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Autore: Pandora86    17/12/2013    5 recensioni
Mito raggiunge Hanamichi in clinica durante la riabilitazione con l'assoluta convinzione che sarà un'estate come un'altra.
Una persona che però non aveva mai considerato farà crollare le sue convinzioni riuscendo a sconvolgere i lati più intimi del suo essere.
Come si comporterà Mito quando si troverà ad affrontare sentimenti che non aveva mai preso in considerazione?
Continuazione de "Il tuo vero volto" incentrata però su Mito.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa, Yohei Mito
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
 
Capitolo 17.
 


Sendoh fissò per lunghi istanti il disegno che aveva in mano.

La Torre Nera.

“Io ho già visto questo disegno!” sussurrò dopo un po’ stringendo il foglio.

“Era pubblicato sulla copertina di una rivista che si occupava di queste cose” aggiunse, cercando di richiamare alla mente i dettagli.

“Non mi sorprende. La rivista su cui è stato pubblicato non aveva una tiratura bassa!” disse Hanamichi.

Sendoh si perse un istante nei dettagli del disegno. Ora che sapeva chi era l’autore, tutto cambiava e nello stesso tempo, tutto appariva uguale.

Ricordava la malinconia provata allora nell’osservare quel disegno.

Ora che vedeva l’originale, questa malinconia era evidente.

 “Questo è l’originale!” gli confermò il numero dieci dopo un po’.

Sendoh annuì con il capo notando i kanji sul bordo destro del foglio.

Yohei Mito.

Pur non essendo un esperto, non poté fare a meno di notare la precisione con cui erano disegnate le sfumature.

Sarebbe riuscito a distinguere ogni granello di sabbia.

Avrebbe potuto dire con certezza in che direzione soffiava il vento, un vento freddo, nonostante la torre si trovasse in pieno deserto.

Non sapeva perché quel vento dovesse essere freddo, eppure sentiva che era così; era il modo in cui era disegnato che suggeriva quell’idea.

Gli occhi di Mito, la sua aria malinconica mentre gli diceva quella frase, erano presenti in quel disegno.

Sendoh dovette ammettere che poter osservare l’originale era tutt’altra storia.

Notò che sotto i kanji c’erano dei caratteri occidentali.

Sendoh suppose che fosse il nome di Mito scritto con quei caratteri.

“Quello è merito mio, porcospino” disse Hanamichi seguendo il suo sguardo.

“In fondo, hai intuito che me la cavo con l’occidente, no?” gli fece l’occhiolino.

Akira sorrise di rimando.

“L’autore però era sconosciuto sulla rivista!” disse dopo un po’.

Rukawa intanto osservava il disegno, attentissimo alla conversazione.

Che Mito avesse quel talento era una scoperta anche per lui.

“Per il pubblico, l’autore preferisce rimanere sconosciuto, anche se, nel giro, Yohei è molto ammirato, oltre ad essere molto richiesto” sorrise ancora Hanamichi.

“Anche se rifiuta gran parte dei lavori che gli vengono proposti”.

A quelle parole sia Rukawa che Sendoh capirono, dallo sbuffo contrariato del numero dieci, che non doveva essere d’accordo con quella scelta.

“Sappi solo che viene definito un prodigio, per il tocco pulitissimo che riesce a dare nella prima mano di qualunque disegno” iniziò a spiegare Hanamichi.

“Quello che hai in mano” e lo indicò con l’indice, “non ha mai subito nessuna cancellatura ed è stato realizzato in meno di un’ora” rivelò loro e sia Sendoh che Rukawa capirono perché dava quell’informazione.

Per loro che non se ne intendevano, bastava quella spiegazione, infatti, a far capire l’immenso talento dell’autore.

“Mi diverto da matti quando lo chiamano Sensei” ridacchiò Hanamichi riprendendo a parlare.

“Peccato che lo senta sempre troppe poche volte” e qui la voce assunse una sfumatura malinconica.

“Quello che però ha sempre sorpreso tutti, è che Yohei riesce a disegnare a occhi chiusi. Per lui non è un problema trasportare sul foglio quello che ha nella testa. Non ha mai studiato nessuna tecnica, né lavorato sui colori e le sfumature” continuò Hanamichi con orgoglio.

Gli altri due giocatori lo ascoltavano attenti.

“È semplicemente un genio! Un genio che, secondo tutti, ha una carriera sfolgorante da percorrere nell’ambito dell’illustrazione o qualunque cosa comporti tenere una matita in mano” concluse.

“Quello non è stato il primo concorso che ha vinto, né la prima illustrazione che ha pubblicato” continuò indicando il disegno.

Sendoh annuì con il capo con aria triste.

Quelle sembravano belle notizie a un ascoltatore distratto.

Chi invece avesse prestato più attenzione alle parole del numero dieci, avrebbe notato tracce di malinconia, miste a rammarico e dispiacere.

Mito aveva una carriera sfolgorante davanti a se ed era un prodigio… peccato che questa carriera non avesse intenzione di percorrerla e che avesse deciso di rimanere nell’anonimato.

All’ombra… Mito aveva scelto di rimanere all’ombra.

Ma perché?

“Noto, dal tuo sguardo, che stai iniziando a capire il problema, porcospino!”.

La voce di Hanamichi lo distolse dalle sue riflessioni.

“Lui non ha intenzione di coltivare questo suo talento!” disse Sendoh guardando l’altro negli occhi.
Hanamichi annuì soddisfatto.

“Ti dirò di più, porcospino” rispose Sakuragi scrutandolo attento.

“Lui lo rinnega!” gli rivelò con tono triste.

“Le volte che ha lavorato in questo campo, è successo perché non ha avuto scelta, a causa della situazione economica di sua madre!” aggiunse.

“Yo preferisce fare il cameriere, il giardiniere, lo spazzino o qualsiasi altra cosa, piuttosto che accettare uno dei tanti lavori che gli propongono. Quando ha ricavato soldi dal suo talento, è stato perché non aveva nessun altro lavoretto sotto mano” e qui fece una pausa.

“Come credo che succederà anche adesso” sussurrò, e stavolta rivolto più a se stesso che agli altri due.

Rukawa, a quelle parole, alzò lo sguardo capendo immediatamente a cosa si riferisse Hanamichi.

Il disagio sul volto del numero dieci era la prova evidente dei suoi pensieri; tuttavia, Sendoh non capì il perché di quell’affermazione, domandandone quindi il motivo.

“Credi che il soggiorno in questa clinica sia gratis?” rispose seccato Sakuragi.

“Sinceramente, non so stavolta come né usciremo” chiuse gli occhi massaggiandoseli con il pollice e l’indice.

Rukawa fu lesto a stringergli la mano intrecciando le dita alle sue.

Aveva, infatti, notato che Hanamichi stesse artigliando il lenzuolo, in preda alla rabbia repressa.

“Io ci sono!” disse solamente, strappando un lieve sorriso a quel volto che tanto amava, in ogni sua sfaccettatura.

Tuttavia, sapeva anche quanto le sue parole fossero state inutili; Hanamichi non avrebbe mai accettato aiuti economici da parte sua.

Inoltre, non avrebbe potuto lavorare per un po’ e di sicuro Rukawa sapeva che, a breve, avrebbe dovuto faticare per convincerlo ad andare a stare da lui.

Hanamichi probabilmente, a causa del suo dannatissimo orgoglio, avrebbe preferito mendicare in mezzo a una strada piuttosto che lasciare che qualcuno si prendesse cura di lui, anche se si trattava del suo compagno.

Di questo però si preoccupava poco dato che sapeva avrebbe avuto il sostegno di Mito.

Ma per tutte le altre questioni, come avrebbe fatto?

In quel momento, Rukawa capì quanto gli fosse costato allontanare Mito dal suo capezzale e perché Mito stesso fosse così preoccupato.

Hanamichi, rimanendo solo e impossibilitato a muoversi, di certo avrebbe fatto vagare la mente.

Il percorso dei suoi pensieri sarebbe stato ovvio: in pratica, si sarebbe lambiccato su come uscire da quella situazione da solo, ancora una volta.

Per dimostrare cosa, e a chi, non si sapeva.

Fatto stava, che Hanamichi, persino in quelle condizioni, rimaneva una persona cui era impossibile imporre qualcosa contro la sua volontà.

Persino in quelle condizioni, lasciava trapelare tutta la sua forza.

Persino in quelle condizioni, sapeva gestire le situazioni improvvisate che gli capitavano, tipo la visita inaspettata di loro due.

Del resto, anche per questo Rukawa lo amava.

Tuttavia, non poté impedire al suo sguardo di posarsi truce sul numero sette del Ryonan.

Mito di qua, Mito di là… e a Hanamichi, che invece era in quelle condizioni, non ci pensava?

Ovvio che no!

Sendoh dovette intuire i suoi pensieri visto che chinò il capo.

Quando lo rialzò, però il suo sguardo era determinato come non mai.

La frase di Sakuragi lo aveva lasciato perplesso… aveva intuito, dal modo di fare di Mito, così protettivo, che non dovesse aver avuto una vita facile.

Inoltre, oltre la riabilitazione, già di per sé debilitante oltre che fisicamente, soprattutto mentalmente per uno sportivo, sembrava dover gestire anche problemi più grossi di lui.

“Non ti ho ancora chiesto come stai!” disse, deciso a rimediare alla sua mancanza.

“E hai fatto bene!” lo riprese Sakuragi sorprendendolo.

“Non mi sembra che ci sia questo tipo di rapporto, fra noi” specificò.

“Inoltre, è stata una delle cose che mi ha spinto a parlarti di Yo” gli chiarì Hanamichi tenendo tuttavia le sue dita ancora incrociate a quelle di Rukawa.

Sendoh lo guardò interrogativo.

“Se il tuo interesse è reale, come hai dimostrato venendo qua in piena notte, allora trovo inutile perdersi nei convenevoli” lo riprese bonariamente.

“Dritto al punto, come direbbe qualcuno!” e, a quelle parole, sorrise, rivolto a Rukawa.

“Non perdiamo tempo” aggiunse e Sendoh annuì.

“Se ti ho parlato del talento di Yohei, non è tanto per fartelo apprezzare di più” continuò Hanamichi.

“Il suo, è un talento di famiglia cui è legata tutta la sua storia” disse lasciando a malincuore la mano di
Rukawa e sospirando pesantemente.

Aveva bisogno di riordinare le idee e soprattutto doveva farlo immediatamente; il calore delle dita di
Rukawa era intossicante, oltre a essere una fonte di distrazione.

Rukawa capì il perché di quel gesto e non obiettò, ma non mosse la mano.

Perché, se il racconto si fosse fatto troppo pesante, lui sarebbe stato pronto a sorreggere Hanamichi.

“La madre di Yo era una delle mankaga più famose prima della sua nascita” incominciò Hanamichi lentamente.

“Non era una semplice autrice, era l’autrice fra le autrici. Le sue storie spopolavano fra le persone di tutte le età e sicuramente voi, anche se non appassionati del genere, ne conoscerete qualcuna tramite gli anime.

Il suo talento nel disegno, aggiunto alla sua fantasia e agli intrecci spettacolari, dava vita a storie che hanno fatto sognare milioni di persone. In questo caso, Yo ha ereditato il talento nel disegno amplificato all’ennesima potenza, come succede spesso nei tratti ereditari, fisici e non” e li fece un sorriso passandosi una mano tra i capelli.

Rossi come la madre, ma di un colore molto più intenso e sicuramente più marcato.

Stessa carnagione di suo padre ma più olivastra.

Sendoh seguì i gesti del numero dieci preferendo tuttavia non interromperlo.

Era evidente che Sakuragi si stesse riferendo anche a se stesso ma preferì soprassedere, decidendo di continuare ad ascoltare.

“La storia d’amore della madre di Yo è abbastanza comune. Viene seguita da uno dei migliori editori sul campo e se ne innamora. Lui sembra ricambiarla e vanno a vivere insieme, fino a che non sorge un problema!” e qui si interruppe, rivolgendo a Sendoh uno sguardo attento.

Il numero sette si ritrovò a deglutire, incominciando a capire dove il numero dieci volesse andare a parare con quel discorso.

“Il problema, per l’appunto, è Yohei!” continuò Sakuragi chiudendo gli occhi.

“Nonostante sua madre fosse giovane e non sposata, decise di tenere il bambino accogliendo la gravidanza con gioia” continuò, trovando difficile parlare.

Per lui, quelli erano argomenti spinosi, difficili da esporre senza spaccare nulla.

Anche questa volta, Rukawa intuì il corso dei pensieri del numero dieci andando ad afferrargli prontamente la mano e deciso, stavolta, a non lasciare la presa.

“Suo padre non la pensava così, come poi è stato appurato dopo. Non credeva possibile che una mangaka di tale successo accettasse di fare pause nel lavoro. Lui non lo accettava.

Da quello che so, credo che gli piacesse seguire autori famosi, collezionandoli come oggetti.
Fatto sta, che quando Yohei nacque continuò come se nulla fosse il suo lavoro.

La madre di Yo continuò per un po’ a lavorare ma poi decise di smettere, desiderosa di occuparsi del suo bambino.

Iniziò a lavorare sempre meno, fino a quando non accettò di fare l’aiutante di una mangaka e lasciare definitivamente il mondo stressante degli autori.

Quello che ne seguì, fu una furiosa litigata. Io e Yo avevamo otto anni!” e qui si interruppe non sapendo come continuare.

“Devi sapere che, quando Yo fu concepito, sua madre e suo padre abitavano insieme già da un po’.

Con il tempo, la madre aveva sperato che veder crescere il figlio avrebbe ammorbidito quello che lei considerava un marito, moderandone l’ambizione.

Andarono avanti così per otto, fino a che il padre non fece definitivamente le valigie” sospirò ancora.

“E questa, a grandi linee, è la storia della famiglia di Yohei” disse volgendo il suo sguardo verso il numero sette del Ryonan.

“Il problema è che la vera storia comincia da qui!” disse ancora, facendo fatica a organizzare le idee.

Eppure, in qualche modo doveva esprimersi per far capire il vero problema al numero sette.

“Una volta, mentre io e Yo eravamo al parco giochi, Yohei si definì, per la prima volta, nel modo che ti ha tanto sbalordito. Mi disse di essere un’ombra!” s’interruppe ancora.

“Solo successivamente io ne capii il perché. Tempo dopo, infatti, andai a casa sua e vidi realmente come stavano le cose.

Credo qualche mese, o forse un anno, prima che suo padre decidesse di fare definitivamente le valigie”.

Sendoh lo guardò sentendo il cuore battergli all’impazzata nel petto.

“Ombra!” ripeté Sakuragi.

“Suo padre viveva in quella casa facendo finta che suo figlio non esistesse” rivelò finalmente il numero dieci.

“C-Cosa?” si ritrovò a domandare Sendoh.

“Non lo considerava, né gli rivolgeva la parola. Se poi ci aggiungi che Yo era un bambino schivo e riservato, allora riesci a capire il muro che si era creato tra padre e figlio”.

“Yohei una volta mi ha confidato che lui, da piccolo, credeva di non esistere!” sospirò ancora Hanamichi.

“E sua madre?” domandò ancora Sendoh sentendo il suo cuore battere all’impazzata.

Come poteva un bambino aver sopportato questo?

Come poteva un bambino formulare simili pensieri?

E la madre, in tutto ciò, che ruolo aveva?

“Che vuoi che ti dica” rispose alla sua domanda Sakuragi.

“Affrontava il compagno molte volte, soprattutto quando Yo non c’era.
Spesso li sentivamo urlare. Interveniva sempre mia madre che ci portava in giro, rimpinzandoci di dolci e, qualche volta, anche comprandoci un nuovo gioco!” rispose Hanamichi sorridendo affettuoso al ricordo della madre.

“Sua madre cercava come poteva di non far mancare nulla al figlio. Uno dei motivi per cui io e Yo siamo cresciuti praticamente insieme è proprio questo! C’è solo un’altra cosa che credo tu debba sapere” disse guardando attentamente l’altro.

“Il padre non l’ha mai riconosciuto!” e qui si interruppe, non sapendo più cosa aggiungere e posando la schiena al guanciale del letto.

Sendoh annuì in silenzio, accarezzando con il pollice il nome sopra al disegno.

Ora capiva.

Ora comprendeva tutto e, dentro di lui, una nuova verità prendeva forma.

“Si sente in colpa per la carriera della madre!” affermò sicuro il numero sette non staccando gli occhi dal disegno.

“Per questo…” continuò a bassa voce, “quando io ho parlato del ritiro, ha reagito in quel modo!” realizzò con una nuova consapevolezza negli occhi.

Hanamichi annuì stancamente.

“Voglio solo aggiungere una cosa, Sendoh” continuò lasciando da parte, per una volta, il nomignolo che spesso utilizzava per l’altro.

Sendoh se ne accorse e si accinse ad ascoltarlo attento.

“Se Yohei ti ha allontanato, è perché ci tiene a te” disse accorato, sperando che afferrasse il concetto.

“Pensa di aver fatto il mio bene” rispose sicuro il giocatore dimostrando di aver compreso il senso della sua frase.

“Esattamente, porcospino” sorrise Hanamichi.

“Se non gli interessassi, non avrebbe detto quelle cose né saresti arrivato a tenergli la mano” rimarcò il concetto il numero dieci.

Sendoh annuì ancora.

In pratica, Hanamichi lo stava rassicurando sul fatto che i suoi sentimenti non fossero monodirezionali.

Di conseguenza, ora toccava a lui agire per far capitolare Mito.

“Oh Kami!” esclamò a un certo punto Hanamichi con tono da idiota.

“Il porcospino come cognato” e si portò teatralmente le mani sui capelli.

“Ah, ma io lo so che siete invidiosi dell’immenso talento del Tensai e volete sfruttare i miei amici per carpire i miei segreti, ah, ah, ah” e incominciò a ridere rumorosamente.

“Do’hao!” lo riprese Rukawa, felice dentro di sé che Hanamichi avesse superato anche la parte più complicata del discorso.

“Che vuoi, baka?” gli inveì contro il numero dieci.

“Vuoi svegliare tutta la clinica?” sibilò Rukawa come risposta.

“Vuoi una testata, Kitsune?” gli sussurrò Hanamichi imbronciandosi e assomigliando, in quel momento, a
un bambino di dieci anni.

“Do’hao!” liquidò la faccenda Rukawa.

Sendoh ridacchiò a quel teatrino.

“Sapete, siete proprio una bella coppia!” ammise sincero.

“Ovvio!” rispose sicuro Rukawa con il suo solito cipiglio.

Hanamichi, invece, arrossì fino alla punta dei capelli diventando di un’accesa tonalità viola.

“Co-coppia?” balbettò con le guancie in fiamme.

Rukawa lo guardò storto.

“Do’hao!” disse nuovamente.

Sendoh ridacchiò ancora.

“Ora credo proprio che dovremmo andare” disse guardando l’orologio.

Erano le quattro del mattino passate.

Hanamichi ritornò serio.

“Vai a prenderti Yo, porcospino” disse con un sorriso.

“E se lo fai soffrire” aggiunse, “tieniti pronto per un ricovero!” gli intimò puntandogli contro l’indice.

Sendoh annuì sicuro decidendo di uscire e lasciando ai due qualche istante di intimità.

“Sono un campione” disse prima di uscire, rivolgendosi a Hanamichi con un sorriso sghembo.

“E sono abituato a vincere!” e stavolta, il sorriso divenne sicuro.

“Vedi di rimetterti in fretta se un giorno vuoi sperare di battermi” gli augurò.

“Contaci!” gli rispose Hanamichi e Sendoh uscì definitivamente.

Ora sapeva cosa doveva fare.
 

Continua…
 
Note:

Ecco svelato il passato di Yohei.

Spero che la mia versione dei fatti vi sia piaciuta.

Comunque, altri particolari saranno aggiunti in seguito dallo stesso protagonista.

Solo una piccola curiosità: a livello genetico è vero che, in molti casi, quando i genitori trasmettono un carattere al figlio, questo viene amplificato.

Vale di più per i caratteri non fisici, se i genitori sono della stessa nazionalità.

Invece, in caso di nazionalità diverse, il discorso allora comprende alla stessa percentuale sia i caratteri fisici sia per quelli riguardanti eventuali dote o talenti.

Specifico che questa, però è solo una piccola curiosità sulla genetica trattata in maniera molto superficiale e non una definizione esatta, dato che sulla trasmissione dei geni sono scritti interi libri!

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Nel frattempo, grazie a chi è giunto fin qui.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86
  
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