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Autore: _Safyra    18/12/2013    3 recensioni
Wanda si era salvata. Adesso era rinchiusa in un altro corpo. Felice. Amata dall'uomo che non aveva mai pensato potesse innamorarsi di lei.
Aveva ricominciato una nuova vita, la sua decima vita, ed era ora di iniziare a godersela. Ad imparare che in quel mondo non esistevano soltanto la compassione, il dolore e l'indulgenza, ma anche il piacere, il desiderio... l'amore di una famiglia, di un uomo.
Non sapeva che là fuori, oltre quelle caverne e quel deserto, c'era un mondo pronto ad accoglierla.
Wanda non sapeva nemmeno di essersi fatta un altro nemico... Ma non c'era fretta. Doveva scoprire molte altre cose oltre a quello.
Dalla storia:
Incrociai lo sguardo di Ian per un interminabile istante. Un istante interrotto da un colpo di scena.
Rimasi impietrita quando vidi esplodere il capannone che avevo di fronte.
Avevo cantato vittoria troppo presto [...]
Avevo promesso. Non lo avrei mai abbandonato.
«Wanda... non c'è più niente da fare, capisci? È andato ormai» singhiozzava Brandt dopo avermi preso il volto fra le mani.
«No» dissi «No. Ian non è morto»
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian, Jared, Melanie, Quasi tutti, Viandante
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Up In The Sky - the serie '
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9



Imprevisti



Aprii gli occhi, svegliata da uno strano cigolio. La camera era illuminata dal chiaro di luna ed era silenziosa, tranquilla.

Ci impiegai un minuto per capire che ero sdraiata su un letto e forse due per realizzare di essere anche nuda. Tuttavia non badai tanto a quel particolare, quanto più al fatto che la mia mano, quando tastò l'altra parte del letto, trovò solo lenzuola.

Mi voltai verso quel lato, scoprendolo vuoto come me l'ero immaginato. Tuttavia scorsi Ian andare ad appoggiarsi sulla ringhiera del balcone dopo aver lasciato aperta la finestra.

Strinsi il lenzuolo che mi copriva e me lo avvolsi attorno, alzandomi dal letto senza fare un fiato, ma soprattutto senza badare allo scricchiolio che produsse il parquet nero sotto la pressione dei miei piedi.

La tenda bianca della finestra si muoveva appena per l'aria fresca che soffiava dall'esterno, producendo un suono tenue. Tutto sembrava perfetto, in pace, anche se non riuscivo a capire dove fossimo.

Le idee divennero chiare solo quando varcai la soglia del balcone e scoprii di trovarmi su un altissimo edificio, in una città che non conoscevo.

L'istinto mi diceva di chiedere spiegazioni ad Ian, ma qualcosa dentro di me m'impediva di farlo. Quasi come se sapesse di non poter avere nessuna risposta.

Perciò mi limitai ad osservare il suo corpo snello, coperto per metà da dei pantaloni della tuta neri, e la sua schiena nuda, ripiegata di qualche grado verso la ringhiera, prima di allungare una mano a sfiorare la sua spalla per farlo voltare verso di me.

Le mie labbra si incurvarono in un sorriso, un sorriso che però morì non appena Ian si girò.

Non era possibile.

Persi ogni facoltà di intendere e di volere quando i suoi occhi azzurri si posarono sui miei.

Troppo azzurri per poter essere davvero i suoi.

Troppo poco umani, perché potessero farmi riconoscere nell'uomo che avevo difronte il mio Ian.

«No...» sussurrai, portandomi una mano alla bocca per reprimere un gemito.


Mi misi a sedere di scatto, traendo un profondo respiro per cercare di calmare i battiti inferociti del mio cuore, che rallentò la sua corsa non appena capii di avere avuto un brutto sogno.

Le mie paure tuttavia si acquietarono definitivamente solo quando scorsi la figura di Ian dormire come un bambino al mio fianco. E con quegli occhi di cui mi ero spaventata quasi a morte celati dalle sue lunghe ciglia nere.

«Buongiorno.» mi salutò d'un tratto Brandt, mentre usciva dal bagno con i pantaloni ancora slacciati.

«Tutto apposto?» mi chiese, evidentemente insospettito dall'espressione sconvolta che avevo in viso, sistemandosi la cintura.

Annuii, lanciando un'altra occhiata ad Ian.

Per un attimo pensai di svegliarlo per accertarmi che quello che avevo appena visto non fosse reale, ma fu lui stesso ad evitare che ciò accadesse, ridestandosi dal suo sonno proprio nel momento in cui concepii quel pensiero.

«Ciao» mi disse, guardandomi con i suoi occhi color del cielo.

Il mio cuore all'improvviso si alleggerì, permettendomi di tornare a respirare regolarmente.

«Ciao»

Si mise a sedere, osservando per un lungo istante prima me e poi Brandt.

«C'è qualcosa che non va?» domandò alla fine, corrugando la fronte per la preoccupazione.

Non volevo dirgli dell'incubo, perciò, concedendogli comunque il beneficio del dubbio, sfoderai un sorriso tirato e lo liquidai con un semplice «No, va tutto bene.»

Ma Ian mi conosceva abbastanza per leggere nei miei occhi e capire se dicessi o meno la verità.

«Sicura?»

Annuii, espandendo il mio sorriso, e per far scomparire qualsiasi forma di sospetto gli regalai anche un leggero bacio.

Tuttavia il nostro momento fu sgradevolmente interrotto da alcuni colpi di tosse da parte di Brandt, che alzandosi dal letto andò a scostare le tende che avevano adombrato la stanza. E il sole mi investì in pieno, portandomi istintivamente a proteggere gli occhi con una mano.

«Scusate, piccioncini. Volevo solo ricordarvi che ci sono anch'io qui dentro.» borbottò mentre ci sorrideva con fare imbarazzato e irrisorio.

«Sì, certo Brandt.» replicò Ian, leggermente irritato – e accecato – rivolgendogli un'occhiata alquanto velenosa. Sbuffai, divertita ed esasperata al tempo stesso.

«Vado in bagno.» dissi un attimo prima di levarmi di dosso le coperte e raggiungere la toilette.

Aprii la porta, la richiusi e girai la chiave nella toppa. Quindi andai ad aprire il rubinetto per sciacquarmi la faccia, e quasi come se avessi dato loro il permesso, le immagini del sogno tornarono a torturarmi.

Chiusi con un gesto secco l'acqua, raccattando un telo bianco per asciugarmi il viso.

Le possibilità che quel sogno potesse tramutarsi in realtà non erano mai state tanto importanti da poter essere considerate. Ma c'era sempre una prima volta, no?

Scossi la testa, come a scacciare via quei pensieri nefasti, appoggiandomi coi palmi al bordo del lavandino. Davanti a me, il corpo di un'umana che ormai mi apparteneva mi fissava dallo specchio, in silenzio, con quegli occhi simili a tanti altri, marchiati dal segno indelebile della mia presenza, che mi mettevano i brividi ogni volta che li immaginavo su Ian.

Non sarebbe mai potuta succedere una cosa simile. Non eravamo così sbadati.

Ma perché scervellarmi su cose del genere quando là fuori dovevamo proseguire un viaggio che non si stava rivelando tanto tragico come avevamo creduto?

Nervosa ma decisa a mettere da parte certi pensieri, riaprii la porta. Quando uscii, trovai Ian già rivestito e seduto sul bordo del letto a fissare con aria preoccupata Brandt, che invece stava cercando di telefonare qualcuno mentre faceva su e giù per la stanza.

«Che succede?» chiesi, insospettita dall'espressione accigliata di Ian.

Quest'ultimo si voltò a guardarmi, poi sospirò. «Aaron e Jared ci hanno mandato un messaggio. Ci aspettano nella hall dell'albergo tra quindici minuti.» quindi si alzò dal letto «Non riusciamo a contattare Jeb e gli altri.»

La sensazione di avere un nodo allo stomaco si impossesso improvvisamente di me.

«Come sarebbe che non riusciamo a contattarli?» domandai, ansiosa.

«Mel ci ha provato stamattina quando si è svegliata, ma c'era la segreteria telefonica.»

«Ha telefonato a Jeb?» gli chiesi, senza smettere di fissarlo.

Ian annuì e fece per dire qualcosa, ma Brandt lo interruppe.

«Niente.» sibilò, rimettendosi il cellulare in tasca.

«Magari non possono rispondere...» indugiai, mentre sia lui che Ian raccoglievano le nostre cose e si affrettavano a raggiungere la porta d'ingresso.

«Lo spero.» mi disse Ian, porgendomi uno zaino.



«Ragazzi...» salutai Jared e Aaron, attraversando spedita la hall dell'albergo. Scorsi Melanie oltre le loro spalle, troppo impegnata col suo telefono per potermi notare.

L'atmosfera dell'hotel era tranquilla, proprio come la sera prima; la donna che ci aveva serviti era stata sostituita da un uomo basso e magro, dall'aria apparentemente scorbutica.

«Ciao Wanda. Come va? Brandt vi ha lasciato dormire in santa pace?» domandò Aaron, «Oppure vi ha disturbato sussurrando il mio nome nel cuore della notte?»

«Ma per favore...» lo pregò Jared, dandogli una spallata prima di voltarsi a raggiungere Melanie.

Scossi la testa, ridacchiando. «È andato tutto a meraviglia, Aaron.»

«'Giorno.» intervennero Ian e Brandt, dietro le mie spalle, ignari di quello che il loro amico mi aveva appena chiesto.

«'Giorno.» li salutò a sua volta Aaron, accennando un sorrisino nello stesso momento in cui Jared e Melanie si unirono a noi.

Vedendo il viso contratto dalla preoccupazione di Mel, le riservai un'occhiata comprensiva.

«Ci sono novità?» domandò Ian.

«No.» sospirò.

«Proveremo più tardi... potrebbero anche non sentirlo.» le disse Jared, mentre le spostava una ciocca di capelli dietro l'orecchio e la rassicurava con un abbraccio.

«Conviene uscire da questo posto... Troppi occhi indiscreti.» mormorò Brandt, guardandosi intorno per cercare gli uomini in giacca e cravatta della sera prima che, al contrario della donna della reception, erano rimasti nell'hotel e continuava a fare la guardia.

Indossai i miei occhiali da sole – anche se non ce n'era bisogno – come avevano fatto tutti gli altri, e facendomi trascinare da Ian, che mi avvolse i fianchi con un braccio, ci dirigemmo all'esterno dell'hotel.

Il cielo era limpido, l'aria un po' più fredda del giorno prima e la strada che ci separava dal parcheggio in cui avevamo lasciato il camion deserta.

«Allora, qual è il piano?» domandò sfregandosi le mani Brandt, dopo che salimmo a bordo del furgone.

«Avevamo detto che a mezzogiorno ci saremmo trovati nella prima area di servizio che avremmo incontrato sull'autostrada, giusto?» intervenne Jared, seduto proprio difronte a me.

Annuii insieme ad Ian: i patti erano questi.

«Allora andiamoci e aspettiamoli.»

«E se non arrivano?» gli domandai, senza fare caso alla morsa che mi chiuse lo stomaco per aver anche solo pensato una cosa del genere.

«Ci dovremo preoccupare sul serio.» rispose lui, sospirando.



§


Scaffali. Carrelli. Cibo.

Chi avrebbe mai detto che il supermercato – l'ennesimo – in cui mi trovavo fosse fatto appositamente per degli alieni?

Forse poteva essere più luminoso, più arioso e pulito di un semplice discount di periferia, eppure sembrava un posto come tanti, in cui tuttavia andavano a rifornire le proprie dispense anime, e non umani.

Quel piccolo particolare per me non era tanto rilevante quanto per Ian, che, camminando con una tranquillità troppo marcata al mio fianco, non smetteva di guardarsi intorno e soprattutto di frugare nella tasca del suo giubbotto, dove teneva nascosta una 45 magnum. Da usare in caso di pericolo, s'intende.

«Smettila di fare così.» borbottai sottovoce, mentre mi allungavo su uno scaffale per prendere un pacco di biscotti.

«Così come?» sussurrò Ian, rivolgendo lo sguardo verso tutte le parti tranne che nella mia.

«Così... così

«Sono nervoso. Non tutti i giorni mi capita di infilarmi nella tana del lupo.» disse mentre tornavo a trascinare il carrello.

«Nessuno ti ha chiesto di accompagnarmi.» replicai, ottenendo un'occhiata ad effetto, anche se a celare parte della sua saettatina c'erano sempre i suoi Ray-Ban.

Un'espressione alquanto scocciata ed esasperata si stipò sul mio viso quando ripensai alla discussione che avevamo avuto prima di entrare in quel supermercato. Di solito lui e gli altri mi aspettavano fuori, contando i minuti in più e i minuti in meno che ci impiegavo per entrare e uscire.

Ian sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Non potevo farti compagnia?»

«Non potresti uscirtene con un "avevo paura di lasciarti sola" o qualcosa di simile? Ti farebbe sembrare molto più sincero.» dissi dopo essermi voltata a guardarlo.

Ian scosse la testa, sorridendo. E per un attimo credetti di avergli fatto dimenticare le anime e il nervosismo che lo agitava.

«No, sarebbe troppo imbarazzante.»

«Beh, potevi comunque restare con gli altri.»

Presi un pacchetto di marshmallows e lo aggiunsi alla spesa sotto lo sguardo appena irritato di Ian, che senza alcun preavviso, mi spinse silenziosamente contro uno scaffale. Il mio corpo aderì al suo in un modo così veloce che cessai di respirare per la sorpresa.

«È troppo difficile capire che sono qui per proteggerti?» sussurrò Ian contro il mio collo, prima di depositare un bacio proprio lì. Un dolce sorriso nacque spontaneo sulle mie labbra.

«Luna?»

D'un tratto, una voce. Sconosciuta.

Proveniva da una donna alle spalle di Ian. Giovane, alta, dai lunghi capelli castani e dal fisico perfetto. Mi osservava attentamente, come a cercare in me qualcosa di familiare.

Mi aveva chiamata con quel nome che solo in pochi, tra i miei amici, ricordavano ancora. Un nome che tese sia le mie orecchie che quelle di Ian, tanto da farci girare entrambi a guardarla, basiti.

«Non...» scossi piano la testa, pregando che la sconosciuta non mi conoscesse così bene come pensavo.

«Petali Aperti alla Luna, giusto?» pronunciò quel nome per intero, come se si potesse aspettare di essere salutata affettuosamente dopo un momentaneo vuoto di memoria che mi aveva impedito di riconoscere il suo viso. Viso che tra l'altro non riuscivo a collegare a nessun nome se non al nulla. Tanto imbarazzante quanto pericoloso per la mia, o meglio nostra, copertura.

«Non mi riconosci?» domandò, avvicinandosi di qualche passo.

Le mie labbra si tesero in un sorriso nervoso e di scuse. Inclinai appena la testa, come a dir di no, ma mi bloccai non appena la ragazza riprese a parlare.

«Sono Piuma, l'amica di tua sorella.»

Sbattei ripetutamente le palpebre, lanciando un'occhiata d'intesa a Ian, rimasto immobile al mio fianco.

Mia sorella? Luna aveva una sorella? Non ricordavo niente al di fuori di sua madre, Tessitrice di Nuvole.

«Scusami, sono stata troppo schietta. Rugiada probabilmente non ti ha parlato molto di me.» sorrise, facendo spallucce.

«Ehm... no. In effetti no.» mormorai, senza poter evitare di arrossire.

Piuma d'un tratto si voltò a guardare Ian, fossilizzato al pavimento. Gli occhi bassi nascosti dalle lenti scure, le mani calcate nelle tasche del giubbotto. In quella tasca. Me lo immaginavo mentre sfiorava piano la pistola, senza sapere cosa fare. E la cosa francamente non poteva che mettermi ansia.

«Lui è...»

«Un amico. Sono un suo amico.» mi interruppe lui, prima che potessi finire la frase in modo del tutto differente.

Mi morsi un labbro, sorridendo di nuovo a Piuma.

«Piacere, Piuma.» disse, stringendogli una mano per poi iniziare ad osservarlo con più attenzione. «Non ti ho mai visto qui a Phoenix.» aggiunse.

«Non sono di queste parti infatti.» replicò lui, con una sicurezza disarmante.

«Ah... Rugiada mi aveva accennato qualcosa riguardo ad un tuo... viaggio o qualcosa di simile. Non mi ha detto che sei ritornata però.» disse Piuma, rivolgendosi a me.

«Ehm, beh... purtroppo sono solo di passaggio, quindi...» feci spallucce, ostentando finta tranquillità.

«Quando sei ritornata?»

Dovevo ammettere che quella ragazza stava iniziando ad infastidirmi con tutte quelle domande.

«Wa... ehm, Luna, dobbiamo andare. Ci stanno chiamando.» intervenne all'improvviso Ian. Mi voltai verso di lui, notando che sulla mano sinistra sventolava il suo cellulare. Sul display era appena visibile il nome di Jared.

«Oh, non voglio rubarvi altro tempo, ragazzi. È stato bello rivederti, cara.» Piuma sorrise e in un atto puramente confidenziale si avvicinò per abbracciarmi.

Imbarazzata, ricambiai per pochi istanti la stretta, poi mi scostai e le sorrisi di rimando.

«Alla prossima.»

«Alla prossima.»

Piuma ci rivolse un ultimo sguardo prima di voltarci le spalle e sparire nell'angolo.

«Abbiamo cinque minuti prima che Jared e compagnia facciano irruzione armati nel supermercato.» sibilò Ian, mentre mi faceva cenno di lasciargli il carrello e avviarmi verso l'uscita. Nel suo tono di voce c'era parecchia ironia, tuttavia, a giudicare dalla sua espressione preoccupata, qualcosa mi diceva che quelle parole andavano oltre lo scherzo.

Perché conosceva bene i nostri compagni. Come li conoscevo io, purtroppo.

Uscimmo senza andare né troppo veloci né troppo lenti, e devo dire che malgrado il carrello strapieno, non attirammo l'attenzione di nessuno, in strada.

Il nostro furgone se ne stava parcheggiato dalla parte opposta rispetto al supermercato: attraversammo senza correre troppo, quindi raggiungemmo il veicolo.

«Finalmente.» sbottò Jared quando raggiungemmo il retro del camion. Appeso sul collo aveva un bel pezzo di fucile che attirava non poca attenzione.

«Abbiamo avuto un imprevisto.» sibilò Ian, con un tono misto tra preoccupazione e rimprovero. Sicuramente nei miei riguardi, a notare dall'occhiataccia che mi lanciò quando mi voltai nella sua direzione.

«Che imprevisto?» domandò Jared, osservando prima me poi Ian.

«Niente di irrisolvibile. Dai, mettiamo questa roba dentro.» risposi. E iniziammo a caricare le provviste sul furgone.

«Ragazzi ci avete impiegato quindici minuti più del solito!» si lamentò Melanie, dopo aver scostato la tendina del camion per farsi vedere.

«Lo sappiamo, Melanie. Anche se dovrei correggere Wanda dicendo che non è stato nulla di irrisolvibile.» replicò Ian, girandosi verso di me.

Smisi di caricare la roba sul furgone, interdetta. Perché doveva rendere tanto drammatica una cosa che non lo era?

«Volete spiegarci cos'è successo?» intervenne Melanie, irritata.

«Un'anima ha riconosciuto Wanda. O meglio, Luna.» rispose Ian.

Jared corrugò la fronte, senza smettere di passare la spesa a Mel. «Luna?»

«Sì...»

«Non è niente di così preoccupante, ragazzi. Qui non ci verremo più perciò perché allarmarsi?» mi intromisi, sperando di elidere una volta per tutte il discorso.

«Vorrei rispondere alla tua domanda, ma dato che non ho ancora capito cos'è successo precisamente non posso farlo. Quindi se...»

«Una ragazza mi ha scambiata per Luna. Ha detto di essere l'amica di sua sorella e di conoscermi.» spiegai, ritornando a svuotare il carrello.

«E questo non dovrebbe essere preoccupante?!» esclamò senza alzare troppo la voce Melanie.

«Ti ho già detto che sei una ragazza molto perspicace?» bofonchiò Ian, rivolgendosi a Melanie con un tono che stentava a mantenere la calma.

«Smettetela di parlare. Manca poco più di un quarto d'ora a mezzogiorno: dobbiamo muoverci» ci zittì la voce autoritaria di Aaron, da dentro il camion.



Spazio autore:


Buonaseeera, c'è qualcuno ancora vivo ad aspettare che io, povera disgraziata, aggiorni la storia di tanto in tanto?? Sì? No? Ni? D:

Ragazze mi dovete scusare davvero tanto, ma giuro che sono iper super stra extra sommersa dalla scuola e da tutti i problemi ad essa intuitivamente ricollegabili xD

Ma devo dire che per tutto questo tempo in cui non ho avuto il tempo di aggiornare sono riuscita a dare un'occhiata al fandom dell'Ospite e scoprire che Up è classificata prima nella lista delle storie più popolari di quest'anno e tra le prime venti di sempre. E per questo piccolo traguardo devo ringraziare tutte le buone anime che pazientemente recensiscono senza arrabbiarsi anche quando dovrebbero per i miei odiosi ritardi, ma anche quelle che hanno messo la storia nelle preferite, seguite e ricordate limitandosi a leggere in silenzio. Siete tutte prezioseoseose <3

Parlando del capitolo, devo dire che sono abbastanza soddisfatta. Ho dovuto dividerlo in due parti perché altrimenti sarebbe diventato troppo lungo ed è soprattutto per questo motivo che ancora non siete riuscite a capire che cosa sia capitato al gruppo di Jeb e Kyle :-P

Lascio a voi i commenti su quello che avete appena letto. Vi lascio con un augurio di buone feste e la foto esclusiva di Wanda – come promesso d'altronde ;)

 

 

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