Ava DeLonge (ossia il parto di Anne Hoppus).
Vivere
con Tom DeLonge non
è facile.
È un eterno bambino che
ama vedere cartoni (anche se per adulti), andare in internet per
cercare
notizie sui suoi amati alieni, che ama i comicon e suonare la chitarra.
Il problema è che ha un
po’ di chitarre e a volte capita di inciamparcisi in giro per
la casa e non è
il massimo se sei incinta.
Sono Anne Hoppus, ho
aspettato e lottato per anni prima di averlo, conoscevo perfettamente i
suoi
difetti e li ho accettati, anche se ogni tanto vorrei ucciderlo.
Ad esempio adesso che ha
lasciato una sua chitarra in giro, io non l’ho vista e ho
rischiato di finire
lunga e distesa all’ottavo mese di gravidanza.
Non è facile essere
incinta, prima ci sono le nausee, poi ti gonfi e infine perdi il
controllo sul tuo umore e su quello che vuoi mangiare. Ci sono certe
voglie insopprimibili
che devi soddisfare e tocca a Tom correre per soddisfarle.
Ad esempio ieri sera
volevo disperatamente del cocco nel cuore della notte e Tom
è dovuto correre a
comprarne uno in uno dei seven-eleven sempre aperti.
Lo ha preso a martellate
fino ad aprirlo – facendo un casino infernale – per
fsr sì che ne mangiassi giusto un
paio di fettine.
Roba da manicomio, se
ripenso a come ero prima della gravidanza.
Ava – il nome che abbiamo
scelto per la piccola – ci sta dando del filo da torcere
già adesso, non
immagino cosa farà quando sarà nata.
Tornando alle voglie, ho
voglia di gelato al cioccolato bianco!
Devo chiamare subito Tom!
“Tom!”
Urlo con tutta la voce che
ho in corpo, solo che invece del mio ragazzo arriva Ruby.
“Che ci fai qui?”
Le chiedo sorpresa.
“Niente, sono solo venuta
a vedere come stai, come va la gravidanza e come sta mia
nipote.”
“Beh, immagino ci possa
dire che io stia bene, se non per le voglie, il mal di schiena e la
camminata
da papera. La gravidanza procede bene e tua nipote sta bene, anche se
è
esigente.”
“Capisco.”
“Hai visto Tom in giro?”
“Sì, l’incrociato mentre
entravo. Ha detto che andava a prendere il pane, stamattina si
è dimenticato.”
La solita memoria da
coniglio! Prendo il cellulare e compongo il suo numero, così
mi porterà a casa
il gelato.
“Pronto?”
“Ciao, Tom. Sono Anne.”
“Ciao, piccola. C’è Ruby
lì con te, vero?”
“Sì, c’è. Io avrei bisogno
di un favore visto che sei in giro: mi porteresti a casa una confezione
di
gelato al cioccolato bianco?”
Lo sento sospirare
dall’altro lato della linea.
“Va bene, farò del mio
meglio. A dopo!”
Chiudo la telefonata e
sorrido a Ruby.
“Scusa, ma dovevo fare
quella telefonata.”
“Non c’è problema.”
“Di’ un po’, si esce vive
dal parto?”
Lei mi guarda leggermente
stupita.
“Ti sembro morta, Anne?”
“No.”
“Ecco, ti sei già
risposta.”
Io sospiro, Ruby è sempre
stata fatta di una pasta diversa da me e dalle skater che conosco, è una
tosta, a volte sembra di
pietra e la maggior parte delle volte che ha un problema sa trovare una
soluzione abbastanza alla svelta.
Io invece sono casinista,
insicura, non so quello che farò il giorno dopo, figuriamoci
come si riesca a
gestire una gravidanza.
Mi sembra un miracolo che
io sia riuscita ad arrivare fin qui senza combinare qualche cavolata
che
mettesse in pericolo me e mio figlio
“Anne?”
“Sì, Ruby?”
“Non entrare nel circolo
dei pensieri paranoici, pensa a me. Io che ho portato mio figlio a
Londra e ho
rischiato di partorire in anticipo perché avevo fatto una
cosa davvero stupida.
Tu sei qui, tranquilla,
con Tom. Non hai alcun bisogno di andare in paranoia.”
Io annuisco, non del tutto
convinta.
È vero, io ho Tom
accanto, ma c’è uno stupido tarlo nella mia testa
che mi chiede per quanto
rimarrà. Che cavolata, è ovvio che
rimarrà o non avrebbe voluto sapere nulla di
Ava dall’inizio, né sopporterebbe i miei stupidi
capricci.
Che razza di zucca vuota
ho.
Torno di nuovo a guardare
Ruby e parliamo di parto e bambini piccoli, lei mi racconta la sua
esperienza
con Mickey e io la invidio, vorrei essere così
calma…
Probabilmente tra qualche
anno anche io sarò così, con
la pargola
che mi gira per casa e Tom che mi aiuta in modo più concreto.
Dopo qualche altra
chiacchiera Ruby se ne va e arriva Tom con il pane e la mia vaschetta
di gelato
al cioccolato bianco. Si siede accanto a me e me la porge, io la mangio
come se
fossi reduce dal Sahara sotto il suo sguardo divertito.
“Posso provarne almeno un
pochino?”
Io annuisco, lui va in
cucina e recupera un altro cucchiaino e mangiamo insieme la vaschetta
di
gelato, è davvero buono.
Credo piaccia anche ad Ava
perché si è calmata.
Finito, io appoggio la
vaschetta sul tavolino e mi stendo.
“Posso sentire la
bambina?”
“Se lei vorrà perché no?”
Lui appoggia la testa
sulla mia pancia e si mette in ascolto. È in questi momenti
che mi sento la
donna più fortunata e amata del mondo, con dolcezza gli
accarezzo i capelli e
lo osservo.
Ava tira un calcio e la
faccia di Tom si illumina.
“Anne! Ava ha tirato un
calcio!
Forse mi ha riconosciuto.
Ava, sono il tuo papà, ciao!”
Un altro calcio.
“Mi ha riconosciuto!”
Mi accarezza la pancia e
Ava lo ricompensa con un altro calcio che lo fa sorridere.
Adesso sì, che le mie
paranoie si sono asciugate come neve al sole.
I
giorni passano veloci e
presto entro nel nono mese.
Partorirò tra pochi giorni
e sono agitatissima, nonostante il corso preparto che ho frequentato
con Tom.
Lì sembra tutto facile e naturale: sei incinta, partorisci e
devi respirare
così mentre spingi.
Facile come bersi un
bicchiere d’acqua, peccato che alla fine non sia
così, ne sono convinta.
Ormai – sebbene debba
stare seduta o sdraiata per ordine del medico – giro per la
casa come un’anima
in pena per il gran dispiacere di Tom che mi insegue e tenta di
riportarmi al
divano.
Odio quel divano, odio la
tv che c’è davanti: non so quanti canali abbia e
sono pieni solo di cazzate o
di informazione su quanto faccia schifo questo mondo che ti fanno
venire voglia
di buttarti sotto un tram.
“Tom, ti prego, lasciami
camminare!”
Lo supplico, lui è seduto
su una poltrona davanti al divano e si massaggia la fronte.
“No, Anne. Adesso
aspettami qui, da brava.”
Io annuisco sospirando.
Devi fare la brava, Anne.
Hai la responsabilità di qualcun altro sulle tue spalle,
adesso.
Tom arriva poco dopo con
una chitarra in mano e mi guarda sorridendo.
“Adesso ti suono qualcosa,
magari ti calmi e decidi che il divano può essere tuo
amico.”
“Ah Ah Ah!
Rispondo io, ovviamente la
mia risata finta non scalfisce il suo sorrisino strafottente, ormai lo
conosco.
Inizia a suonare “All the
small things” e decido che in fondo il divano non
è poi così male, suona per
circa un’ora, poi mi addormento e quando mi sveglio
c’è un buon profumino di
lasagne.
Non le ha cucinate Tom,
deve essere andato a prenderle in una gastronomia qui vicino.
“Tom, sei un tesoro!”
Gli urlo dal divano,
ultimamente sono fine come una scaricatrice del mercato del pesce.
“Oh, ti sei svegliata!”
La sua faccia fa capolino
da sopra il divano.
“Comunque, grazie. Ho
notato che ultimamente prediligi molto il cibo italiano e ho pensato
che ti
avrebbero fatto piacere.”
Io gli sorrido grata, mi
piacciono queste piccole attenzioni.
Mi alzo dal divano e
preparo la tavola, penso di potermelo concedere almeno questo.
Tom porta in tavola una
teglia di lasagne dall’aspetto davvero invitante, mi viene
l’acquolina in bocca
e sorrido come una bambina il giorno di Natale.
“Mmh! Sembrano davvero
buone, Tom!”
“Le ho prese in quella
gastronomia che ti piace tanto.”
Mi risponde sorridente,
mentre toglie la mia porzione e poi la sua, entrambe sono abbondanti,
Tom ha
sempre amato il buon cibo.
Le mangiamo in silenzio,
poi io faccio per alzarmi e sparecchiare e rigovernare, ma vengo
spedita subito
sul divano da Tom.
Io sbuffo, ma alla fine
trovo una vecchia replica di “Tom e Jerry” e me la
guardo, mi sento trasportata
all’infanzia. Non so bene in che città fossi
quando li ho visti per la prima
volta, ma li ho subito adorati e tra poco questa tv sarà
perennemente
sintonizzata su canali per bambini.
Mi accarezzo la pancia
sorridendo, forse questi cartoni piaceranno anche a lei.
Poco dopo Tom si siede
vicino a me.
“Tom e Jerry, eh?
Non ti dimentichi mai di
me!”
Io rido.
“Beh, non so se sia un
bene, qui sei un gatto sfigato che non riesce mai a catturare il
topo.”
Lui sbuffa.
“Ah, che donna terribile
sei!”
Io rido, poi sento del
dolore al basso ventre e del liquido colare, inizio a sudare freddo.
“Tom!”
Gli dico con voce
tremante.
“Mi si sono rotte le
acqua.”
Lui impallidisce
vistosamente, ma cerca di darsi un contegno alzandosi in piedi di
scatto.
“Ok, vado a prendere la
tua roba, le chiavi della macchina e il portafoglio.”
“Muoviti!”
Lo incito io, lui corre
come un fulmine in camera nostra, dove ciò che mi serve per
andare in ospedale
è pronto da settimane, Tom è stato previdente per
fortuna.
Spero che si sbrighi
perché il dolore sale a pulsazioni ritmiche.
“Anne, ce la fai a
camminare?”
“No.”
Lui mi prende in braccio e
insieme raggiungiamo il garage, depone me sul sedile passeggeri e
lancia sui
sedili posteriori lo zaino con la mia roba.
Accende la macchina e
insieme partiamo in direzione dell’ospedale.
“Corri, Tom, corri!”
Urlo, lui cerca di
assecondarmi superando di molto i limiti di velocità
concessi e facendo qualche
semaforo rosso.
“Corri!”
Lo incito ancora. Proprio
in quel momento una macchina di sbirri gli fa cenno di accostare.
Merda.
Tom abbassa il finestrino.
“Patente e libretto,
prego.”
Tom glieli porge, io
intanto cerco di sganciarmi la cintura.
“Anne, dove vai?”
“A partorire in un
ospedale! Se continuate così partorirò
qui!”
Il poliziotto guarda me –
spettinata e con gli occhi fuori dalle orbite – e Tom che
sorride imbarazzato,
come a scusarsi per il mio comportamento.
Il poliziotto sospira.
“Ok, potete andare.”
Tom riparte e cerca di
guidare il più veloce possibile, le mie fitte intanto si
fanno sempre più
ravvicinate e comincio a piangere.
“Calma, Anne! Stiamo per
arrivare.
Stiamo per arrivare!”
Io urlo, Tom accelera,
finalmente vedo il grande ospedale di San Diego stagliarsi davanti ai
miei occhi,
Dio sia lodato.
Tom entra, arriva fino al
reparto maternità e poi mi tira fuori dalla macchina e mi
consegna a
un’infermiera.
“Tesoro, torno subito.
Parcheggio la macchina e arrivo.”
“Vaffanculoooo!”
Lui guarda spaesato
l’infermiera che annuisce.
“È normale, la insulterà
molto anche durante il parto.”
Tom se ne va, bianco come
un cencio, io rimango con l’infermiera che
mi porta dal dottore e dall’ostetrica.
Li sento parlare tra di
loro senza sentirli davvero, poi si voltano entrambi verso di me.
“Signora, è già bella
dilatata. Non le ci vorrà molto per partorire.
Alcune partorienti posso
attendere anche ore prima di…”
“Porco Dio, no!”
Urlo io, il medico e
l’ostetrica si scambiano un’occhiata.
“Tipino tosto?”
Poi si rivolge verso di
me.
“Forza, ragazza!
Partorirai una meravigliosa bambina, ti lascio nelle mani di miss
Donnely.”
Speriamo siano buone mani.
Miss Donnelly e
l’infermiera mi portano in una stanza bianca, poco dopo mi
raggiunge Tom.
“Lei è?”
“Il compagno.”
“Bene, allora prenda Anne
e la faccia camminare un po’, così il travaglio
sarà più breve. La sua compagna
è un tipo tosto.”
“Lo so.”
Sospira lui.
Con molta gentilezza Tom
mi fa alzare e mi sostiene mentre passeggio per la stanza, come una
patetica
tizia ottocentesca con la sua fida dama da compagnia.
“Anne, stai calma.”
“Calma una sega, sto per
partorire, cazzo!”
“Lo so, ma se scleri non
ti aiuti. Respira come ti hanno insegnato a fare al corso
preparto.”
Per darmi il buon esempio
lui si mette a respirare così e io – mio malgrado
– lo imito e devo dire che
sto un po’ meglio.
“Tom, mi sento stanca.”
Il mio ragazzo, con
l’aiuto dell’ostetrica, mi fa di nuovo sdraiare sul
lettino, mi tiene la mano e
continua a respirare con me.
Io sopporto le
contrazioni, sono sempre più ravvicinate, Ava sta arrivando,
tempestosa come
suo padre.
Sento un gemito di Tom e
mi rendo conto che probabilmente sono ad un passo dallo spaccargli le
dita
della mano destra, ma non mi importa.
“Vaffanculo, Tom! Sei uno
stronzo, ti odio!
Guarda in che casino mi
hai cacciato, ti odio!
Vaffanculo!!”
“Forza, tesoro. Forza!”
“Spinga, signorina,
spinga!
Ci siamo quasi!”
Io cerco di fare quello
che mi dicono e spingo più che posso, intanto urlo
così tanto che mi stupisce
il fatto che l’ospedale sia ancora in piedi. Domani non
avrò più un filo di
voce probabilmente.
Spingo ancora e finalmente
mi pare di sentire qualcosa che esce dal mio corpo.
“Spinga ancora, la testa è
quasi del tutto fuori.”
Spingo ancora e finalmente
sento Ava uscire da me e tiro un sospiro di
sollievo,l’ostetrica me la appoggia
sul seno e penso di non avere mai visto qualcosa di più
bello di questa
bambina, anche Tom è estasiato.
“Come è bella!”
“Vero, ti somiglia!”
“Sì! Ciao, piccola!
Sono Tom, il tuo papà e
questa è tua mamma Anne.”
La coccoliamo ancora un
po’, poi l’infermiera la porta via e io mi lascio
cadere stremata sul lettino.
“Ce l’ho fatta!”
“E sei stata bravissima.
Hai voglia di vedere gli altri stasera?”
“Sì, perché no?”
Lui sorride.
“Allora spargerò la
notizia del tuo parto, così tuo fratello, Ruby, Erin etc,
verranno.”
Io sorriso.
“Sì, amore, ma prima fammi
fare un riposino, sono stanchissima.
Partorire è un gran
faticaccia.”
Lui annuisce, mi lascia un
bacio sulla fronte e se ne va sorridendo e fischiettando
“Aliens exist”, che
tesoro che è!
Non capisco come abbia
fatto a insultarlo così mentre partorivo. Cullata da questo
ultimo pensiero mi
addormento.
Vengo svegliata da
un’infermiera gentile che alle sei mi porta la cena.
“Tra mezz’ora le porteremo
la bambina per l’allattamento. Come volete
chiamarla?”
“Ava Elisabeth.”
Rispondo sorridendo.
“È un bel nome,
complimenti!”
“Grazie mille.”
Mangio avidamente il pollo
lesso, le verdure, la mela cotta e una fetta di pane con la marmellata,
ho una
fame terribile.
Alle sei e mezza mi
portano Ava, vederla e sentirla mentre succhia il latte dal mio seno
con
espressione mi dà un’emozione fortissima. Sento il
cuore che mi scoppia dalla
gioia, adesso la mia paura di perdere Tom è sparita del
tutto. Ora so che non
ci lascerà mai sole, è una certezza intima che mi
è scoppiata dentro.
Ho ancora la bambina tra
le braccia quando arriva tutta la truppa: Tom, mio fratello, Ruby,
Mickey,
Erin, Matt, David, Skye, Hayley e il suo ragazzo
Jack, Lars e Avril, i miei, la famiglia di
Tom e la famiglia Ferreira.
Guardo Skye e David e
capisco subito che c’è qualcosa tra di loro, sono felice perché
sono entrambi delle brave
persone.
“E così questa è Ava? È
adorabile!”
Mi dice mia madre
commossa.
“Sì, è bella, vero?”
“Ha preso tutto dal
padre!”
Risponde Tom con aria di
superiorità.
“Dio santo, Tom! Sei padre
e sei rimasto il solito cazzone!”
Commenta divertita Ruby.
“E tu la solita strega
acida!”
Lei gli fa una linguaccia,
lui gliene fa a sua volta una. Io scoppio a ridere.
Piano piano, uno alla
volta, si avvicinano per vedere Ava, Ruby è stata incaricata
di mettere a posto
i fiori e cerca di dargli un ordine che non sia troppo soffocante.
Alla fine è l’ultima a
salutare la nipote.
“Che amore, Anne! È
bellissima.”
Io sorrido e sto per
replicare quando entra l’infermiera e dà in
escandescenze quando vede tutta
quella gente affollare la mia stanza. Sono costretti ad andarsene
tranne Tom,
lo trattengo per una manica e fulmino l’infermiera.
“È il padre, può e deve
restare.”
Lei annuisce sconsolata.
“Piaciuta l’immersione nel
parentado e nel gruppo?”
“Sì, molto.
Mi sono sentita amata e
apprezzata e ora so che non te ne andrai mai.”
Lui mi bacia una mano.
“No, non me ne andrò mai e
se qualche volta non mi vedrai al tuo fianco, sarò dietro di
te e se non mi
vedi nemmeno lì, basterà che mi lasci un mazzo di
rose dove abito e arriverò.”
“Le rose come il richiamo
di Batman.”
“Bat Tom, ti piace?”
“No, suoni come qualcosa
di estremamente osceno, ma ho capito cosa vuoi dirmi.
Ti amo.”
“Ti amo anche io.”
Lui accarezza Ava e sento
che la mia vita è completa, penso di non poter chiedere
più nulla per i
prossimi anni.
Ho una figlia adorabile e
un compagno che mi ama.
Niente lucani per me, va
bene tutto esattamente come è.
Un sorriso si dipinge sul
mio volto, sono stata ripagata di tutta l’attesa e no posso
essere più felice
di così.
Ava, Tom, vi amo.
Angolo di Layla.
Questa è la prima delle tre one shot che pubblicherò con i personaggi di "Due su due", spero vi piaccia.
Ringrazio DeliciousApplePie
per la recensione.
Una piccola sorpresa qui