Età: 20
Pregi del carattere: purtroppo aiuto sempre tutti
Difetti del carattere: ho qualche problema ad accettare le critiche
Breve descrizione fisica (anche solo colore degli occhi e dei capelli, se volete): bassa, capelli castani e occhi castani
Parte II
Colore preferito: blu e nero, ma mai insieme
Città preferita: Londra
Musica preferita: metal
Hobby: leggere e scrivere
Libri preferiti: sono troppi! Harry Potter, Hunger Games, quelli della Pitzorno (ebbene sì) e di Eoin Colfer, Orgoglio e Pregiudizio...
Film preferiti: Enchanted, cartoni Disney, film Burton/Helena/Johnny e altri 1000!
Difetti che odiate nelle persone: superbia
Pregi che amate nelle persone: gentilezza
Siete innamorati? Direi di sì XD
Animale domestico: non ancora, ma presto un gatto
Domande facoltative:
Lavoro/scuola: lavoro
Religione: Wiccana
Famiglia: sposata. Problemi con mia madre (che comunque è ancora viva, come anche mio padre). Figlia unica.
Mi chiamo Armònia Scotti. Ho 20 anni e sono sposata da un anno e mezzo con un ragazzo di poco più grande di me. Sono scappata di casa il giorno del mio matrimonio, perché avevo molti problemi con mia madre e non potevo più sopportare di stare sotto il suo stesso tetto; in particolare, avevo paura di impazzire se fossi rimasta in quella casa troppo a lungo. Penso di aver avuto ragione, perché la donna da cui sono nata ha la capacità di farmi perdere il controllo tuttora, quando sono costretta a vederla o a sentirla per telefono. Mio padre, invece, è un brav'uomo: non ha mai fatto del male a nessuno, neanche involontariamente, e mi vuole davvero bene. Il suo unico difetto è quello di non essere capace di tener testa a mia madre.
Sono figlia unica, purtroppo o per fortuna: purtroppo, perché non ho mai avuto qualcuno con cui condividere i pomeriggi solitari della mia infanzia e adolescenza; per fortuna, perché così nessun altro innocente ha dovuto soffrire come ho sofferto io tra quelle mura.
Passo la mia giornata al lavoro, o meglio, divisa tra più lavori: c'è quello principale, che mi fa guadagnare 350 euro al mese e consiste nel stare in un ufficio 8 ore al giorno - a far cosa, è poco importante saperlo - e ci sono tutti gli altri, come l'insegnante di ripetizioni durante il sabato o la promoter durante la domenica, la guardarobiera nelle notti invernali e la creatrice di bijoux in quelle estive.
Nonostante io non abbia quasi più il tempo per dormire, riusciamo a stare a galla, tra affitto, bollette e spese al supermercato, solo grazie allo stipendio di mio marito.
Nei rari momenti in cui ho un po' di tempo libero, amo leggere e scrivere, ispirandomi al talento di Joanne Rowling, Jane Austen, Bianca Pitzorno o Eoin Colfer, autori dei miei libri preferiti, cambiando stile in base al genere letterario in cui mi sto cimentando, oppure guardare un cartone animato della Disney o qualche film di Tim Burton.
Il mio sogno sarebbe andare a vivere a Londra con mio marito, avere un gatto e dei figli da crescere in modo completamente diverso da quello in cui sono stata cresciuta io. Vorrei scrivere un romanzo che piaccia abbastanza da essere pubblicato da una casa editrice e vorrei che mio marito ricominciasse a suonare la batteria in una band metal, come da ragazzino, perché il talento ce l'ha davvero.
Quand'ero piccola sognavo un matrimonio da giovanissima, una casa in cui vivere da sola con mio marito, un lavoro e la scrittura come hobby. Si può dire che io abbia realizzato i miei sogni, ma non so quanto questo mi abbia aiutata.
Sono felice? Sì, credo di esserlo. Amo davvero mio marito, e alla fine è questo che conta.
Ho un attacco di depressione al mese, però, e questo non mi piace. Succede sempre verso il 20 del mese, quando i soldi finiscono e non vedo più un futuro per me, per noi.
Il mio stage presto finirà, e allora cosa farò? Mi assumeranno? Forse dovrò ricominciare tutto da capo, farmi sfruttare altri sei mesi, non potermi permettere nulla, se non il necessario, non poter fare regali alle persone che amo...
Pensavo di mettere da parte dei soldi i primi anni, in modo da averne, poi, una volta diventata madre. Il problema è che non riesco a mettere da parte nulla, anzi, ho dovuto utilizzare anche i risparmi dei primi 19 anni della mia vita, e mio marito ha dovuto fare altrettanto.
Ricordo con un po' di nostalgia i tempi della scuola: anche lì ero sfruttata, perché non ero capace di dire di no alle persone, quindi davo sempre ripetizioni gratis anche ai compagni che poi mi sparlavano alle spalle, ma non avevo problemi economici.
Non avevo la possibilità di comprare i vestiti firmati dei miei coetanei o i cellulari ultra-moderni, ma non erano comunque cose che avrei comprato.
Non so quali siano i miei sentimenti verso i miei vecchi compagni di scuola: un po' li invidio, perché per altri cinque anni non avranno problemi e saranno mantenuti dai genitori senza dover dare nulla in cambio, ma un po' mi fanno anche pena, perché hanno scelto la via più facile, ma in futuro magari se ne pentiranno.
Di tutta la classe, solo in quattro non siamo andati all'università. Che poi, io ho frequentato due mesi di Bocconi, prima di sposarmi, solo che non me ne è mai importato nulla, perché io volevo lavorare.
In ogni caso, abbiamo trovato tutti un lavoro abbastanza facilmente.
Gli altri miei compagni si sono iscritti tutti all'università: due per studiare, gli altri diciotto perché era più comodo così. Mi fa rabbia pensare che ci siano così tanti ragazzi che succhiano soldi ai genitori solo per non faticare nella vita, che passino gli esami universitari col minimo, per poi tra qualche anno dire "Chiamami Dottore", come se valessero più di me, o di mia cognata, che è uscita con 100 e lode dalla scuola più severa della città.
Perché un pezzo di carta dovrebbe rendere migliori? Perché la pigrizia e la scelta di non impegnarsi nella vita dovrebbero essere premiate? Non capisco.
Quello che so è che i laureati faticano molto più dei diplomati a trovare lavoro, un po' perché le aziende dovrebbero pagarli di più e un po' perché non hanno la minima intenzione di fare un lavoro che non sia quello per cui hanno studiato.
Il motivo per cui la mia capa ha fatto colloqui solo ai diplomati e non ai laureati, invece, è che sostiene che l'università sia troppo teorica: quando usciamo da ragioneria sappiamo tenere la contabilità di un'azienda, mentre dopo l'università ci ritroviamo imbottiti di nozioni teoriche e abbiamo dimenticato tutta la pratica appresa precedentemente.
Non so se sia vero o no, ma guardando mia cugina, studentessa universitaria fuori corso di economia, penso che la mia capa non si sbagli di tanto.
Mia nonna dice che ho fatto male a non frequentare l'università, ma perché avrei dovuto farlo? Non era ciò che volevo fare, non sarei stata coerente con me stessa! È un po' come per lo sbattezzo: mi hanno criticata tutti quando mi sono sbattezzata, ma che senso aveva restare marchiata con qualcosa che non ho mai voluto? Io sono Wiccana, perché fingermi cattolica come mi hanno sempre costretta a fare quando abitavo coi miei parenti?
Forse è solo che ho difficoltà ad accettare le critiche che mi muovono gli altri, soprattutto le persone a cui tengo davvero, come mia nonna, ma alla fine sono felice della mia vita e, soprattutto, di mio marito.
Riguardo spesso le foto del mio matrimonio: eravamo in una sala comunale, io avevo un'unica invitata e testimone - la mia migliore amica, la ragazza più gentile del mondo - e mio marito ne aveva otto; io indossavo un vestito nero, con una fascia verde acqua all'altezza del seno su cui ricadevano i capelli castani sciolti, mentre mio marito aveva dei jeans e una camicia nera.
Benché io sia alta 164 centimetri, mio marito riesce a essere più basso di me di un centimetro e la cosa mi è sempre piaciuta; i suoi occhi sono castani come i miei.
Avevo un bouquet di fiori azzurri e blu che avrei voluto far seccare, ma purtroppo non sono riuscita.
Non posso dire in tutta sincerità che il giorno del mio matrimonio sia stato il più felice della mia vita, perché la sera ho dovuto affrontare lo sguardo di mio padre e credo sia stata la cosa più difficile e dolorosa che io abbia mai dovuto fare: il suo sguardo parlava di tradimento, di sofferenza, della depressione in cui è entrato poco dopo e da cui non è ancora uscito.
Mia madre, invece, mi ha dimostrato ancora una volta la superbia e l'incapacità di capire i bisogni altrui che la contraddistinguono.
Sono felice di essermene andata, ogni giorno che passo lontano da lei ringrazio mio marito per avermi portata via da quel posto, ma non posso dimenticare chi ho lasciato indietro.
Mi sento in colpa, anche se so che non dovrei, perché mio padre potrebbe benissimo andarsene in qualunque momento, vivere altrove col suo stipendio, ed è una sua scelta quella di restare.
Forse spero solo che capisca quanto gli voglio bene e che lui non c'entra nulla con la mia decisione; spero che mia madre cambi e spero che sia davvero innamorata di mio padre, anche se ne dubito.
Spero di non perdere il lavoro; spero di poter restare sempre con mio marito.
In fondo, la vita è tutta una speranza.