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Autore: _Faye_    18/12/2013    0 recensioni
La storia è ambientata in un'immaginaria regione celtica; uno dei villaggi che soggiace al potere della capitale, la Cittadella, è popolato dalle più svariate creature: elfi, mezzelfi, umani, angeli, fate, vampiri e demoni.
Sullo sfondo di una nuova religione che cerca di imporsi sulla popolazione e sugli Dei pagani, si seguono le vicende di una giovane mezzelfa ed un giovane elfo, tra amori, passioni, ribellione e violenza.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole era da poco calato dietro alle mura della Cittadella. Le strade attorno alla piazza principale erano ormai deserte, solo gli ultimi commercianti si apprestavano a ritirare le loro merci e prepararsi a rincasare. Spezie, tappeti e chincaglierie venivano ammassati sui carretti malandati, uomini e donne si accertavano di non dimenticare nulla sulla strada, avvolgevano i teli che fungevano da riparo per la merce e si avviavano lenti verso le loro abitazioni. Una figura ammantata apparve all’ombra di un massiccio portone di legno, un fugace sguardo alla strada, per assicurarsi che non vi fosse nessuno in vista e poi, veloce e silente, si staccò dal muro per attraversare la cittadina, diretta verso est, verso la foresta.

Avvolta in un lungo mantello marrone, la mezzelfa arrivò al limitare delle mura della Cittadella, nel punto esatto dove alcuni mattoni ceduti permettevano il passaggio verso l’esterno; da quella parte vi era la foresta, il luogo che ella conosceva meglio, di tutta quella zona. Addentratasi un poco più nel folto della boscaglia, rallentò il passo, abbassò il cappuccio mostrando i capelli corvini e sciogliendo il nastro che lo legava, tolse il mantello. Lo avvolse con cura e lo nascoste nella cavità di un albero, suo nascondiglio personale per lasciare oggetti che non potevano entrare nella Cittadella o che le sarebbero risultate scomode nella foresta. Sulla schiena portava un arco di fattura elfica, in legno e una faretra colma di frecce. Legò i capelli in una lunga treccia che le cascava morbida sulla spalla, prese l’arco e si addentrò maggiormente nel folto del bosco, con passo leggero e silenzioso. Ascoltava con attenzione ogni più piccolo rumore, all’erta, sia per scovare selvaggina da cacciare, sia per assicurarsi di essere sola e, assolutamente, non seguita. Ci volle poco per trovare la prima lepre selvatica; la mezzelfa si fermò di colpo, con la mano destra raggiunse la faretra e si preparò a scoccare una freccia dritta al cuore dell’animale. Il respiro calmo e controllato le permise di non mancare la preda. Andò a recuperare la lepre, estrasse con cura la freccia dal corpo esanime e, prima di legarle le zampe per mettersela in spalla, pronunciò qualche parola di ringraziamento nei confronti della Madre che le permetteva sempre di trovare del cibo con cui sopravvivere e ringraziò anche l’anima della povera malcapitata lepre che con il proprio sacrificio le permetteva di nutrirsi e di scambiare le pelli con altri prodotti di prima necessità. Terminato il rito si rialzò e si preparò per continuare la caccia.
La luce era completamente calata all’orizzonte e le prime stelle cominciavano a comparire nel cielo blu. La mezzelfa portava in spalla tre lepri legate le une alle altre, bottino di quella serata e pensava ormai che fosse ora di rincasare. Qualcosa però la fece fermare, rumore di foglie calpestate, un ramoscello che si spezzava, impossibile che fosse un animale, ella lo avrebbe fiutato, impossibile che fosse un umano, lo avrebbe avvertito a metri di distanza. Arretrò, cercando riparo sotto a dei cespugli e, con un gesto automatico, la mano destra raggiunse una freccia. Era pronta ad un’eventuale difesa, quando nella radura poco distanze comparve un giovane elfo, coperto da un lungo mantello verde. La mezzelfa sbuffò fuori l’aria che aveva fino ad ora contenuto e abbassò il braccio, uscendo allo scoperto: “White! Mi hai fatto prendere un colpo, accidenti a te! Cosa ci fai qui a quest’ora?”. L’elfo abbassò il cappuccio, lunghi capelli neri ne uscirono da sotto e gli occhi verdi guardarono in viso la mezzelfa; “Potrei rivolgerti la stessa domanda, Costanza, sai benissimo cosa ci faccio qui.” Lei avanzò, alzando il bottino della serata “E’ per queste che sono qui, sai benissimo che da quando è arrivato il Sacerdote della Nuova Religione ci razionano talmente tanto le provviste di cibo da non riuscire assolutamente a sfamarci, se non venissi a cacciare non avrei nulla da mangiare.”

Alla Cittadella vi sono sempre stati due culti religiosi differenti, uno venera Gaia, la Dea della Terra, l’altro Manon, il Dio del Caos, ma da qualche tempo a questa parte sono giunti i Sacerdoti dalla capitale, mandati in ogni villaggio per insegnare – o meglio, imporre – la nuova religione. Costanza continuava, però ad essere fedele a Gaia, così come White, ma la mezzelfa era molto più devota rispetto a quest’ultimo. White non aveva potuto scegliere, gli elfi, così come le fate e gli angeli, erano per nascita devoti alla Dea Bianca, Gaia, protettrice delle creature della luce e della natura, mentre Manon è protettore delle creature che si celano nell’ombra, come i vampiri e i demoni. Coloro che non sono né luce né ombra, come i mezzelfi e gli umani, possono scegliere. Non è una decisione facile da prendere, perché una volta consacrati a Gaia o Manon, difficilmente si può tornare indietro.   
  
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