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Autore: holls    17/12/2013    11 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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20. Parrucche ed eroi
 
 
19 gennaio 2005.
Era andato all’università per puro dovere morale, ma aveva deciso di saltare tutte le lezioni. Jack se ne stava seduto sul prato che circondava il complesso universitario, tenendo strette le gambe al petto. Fissava un punto davanti a sé, davanti al quale erano passati studenti, professori, auto; ma non aveva osservato realmente nessuno. Un paio di ragazzi gli avevano pure chiesto se avesse un accendino, ma era talmente fuori dal mondo che non aveva neanche risposto. E continuava a fissare il vuoto.
Vuoto era anche come si sentiva. Si stava affezionando davvero ad Alan, credeva veramente che tra loro potesse nascere qualcosa di importante. Ma capì in quel momento che aveva sempre dato poco peso a dettagli che invece erano importanti, come il fatto che Alan non gli avesse mai riservato parole dolci, o che rifuggisse i suoi baci.
Credeva che fosse colpa del poco tempo che passavano insieme, credeva che fosse colpa della sua gelosia, e invece era, banalmente, la cosa che da subito gli era balzata agli occhi: Nathan.
 
Provò invidia per quel ragazzino che, secondo lui, Alan non se lo meritava proprio, con tutte le sofferenze che gli aveva inflitto. Ma a volte, per amore, si fanno scelte strane e incomprensibili e, per Jack, la scelta di Alan era una di quelle. Poteva solo rassegnarsi.
All’improvviso, qualcuno gli urlò nelle orecchie.
« Jack! Mi vuoi rispondere? »
Gli bastò ruotare di poco il capo per osservare Madison intenta a sedersi accanto a lui. Sorrise pensando a quelle gambe lunghe e alla fatica che la ragazza faceva per abbassarsi fino a terra, nel cercare di sistemare quelle due stanghe.
Jack alzò le spalle.
« Perché? »
La ragazza sbuffò, mentre scacciava un piccolo insetto dal lembo dei pantaloni.
« È un secolo che ti chiamo! Stavo già pensando di tirarti uno scappellotto, sai? »
Jack tirò il sorriso da una parte, il massimo di cui si sentiva in grado.
« Scusa, ero un po’ assorto. »
Aveva raccontato tutto a Madison la sera prima, e aveva trovato in lei un caldo conforto.
« Hai intenzione di startene qui tutto il giorno? »
Jack annuì, preso più dai suoi pensieri che dal mondo reale.
« Non ci pensare nemmeno! Oggi c’è Statistica e farà tanti esercizi, quindi tu verrai con me, vero, Jack? »
Il ragazzo si voltò, osservandola con occhi spalancati e la bocca semi-aperta.
« Stai scherzando! Figuriamoci se ho voglia di seguire le lezioni. »
« Hai davvero intenzione di mandarmi da sola? E dai, Jack, vieni con me, anche solo per farmi compagnia. Di sicuro sarà più divertente che stare qui a morire assiderati. Dai, dai, dai… »
Madison cominciò a tirarlo per un braccio, continuando a insistere. Arrivò persino a increspare le labbra e a fare occhi da cerbiatta pur di convincerlo; come Jack notò quell’espressione, si lasciò andare a un sorriso appena abbozzato e a un sospiro di sconfitta.
« Va bene, va bene, vengo. Ma sappi che avrò la testa altrove. »
Madison emise un gridolino di vittoria, alzando il pugno al cielo.
« Oh, nessun problema. In fondo puoi sempre registrare la lezione, no? »
 
***
 
Non stava ascoltando nemmeno una parola, del professore. Ogni tanto, Jack lanciava qualche sguardo ai sacchi di biglie disegnati alla lavagna e alle formule incomprensibili scarabocchiate accanto, senza riuscire a interpretarle.
La sua testa continuava a pensare ad Alan, a come si era lasciati, alle parole che si erano scambiati. Alla sensazione di essere stato usato, di aver rappresentato solo uno stupido rimpiazzo, un diversivo. Come ciliegina sulla torta, immagini di Alan e Nathan che si baciavano erano sempre pronte a far capolino, proprio quando era sul punto di abbandonare quei pensieri.
Come cominciò a osservare, nuovamente, il nulla, si sentì battere il braccio da colei che gli sedeva accanto.
« Jack, Jack! Guarda là! »
Madison bisbigliava, per non farsi sentire dal professore, e indicava una ragazza seduta un paio di file davanti a loro.
« Be’? »
« Ha la maglia messa al contrario! » Madison sghignazzò sotto i baffi, elargendo, infine, un grande sorriso. « Non è divertente? »
Jack fece spallucce.
« Sì, divertente. »
Notò che Madison continuava a fissarlo, con aria scocciata. Jack capì che l’amica aveva provato a distrarlo con il primo pretesto che le era passato per la testa, e che era rimasta delusa dal suo tentativo fallito.
« Dai, Jack, fammi un sorriso. Uno solo, piccolino. Ti prego…! »
Madison tornò alla carica sfoderando nuovamente i suoi occhi da cerbiatta, sbattendo ripetutamente le palpebre. L’unica smorfia che ottenne da Jack fu una millimetrica contrazione dei suoi muscoli facciali.
Madison gli soffiò in faccia, fintamente stufa.
« Antipatico. »
Anche se non lo dava a vedere, Jack apprezzava davvero i tentativi dell’amica di tirarlo su di morale, benché si rendesse conto che solo il tempo avrebbe potuto lenire quella ferita.
 
Dopo un blabla soporifero di almeno due ore, talvolta interrotto dai pettegolezzi di Madison, Jack tornò a respirare aria nuova, libero finalmente da quella tortura che portava il nome di Statistica. Una volta sistemati cappotto e sciarpa – la borsa era rimasta immacolata -, si avviò verso la cattedra per recuperare il registratore, ma la voce di Madison lo precedette.
« Dove stai andando? Tu adesso vieni con me! »
Il sorriso di Madison era talmente ampio da pronunciarle gli zigomi. Jack si mordicchiò un labbro, pensoso.
« Ho da fare, oggi. »
Madison incrociò le braccia al petto, osservandolo con un’espressione di chi proprio non se l’è bevuta.
« Sei impegnato a deprimerti tutto il giorno? Magari mangiando un’intera vasca di gelato davanti a un film strappalacrime? » Madison portò le mani sui fianchi. « Non ci pensare nemmeno! Annulla tutti i tuoi impegni e vieni con me. »
Jack provò ad aprire bocca per ribattere, ma, come lo fece, Madison fu subito pronta a puntargli un dito contro, a mo’ di minaccia. Alla fine, Jack alzò gli occhi al cielo, in segno di resa.
« Va bene, hai vinto. Ma non sono dell’umore. »
La ragazza emise un gridolino di gioia e abbracciò l’amico.
« Sì! Allora, che stiamo aspettando? Andiamo! »
Non fece nemmeno in tempo a rispondere, che Madison lo stava già tirando via.
 
La ragazza lo trascinò fuori dall’aula e, non appena furono usciti indenni, Madison cominciò a saltellare eccitata, all’idea di condurre Jack chissà dove. Lui la seguì con lo sguardo, osservandola mentre camminava svelta per poi fermarsi dopo qualche metro, voltandosi verso di lui e facendogli cenno di muoversi.
Scesero le scale e arrivarono alla porta d’ingresso, ma come oltrepassò la soglia ebbe quella strana sensazione di aver dimenticato qualcosa. Provò a ripercorrere la giornata, cercando di ricordare cosa avesse fatto, ma non gli venne in mente niente. Immaginò allora ciò che lo aspettava: l’uscita con Madison, il gelato davanti alla tv una volta rientrato a casa, lo studio.
Il ricordò lo attraversò, veloce come un proiettile.
Il registratore!
Lo aveva lasciato in aula. Acceso, per giunta!
Madison era ormai qualche passo più lontana, e Jack dovette gridare un poco per attirare la sua attenzione. Lei lo raggiunse, puntandogli il solito dito contro, insieme a un sorriso arricciato.
« Che c’è? Non avrai mica pensato a qualche scusa per svignartela, vero? »
« No, no. Ho dimenticato il registratore in aula. Faccio un salto a prenderlo. Torno subito. »
La ragazza gli fece una linguaccia infantile.
« Lo spero bene! Guarda che se non torni, vengo a cercarti! »
Madison si mise davvero a scrutare il percorso di Jack, finché non lo vide sparire al piano superiore. Il ragazzo tornò dopo una manciata di minuti, con in mano il suo trofeo.
Il pomeriggio poteva iniziare.
 
***
 
Le strade non gli erano mai sembrate così affollate, forse perché in quel momento avrebbe preferito stare da solo; lo infastidivano tutte quelle persone che, seppur casualmente, si scontravano con lui, interrompendo la sua linea di pensieri.
Madison continuava a tirarlo per un braccio, voltandosi ogni tanto con quel suo sorriso eccitato, ma Jack continuava a cercare una via d’uscita, ben conscio che l’avrebbe trovata solo alla fine del pomeriggio. Per di più, Madison si era rifiutato di rivelargli la loro destinazione, rendendolo incapace di fare previsioni sul tempo che avrebbe passato fuori casa.
Il cielo era coperto da minacciosi cumuli, che oscuravano quasi completamente il sole, lasciandone penetrare soltanto i raggi; il calore, purtroppo, non riusciva a scalfire quella densa corazza.
Quando arrivò al punto di non sentire più né il naso, né la mascella – che ormai gli doleva per il troppo freddo -, Madison gli lasciò la mano.
Si erano fermati davanti a un negozio piuttosto bizzarro: gli infissi verde acqua avevano sicuramente visto tempi migliori, tant’è che in alcuni punti la vernice si era scrostata, e le vetrate erano popolate da mensole di teste in vetroresina, simili a quelle dei manichini, ciascuna delle quali indossava una parrucca dai colori più disparati. A Jack bastò alzare la punta del naso per trovare un senso quantomeno alla vetrina.
“Le mille e una chioma”.
Nonostante avesse compreso il perché di quelle teste multi-colore, non riusciva ancora a capire il motivo per cui Madison lo avesse portato lì.
« Sorpreso, eh? »
« Che ci facciamo qui? »
Madison non disse nulla. Afferrò nuovamente la sua mano guantata e spinse la porta d’ingresso, finché entrambi non furono risucchiati da quel luogo davvero singolare.
 
Le pareti del negozio erano piuttosto strette, ma i soffitti, in compenso, erano abbastanza alti e dotati di lampade al neon. Decine e decine di parrucche erano appoggiate su scaffali di acciaio posti uno di seguito all’altro. C’era veramente di tutto: parrucche canoniche dall’aspetto sobrio, altre con colori sgargianti e acconciature più azzardate, per arrivare poi a quelle dedicate a occasioni speciali.
Potevi diventare un clown, un personaggio dei cartoni o semplicemente un’affascinante rossa con spaghetti lisci e lucenti.
Vide Madison provarsi una parrucca qualche scaffale più avanti: come si voltò, Jack non riuscì a trattenere una risata. La ragazza aveva preso una parrucca bionda ispirata a un cartone animato, con ciocche di capelli unite tra loro verso l’alto, a formare piccole montagne spigolose. Per completare il quadretto, Madison unì i polsi curvando leggermente le mani, esclamando qualcosa sul potere dell’onda che ne scaturiva, nonché intimidazioni sul prepararsi a combattere.
Jack rise di gusto, vedendo l’amica così esaltata e terribilmente buffa in quella imitazione.
Dopo una divertente scenetta, dove Madison aveva la meglio sul povero Jack grazie alla sua onda, si tolse la parrucca e la ripose, divertita.
« Ti sono piaciuta? »
« Sei stata mitica. »
« Va bene, allora andrò a cercare qualcosa anche per te. Torno presto! »
Madison si dileguò tra i filari di parrucche, lasciando Jack in compagnia di una testa riccia.
Il ragazzo ebbe modo di rimanere, ancora una volta, solo con se stesso, ma si sentiva già meglio. Si rese conto che Madison lo aveva portato lì per tirargli su il morale e farlo divertire con travestimenti e siparietti.
Il ricordo di Alan, però, non ne voleva sapere di sparire. Soprattutto la sensazione che non gli fosse stata data una vera possibilità, l’occasione di mostrarsi per quello che era e forse anche il fatto di aver rovinato tutto con la sua stupida gelosia. Eppure era finita, e non era nemmeno stata tutta colpa sua; ma l’unica cosa che riusciva a fare, in quel momento, era maledirsi per tutte le sciocchezze che aveva detto o fatto.
Assorto com’era nei suoi pensieri, non si accorse che passarono diversi minuti senza che di Madison vi fosse alcuna traccia. Jack cominciò a scrutare le scaffalature davanti a sé, rizzando il capo nei punti dove aveva la visuale oscurata, ma niente. Si voltò e fece qualche passo verso la parrucca che poco prima la ragazza si era provata, ma non la vide.
« Madison? Dove sei finita? »
Nessuna risposta.
Cominciò a girare per le scaffalature, lasciando che una paura irrazionale gli facesse aumentare il passo senza che se ne rendesse conto.
« Madison, dove sei? Non è divertente! »
Eppure, pensò, Madison non era di certo una ragazza che passava inosservata; per poco non lo superava in altezza, e lui era decisamente nella media.
Andò in perlustrazione di zone del negozio ancora inesplorate, ma ciò che lo inquietava maggiormente era il fatto di non percepire alcun rumore.
Non c’era nessuna suola che batteva il pavimento, nessun chiacchiericcio, nessun respiro.
Niente.
Madison non c’era.
L’inquietudine iniziò a farsi strada. Cominciò a pensare a un malintenzionato che potesse averla rapita o, meno tragicamente, a un malore che le avesse fatto perdere i sensi.
Alla fine, giunse alla conclusione che, forse, non era successo niente di drammatico: poteva essere che Madison lo stesse cercando, ma, muovendosi entrambi continuamente, si fossero mancati per pochissimo. Così decise di fermarsi, chiamandola ogni tanto, sperando in una risposta.
Ancora niente.
Mentre alzava lo sguardo in cerca della ragazza, qualcosa, per terra, attirò la sua attenzione. Jack si accucciò per osservare meglio l’oggetto, che si rivelò essere un portafogli, ed ebbe un sussulto: assomigliava in tutto e per tutto a quello di Madison. Lo raccolse e si tirò su, poi lo aprì per verificarne il contenuto. Sbirciò prima il vano banconote, nel caso il proprietario vi avesse infilato un documento di identità, ma lì vi trovo solo qualche dollaro; allargò allora la tasca adibita a effetti personali di altro tipo, ed estrasse la prima cosa che potesse aiutarlo a capire chi avesse perso il portafogli. Come la tirò fuori, però, rimase impietrito.
Quella era Madison, non aveva alcun dubbio. Ma si stava davvero chiedendo cosa ci facesse Ashton accanto a lei, mentre le stampava un bacio sulla guancia, per di più con un braccio intorno al collo della ragazza.
Capì che c’era qualcosa che lei non gli aveva raccontato.
La notizia lo ferì come un colpo dritto al cuore. Non si aspettava che Madison, la sua Madison, potesse fare un passo così grande senza coinvolgerlo minimamente. Aveva sempre pensato di essere il suo migliore amico, alla stregua di un fratello maggiore, per il rapporto che li univa, e in quel momento si sentiva poco più che un estraneo.
Aveva paura. Paura che anche Madison, come Alan, lo abbandonasse.
Ripose la foto e chiuse con cura il portafogli, come se lo aiutasse a nascondere sotto il tappeto qualcosa che non voleva ancora affrontare.
All’improvviso, due mani si inforcarono sulle sue spalle, stringendo come una tenaglia.
« Buaaaaah! »
Quel roco lamento fece voltare Jack: davanti a lui vi era un viso a brandelli, sfigurato e con rivoli di sangue a rigare tutto il volto.
« Aaaaah! Aiuto! »
Jack si allontanò barcollando, aggrappandosi agli scaffali, incapace di reggersi sulle sue gambe per lo spavento. Ma come indietreggiò di qualche passo, notò una serie di particolari stonati: gambe lunghe e asciutte, un cappotto panna che sicuramente aveva già visto altrove e, come i suoi occhi ebbero il coraggio di posarsi nuovamente sul volto, una chioma bionda che incorniciava il viso, per poi adagiarsi sulle spalle.
« …Madison! »
La ragazza scoppiò in una risata fragorosa e si tolse la maschera, talmente divertita che si piegò in due su se stessa, tenendosi la pancia.
Jack riprese il controllo del suo corpo, rimettendosi saldamente in piedi, espirando tutta la tensione che aveva accumulato in quei pochi minuti.
« Ti uccido, Madison, mi hai fatto prendere un colpo! Non farlo mai più! »
Ma la ragazza sembrava non ascoltarlo minimamente, ancora in preda alle risate. Anzi, le parole dell’amico ebbero l’effetto di divertirla ancora di più, tanto che fu costretta a inginocchiarsi, perché le gambe non tenevano più dal troppo ridere.
Dopo qualche minuto, in cui Jack continuava a lanciare imprecazioni per lo spavento che si era preso, Madison parve calmarsi, almeno in parte: sembrava pronta a scoppiare da un momento all’altro.
« Scusa, Jack. Ero andata davvero a cercarti qualcosa, ma poi l’ho vista e non ho resistito… »
La ragazza indicò la maschera e trattenne uno sbuffo. Si ricompose e si avvicinò a Jack.
« Mi dispiace, non volevo spaventarti così tanto! Pensavo che mi avresti riconosciuta subito. Però almeno ti ho distratto un po’, no? »
Jack assottigliò lo sguardo, minaccioso, ma non realmente arrabbiato.
Lasciò che Madison se la ridesse ancora un po’ sotto i baffi, finché la ragazza non indicò qualcosa che Jack stava ancora stringendo tra le dita. Sentì svanire subito quel poco entusiasmo che era riuscito ad accumulare, e si vide costretto a riaprire quella ferita ancora troppo fresca.
Con un sorriso di circostanza, Jack porse il portafogli a Madison.
« Credo proprio che questo sia tuo. Deve esserti caduto mentre andavi a nasconderti. »
La ragazza ebbe un attimo di smarrimento, poi lo riconobbe subito.
« Accidenti, grazie! Meno male che lo hai trovato tu! »
Jack osservò ancora quel volto sorridente e non si capacitava del fatto che Madison gli avesse mentito. O meglio, che non gli avesse detto tutta la verità. Decise di scacciare dalla mente quei pensieri che, stranamente, facevano quasi più male di quelli per Alan.
« Hai altro in mente per questo fantastico pomeriggio? »
« Ma certo! Niente cose spaventose, però. Promesso. »
 
***
 
Una volta usciti dal “Mille e una chioma” – nel quale Jack si ripromise di non entrare mai più –, Madison lo portò a distrarsi in altre mille maniere, che, per sua fortuna, erano realmente non spaventose.
Dopo aver dato fondo ai loro spiccioli in una sala giochi, a colpi di pistole laser in un gioco di simulazione, si erano rintanati in una cabina per fototessere, che stampò in una colonna da quattro i loro volti in preda alle smorfie più strane. C’era il classico naso schiacciato da maiale, le palpebre inferiori tirate verso il basso condite con una linguaccia, gli occhi incrociati e la testa piegata. Conclusero la sequenza con una foto semi-seria, con una risata pronta a nascere di lì a poco che aveva gonfiato le guance a entrambi.
Passeggiarono ancora un po’ insieme, finché non si fermarono su una panchina di Central Park.
A causa del suo cappotto corto, come Madison si sedette, si sentì percorrere da un brivido gelido: il sole era ormai tramontato, e il ferro della panchina era già stato assalito da quel freddo dirompente.
Jack invece osservava assorto il quadretto davanti a sé: le ultime famiglie che chiamavano i figli per rientrare e padroni di cani che accarezzavano il pelo del loro beniamino, il tutto incorniciato da qualche foglia caduca, ultime reduci dell’eterna guerra contro l’inverno.
Si ricordò che ancora non aveva chiesto a Madison come si era risolta la vicenda con i suoi genitori. La sera prima, infatti, la ragazza gli aveva raccontato come si erano svolte le cose: la litigata con i suoi, la fuga da casa e il rientro, fortunatamente, prima che facesse troppo buio.
Si schiarì la voce, per attirare la sua attenzione.
« Come vanno le cose in famiglia? Avete risolto, poi? »
Il viso di Madison si adombrò improvvisamente, poi sospirò.
« Se così si può dire. Sono tornata a casa, mi hanno detto le solite frasi di rito su quanto li avevo fatti preoccupare, poi è finita lì. Nemmeno una parola sulla mia scenata. »
« Perché non ne hai parlato tu, allora? »
Madison ci pensò un attimo, poi scrollò le spalle.
« Non sarebbe servito a niente. »
Tacque ancora per qualche secondo, seguendo con lo sguardo un ramo smosso dal vento.
« La verità è che non so impormi. Vorrei che mi ascoltassero, che mi capissero, ma non so come fare. Parlare è inutile, equivarrebbe a litigare, e io non voglio. Sto cercando una soluzione, ma non trovo una via d’uscita. »
Madison abbassò lo sguardo, mesta, ma Jack venne subito in suo soccorso. Bastarono una semplice carezza e un sorriso sincero a strapparle via quell’aria abbattuta, seppur momentaneamente.
« I tuoi come stanno, invece? »
« Mmh, bella domanda. Quasi quasi ci faccio un salto e porto anche un po’ di spesa, non si sa mai. Sai, mia madre non guida e credo che le stia fatica andare al supermercato. »
La conversazione finì lì, o almeno questa fu l’impressione che ebbe Jack. Si disse che, probabilmente, avevano entrambi la testa altrove.
Ma non sapeva che Madison, invece, lo stava fissando col sorriso sulle labbra, affettuosa.
« Come ti senti, adesso? »
Dopo qualche secondo, Jack intuì che si stesse riferendo ad Alan.
« Meglio. Ti ringrazio. »
« Mi dispiace, Jack. »
Il ragazzo fece spallucce, poi abbassò lo sguardo, mascherando la sua delusione con un sorriso amaro. Il pomeriggio con Madison lo aveva fatto stare effettivamente meglio, non poteva negarlo; ma non poteva nemmeno nascondere che, al solo pensiero del suo ex-ragazzo, si sentiva ripiombare nello sconforto.
« Forse doveva andare così. Solo ora mi accorgo che non gliene è importato mai niente, di me. »
« Ma come è possibile? E allora perché ha continuato a volerti vedere, in tutto questo tempo? »
« Questo è il ruolo del rimpiazzo. »
Madison tacque per qualche istante.
« Non hai intenzione di fare nulla, quindi? »
« E cosa posso fare? Ho avuto campo libero per un mese buono, ma ora che quello là è tornato, direi che non ho proprio speranza. Semplicemente mi rassegnerò. »
Madison si avvicinò a Jack, avvolgendone il corpo con le sue braccia, stringendolo in un abbraccio. Il ragazzo ricambiò e nascose la testa nell’incavo della spalla di Madison, bisbigliando qualcosa, forse nel tentativo di rassicurare se stesso.
« Doveva andare così. Non importa. Doveva andare così… »
Nell’udire quelle parole, Madison strinse Jack ancora di più, cercando di offrire conforto con la sua vicinanza.
Jack continuò a recitare il suo mantra, finché non si fu sfogato. Si sciolse dall’abbraccio con Madison e le sorrise, confortato. Lei gli diede un affettuoso buffetto sulla guancia.
« Adesso puoi tornare a casa a deprimerti e a mangiare gelato in quantità. »
« Ci salutiamo già? »
Madison rifuggì lo sguardo di Jack e arrossì lievemente.
« Ho un impegno. »
La ragazza cominciò a giocherellare con un pezzo di plastica in fondo al cappotto, atto a stringerne l’elastico. Jack capì subito che era imbarazzata, ma ciò che lo turbò maggiormente fu il fatto di conoscerne perfettamente le motivazioni.
« Ti vedi con qualcuno? »
In quel momento, sperò con tutto se stesso che Madison si aprisse con lui.
« No, no! Devo solo tornare a casa. »
Sapeva che era una bugia, e questo gli fece male. Non ebbe il coraggio di dire niente, se non una frase di circostanza.
« Se lo dici tu. »
Madison si alzò in piedi, sbuffando ancora una volta.
« Jack, dai, non fare così. Se hai bisogno, puoi chiamarmi. Madison sempre al tuo servizio! »
 E, detto questo, posò le sue labbra sulla guancia di Jack, schioccandogli un bacino affettuoso.
« Ci vediamo presto! Ciao! »
La guardò allontanarsi, mentre lo salutava sventolando la mano, saluto che Jack ricambiò.
Si lasciò cadere sulla panchina. Aveva notato l’entusiasmo di Madison tutto il pomeriggio, specialmente nei momenti prima che se ne andasse. Era sempre stata una ragazza esuberante, ma aveva capito che c’era qualcosa di più: gli occhi che sembravano brillare ogni momento, il sorriso perennemente stampato sul viso, la testa tra le nuvole in ogni attimo libero.
Aveva quell’espressione di gioia inattaccabile, che le aveva visto solo in un’altra occasione.
In quella foto, abbracciata ad Ashton.
 
***
 
Mancava poco per cena. Jack aveva passato una buona mezz’ora davanti alla tv, anche se privo della compagnia del gelato, e l’aveva trovato noioso, più che deprimente. Spense la televisione e si rintanò in camera. Si ricordò della lezione che aveva rifiutato di seguire, e concordò con se stesso che sarebbe stato meglio scaricare subito la registrazione sul computer, prima che perdesse totalmente l’interesse.
Accese il pc, collegò il cavo del registratore e trasferì la lezione. Con il mouse, scorse rapidamente vari punti del file, per assicurarsi che si sentisse bene. Fece l’ultimo salto con l’intenzione di chiudere l’applicazione subito dopo, ma qualcosa gli fece cambiare idea.
Il registratore aveva acquisito le voci di due uomini, di cui uno era sicuramente Brucknam, a giudicare dalla voce. Non passò molto tempo prima che capisse l’identità dell’altro. Rimandò indietro il file, fino al punto in cui partiva la registrazione e ascoltò con maggior attenzione.
« Che ci fai qui? »
« Devo parlarle, professore. »
« Si tratta di… quell’affare? »
Ci fu un momento di silenzio, e Jack intuì che l’altro avesse annuito. Il professore riprese poco dopo.
« Non avrai mica cambiato idea? Ormai ci eravamo accordati, Nathan. Hai preso quell’assegno, ricordi? »
A Jack sembrò di udire qualcosa che somigliava a un “Mi dispiace”.
« E pensare che mi piaci così tanto. E sei anche così bravo… »
Il professore si interruppe. Nathan aveva risposto qualcosa, ma era troppo distante dal registratore perché potesse scandirne le parole. Brucknam parlò ancora.
« Ci sono altri cinquecento dollari che ti aspettano, ricordalo. E anche di più, per le prossime volte in cui vorrai deliziarmi. »
La conversazione cambiava bruscamente e Jack immaginò che fosse entrato qualcun altro. Il professore prese a parlare con un normale studente, e, fino alla fine del file, di Nathan non c’era più neanche l’ombra.
Jack rimase di stucco. Si ricordò quando, al café, aveva origliato la conversazione tra il professore e Nathan. Aveva udito qualcosa su un accordo e un assegno, ma non immaginava niente del genere. Stando alle parole che aveva usato Brucknam e al tono languido che le aveva accompagnate, immaginò senza troppe difficoltà che i due si incontrassero per favori sessuali.
 
Poteva accettarlo. Poteva accettare che quel ragazzino si vedesse con uomini con almeno vent’anni più di lui per divertirsi sotto le lenzuola. Così come poteva accettare che Alan lo avesse lasciato. Non era quello che lo disturbava.
Ciò che realmente non poteva accettare era il fatto che Alan lo avesse lasciato per un ragazzino che conduceva un abile doppiogioco per chissà quale motivo.
Si domandò cosa sarebbe accaduto se Alan avesse ricominciato con Nathan, e avesse poi scoperto che cosa faceva il suo compagno in qualche notte d’inverno. Probabilmente, pensò, avrebbero litigato e si sarebbero lasciati nuovamente. E poi, in qualche fantasia un po’ più ardita, immaginava Alan che lo implorava di tornare insieme, scusandosi per come lo aveva trattato e per averlo fatto soffrire inutilmente.
D’istinto afferrò il cellulare e compose il numero di Alan. Il telefono squillò a vuoto per una ventina di secondi, finché non udì una voce dall’altra parte.
« … Sì? »
« Alan, sono io. Ti devo parlare. Possiamo vederci domani pomeriggio? Verso le tre, ti va bene? »
« Jack, Jack, calmati! Domani sono occupato, mi dispiace. »
« Non puoi liberarti neanche cinque minuti? È importante. »
Sentì Alan sospirare.
« Jack, davvero, non posso. »
« E cosa dovresti fare di così importante? »
« Non è una cosa che ti riguarda, Jack. Non più. »
« Scommetto che hai un appuntamento con quel bravo ragazzo del tuo ex. »
Alan sbuffò ancora, talmente forte da far friggere l’audio.
« Quello che faccio, Jack, non è più affar tuo. E comunque, se proprio ci tieni, sì, mi vedo con Nathan. »
Non si aspettava una risposta così secca. Tentò di ribattere scusandosi, ma si accorse che Alan, dopo averlo salutato, gli aveva riattaccato in faccia.
Provò un primo momento di sconforto. Alan non lo aveva minimamente ascoltato, né pareva averne l’intenzione. Eppure, si disse, non poteva certo permettere che un ragazzino doppiogiochista e dalla dubbia moralità avesse la meglio su di lui. Pensò che, se Alan avesse aperto davvero gli occhi su chi aveva davanti, poteva avere qualche possibilità di tornare con lui.
Quel pensiero eccitò la sua mente, tant’è che fu attraversato da un’intuizione. Infatti, Alan gli aveva dato un’informazione fondamentale: aveva un appuntamento con Nathan, nel pomeriggio.
Jack sorrise trionfante.
Forse non tutto era perduto.

 

Prima di tutto, le scuse: questo capitolo è stato uno dei più difficili da scrivere, ho finito di ritoccarlo giusto cinque minuti fa, e penso che lo possiate vedere dal risultato. Non sono per niente soddisfatta, non mi piace, ma, purtroppo, non sono riuscita a modificarlo come volevo. E dire che questa versione è quasi decente, rispetto alla prima che ho scritto (Silvia può confermare XD)! Insomma, è orribile e mi dispiace quasi che siate stati costretti a leggerlo :( XD
Passando poi alle questioni burocratiche (XD), vi annuncio che sospenderò la storia per il periodo delle festività ^^ Sia perché non ci sarebbe nessuno a leggere i capitoli, sia perché sono indietrissimo con la scrittura e questo periodo di respiro può solo giovare a me e alla storia. Riprenderò la pubblicazione il 7 gennaio, quindi ^__^ Poi be', se vedo che sono a buon punto con la stesura, posso anche fare un'eccezione, ma ne dubito XD
Bien, vi saluto e, come sempre, ringrazio tutti i miei lettori, siete la mia forza *___*
E ringrazio anche Silvia per aver sopportato tutte le mie crisi depressive per questo capitolo, sei una santa (sappi che stavo per mandarti un'altra mail, ma ho avuto pietà di te XD)!
A presto allora :D
 
   
 
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