisogno di rivedere il suo viso, lo capisti e passammo insieme un altro pomeriggio, così, settimana dopo settimana, cominciai a frequentare il negozio quasi quotidianamente, stare con te mi faceva sentire meno sola. Poi, una mattina mi svegliai felice perché quel giorno ti avrei visto e mi resi conto che ero felice perché avrei visto te, non il suo riflesso sbiadito. Così, accolto il mio dolore, fui finalmente in grado di accorgermi del tuo.

Imparai a vedere le occhiaie delle notti insonni, imparai a percepire l’odore dell’alcol inutilmente nascosto da chili di dentifricio, imparai ad osservare i piccoli cambiamenti nel tuo umore che pure cercavi disperatamente dissimulare mantenendo la maschera del ragazzo allegro, anche se non avevi più con chi condividerla.

Mi resi conto che la maschera crollava ogni volta che Ron passava il fine settimana ad Hogsmade per stare con Hermione.

Così, cominciai “casualmente” a passare in negozio poco prima della chiusura per andare a prendere insieme un aperitivo, poi la cena. Ci tenevamo compagnia e tornavamo a casa sempre un po’ alticci, ma cercavamo di evitare sempre discorsi tristi che cadessero nel patetico, ci divertivamo, insomma. Non parlavamo mai di lui, era come un muro fra di noi.

Poi una mattina ti presentasti a casa mia alle otto del mattino, venni ad aprirti la porta ancora in pigiama, con gli occhi assonnati ed i capelli in uno stato orribile.

- Vuoi venire a cena con me stasera?

Sbadigliando ti girai la domanda: - Scusa ma perché? Ieri sera non abbiamo mangiato cena?

Stavi lentamente cambiando colore, non ti avevo mai visto imbarazzato: - Intendevo dire una vera cena in un vero ristorante…

- Ok però ripassa fra dodici ore, grazie.

Ti sbattei la porta in faccia e tornai a dormire, qualche ora dopo, quando mi alzai, finalmente mi resi conto che mi avevi veramente invitata a cena fuori.

Non dimenticherò mai quella sera, sembravi un figurino nel tuo smoking nuovo e quando aprii la porta il tuo sguardo lusinghiero mi fece capire che dovevo essere un discreto bocconcino.

La sera trascorse come decine di altre, forse avevamo bevuto meno del solito, ma prima di accompagnarmi a casa, da bravo ragazzo ben educato lo facevi sempre, mi proponesti una passeggiata.

Eravamo in uno dei parchi Babbani di Londra, non ricordo quale, camminavamo l’uno accanto all’altra in silenzio, poi ad un tratto, mi prendesti la mano, fu come se una scossa elettrica avesse percorso i nostri corpi.

Ci fermammo e mi voltai, ti guardavo negli occhi, quegli occhi così simili ai suoi, così pieni di dolore e di tristezza, non so chi dei due si avvicinò all’altro per primo, le tue labbra bruciavano sulle mie e le nostre lacrime scivolarono a confondersi insieme.

Siamo nella stessa lacrima, come un sole e una stella
Luce che cade dagli occhi, sui tramonti della mia terra
Su nuovi giorni
Ascoltami
Ci separammo un attimo dopo, come se avessimo commesso il peccato peggiore dell’universo e ci abbracciammo stretti come due naufraghi nella tempesta.

Quel giorno iniziammo a togliere un mattone di quel muro che ci separava. Più il tempo passava più riacquistavamo fiducia nella vita. Era dura andare avanti, ma riuscivamo a superare i nostri rispettivi momenti no sostenendoci a vicenda.

Mi stavo innamorando di te semplicemente, come se fosse la cosa più naturale del mondo, mi stavo innamorando di te, e non perché eri identico a lui nell’aspetto, ma perché eri fragile, tuttavia riuscivi a sostenere tutti coloro che ti stavano intorno, lo vidi la prima volta che mi invitasti con te alla Tana.

Avrei voluto che tu riuscissi a capire che non ero più innamorata di lui, che gli avrei continuato a volere bene, ma solo perché lui era una parte di te.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, Ron ti aveva chiesto di fargli da testimone alle sue nozze. Accettasti con entusiasmo, ma ormai ti conoscevo e vedevo che in realtà avevi paura di restare solo di nuovo, ti chiudesti in un ostinato silenzio.

Il giorno del matrimonio riuscisti a sopportare a stento la tua famiglia aiutato da uno svariato numero di bicchieri di champagne, ma non ce la facevi, non eri in grado di reggere tutta quell’allegria. Ti sedesti al tavolo più lontano con una bottiglia di Whisky Incendiario, ti osservavo da lontano cercando di evitare che qualcuno dei tuoi famigliari si accorgesse che stavi toccando il fondo. Finalmente riuscii ad intercettare Charlie  strappandolo malamente ad una conversazione con Hagrid e mi feci aiutare a riportarti a casa. Ti trascinammo sul letto.

- Vai pure… - mi disse Charlie con un’espressione sconcertata sul volto.

- No, resto io, torna dai tuoi e dì loro che George mi ha accompagnata a casa perché mi sentivo male e ha deciso di stare con me per accertarsi che non avessi nulla di grave.

Charlie mi sorrise con un misto di ansia e gratitudine e se ne andò .

Passai metà della notte a tenerti la testa mentre vomitavi insieme al whisky tutta la disperazione che avevi dentro.

Alla fine ti buttasti sul letto singhiozzando come un bambino. Mi avvicinai e ti strinsi forte, come potevo farti capire che ero lì per te?

Mi sedetti con la schiena appoggiata alla testiera del letto e tu ti rannicchiasti con la testa appoggiata sulle mie gambe.

Cominciai ad accarezzarti i capelli e a parlarti di lui, di quello che avevo provato quando l’avevo visto così innaturalmente fermo, di come mi ero sentita persa camminando in mezzo a tutte le persone felici che festeggiavano la caduta di Voldemort a Diagon Alley. Continuavi a piangere sommessamente. Ti raccontai di quanto mi ero sentita sola e di quanto mi sentivo meglio ora che ero lì con te. Ti dissi: - Ti amo. Ma tu ormai ti eri addormentato.

Siamo nella stessa lacrima, come un sole e una stella
Luce che cade dagli occhi, sui tramonti della mia terra
Su nuovi giorni
Ascoltami
Ora so piangere
So che ho bisogno di te
Non ho mai saputo fingere
Ti sento vicino
Il respiro non mente
In tanto dolore
Niente di sbagliato
Niente, niente...

L’alba ci sorprese vicini, abbandonati l’uno fra le braccia dell’altra. Quando ti svegliasti mi desti un bacio sulla fronte e poi uno sulle labbra. Mentre ti facevi la doccia presi una decisione. Quando uscisti dal bagno con un asciugamano precariamente in bilico sui fianchi, e la faccia piena di schiuma da barba, mi resi immediatamente conto che avevi completamente scordato la mia presenza. Interdetto, mi offristi una doccia, ma rifiutai dicendoti che sarei andata a cambiarmi a casa mia. Mi abbracciasti forte, con un senso di disperazione sporcandomi la guancia con la schiuma da barba.

- Torno presto. – Ti dissi in un sussurro.

Ci misi un attimo a mettere le mie cose in valigia, poi mi presentai a casa tua.

Venisti ad aprirmi con un bicchiere di whisky in mano ed io mi infuriai come una belva, te lo feci esplodere in mano senza neanche usare la bacchetta, mi voltai e stavo per andarmene, quando tu mi fermasti stringendomi da dietro e posandomi un dolce bacio sulla nuca, poi, scostandomi i capelli mi sussurrasti all’orecchio: - Non andartene, ti prego, ho bisogno di te.

Mi sono voltata e mi hai baciata come non avevi mai fatto prima, quel giorno siamo diventati una cosa sola. È passato un anno da allora, oggi ti ho detto che sarebbe ora che ci sposassimo e tu non hai detto nulla, quel silenzio mi ha fatto capire che una parte di quel muro non è ancora crollato, non è crollato perché tu sei convinto di vivere una vita che non è la tua, una vita che pensi di avergli rubato, ma non è così, quando ti guardo, quando ti bacio, quando ci amiamo non è Fred che cerco, io amo te che mi sei accanto tutti i giorni, amo te che mi abbracci tutte le notti, amo te che vivi in me, dove un piccolo noi si sta facendo strada. Ti amo non perché sei un ripiego, ma perché sei tu George Weasley, unico ed irripetibile.

George sollevò lo sguardo dalla lunga lettera, le sue lacrime avevano fatto sbavare l’inchiostro in più punti anche se aveva cercato di ricacciarle indietro e di cancellarle con la manica .

La sua ragazza era addormentata lì, vicino a lui, aveva ancora il viso segnato dalle lacrime che doveva aver versato in quella lunga giornata mentre scriveva quella lettera che gli aveva lasciato sul cuscino.

Andò in bagno a lavarsi il viso e si guardò nello specchio.

Forse fu un’illusione, forse fu l’emozione, ma vide l’immagine allo specchio fargli l’occhiolino e una voce che conosceva dal giorno in cui era nato che gli rimbombava nel cervello: - Bel colpo fratello e se è un maschio, chiamalo Fred.

Sorrise allo specchio e corse dalla sua ragazza, la destò con un bacio e, prima che potesse essere del tutto sveglia, le si inginocchiò al fianco: - Sposami, anzi sposatemi!

Angelina lo guardò assonnata: - Va bene, va bene, ma puoi aspettare otto ore? Ho un sonno…

Detto ciò crollò nuovamente fra le braccia di Morfeo lasciando George discretamente interdetto.

  
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