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Autore: Blue Sunshine    18/12/2013    3 recensioni
"Harry, nessun uomo è un'isola"
"Hai bisogno degli altri"
Io ho solo bisogno di lei.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nessun uomo è un’isola. 

 
A Lorenzo. 

Nella sua playlist c’è una canzone che gli ricorda quella giornata. E Harry vorrebbe tanto eliminarla, ma proprio non ci riesce. Preferisce ascoltarla e farsi del male. Perché in fondo Harry è un masochista. Gli piace il gusto delle lacrime contro le labbra morse a sangue, il dolore della pelle graffiata e lacerata dalle unghie. Gli piace l’odore del fumo che un giorno, lo sa, lo ucciderà. E forse è proprio questo che Harry cerca. La morte, che sia lenta e atroce o fulminea e indolore, a lui non importa. Un tempo passava la metà delle giornate a camminare fra la gente, solo per cercare un posto in questo mondo. Ma ora ha smesso di farlo perché lui questo posto, non lo vuole più. 

"Harry, nessun uomo è un’isola." La psicologa lo guarda dentro i suoi enormi occhi verdi, vitrei e oscuri. Lui alza le spalle e, come al solito, non parla. Non  trova le parole giuste perché probabilmente non si sforza di cercarle. E’ tutto così tremendamente stancante. 
"Hai bisogno degli altri"
Io ho solo bisogno di lei. 
E’ un pensiero sfuggente, capace di logorarlo ancora più a fondo. E sono questi i momenti in cui lui vorrebbe avere a portata di mano un qualsiasi oggetto che gli permetta di provare dolore. Anche lì, davanti alla psicologa. Perché non ha mai provato un dolore tanto immenso, travolgente. La vita scorre senza più un ordine cronologico preciso. I giorni passano, eppure lui non vede la differenza, non vede più i particolari che tanto gli piaceva cogliere. 
Un tempo sarebbe stato capace di osservare una fiamma per ore intere solo per coglierne tutte le sfumature, le protuberanze più alte e gli scintillii contro il legno bruciato. Ora non riesce più a guardarlo, il fuoco, perché è una morte troppo allettante per lui. E tutti lo hanno capito. 
Il camino nel salotto è rimasto spento per due anni, anche negli inverni più rigidi. E Harry tutto questo freddo lo patisce anche in piena estate. 
Nessun maglione gli procura il calore che gli dava il suo corpo.
Nessun cappello riusciva a scaldarlo più dei suoi capelli sempre a contatto con la sua pelle.
Nessun paio di guanti riparava più delle sue mani. 
Harry si è smarrito e non è detto che voglia ritrovare la strada. Preferisce girovagare per la foresta buia, piuttosto che seguire il sentiero. 
Il suo sentiero, in fondo, era sempre stato lei. 
Harry percepisce la mancanza di Celeste ogni secondo della sua vita. E questa mancanza gli cammina sempre al fianco, annidata fra i suoi organi vitali, talmente potente da non permettergli, a volte, di camminare. E allora si lascia marcire sul letto, a petto nudo, fra le lenzuola che sanno di lei. La madre piange, appoggiata allo stipite della porta della sua camera. La piccola Laila le tira le vesti, e le parla, osservando il fantasma di suo fratello. 
"Mamma, quando torna il mio Harry?" 
Ma Harry non tornerà, piccola Laila. 
Harry non riesce a comprendere perché lui sia rimasto. Non capisce il motivo per cui respira ancora. Ed è per questo che alcune volte tenta di smettere di farlo. Rimane senza respiro così a lungo con gli occhi serrati e la mascella contratta, che ogni volta spera, finalmente, di esserci riuscito, ad uccidersi. Ma lui è ancora un ragazzo. E’ ancora un essere vivente e il suo corpo, che lo voglia o meno, è sano.
Sano come può esserlo quello di un tossico, ma pur sempre vivo. Harry è intossicato dall’assenza di lei. Ogni giorno trascorso nella sua mancanza aumenta il bisogno che lui ha di stringersela al petto; più la sua mente gli ricorda che questa malsana necessità lo porterà a impazzire, più Harry si ritrova urlante e disperato, con le mani premute sulle tempie, per far azzittire quella voce che lo inganna. Più il suo cervello elabora modi per incenerire la presenza di Celeste, più il corpo di Harry matura piani per buttare sé stesso, nelle fiamme.  Non riesce più a trovarla, a sentirla. 
Celeste è un nome di origine latina e significa “Venuto dal cielo”.  Glielo aveva raccontato un giorno, abbracciati sotto le stelle. Era una cosa di cui andava molto fiera e lo si poteva leggere facilmente nei suoi occhi, che riflettevano la luna. 
"Ho sempre pensato che il cielo facesse parte di te" e poi l’aveva baciata.

Harry vorrebbe piangere continuamente. Ma non ci sono nemmeno più le lacrime, dentro il suo corpo. Per questo sorride, appoggiando la testa riccioluta contro il muro dietro di sé. 
E’ estate, forse. Lui porta una maglietta bianca a maniche corte e degli skinny neri. Calza ai piedi delle semplici scarpe da tennis ed è perso a contemplare i suoi tatuaggi. 
"Temo che non ci sia più nulla da fare, signora Styles", Harry percepisce i singhiozzi di sua madre, eppure non riesce a non smettere di sorridere. Si sposta i capelli scuri dal volto tirato e chiude gli occhi. 
"Ma ha solo vent’anni" 
Harry aggrotta le sopracciglia, tentando di ricordare quando effettivamente avesse compiuto gli anni. Ma alla fine smette di combattere contro la coltre di nebbia nel suo cervello e torna a sogghignare. 
"Signora, suo figlio si sta lasciando morire."

Harry non se lo spiega. Sono già passati due anni, da quel giorno? E lui cosa ha fatto in tutto questo tempo? 
L’hai cercata, Harry. E non l’hai trovata. 
E la colpa è sua. E’ sempre stata sua. Lui, che non era riuscito a proteggerla. Lui, che  l’aveva amata talmente tanto da non riuscire più a fare altro nella vita. 
E ora che Celeste non c’è più, lui non è capace di vivere perché era lei a prenderlo per mano e rendere tutto più semplice. 


Celeste è sdraiata accanto a lui, accucciata al suo petto. Il suo respiro è lento e debole e il suo corpo è scosso da leggeri brividi. I suoi capelli scuri spiccano sul cuscino bianco del letto, mentre il suo solito profumo invade l’asettica stanza dell’ospedale. Harry la stringe a sé cercando un particolare dove potesse poggiare lo sguardo che non gli ricordasse il motivo per cui stessero lì. Un sussulto da parte di Celeste lo spinge ad abbassare il suo sguardo, incontrando quello di lei. Stanco, spossato. Rassegnato. 

-E’ finita.-

-Non dire così.- 

-Ti amo, Harry.- Le labbra screpolate a cercare le sue, a dirgli che non importava: la malattia era stata più forte, ma lui lo sarebbe stato per entrambi. 

Quelle furono le sue ultime parole. Celeste era entrata nella sua vita come un uragano. E come tale, ne era uscita.  
E Harry non si ricorda nemmeno di aver provato a vivere senza di lei. Lei stessa era tutta la sua vita. 
Harry cerca una spiegazione, camminando con le mani incastrate fra i jeans. La mamma lo ha costretto a uscire, per prendere una boccata d’aria e lui l’ha fatto. 
Non sente più la sua voce nella testa e ha paura. Le immagini nei suoi sogni sono più offuscate, quasi sfuggenti. Non ricorda il timbro della sua voce, il tono della sua risata, le smorfie sul suo viso. Ma guarda il cielo grigio, e ricorda i suoi occhi. 
Mi hai dimenticato, Celeste?
Un fulmine e un tuono. La pioggia scrosciante, la sua disperazione, il suo dolore, il suo corpo. 
Due fari nella nebbia e un’unica speranza : trovarla, sentirla, appartenersi. 
Harry si lascia andare e come aveva previsto, non sente neanche dolore. 

Sul viso, le fredde lacrime del cielo. 


Harry sente un calore sulle labbra e sorride. Sorride forse dopo due anni di dolore, di sofferenza, di mancanza. Ora, invece, Celeste è fra le sue braccia. 
"Credevo fossi morta."
"Ti sono sempre stata dentro."
"Siamo nel tuo o nel mio mondo?" 
"Dobbiamo essere per forza qualcosa?" 


Angolo autrice:
questa os è molto importante per me. Può sembrare una banallissima storia vargata velocemente ma vi giuro, che non è così. Questa storia è ispirata a una vicenda vera della mia vita e Harry non rappresenta altri che il ragazzo protagonista di questo amore infelice. Ho deciso di trascrivere la sua storia, così da non poterlo dimenticare nemmeno volendo. Ti voglio bene, ovunque tu sia. 
 


 
  
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