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Autore: Raya_Cap_Fee    17/12/2013    3 recensioni
• Sequel di "Alla fine non hai scelta"• Dopo la morte di Turno per mano di Dubhe, Cormia si ritrova da sola nelle mura della Gilda. La sua vita è cambiata, è stata nuovamente stravolta da un ciclone. Sa di aspettare un figlio e sa di non poterlo partorire senza che nessuno se ne accorga. La Gilda è stata la sua casa per tredici anni ma ormai, per lei, non rappresenta più nulla. Inseguita da un sogno ricorrente in cui il suo compagno le grida di uccidere qualcuno, la nostra protagonista affronterà nuove prove, farà nuovi e vecchi incontri e infine affronterà la sfida più grande: essere madre.
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Ebbene sì, eccomi qui che ho deciso di torturarvi con un sequel ahahahaah. Buona lettura!
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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YOU LEFT ME IN THE DARK




 
CAPITOLO DUE: I FEEL IT IN MY BONES


Le giornate nella Casa avevano assunto ormai un lungo passaggio tra un incubo e un altro.  Le attività che per tredici anni aveva frequentato con assiduità e passione sembravano non risvegliare in lei nessuna emozione.

Le sembrava che tutto si fosse spento, lei compresa. Troppi ricordi infestavano i corridoi, le terme e la stessa palestra dove, come un rito, svolgeva in un angolo degli esercizi.
 
Con la fuga di Dubhe e il sapore amaro della sconfitta in merito della Suprema Guardia, gli Assassini erano sempre meno propensi a tralasciare i propri allenamenti e tentavano di compiere sempre nel migliore dei modi le loro missioni per non irritare Yeshol rischiando la testa. Solo il pensiero di quella ragazzina, ancora a piede libero per il Mondo Emerso anche se inseguita da una come Rekla, le faceva venire il voltastomaco.
 
Si avvicinò silenziosa alla postazione degli archi e ne prese uno. Gli archi non erano un’ arma prediletta dagli Assassini, ma la concentrazione per centrare il bersaglio l’avrebbe fatta rilassare. Sentì dei leggeri passi dietro di lei ma non si voltò a guardare. Tese la corda e prendendosi qualche attimo per mirare al bersaglio in paglia, scoccò la freccia che, con un sibilo si conficcò con tutta la punta nel centro.

“Brava, Cormia” mormorò una voce dietro di lei, familiare. Abbassò l’arco e si voltò per lanciare un’occhiata, al di sopra della spalla, a Leuca. Rimase in silenzio di fronte a quella osservazione che le pareva solo un tentativo di iniziare un discorso.  Ricordava il Leuca ragazzino di quel giorno nel bosco che aveva picchiato fino alla morte uno dei gemelli, ricordava il Leuca ragazzo che scambiava battute con Turno alle terme o per i corridoi. A parte qualche parola, non si erano mai considerati ma era certa che Turno lo ritenesse il suo migliore amico.

“Grazie, Leuca” rispose così, e si meravigliò lei stessa per il tono di voce freddo e rauco che aveva usato. Da quanto tempo non parlava con qualcuno?

Lui inclinò leggermente la testa di lato, guardandola in viso poi, prendendo per sé un arco, l’affiancò in postazione. Cormia rimase a fissarlo mentre, freccia dopo freccia, centrava ogni volta il bersaglio.

“Manca anche a me,Cormia. Ma ti prego di prenderti cura di stessa e di mostrarti più interessata alla Casa” sussurrò Leuca poi, quando le passò al fianco per posare l’arco. La ragazza sollevò lo sguardo verso di lui, incrociando così, i suoi occhi azzurri.

“Che vuoi dire?” chiese lei.

Leuca la guardava  negli occhi ostentando tranquillità “Nonostante tu stia cercando di essere la stessa, Cormia, non lo sei. Io conosco il motivo e posso riuscire a capire ma altri no. Se arrivasse all’orecchio di Yeshol non si metterebbe bene per te. Ti aggiri come un fantasma per i corridoi, alle terme rifuggi qualsiasi dialogo, non rispondi alle preghiere e questo non va bene” rispose lui, in tono concitato ma ugualmente basso. Cormia chiuse gli occhi e chinò appena la testa. La prima campana del pranzo risuonò nell’aria e molti smisero le loro attività per andare via.

“Io…” fece per ribattere ma le parole le morirono in gola. Lei cosa? Evidentemente non era più così brava a mascherare le proprie emozioni. La stanza era ormai vuota, rimanevano soltanto loro due. Leuca allungò le mani e  le poggiò sulle spalle esili della Vittoriosa “Io non so esattamente cosa ci fosse tra te e Turno e non voglio saperlo perché sospetto che fosse contro le regole di questa Casa” mormorò inducendo la ragazza a sollevare nuovamente gli occhi grigi per guardarlo in viso “Vedo che stai soffrendo e non posso restare qui a guardarti. Turno teneva a te ed io ero suo amico perciò anche tu sei mia amica ora” strinse appena la presa “E se vuoi parlare io ci sono, per te” disse. Non le lasciò il tempo di controbattere che già si era allontanato. Il secondo rintocco risuonò nell’aria e allora Cormia si affrettò ad avviarsi verso il refettorio.

Leuca sapeva, ma fino ad un certo punto. Turno non aveva parlato del loro rapporto nemmeno con il suo amico, perché sebbene fosse un tipo apposto era pur sempre uno dei fedeli. Un brivido le percosse la schiena. Quanto poteva fidarsi di lui? Abbastanza da rivelargli di aspettare un figlio? No.
 
Il pomeriggio, memore di quello che le aveva sussurrato il Vittorioso, lo passò inginocchiata nel tempio a pregare. Le parole rivolte a Thenaar si susseguivano sulle sue labbra in una litania che non aveva alcun senso di fede per lei. Non c’era nulla da fare. Sentiva di non appartenere più a quel posto.


 
E così, con quella consapevolezza nel cuore passò un'altra settimana, piena di medesimi incubi e sensazioni. Le riusciva sempre più difficile indossare i suoi abiti e si ritrovava a doversi fasciare l’intero busto per nascondere l’insolito gonfiore del ventre. Non era di certo salutare ma era quello che poteva permettersi. L’evidenza sarebbe presto venuta a galla.

 Evitava le terme nelle ore più affollate, preferendo concedersi il tepore delle acque nelle ore più tarde. Proprio come aveva fatto quella sera dopocena. Se ne stava con gli occhi chiusi sotto un getto d’acqua calda che le bagnava i capelli rendendoli ancora più candidi e lisci. Non c’erano che quattro o cinque Assassini, tutti troppo stanchi per far caso a lei o almeno quasi tutti.

Quando sentì l’acqua smuoversi al suo fianco aprì un occhio per sbirciare chi l’avesse avvicinata e si irrigidì nel riconoscere Jalo.
“Questo è il mio getto, Jalo. Vai più in là” mormorò seccata, chinando il capo per guardarlo.

Da tipico natìo della Terra della Notte il Vittorioso aveva ereditato la pelle chiara e gli occhi chiari. Sorrise sprezzante di fronte a quella richiesta “Avanti, Cormia. Non essere sempre così scontrosa con me. Lo sai che ti trovo interessante”.

La ragazza sentì lo stomaco aggrovigliarsi. Emise un leggero sbuffo dalle narici e, nuotando, uscì dalla piscina.

Come gli veniva in mente, a quell’insulso essere di provarci con lei?

Mentre si rivestiva, vicino alle nicchie, sentì nuovamente la presenza dell’Assassino al suo fianco. Cormia gli diede le spalle, non per pudore, una delle molte cose che si perdeva nella Gilda ma bensì per celargli la vista della pancia.

Indossò la casacca come primo indumento, poi tutto il resto. Teneva le labbra serrate e la mascella contratta nel tentativo di non saltare alla gola di Jalo, ancora lì, dietro di lei.

Si voltò di scatto mentre finiva di abbottonare il corpetto e lo guardò.

Erano faccia a faccia. Jalo non le era mai piaciuto particolarmente, pensava troppo agli affari degli altri e si divertitiva, più di tutti, a inveire contro i nuovi arrivati.

“Smettila di guardarmi o ti cavo gli occhi dalle orbite. Sai che lo farei” mormorò, minacciosa. Leuca le aveva detta di rifuggire ogni dialogo, beh, ora stava avendo una discussione.
Il Vittorioso di fronte a lei sollevò un angolo delle labbra sottili e si strinse appena nelle spalle “Ti vedo strana ultimamente, Cormia.” Strinse gli occhi chiari e le si avvicinò di un passo “ Sembra quasi che tu non voglia stare qui” aggiunse in tono divertito. Cormia sapeva però che Jalo era uno di quelli bravi a cogliere i malumori.

Alzò il mento “Io non voglio stare qui in tua compagnia, la cosa è diversa Jalo” sottolineò per poi voltarsi. Fece per allontanarsi ma le parole che pronunciò quello subito dopo la bloccarono “Non è che c’entra la morte di Turno vero? Eravate insolitamente legati…”.

Il cuore dell’Assassina perse un colpo mentre, le immagini di lei e Turno nelle giornate passate in quelle terme le balenarono nella mente. Chiuse gli occhi e prese un respiro.

“Ma forse mi sbaglio…non è così?” parlò ancora il ragazzo. Lei si voltò a guardarlo, i capelli biondi e ancora bagnati le danzarono davanti al viso “Ti sbagli” riuscì a dire con tutta l’indifferenza di cui era capace.
Si affrettò ad allontanarsi e si avvicò per i corridoi della Casa senza una precisa direzione ma quando alla fine si fermò, si accorse di essere giunta davanti alla porta della stanza appartenuta a Turno.

Stava impazzendo. La vista le si offuscò di lacrime mentre ripercorreva quasi in una silenziosa corsa i corridoi per andare nel suo alloggio. L’avrebbe aspettata un’altra notte da incubo ma almeno poteva vederlo.

Si raggomitolò su un fianco, nel suo letto e tirò un sospiro. Sentiva il bisogno di sfogarsi con qualcuno e quel qualcuno poteva essere soltanto Leuca, al momento. Non aveva mai veramente legato con nessuno. In un certo senso, era sempre rimasta la bambina spaventata ma spalleggiata da un ragazzo come Turno.

Si mise a pancia in un e con le dita sfiorò l'addome. Non era ancora troppo tardi per liberarsene e forse si sbagliava a pensare che Turno,nel suo sogno, non si riferisse al bambino. Se Yeshol l’avesse scoperto sarebbe stata la fine di entrambi.
Doveva sperare solo che arrivasse presto una missione, per poter uscire così dalla Casa. E soprattutto, prima, doveva dirlo a qualcuno.

 
   
 
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