Questa
fan fiction è nata da un miscuglio di emozioni che sono saltate fuori un po’
così, neanche io so bene perché.
L’ho
scritta e poi ho capito che mancava qualcosa, allora ho scelto il titolo Luce: mi
sembrava che questa canzone si adattasse perfettamente per parole e sensazioni
a ciò che volevo scrivere, fatemi sapere se ho visto giusto.
Messaggio
personale:
Dragonball93 grazie per aver letto e scritto un commento così generoso, spero
di non deluderti con questa storia.
Luce
Parlami
come il vento fra gli alberi
Parlami come il cielo con la sua terra
Non ho difese ma
Ho scelto di essere libera
Adesso è la verità
L'unica cosa che conta
Dimmi se farai qualcosa
Se mi stai sentendo
Avrai cura di tutto quello che ti ho dato
Dimmi
Quando questa
mattina sono uscita dal bagno dopo aver fatto mille prove e ti ho detto che
sarebbe ora che ci sposassimo sei impallidito. Le lentiggini spiccavano sul tuo
viso come non mai, hai finito lentamente di bere il tuo caffè ed io non ho aggiunto
altro, sapevo bene che il tuo atteggiamento non era dettato dalla paura di
compiere il “grande passo”.
L’equilibrio
con te è sempre precario, lo so da un po’ ormai.
Ricordo come
se fosse appena ieri quella mattina di luglio in cui incontrai Ron in giro per
Diagon Alley, ricordo come mi trascinò nel negozio. Quando ti vidi mi caddero
dalle mani le buste con tutti i miei acquisti. Eri appoggiato al bancone e
stavi passando un pacchetto ad un ragazzino.
Non ressi e
scappai in strada, era successo da poco tempo e ancora non mi ero ripresa dalla
sua scomparsa.
Mi sedetti sul
marciapiede, proprio davanti alla porta del negozio con il viso affondato fra
le braccia appoggiate sulle ginocchia.
Tu mi
appoggiasti una mano sulla spalla, mi facesti alzare e voltare.
Portavi un
sacchetto di carta calato sulla faccia e scoppiai a ridere fra le lacrime.
- Posso
toglierlo senza che tu scappi come se avessi una brutta malattia?
Annuii.
Andammo a
prendere un gelato insieme, passammo un pomeriggio gradevole parlando di … nulla
o meglio, nulla che valga la pena ricordare. Poi ce ne andammo ognuno per la
sua strada.
La settimana
dopo, senza nemmeno sapere perché, mi ritrovai a passare davanti al tuo
negozio. Entrai perché avevo bisogno di rivedere il suo viso, lo capisti e passammo
insieme un altro pomeriggio, così, settimana dopo settimana, cominciai a
frequentare il negozio quasi quotidianamente, stare con te mi faceva sentire
meno sola. Poi, una mattina mi svegliai felice perché quel giorno ti avrei
visto e mi resi conto che ero felice perché avrei visto te, non il suo riflesso
sbiadito. Così, accolto il mio dolore, fui finalmente in grado di accorgermi
del tuo.
Imparai a
vedere le occhiaie delle notti insonni, imparai a percepire l’odore dell’alcol inutilmente
nascosto da chili di dentifricio, imparai ad osservare i piccoli cambiamenti
nel tuo umore che pure cercavi disperatamente dissimulare mantenendo la
maschera del ragazzo allegro, anche se non avevi più con chi condividerla.
Mi resi
conto che la maschera crollava ogni volta che Ron passava il fine settimana ad
Hogsmade per stare con Hermione.
Così,
cominciai “casualmente” a passare in negozio poco prima della chiusura per
andare a prendere insieme un aperitivo, poi la cena. Ci tenevamo compagnia e
tornavamo a casa sempre un po’ alticci, ma cercavamo di evitare sempre discorsi
tristi che cadessero nel patetico, ci divertivamo, insomma. Non parlavamo mai
di lui, era come un muro fra di noi.
Poi una
mattina ti presentasti a casa mia alle otto del mattino, venni ad aprirti la
porta ancora in pigiama, con gli occhi assonnati ed i capelli in uno stato
orribile.
- Vuoi
venire a cena con me stasera?
Sbadigliando
ti girai la domanda: - Scusa ma perché? Ieri sera non abbiamo mangiato cena?
Stavi
lentamente cambiando colore, non ti avevo mai visto imbarazzato: - Intendevo
dire una vera cena in un vero ristorante…
- Ok però
ripassa fra dodici ore, grazie.
Ti sbattei
la porta in faccia e tornai a dormire, qualche ora dopo, quando mi alzai,
finalmente mi resi conto che mi avevi veramente invitata a cena fuori.
Non
dimenticherò mai quella sera, sembravi un figurino nel tuo smoking nuovo e
quando aprii la porta il tuo sguardo lusinghiero mi fece capire che dovevo
essere un discreto bocconcino.
La sera
trascorse come decine di altre, forse avevamo bevuto meno del solito, ma prima
di accompagnarmi a casa, da bravo ragazzo ben educato lo facevi sempre, mi
proponesti una passeggiata.
Eravamo in
uno dei parchi Babbani di Londra, non ricordo quale, camminavamo l’uno accanto
all’altra in silenzio, poi ad un tratto, mi prendesti la mano, fu come se una
scossa elettrica avesse percorso i nostri corpi.
Ci fermammo
e mi voltai, ti guardavo negli occhi, quegli occhi così simili ai suoi, così
pieni di dolore e di tristezza, non so chi dei due si avvicinò all’altro per
primo, le tue labbra bruciavano sulle mie e le nostre lacrime scivolarono a
confondersi insieme.
Siamo
nella stessa lacrima, come un sole e una stella
Luce che cade dagli occhi, sui tramonti della mia terra
Su nuovi giorni
Ascoltami
Ci separammo un
attimo dopo, come se avessimo commesso il peccato peggiore dell’universo e ci
abbracciammo stretti come due naufraghi nella tempesta.
Quel giorno
iniziammo a togliere un mattone di quel muro che ci separava. Più il tempo
passava più riacquistavamo fiducia nella vita. Era dura andare avanti, ma
riuscivamo a superare i nostri rispettivi momenti no sostenendoci a vicenda.
Mi stavo
innamorando di te semplicemente, come se fosse la cosa più naturale del mondo,
mi stavo innamorando di te, e non perché eri identico a lui nell’aspetto, ma
perché eri fragile, tuttavia riuscivi a sostenere tutti coloro che ti stavano
intorno, lo vidi la prima volta che mi invitasti con te alla Tana.
Avrei voluto
che tu riuscissi a capire che non ero più innamorata di lui, che gli avrei
continuato a volere bene, ma solo perché lui era una parte di te.
Poi, come un
fulmine a ciel sereno, Ron ti aveva chiesto di fargli da testimone alle sue
nozze. Accettasti con entusiasmo, ma ormai ti conoscevo e vedevo che in realtà
avevi paura di restare solo di nuovo, ti chiudesti in un ostinato silenzio.
Il giorno
del matrimonio riuscisti a sopportare a stento la tua famiglia aiutato da uno
svariato numero di bicchieri di champagne, ma non ce la facevi, non eri in
grado di reggere tutta quell’allegria. Ti sedesti al tavolo più lontano con una
bottiglia di Whisky Incendiario, ti osservavo da lontano cercando di evitare
che qualcuno dei tuoi famigliari si accorgesse che stavi toccando il fondo.
Finalmente riuscii ad intercettare Charlie
strappandolo malamente ad una conversazione con Hagrid e mi feci aiutare
a riportarti a casa. Ti trascinammo sul letto.
- Vai pure…
- mi disse Charlie con un’espressione sconcertata sul volto.
- No, resto
io, torna dai tuoi e dì loro che George mi ha accompagnata a casa perché mi
sentivo male e ha deciso di stare con me per accertarsi che non avessi nulla di
grave.
Charlie mi
sorrise con un misto di ansia e gratitudine e se ne andò .
Passai metà
della notte a tenerti la testa mentre vomitavi insieme al whisky tutta la
disperazione che avevi dentro.
Alla fine ti
buttasti sul letto singhiozzando come un bambino. Mi avvicinai e ti strinsi
forte, come potevo farti capire che ero lì per te?
Mi sedetti
con la schiena appoggiata alla testiera del letto e tu ti rannicchiasti con la
testa appoggiata sulle mie gambe.
Cominciai ad
accarezzarti i capelli e a parlarti di lui, di quello che avevo provato quando
l’avevo visto così innaturalmente fermo, di come mi ero sentita persa
camminando in mezzo a tutte le persone felici che festeggiavano la caduta di
Voldemort a Diagon Alley. Continuavi a piangere sommessamente. Ti raccontai di
quanto mi ero sentita sola e di quanto mi sentivo meglio ora che ero lì con te.
Ti dissi: - Ti amo. Ma tu ormai ti eri addormentato.
Siamo
nella stessa lacrima, come un sole e una stella
Luce che cade dagli occhi, sui tramonti della mia terra
Su nuovi giorni
Ascoltami
Ora so piangere
So che ho bisogno di te
Non ho mai saputo fingere
Ti sento vicino
Il respiro non mente
In tanto dolore
Niente di sbagliato
Niente, niente...
L’alba ci
sorprese vicini, abbandonati l’uno fra le braccia dell’altra. Quando ti
svegliasti mi desti un bacio sulla fronte e poi uno sulle labbra. Mentre ti
facevi la doccia presi una decisione. Quando uscisti dal bagno con un
asciugamano precariamente in bilico sui fianchi, e la faccia piena di schiuma
da barba, mi resi immediatamente conto che avevi completamente scordato la mia
presenza. Interdetto, mi offristi una doccia, ma rifiutai dicendoti che sarei
andata a cambiarmi a casa mia. Mi abbracciasti forte, con un senso di
disperazione sporcandomi la guancia con la schiuma da barba.
- Torno
presto. – Ti dissi in un sussurro.
Ci misi un
attimo a mettere le mie cose in valigia, poi mi presentai a casa tua.
Venisti ad
aprirmi con un bicchiere di whisky in mano ed io mi infuriai come una belva, te
lo feci esplodere in mano senza neanche usare la bacchetta, mi voltai e stavo
per andarmene, quando tu mi fermasti stringendomi da dietro e posandomi un
dolce bacio sulla nuca, poi, scostandomi i capelli mi sussurrasti all’orecchio:
- Non andartene, ti prego, ho bisogno di te.
Mi sono
voltata e mi hai baciata come non avevi mai fatto prima, quel giorno siamo
diventati una cosa sola. È passato un anno da allora, oggi ti ho detto che
sarebbe ora che ci sposassimo e tu non hai detto nulla, quel silenzio mi ha
fatto capire che una parte di quel muro non è ancora crollato, non è crollato
perché tu sei convinto di vivere una vita che non è la tua, una vita che pensi
di avergli rubato, ma non è così, quando ti guardo, quando ti bacio, quando ci
amiamo non è Fred che cerco, io amo te che mi sei accanto tutti i giorni, amo
te che mi abbracci tutte le notti, amo te che vivi in me, dove un piccolo noi
si sta facendo strada. Ti amo non perché sei un ripiego, ma perché sei tu
George Weasley, unico ed irripetibile.
George
sollevò lo sguardo dalla lunga lettera, le sue lacrime avevano fatto sbavare
l’inchiostro in più punti anche se aveva cercato di ricacciarle indietro e di
cancellarle con la manica .
La sua
ragazza era addormentata lì, vicino a lui, aveva ancora il viso segnato dalle
lacrime che doveva aver versato in quella lunga giornata mentre scriveva quella
lettera che gli aveva lasciato sul cuscino.
Andò in
bagno a lavarsi il viso e si guardò nello specchio.
Forse fu
un’illusione, forse fu l’emozione, ma vide l’immagine allo specchio fargli
l’occhiolino e una voce che conosceva dal giorno in cui era nato che gli
rimbombava nel cervello: - Bel colpo fratello e se è un maschio, chiamalo Fred.
Sorrise allo
specchio e corse dalla sua ragazza, la destò con un bacio e, prima che potesse
essere del tutto sveglia, le si inginocchiò al fianco: - Sposami, anzi
sposatemi!
Angelina lo
guardò assonnata: - Va bene, va bene, ma puoi aspettare otto ore? Ho un sonno…
Detto ciò
crollò nuovamente fra le braccia di Morfeo lasciando George discretamente
interdetto.