Lasciate che parli di Gannicus, come se mi fosse appartenuto.
Lasciate che vi parli di un uomo nobile, forse pazzo, ubriaco di nostalgia.
Un uomo senza patria e senza casa, figlio di un mondo conquistato.
A Gannicus non piaceva l’amore, perché l’aveva consumato e perduto: conosceva abbastanza se stesso, in fondo, da temere che gli mancasse la costanza. A me, invece, che di quell’emozione non sapevo niente, ha raccontato la dolcezza del silenzio e il calore di un abbraccio; la tristezza dell’addio e l’orgoglio d’essere donna.
La sua.
Sibyl tace sotto il velluto trapunto di stelle di un cielo antico come il suo nuovo cuore.